La guerra di Cesare

Una favola sociale, un dramma contemporaneo in cui la provincia è la cornice per raccontare la crisi del lavoro e di un’epoca che non esiste più. Il film racconta una storia di ribellione fallita, che parte da una miniera sarda che ha esaurito la sua potenzialità estrattiva e, di conseguenza, il suo ruolo sociale, ma non la sua forza metaforica. La storia parte da qui, dalla fine delle cose e da un popolo di lavoratori abbandonato. Da questo evento nasce il racconto di due amici lavoratori che vivono una relazione viva e complessa, fino a che la morte di uno dei due spingerà l’altro a cercare, in qualche modo, un senso di riscatto. Nelle sale dal 20 maggio

Nel sud ovest della Sardegna, in un piccolo paese minerario in grave declino economico, Cesare e Mauro, ex minatori e amici da sempre, lavorano come guardie giurate all’interno di una miniera di carbone in disuso. Attendono speranzosi che un’importante azienda cinese acquisti la miniera e la rilanci, ma purtroppo per loro e per tutti gli altri lavoratori del comparto, i dirigenti orientali rompono improvvisamente la trattativa e abbandonano l’isola. La miniera è definitivamente morta e i due possono dire addio al loro lavoro. A seguito di questa tragica decisione economica, Mauro ha una reazione esasperata e nel tentare di dar fuoco ad un ufficio della miniera, commette un errore e perde la vita. La morte dell’amico mette Cesare davanti ad un’amara verità: la sua vita è ferma al palo. Senza più un lavoro, con un matrimonio ormai fallito, a Cesare non resta che reagire. Si mette in viaggio assieme a Francesco, il fratello problematico di Mauro, in direzione della città dove l’azienda mineraria ha la sede principale, con il chiaro obiettivo di vendicare l’amico morto. Ma inaspettatamente, una volta giunto in città, Cesare si ritrova a vivere una serie di esperienze che metteranno in discussione i suoi valori e la sua ferrea volontà di vendetta.

 

I personaggi

Cesare (Fabrizio Ferracane)

Cesare ha circa cinquant’anni, di cui ventisei spesi nell’impresa mineraria di cui è ancora dipendente. L’estinzione del giacimento lo porta a mansioni sempre più umili fino ad essere ricollocato nel ruolo di guardia giurata all’interno della miniera. In questo lavoro decisamente inutile – il giacimento è improduttivo da anni – è affiancato dall’amico Mauro. Cesare è sposato con una donna che ha amato molto in gioventù, ma il lento incrinarsi di tutto – il lavoro, la vita del paese, la loro relazione senza figli e l’amore per la danza che adora praticare e insegnare – ha finito con lo spegnere quel sentimento. Ma la vita continua a scavare sottotraccia e, quando Mauro muore, Cesare si riprende e ingaggia una lotta sia contro sé stesso sia contro quel nemico che ha causato il suo disfacimento esistenziale: l’azienda che prima ha sfruttato la miniera e il paese, per poi abbandonare tutto e tutti.

Mauro (Alessandro Gazale)

Tra tutti gli ex minatori che lavorano ancora nel giacimento del paese Mauro è quello più vivo e iracondo. Ha circa 55 anni ed ha iniziato a lavorare tardi, da ragazzo si è goduto la vita. È sardo da generazioni e vive con una famiglia tutta storta, un trio un po’ grottesco. Lui, appunto, sempre su di giri e pronto allo scontro come all’abbraccio fraterno, la moglie, Daniela, che tenta disperatamente di contenerlo, una casalinga che si è trovata costretta in un ruolo che non desiderava e Francesco, il fratello di Mauro, uno che ha seri problemi psichiatrici. Mauro odia l’ipocrisia dei sindacati e ovviamente odia il padrone, la miniera, chi lo reprime. È anche un uomo, però, votato al buon sentimento: ama chi se lo merita, perdutamente.

Francesco (Luciano Curreli)

Il fratello problematico di Mauro, Francesco, è un uomo di quasi 50 anni. Non lavora e trascorre tutto il suo tempo a ciondolare per casa esasperando Daniela, la moglie di Mauro. Ha una venerazione per Francesco Cossiga, che cita costantemente nei suoi discorsi. Francesco è molto legato a Cesare, che considera uno di famiglia. Insieme fanno danza, Cesare come insegnante e Francesco come allievo, anche se è indisciplinato e non molto capace.

Lori (Francesca Ventriglia)

Di chi poteva innamorarsi Cesare una volta scoperta la vita di città? Di una donna scriteriata, vitale, traditrice, sensuale. Di una modesta ballerina di tip tap di mezz’età che si mantiene con dei corsi di danza per principianti, guidata da una vitalità distruttiva che la porta a far crollare tutto quello che costruisce: lavoro o relazioni, il risultato è sempre il medesimo. Lori è una bellezza che tarda a sfiorire, che è rimasta intatta nonostante la poca cura prestata. È una donna fuggita dalla propria famiglia, straziata dall’idea di stare ferma in un luogo.

 

Il regista Sergio Scavio racconta… 

«La missione mia era questa: far saltare tutti e quattro i palazzi e, in ipotesi secondaria, occuparli, sbattere fuori le circa duemila persone che ci lavoravano, chine sul fatturato, sui disegni tecnici e sui testi delle umane relazioni, e poi tenerli a disposizione di altra gente. Veramente nessuno venne a dirmi che questa era la mia missione, che dovevo fare così e così, ma era pacifico, toccava a me (“La vita agra” di Luciano Bianciardi) “La guerra di Cesare” nasce dalla voglia di rimettere in moto un libro per me molto importante, “La vita agra” di Luciano Bianciardi. Il romanzo racconta le prime crepe del boom economico ed io mi sono chiesto che cosa è rimasto oggi di quel mondo economico e sociale dopo che quella crepa, inizialmente sottilissima, è oggi diventata una voragine dentro cui è tutto precipitato: la società tutta e soprattutto quei lavoratori, i loro sogni. Ho pensato alle persone che mi erano vicine che venivano da quel mondo e li ho immaginati immersi, impotenti, dentro una Sardegna mineraria che penso di conoscere bene: un territorio segnato dalla fine di un’epoca, dall’esaurimento delle risorse e dall’abbandono. Tempo fa lessi che, in certe miniere sarde, c’erano minatori che non erano mai stati dentro un pozzo, dentro una galleria: pur di tenere in vita un sistema produttivo lo Stato creava paradossi del genere. Qui, tra rituali quotidiani svuotati di senso, due famiglie e due amici lavoratori vivono una relazione intensa, messa alla prova dal licenziamento e dalla conseguente ribellione. Ma ha ancora senso rivoltarsi, oggi? È ancora possibile? Ha senso fare cose dimostrative, simboliche, cose inutili? Questa è la domanda che attraversa il film. L’inutilità di far rivivere una miniera spenta, di un’amicizia tossica, di cavalli che non corrono, di una statua abbattuta. Eppure, è proprio in questa gratuità che risiede la forza dei personaggi, la bellezza insostituibile delle cose che non servono. Ho provato a mettere in scena quello che credo un’opera prima dovrebbe fare: rischiare tutto, non limitarsi, provare a mettere in scena tutto il cinema inespresso fino a quel momento. E quindi, insieme al tentativo di raccontare una ribellione fallita, ho descritto il mondo vicino a me, lo spirito della mia città, Sassari, e il mio cinema, cioè tutto ciò che amo; ho mischiato attori professionisti con amici e li ho tutti mascherati dentro personaggi grotteschi, comici e drammatici insieme. Li ho fatti ballare, ridere, abbracciarsi, suonare insieme. La musica è un elemento importante del film. Ho costruito con il compositore una colonna sonora che avesse dei suoni nostalgici, musiche dei tempi passati, con un impasto contemporaneo: quindi suoni vaporwave, un genere che inquadra delle musiche che rappresentano la nostalgia di un periodo che non si è mai vissuto, il mio caso con il mondo operaio e politico degli anni del lungo secondo dopoguerra. Ma non solo: canti operai, rock, dance music… E ad ospitare la musica e i suoi danzatori un dopolavoro operaio convertito in una discutibile e bizzarra discoteca. È poi un film che arriva dopo una lunga, faticosa e non ancora esaurita carriera da spettatore professionista e poi da insegnante di cinema. Grazie alle opere e agli sguardi di tanti registi è stato possibile per me realizzare questo film, troppi per nominarne qualcuno, ma tutti in qualche modo parlano di me.»

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