JACOPO VENEZIANI
Le case, l’arte e gli artisti
Da Carducci a Manzoni, da Leopardi a Michelangelo. Dal 2 giugno, dal lunedì al venerdì alle 20.20 su Rai 3, “Vita d’artista”, il nuovo programma che porta nelle case dei grandi protagonisti dell’arte e della cultura italiana. Il conduttore esplora luoghi autentici in cui gli oggetti diventano chiavi per raccontare storie intime
Cosa l’ha spinta a ideare un programma che entra nelle case private degli artisti?
È nata un po’ come una scommessa. Nelle piazze italiane ci sono tanti monumenti in bronzo che un tempo erano esseri umani: Manzoni, Leopardi, Michelangelo, Canova. Ci siamo detti: “E se provassimo a entrare nelle loro case, per restituire loro un po’ di quella umanità che il tempo e la fama hanno trasformato in mito?”. Aprendo cassetti, osservando armadi, strumenti, oggetti personali… L’idea è proprio questa: riportare all’umanità figure che oggi sembrano quasi scollegate dal nostro mondo, congelate nel tempo come statue.
Come ha scelto gli artisti protagonisti del programma? Cosa li rendeva particolarmente adatti a questo tipo di narrazione?
Siamo partiti dalle case. Cercavamo luoghi che fossero rimasti il più possibile intatti, autentici, come se l’artista fosse appena uscito un attimo. A Casa Canova, ad esempio, sembra che lui sia uscito a comprare il pane; la stessa sensazione l’abbiamo avuta a Casa Leopardi e a Casa Manzoni. Non volevamo case diventate musei, con teche e didascalie, ma ambienti ancora caldi, abitati, vivi. Il nostro è stato un lavoro di ricerca quasi archeologica della vita quotidiana.
Il programma punta a un linguaggio moderno e accessibile. Come avete lavorato per rendere la storia dell’arte fruibile a un pubblico ampio?
Abbiamo cercato di mettere in primo piano le storie, non le nozioni da manuale. Ad esempio, parlando di Leopardi, non ci siamo limitati a descrivere un suo ritratto dal punto di vista stilistico. Ci siamo chiesti: come si vedeva lui? Si sentiva bello o brutto? Che immagine aveva di sé? E siamo andati a fondo, leggendo lettere, testimonianze, per scoprire questo aspetto personale. Per me l’arte è sempre un tentativo di comunicazione: qualcuno che vuole dire qualcosa a qualcun altro, usando non le parole ma un oggetto, un’opera. Il nostro lavoro è stato quello di amplificare quel messaggio, renderlo più umano, quindi più universale.
Qual è stata la scoperta più sorprendente o emozionante visitando questi spazi privati?
A Casa Pascoli, ad esempio. Pascoli è un nome che molti associano solo alle antologie scolastiche. Ma scoprirne il lato intimo è stato davvero emozionante. In casa sua c’è una stufa che non è mai stata accesa perché, nella canna fumaria, aveva trovato un nido di api e non voleva disturbarle. E ancora oggi, in quella canna, vivono le loro discendenti. È il segno di un Pascoli tenero, sensibile, che nel giardino disegnava tombe per il suo cane e per un merlo con cui viveva. Dietro a ogni oggetto si nasconde una storia che parla.
Come riesce a raccontare la personalità degli artisti attraverso oggetti e ambienti domestici?
Mi chiedo sempre: in che momento quell’oggetto è entrato nella vita dell’artista? Cosa ci racconta di lui? Sulla scrivania di Carducci a Bologna, ad esempio, c’è un orso intagliato nel legno. Un souvenir delle sue vacanze a Courmayeur. E uno pensa: “Davvero Carducci sciava come un milanese?”. Sì, lo faceva. Oppure la tabacchiera di Manzoni: sempre con lui, tanto che il pittore Francesco Hayez l’ha dipinta nel suo ritratto, nascosta ma presente. Ogni oggetto è un grumo di storie, come quelli che abbiamo nelle nostre case: ricordi, regali, tracce di vita.
Come siete riusciti a trasformare queste storie in un racconto televisivo contemporaneo e pop?
Anche la musica ha avuto un ruolo fondamentale. Volevo che il programma avesse ritmo, non fosse il classico documentario patinato. Così, ad esempio, per raccontare il tempio neoclassico di Canova a Possagno, invece di usare musica d’epoca abbiamo scelto Billie Eilish. Immagini col drone, musica moderna: è un modo per dire che anche Canova può essere vicino a noi. La regia, le scelte sonore, tutto ha contribuito a dare un linguaggio più fresco, immediato.
Quali temi o messaggi spera che il pubblico porti con sé dopo aver visto Vita d’Artista?
Spero che riesca a sentire questi grandi nomi meno lontani. A volte li percepiamo come statue irraggiungibili, ma in realtà erano persone. Con un talento immenso, certo, ma anche con paure, abitudini, amori, stranezze. Se riusciamo a vederli come simili a noi, ci avvicineremo anche alla loro arte in modo più diretto e spontaneo. Alla fine, sono persone che ci hanno lasciato qualcosa per comunicare con noi. E noi possiamo ancora rispondere.