Semplicemente Fiore

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Il talento, il sorriso e la magia dello spettacolo. Lo showman siciliano è pronto a inaugurare il nuovo glass al Foro Italico di Roma, a due passi dalla Stadio Olimpico. Il RadiocorriereTv lo ha intervistato a una settimana esatta dal via della seconda stagione di “Viva Rai2!”: «Con sorriso e ironia puoi dire tutto. Se il pubblico ti vede sincero e spontaneo ti apprezza»

Una nuova strada, un nuovo glass, la stessa famiglia televisiva. Come si appresta a vivere questa nuova stagione di “Viva Rai 2!”? 

Siamo alla seconda stagione, quindi è un’avventura che proprio “nuova” non è. È vero che siamo ancora “giovani” come programma e quindi speriamo di crescere ancora. Sappiamo tutti che il momento storico è uno dei più complicati degli ultimi 20 anni: noi cercheremo di fare la nostra parte, cercando di regalare un po’ di buonumore a quell’ora della mattina.

In Tv, come nello spettacolo, nel tempo è stato fatto tutto, lei stesso hai più volte sperimentato nuovi formati e idee. Da spettatore e da artista cosa riesce ancora a sorprenderla e a emozionarla?

Mi sorprende sempre il talento, di artisti o di idee. Oggi ce ne sono tante perché siamo abituati a “scrollare” sui social, tra Instagram, TikTok e vari, e si vedono tante persone con talento, forse anche troppe, devo dire la verità. Questo rende le cose ancora più difficili per chi vuole emergere.

Cosa pensa nel vedere che tante persone la seguono con così grande affetto?

La cosa più bella è vedere i giovani e soprattutto i giovanissimi. Il fatto che i genitori mi fermino per strada e mi chiedano di fare foto con i loro piccoli, a volte in età anche pre-scolare, mi rende felice. Tanti bimbi ci seguono la mattina, prima di andare a scuola, e questa cosa mi riempie di gioia.

Cosa si prova a essere considerato un mostro sacro dello spettacolo? 

Mostro sacro no, questo lo dite voi. Non credo a questa cosa e non è falsa modestia, credo solo che i mostri sacri siano altri: Walter Chiari, Alberto Sordi… questa gente qui. Lasciamo le cose al loro posto.

Abbiamo lasciato Batman e Wonder Trans in via Asiago, sapranno trovare la strada per raggiungere il Foro Italico?

Batman e Wonder Trans saranno sicuramente presenti in questa nuova edizione, ma non so se abbiano trovato la strada. Io spero proprio di sì. Magari Batman no perché è molto pigro, ma Wonder Trans è intraprendente e quindi sicuramente ce la farà. Ma entrambi sapranno regalarci momenti di puro divertimento.

A due passi dal glass c’è lo studio di “Ballando con le stelle”, Milly deve aspettarsi incursioni a sorpresa?

Incursioni a sorpresa non credo possano esserci, perché i nostri orari non coincidono. Noi finiamo alle 8 del mattino, loro invece, ho saputo, cominciano ad arrivare lì intorno alle 10. Quindi noi abbiamo finito già da due ore e stiamo preparando la puntata del giorno dopo. Speriamo comunque di poterci incontrare, l’unica cosa sarebbe fare il sabato sera, ma è il giorno in cui riposiamo perché poi la domenica lavoriamo per la puntata del lunedì.

Con il sorriso e con tanta ironia non manca mai di dire ciò che pensa. Quanto tutto questo ha influito, nel bene o nel male, sulla sua vita e sulla sua carriera? 

Quando uno dice cose con sorriso e ironia può dire quello che vuole e tutto questo sicuramente ha influito, credo in bene, nella mia vita e nella mia carriera. Il pubblico se ti vede sincero e spontaneo apprezza, nel bene e nel male.

Sull’asfalto di via Asiago si sono esibiti decine e decine di artisti. Chi manca all’appello? C’è un potenziale ospite che sta corteggiando?

L’anno scorso abbiamo corteggiato sicuramente Marco Mengoni, che per un motivo o per l’altro non è potuto venire, ma che comunque abbiamo avuto quando abbiamo fatto le quattro puntate del Dopo Festival di Sanremo. Quest’anno penso che lo vedremo a “Viva Rai2” nelle prime puntate.

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Una donna eccezionale

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ANNA FERRUZZO

Interpreta il difficile ed emozionante ruolo di Filomena Claps nella miniserie “Per Elisa”: «L’ho incontrata una volta sul set, – ricorda – mi ha stretto in un abbraccio, che ancora mi commuove, e mi ha detto: ‘metteteci il cuore, perché noi il cuore l’abbiamo perso’»

Una vicenda ancora molto viva nella memoria collettiva. Come si entra in una storia di questo tipo?

Quella di Elisa Claps è una storia contemporanea, per questo l’attenzione che abbiamo posto è stata enorme, in particolare nel dare credibilità ai personaggi. Come il resto dell’Italia, anche io ho avuto modo di entrare in contatto con questa vicenda, prima ancora di leggere le sceneggiature, dalla cronaca, dalle interviste e dall’incessante lavoro della famiglia Claps.

In che modo vi siete approcciati alla vicenda?

È un lavoro sempre molto difficile quando si ha a che fare con persone realmente esistite, per lo più contemporanee, che hanno vissuto una tragedia assurda di questa portata. Siamo entrati nelle loro storie con il massimo della delicatezza e con attenzione, per questo sono stati preziosi gli incontri sul set con Gildo, che ha seguito ogni fase di lavorazione. Dal suo sguardo ci siamo sempre sentiti confortati.

Ha incontrato la mamma di Elisa?

Una volta, sul set. Mi ha stretto in un abbraccio, che ancora mi commuove, e mi ha detto: “Metteteci il cuore, perché noi il cuore l’abbiamo perso”. Sono parole che ti segnano, ma che in qualche modo indicano la via, al di là del tecnicismo. Il caso Elisa Claps è una storia toccante, complicata, incredibile, che ha segnato la vita di persone per bene verso le quali tutti dobbiamo portare rispetto e amore.

Cosa significa per lei “mettere il cuore” in qualcosa?

Non dare per scontato nulla, neanche il fatto che ti hanno scelto per interpretare un ruolo complicato. Abbiamo lavorato spesso in condizioni difficili, ma si doveva andare oltre i propri limiti, per dedizione al progetto, per rispetto di una storia così importante. Tutti ci abbiamo messo qualcosa in più. Ne valeva la pena.

Filomena Claps, fisicamente una donna minuta, che ha saputo trasformarsi in una leonessa…

La statura così minuta di Filomena è effettivamente la prima cosa che salta agli occhi, ma da gattino ha saputo diventare leonessa in difesa della propria cucciola, in nome della verità di una storia che, a distanza di trent’anni, presenta molti anelli mancanti. Ricordo che ogni volta che la osservavo in tv nelle sue interviste o appelli a “Chi l’ha visto”, riflettevo su quanto coraggio e quanta forza abbia avuto andando contro una comunità compatta nell’omertà, uscendo dal ruolo di donna “semplice” della provincia. C’è dell’incredibile in Filomena.

Vero…

Quando la conosci, hai immediatamente davanti agli occhi questa forza, e al tempo stesso la sua fragilità. È una donna fragilissima, ma fortissima, come sanno essere le donne quando devono difendere i propri figli. Per me è stato un incontro eccezionale, lei è una donna eccezionale. Ancora oggi il Paese ha nei suoi confronti, una sorta di rispetto reverenziale.

Come entra in scena Potenza?

Potenza, purtroppo, non esce benissimo, per anni non ha collaborato, in alcuni casi ha ostacolato, il cammino della verità. Fin dall’inizio tutto portava a Danilo Restivo, il primo indiziato, eppure chi sapeva ha taciuto, a volte depistato. Supponiamo che il corpo di Elisa, come è stato poi dimostrato dalle varie autopsie, sia rimasto così a lungo nel sottotetto della chiesa. Non può essere che in diciassette anni nessuno abbia visto o sentito. Per Filomena, così legata alla sua città, alla Chiesa, è stata una grandissima delusione.

Ma ha saputo reagire…

… e capovolgere la situazione, trasformare la rabbia e la delusione in un sentimento diverso, arrivando alla verità, anche se parziale. Sono troppe, infatti, le questioni aperte, soprattutto quelle che riguardano la connivenza della città di Potenza con quell’omicidio.

La serie ha come punto di partenza il libro inchiesta “Blood on the altar” di Tobias Jones…

Non abbiamo letto, purtroppo, la versione originale, ma credo che la funzione di questo testo sia stata aver messo per iscritto una verità conosciuta a tutti, che nessuno, però, aveva avuto il coraggio di certificare. In quelle pagine c’è la verità di una realtà tragicamente ipocrita. Erano chiare le responsabilità di Danilo Restivo, eppure si è fatto di tutto per agevolare la sua partenza per l’Inghilterra e permettere che uccidesse ancora. Non si tratta solo di omertà, ma anche di un sistema giudiziario inefficiente che non ha saputo agire con fermezza e con decisione. Il libro di Jones riporta l’attenzione su un caso italiano eclatante che aveva sconvolto a suo tempo, ma che rischiava di finire nel dimenticatoio.

Filomena Claps ha detto: “È arrivato il momento di ridare a Elisa quella dignità che le è stata tolta”. Questa serie ci riuscirà?

Noi speriamo che una storia di questa portata riesca a riallacciare i nodi di una memoria collettiva, che il grido di dolore e di disperazione di una madre o di un fratello non debbano essere lasciati al vento, ma ascoltati, seguiti, supportati. Ricordarci di quello che siamo stati, potrebbe aiutarci a non essere degli esseri umani peggiori. Questa storia dovrebbe essere un monito, perché non accada mai più a nessuno quello che è successo a Elisa e alla sua famiglia, per non girarci più dall’altra parte anche se qualcosa non ci riguarda da vicino. Tutti dobbiamo avvertire l’importanza di convergere sulla verità, anche quando questa è scomoda e mette in pericolo il nostro piccolo mondo.

Nella sua carriera tanto teatro, cinema e televisione. Cosa prova quando si parla di “responsabilità sociale” del mestiere dell’attore?

Per me la recitazione è stata la salvezza, con il teatro ho imparato a superare i miei limiti, le mie insicurezze. Il palco mi ha insegnato a mettermi in relazione in modo sano con il corpo e con gli altri. A volte, quindi, la funzione del teatro è forse più importante per chi lo fa, anche se naturalmente si crea la magia, uno scambio di energie tra attori e spettatori. Ci si fa così del bene l’uno con l’altro. Ogni attore si augura che nella propria carriera ci sia lo spazio per personaggi capace di ispirare, nel mio piccolo ho avuto questa fortuna, come nel caso de “Il sindaco pescatore”, di “Anime Nere” di Francesco Munzi o di “Mare Piccolo” su una famiglia vissuta in un quartiere problematico di Taranto. Io non sento il dovere o la responsabilità, ma provo il piacere e l’immenso onore di svolgere una funzione sociale con il mio lavoro.

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Comandante

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La storia di Salvatore Todaro, comandante di sommergibili della Regia Marina, che durante la Seconda Guerra Mondiale contravvenne agli ordini del suo comando per portare in salvo i 26 uomini che avevano provato ad affondarlo. Il film di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino nel ruolo del protagonista, è nelle sale dal 31 ottobre

Arriva nelle sale il 31 ottobre il nuovo film di Edoardo De Angelis, distribuito da 01 e coprodotto da Rai Cinema. Il film, che ha aperto l’80 Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è un dramma storico che ricostruisce una vicenda realmente accaduta durante la Seconda Guerra Mondiale e rende onore al comandante Salvatore Todaro, magistralmente interpretato da Pierfrancesco Favino.

All’inizio della Seconda guerra mondiale Salvatore Todaro comanda il sommergibile Cappellini della Regia Marina alla sua maniera: prua rinforzata in acciaio per improbabili speronamenti, colpi di cannone sparati in emersione per affrontare faccia a faccia il nemico e un equipaggio armato di pugnale per impossibili corpo a corpo.
Nell’ottobre del 1940, mentre naviga in Atlantico, nel buio della notte si profila la sagoma di un mercantile che viaggia a luci spente, il Kabalo, che in seguito si scoprirà di nazionalità belga e che apre improvvisamente il fuoco contro il sommergibile e l\’equipaggio italiano.
Scoppia una breve ma violenta battaglia nella quale Todaro affonda il mercantile a colpi di cannone. Ed è a questo punto che il Comandante prende una decisione destinata a fare la storia: salvare i 26 naufraghi belgi condannati ad affogare in mezzo all’oceano per sbarcarli nel porto sicuro più vicino, come previsto dalla legge del mare. Per accoglierli a bordo è costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini.
Quando il capitano del Kabalo, sbarcando nella baia di Santa Maria delle Azzorre, gli chiede perché si sia esposto a un tale rischio contravvenendo alle direttive del suo stesso comando, Salvatore Todaro risponde con le parole che lo hanno reso una leggenda: “Perché noi siamo italiani”.

Nel cast del film, anche Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh e Silvia D’Amico.

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I bastardi di Pizzofalcone, la quarta stagione

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Da lunedì 23 ottobre in prima serata su Rai 1 la fiction cult tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni. Con Alessandro Gassmann, per la regia di Monica Vullo e Riccardo Mosca

I BASTARDI DI PIZZOFALCONE regia di monica vullo, riccardo mosca

Prende il via la quarta stagione de “I bastardi di Pizzofalcone”, una delle serie televisive più amate dal pubblico, tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni (Einaudi). Il commissariato di Pizzofalcone al centro di Napoli, alle spalle di Piazza del Plebiscito, ha avuto per anni una pessima reputazione. Poi qualcosa è cambiato. Con l’arrivo dell’ispettore Lojacono (Alessandro Gassmann), quei poliziotti dimenticati, frustrati e senza più ambizioni hanno ritrovato l’orgoglio professionale, il desiderio di rimettersi in piedi e si sono fatti vanto del nomignolo dato ai loro predecessori, “I Bastardi di Pizzofalcone”. Finché rimarranno uniti non c’è caso che potrà restare privo di soluzione. «I ‘Bastardi’ e Napoli sono come tornare a casa dopo un lungo periodo di lontananza. Il cast, la città, le storie, sono loro ad accompagnare me» dice la regista Monica Vullo che parla di una stagione «ricca di accadimenti, nella quale si riallacciano rapporti, si rinnovano amori e se ne scopre di nuovi». I protagonisti «ritrovano la gioia di essere squadra testuggine e compatta – prosegue Vullo – come è accaduto a me e al secondo regista Riccardo Mosca con cui ho condiviso la serie».

Alla fine della terza stagione abbiamo lasciato Lojacono legato e insanguinato. E lo ritroviamo in un hangar deserto, mentre viene sottoposto alle torture più efferate. Che cosa gli è successo? Chi lo ha rapito e perché? Quale sarà il destino che gli toccherà in sorte? Rocco Squillace, un misterioso nemico del passato, ha deciso di vendicarsi. E la sua vendetta è più crudele della morte: Lojacono è condannato a essere solo e reietto, accusato di corruzione, senza più la possibilità di contattare le persone a lui più care. Squillace lo minaccia di ammazzare la figlia Marinella, se solo si avvicina a lei o ai colleghi di Pizzofalcone. Imbottito di stupefacenti e abbandonato al suo destino, Lojacono sarà costretto a una vita ai margini mentre tutti piangono la sua morte. In preda al delirio e al dolore, Lojacono farà di tutto per rimettersi in piedi in un viaggio ai confini della legge. Ma si renderà conto che gli unici al mondo che potranno dargli una mano sono i suoi fidati colleghi. Marinella e la sua amata Piras resteranno all’oscuro di tutto; se solo dovessero rendersi conto che Lojacono è ancora vivo, Squillace, che le tiene sempre d’occhio, darebbe seguito alle sue minacce. Dal cuore più nascosto del commissariato di Pizzofalcone, Lojacono e tutti i Bastardi condurranno un’indagine segreta per scoprire le mosse del nemico. Attenti a non fare passi falsi, perché ogni errore potrebbe essere fatale. Nella nuova stagione ritroviamo i “Bastardi” al completo, tutti alle prese con una nuova fase della loro vita: Palma e Ottavia scopriranno che la loro storia d’amore comporta molte responsabilità; Romano, ossessionato dalla perdita della figlia che tanto voleva, dopo un ultimo momento di rabbia furiosa riuscirà finalmente a fare i conti con se stesso; Pisanelli e Aragona, costretti a una convivenza assurda e in cerca dei propri spazi e dei propri amori; Alex e Martone, alle prese con una visita inaspettata che metterà in discussione il loro equilibrio.

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Corpo libero

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Un thriller attuale, un viaggio dentro una passione che può diventare un’ossessione. E’ la serie tv sul mondo della ginnastica artistica tratta dall’omonimo romanzo di Ilaria Bernardini. Da mercoledì 25 ottobre tre prime serate su Rai 2

Tre prime serate su Rai 2 per “Corpo libero”, una serie tv sul mondo della ginnastica artistica, tratta dall’omonimo romanzo di Ilaria Bernardini. L’indagine sulla morte di una giovane atleta durante una competizione sportiva guida lo spettatore in un viaggio dentro una passione che può diventare un’ossessione, carica di paure e ansie. Un thriller attuale, che racconta la difficoltà e la paura di crescere, ma allo stesso tempo il coraggio e la forza di lottare contro le ingiustizie che coinvolgono anche gli adulti e rivelano un sistema feroce mascherato dalla spettacolarizzazione dello sport.

La serie, in onda in prima visione da mercoledì 25 ottobre, è diretta da Cosima Spender e Valerio Bonelli ed interpretata tra gli altri da Antonia Truppo, Filippo Nigro, Alessia De Falco, Giada Savi, Federica Cuomo, Eva Iurlaro, Giada Pirozzi e Barbara Chichiarelli.

Martina, 15 anni, è un’atleta della Vis Invicta, la squadra che rappresenta l’Italia al prestigioso torneo Winter Fox. Dopo essere stata ferma a causa di un misterioso infortunio, Martina torna a gareggiare per dimostrare, soprattutto a se stessa, il suo valore. Insieme nella squadra, le inseparabili Carla e Nadia, le più forti, e Anna e Benedetta, soprannominate “le inutili”. Con questo torneo le loro vite potrebbero cambiare. Per un’intera settimana, infatti, giorno dopo giorno, chiuse in un albergo di montagna rimasto fermo nel tempo, si sfideranno insieme alle atlete di altre quattro squadre cercando di centrare l’obiettivo più alto: un posto alle prossime Olimpiadi. Ad accompagnarle in questa sfida, la coach Rachele e il medico sportivo Alex, gli adulti che le atlete, da anni, vedono più dei loro genitori. La morte di una ragazza, il cui corpo viene ritrovato nei boschi, però, cambia tutto. E l’indagine sull’omicidio diventa l’occasione per immergerci nel mondo delle protagoniste, scoprire i loro segreti, smascherare le loro bugie e quelle, ben più pericolose, degli adulti.

“Corpo libero” è coprodotta da Indigo Film e Network movie, in coproduzione con ZDFneo, in collaborazione con Rai Fiction e Paramount+, in associazione con All3Media International.

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Con il sorriso, sul palco e nella vita

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Dalla navicella spaziale all’ufficio delle poste, dal Castello di Dracula al museo della Palla. Sono le quattro stanze misteriose dalle quali sei concorrenti vip dovranno trovare la via d’uscita. Alla guida di “Liberi tutti”, con i Gemelli di Guidonia e Peppe Iodice, la conduttrice pugliese, che al RadiocorriereTv parla del suo rapporto con il gioco: «Amo mostrare il mio lato fanciullesco, ironico, che equivale a sentirmi libera, a essere davvero quella che sono». Da lunedì 23 ottobre in prima serata su Rai 2  

NAPOLI 10 ottobre 2023 LIBERI TUTTI conduce bianca guaccero

Ritorna in Tv per fare giocare gli italiani… cosa l’ha portata a questo progetto?

La curiosità. È un progetto nuovo che stiamo costruendo tutti insieme, un percorso diverso anche dal punto di vista della conduzione. Il nostro ruolo non sarà quello tradizionale del “signore e signori buonasera”, ma saremo proprio parte integrante della sfida. Il pubblico a casa e gli amici vip si cimenteranno con il gioco.

Prima di questa esperienza che effetto le facevano le escape room?

Non le conoscevo, non avevo mai giocato. Ci sono entrata per la prima volta insieme agli autori, al cast, alla produzione. Mi sono divertita al punto da scoprirmi estremamente competitiva, determinata a trovare la soluzione.

Quali caratteristiche deve avere un concorrente per trovare la via di fuga?

Deve essere attento ai particolari, sviluppare il pensiero laterale senza mai accontentarsi dell’evidenza. La chiave sta nell’avere un approccio logico.

Quanto conta il gruppo per trovare la giusta strategia?

Lo spirito di gruppo è fondamentale. Avremo squadre composte da tre concorrenti che dovranno arrivare insieme alla vittoria per aggiudicarsi la possibilità di prendere parte alla sfida finale. Il gioco di squadra aiuta anche a mettere in risalto le singole personalità, l’ho provato personalmente (sorride). Giocando ho riscoperto il mio approccio logico-matematico.

Che cosa rappresenta per lei il gioco?

Nella mia vita ha un ruolo centrale, amo giocare e sono un po’ il “giullare” di casa. Mi piace fare divertire mia figlia, inventiamo personaggi, facciamo le voci, giochiamo con il cane. Certo, serietà sulle cose importanti, ma il mio spirito fanciullesco emerge sempre.

Insieme a lei i Gemelli di Guidonia e Peppe Iodice… difficile tenerli a bada?

Mi piace paragonarci a una compagnia teatrale, all’interno della quale ognuno ha il proprio ruolo. Io sono la moglie di Peppe, quella precisina e petulante, i Gemelli sono quelli che non sbagliano mai. E ogni personaggio ha una funzione all’interno del gioco. 

Un comedy-show in prima serata, quanto è forte in lei la cifra della commedia?

Premesso che lascio fare il comico a chi lo è per mestiere, e Peppe in questo è davvero eccezionale, penso di avere in me il seme della comicità, seguo la regola del non prendermi mai troppo sul serio. Credo anche che la comicità corrisponda al superamento di un dolore, all’elaborazione di una difficoltà. Osservo i comici, li studio, cerco di imparare da loro.

Sul palcoscenico, nella vita, cosa la rende felice?

Amo mostrare il mio lato fanciullesco, ironico, che equivale a sentirmi libera, a essere davvero quella che sono. Così è nel lavoro, così è nella vita di tutti i giorni.

Questo non è sempre possibile, ma quando trovo le persone giuste con cui condividere la mia essenza, sono davvero felice e divertita.

Tanti successi alle spalle, che rapporto ha con la popolarità?

Il mio percorso professionale è stato graduale. Ho cominciato con il cinema a 17 anni, poi sono arrivate le serie televisive, le prime partecipazioni in Tv, fino al “Festival di Sanremo” con il grande Pippo Baudo. Un passo dopo l’altro, un viaggio che mi ha portata fino a “Detto fatto”. Ecco, entrare per quattro anni di fila, tutti i giorni, nelle case degli italiani, mi ha regalato un rapporto molto intenso con il pubblico, mi sono resa conto cosa voglia dire far parte in qualche modo della quotidianità delle persone, delle loro abitudini. Questa sensazione di famiglia con il pubblico è ciò che di più bello mi ha lasciato quel programma.

Si ripensi per un istante ragazzina, come vede la giovane Bianca che sognava il successo?

Vedo una ragazza sognatrice e piena di insicurezze. Ho avuto tante volte la sensazione di non essere all’altezza, ma ho sempre reagito cercando di conoscere e di conoscermi, pronta a misurarmi con il mondo. L’ho fatto trasferendomi a Roma appena diciottenne, lasciando il mio paese: avevo forse bisogno che la vita mi prendesse un po’ a schiaffi. Devo dire che le esperienze mi hanno insegnato tanto, e non gratuitamente.

Cosa direbbe oggi a quella ragazza?

Di non fermarsi, di avere fiducia in se stessa, di ricordare che tutto quello che accade parte prima di tutto da noi.

Chi è Bianca oggi?

Una donna che non ha forse risolto tutte le sue fragilità, ma che ha la consapevolezza di averle. Credo che sia già un buon punto di partenza (sorride).

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IO, NOI E GABER

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Presentato alla Festa del Cinema di Roma, il ritratto scritto e diretto da Riccardo Milani, sarà disponibile al cinema il 6, 7 e 8 novembre. La proiezione speciale del 22 ottobre è stata il grande preludio a una serie di nuove iniziative realizzate e supportate dalla Fondazione Gaber a coronamento di un anno di straordinarie celebrazioni a vent’anni dalla scomparsa del “Signor G”

«La sensazione che ho è che Gaber manchi molto», così il regista e autore Riccardo Milani su “Io, noi e Gaber”, il documentario girato tra Milano e Viareggio, nei luoghi cari all’artista, presentato alla Festa del Cinema di Roma. Un ritratto vivido del “Signor G”, protagonista di una delle pagine più preziose della storia culturale del nostro Paese, genio libero e artista indimenticabile. A vent’anni dalla sua scomparsa (1° gennaio 2003) l’opera è un viaggio esclusivo che attraversa tutte le fasi della  sua carriera artistica: dai primissimi esordi nei locali di Milano al rock con Adriano Celentano, dal sodalizio artistico e surreale con l’amico Jannacci agli iconici duetti con Mina, alle canzoni con Maria Monti, dagli anni della popolarità televisiva al teatro, con l’invenzione, insieme a Sandro Luporini, del Teatro Canzone, piena espressione del suo impegno politico e culturale.  Sullo sfondo, come “locus amoenus” che tutto muove e in cui tutto converge, c’è il Teatro Lirico di Milano, simbolo del vicendevole amore tra Gaber e il pubblico milanese, e che oggi porta il suo nome Teatro Lirico Giorgio Gaber. Riccardo Milani racconta Gaber attraverso il ricordo personale della figlia Dalia e delle persone storicamente a lui più vicine, ma anche con le testimonianze di colleghi e artisti che lo hanno vissuto e amato. Una galleria di personaggi che comprende Gianfranco Aiolfi, Massimo Bernardini, Pier Luigi Bersani, Claudio Bisio, Mario Capanna, Francesco Centorame, Lorenzo Jovanotti Cherubini, Ombretta Colli, Paolo Dal Bon, Fabio Fazio, Ivano Fossati, Dalia Gaberscik, Ricky Gianco, Gino e Michele, Guido Harari, Paolo Jannacci, Lorenzo Luporini, Roberto Luporini, Sandro Luporini, Mercedes Martini, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani, Giulio Rapetti – Mogol, Michele Serra.
«Giorgio Gaber – dice Riccardo Milani – è stato una persona importante della mia vita. Da piccolo mi ha divertito con l’allegria di “Goganga”, “Il Riccardo” o “La Torpedo blu”, e dal liceo in poi mi ha fatto alzare la testa e avere uno sguardo sul mondo segnando il mio percorso di formazione. Raccontarlo per me è stato soprattutto un modo per ringraziarlo per tutto quello che nei decenni mi ha dato e, soprattutto, ha dato a tutti noi». Gaber è stata una voce importante per tutti, capace di anticipare tutto quello che in questi decenni si è avverato, prevedendo che l’ideologia del mercato avrebbe schiacciato oggi tutte le altre, segnando una disperata continuità tra lui e Pier Paolo Pasolini. Per questo, continua Milani, «tra le rarissime certezze della vita, ce n’è sicuramente una: Gaber ci serve ancora e ci serve adesso». «È stato un lavoro lungo e intenso, al quale la Fondazione – aggiunge Paolo Dal Bon, Presidente della Fondazione Gaber – ha partecipato rimanendo sempre vicina al regista e alla troupe. Abbiamo avuto il privilegio di assistere ad un vero e proprio lavoro cinematografico, il vero cinema applicato al racconto della storia artistica e della vita di Giorgio Gaber, che ci auguriamo possa restare a disposizione di tutti per sempre, proprio come i film classici. Un’opera realizzata con grande passione, rispetto e ammirazione per la figura di Gaber, come se fosse in qualche modo sempre presente, come se aleggiasse sul lavoro di tutta l’equipe». 

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L’amore, il motore di tutto

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Nella serie l’attore ha vestito i panni di Gildo Claps: «Era la prima volta che raccontavo una storia realmente accaduta. Ho temuto che, nonostante lo sforzo, il progetto non riuscisse a rappresentare in toto trent’anni di sofferenza e di dolore»

Qual è stata la sua preoccupazione nell’avvicinarsi a questa storia?

Quella di non fare abbastanza. Era la prima volta che raccontavo una storia realmente accaduta. Ho temuto che, nonostante lo sforzo, il progetto non riuscisse a rappresentare in toto trent’anni di sofferenza e di dolore.

Nei lunghi mesi di preparazione, di lavorazione, lei e Gildo Claps siete diventati amici. C’è qualcosa che nonostante un rapporto di fiducia che si è instaurato non è riuscito a chiedergli?

Devo confessare che io e Gildo abbiamo raramente parlato del caso, nonostante il tanto tempo trascorso insieme. Non mi sono mai permesso di chiedergli di eventi e situazioni specifici, proprio perché non ho mai voluto che lui pensasse che lo stessi studiando, che da lui potessi rubare delle cose. Nel non chiedergli niente, prima di iniziare le riprese, gli ho domandato solo se ci fosse qualcosa di cui si pentisse, qualcosa che avrebbe potuto fare diversamente, o meglio. Lui mi parlò della giornata al mare a Montegiordano in cui incontrarono Danilo Restivo. Gildo mi disse che se avesse intuito qualcosa, se fosse stato brusco nei suoi confronti, Restivo forse non si sarebbe più avvicinato a Elisa.

Quanto amore ha incontrato in questa storia?

Infinito, infinito. Per la storia, per la famiglia Claps, per i miei colleghi di scena. L’amore ha mille facce diverse, ma è sempre il motore di tutto. È un racconto d’amore gigantesco nei confronti di una sorella, di tutta una famiglia, di una comunità. Amore puro che ha spinto tutti noi a metterci anche qualcosa in più.

Qual è il valore della memoria?

Ha senso fare una serie del genere per la memoria, nel nome di Elisa. Mamma Filomena dice che della figlia non si parla mai abbastanza, la sua è la storia di una ragazzina di quindici anni piena di sogni, di speranze, di vita, che a un certo punto viene interrotta. Ma lo è anche per ricordare tutto ciò che di terribile circonda questa vicenda della quale abbiamo a fuoco un personaggio che rappresenta il male, il maligno per eccellenza. Dietro c’è invece una serie di personaggi sfocati, nascosti, di cui si vedono solo dei tratti. Sono i personaggi che vanno ricordati ancora di più perché non pagheranno mai fino in fondo.

Nel suo percorso artistico “Per Elisa” e altri recenti lavori ci parlano di un attore che si mette in discussione, che non teme il cambiamento… cosa la muove?

La voglia di provare un rischio, che mi permetta di essere più vivo, vitale. A un certo punto avevo bisogno di alzare l’asticella, per dimostrare a me stesso e a chi guarda che potevo fare meglio e di più. C’è una continua voglia di crescere, che mi fa scorrere il sangue più veloce, che non mi fa stare mai sereno.

Che Gianmarco ha trovato?

In divenire. Ho trovato qualcuno che vuole assumersi le proprie responsabilità fino in fondo, nei progetti, nei gruppi di lavoro.

Cosa ha provato nel rivedere la serie sullo schermo?

Ho rivisto le prime due puntate insieme al cast, ho provato un’emozione forte e grande commozione. Non solo perché la serie è il risultato di una fatica gigantesca, anche per le scene potentissime che abbiamo girato, ma per le reazioni della troupe, che mi hanno restituito il senso che il lavoro fosse valido. Sono speranzoso che la serie possa andare molto bene e, al tempo stesso, che con la sua uscita si continui a parlare di questa storia e che tutto questo possa portare anche a nuove rivelazioni. Perché mollare?

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Apulia Digital Experience 2023

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Dal 10 al 12 novembre Bari aprirà le porte di ADE, la prima conferenza internazionale made-in-Italy dedicata all’innovazione digitale nelle industrie creative. L’appuntamento è organizzato da Apulia Film Commission e Rai Com, sotto la direzione artistica di Roberto Genovesi, finanziato dalla Regione Puglia e promosso dalla Rai

Un punto di incontro tra creatività e innovazione per gli universi del gaming, del cinema e audiovisivo, dell’arte e del branding, con un focus speciale dedicato ad Israele. La Puglia e il suo capoluogo sono pronte a ospitare ADE Apulia Digital Experience 2023, conferenza internazionale in programma tra il 10 al 12 novembre, evento, organizzato da Apulia Film Commission e Rai Com, sotto la direzione artistica di Roberto Genovesi, finanziato dalla Regione Puglia e promosso da Rai. ADE racchiude l’essenza della creatività digitale, dell’interattività e della tecnologia. A partire dal gaming, cinema, audiovisivo, arte e branding alle frontiere dell’innovazione digitale, web3, metaversi e Intelligenza Artificiale, la conferenza sarà il cuore pulsante del mondo creativo per tre giorni intensi con panel, keynote e presentazioni. Incontri esclusivi e approfonditi con figure di spicco dei diversi settori digitali e creativi. Un’opportunità di networking senza eguali per aziende, professionisti e creativi per promuovere collaborazioni e immaginare il nostro futuro. La Puglia, con la sua ricca eredità culturale e un attento impegno verso l’innovazione, offre lo sfondo perfetto per creare nuova convergenza tra talenti. L’evento di quest’anno è un appello ai professionisti, artisti e innovatori di tutto il mondo per incontrarsi a Bari e ridefinire le opportunità di sviluppo delle industrie creative. In un segmento speciale, ADE 2023 rivolge la sua attenzione a Israele, Paese ospite della prima edizione. Una nazione che è stata all’avanguardia negli avanzamenti dell’IA nell’ultimo decennio, con un numero crescente di startup di IA che continuano a prosperare in Israele. L’evento metterà in luce i leader dell’industria delle intelligenze artificiali israeliana, condividendo spunti e promuovendo il networking con le startup tecnologiche italiane.

La prima giornata sarà un tuffo nel mondo dei videogiochi in collaborazione con VGHC Video Games and High Culture, componente integrante di ADE 2023. Il programma aprirà le conversazioni sull’intersezione tra videogiochi e alta cultura, con un approfondimento sulla storia e l’evoluzione dell’arte dei videogiochi, arricchito da spunti di professionisti, educatori e ricercatori del settore. Quest’anno, il focus verrà dedicato al racconto della Storia nei videogiochi, sottolineando come questo mezzo sia in grado di educare, informare e diffonde la consapevolezza del nostro passato. ADE 2023 esplorerà anche il legame intricato tra avanzamenti tecnologici e industrie creative. Il programma sarà arricchito da due concorsi: “Raccontare la Puglia con l’IA” dedicato agli autori e ai creativi italiani, promuove la realizzazione di progetti destinati alla presentazione, alla valorizzazione e alla diffusione del patrimonio artistico, culturale e turistico della Regione Puglia attraverso l’ideazione di prodotti digitali basati sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. E Digital Licensing Excellence Awards, organizzati in collaborazione con Licensing Italia e Licensing International, per celebrare aziende, brand, influencer e creatori di contenuti che hanno saputo innovare il mondo del licensing esplorando gli universi del digitale.

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Quanta vita tra le Stelle

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Tra i programmi più amati e popolari della Tv “Ballando” ha raggiunto l’edizione numero diciotto con un cast “alla stars”. La conduttrice al RadiocorriereTv: «Il ballo è protagonista insieme ai personaggi che lo interpretano, con le loro debolezze, la loro forza, la loro vita». Con Paolo Belli, la big band, il grande team Rai dell’Auditorium del Foro Italico di Roma, da sabato 21 settembre in diretta in prima serata su Rai 1

“Ballando” diventa maggiorenne… Milly sta preparando la festa?

Queste sono feste da fare un po’ in silenzio perché porta sempre male celebrarsi. Non è una cosa da fare (sorride). Però è chiaro che sentiamo l’onore e l’onere di essere al diciottesimo anno, non è tanto usuale per i programmi. Ci sono titoli che possono essere in onda da cinquant’anni, ma sono titoli con i contenuti che cambiano. Penso alla serie dei “Fantastico”, ma anche di “Domenica In”, altro successo contemporaneo e di sempre. Però è un titolo che rappresenta uno slot orario e ognuno ci mette dentro il programma che vuole. Con “Ballando” il programma è fisso, ha una sua fisionomia che non è cambiabile, questo rende più complicato rimanere attuali, piacere alla gente. Per questo dobbiamo darci un gran da fare.

Che ricordo ha del debutto, 18 edizioni fa?

Fu all’insegna del grande entusiasmo, se vuoi anche dell’incoscienza. Tutti dicevano che un programma di ballo non sarebbe andato bene in Tv, ma nel nostro caso il ballo non rappresentava un siparietto di snodo all’interno di un varietà, di un one man show, bensì un argomento a cui appassionarsi. A “Ballando” il ballo è protagonista insieme ai personaggi che lo interpretano, con le loro debolezze, la loro forza, la loro vita. Il programma fu un successo dalla prima puntata, non ci fu bisogno di spiegarlo alla gente.

Come si mantiene vivo un format?

Intanto con un cast sempre diverso. Ogni anno devi trovare la soluzione giusta per avere un cast che non ripercorra nulla di quello che è già successo l’anno precedente. E poi ci sono tanti accorgimenti, piccole innovazioni introdotte di edizione in edizione, che non devono però sconcertare il pubblico. Serve cautela, devi rimanere fedele a te stesso con piccoli cambiamenti di scrittura.

C’è chi pensa che dietro alle schermaglie tra concorrenti e giuria ci sia il suo zampino…

Assolutamente no. La nostra è una giuria indipendente, non è guidata con l’auricolare da un autore. Ognuno dei giurati interviene spontaneamente. E se i concorrenti fossero stati in qualche modo imboccati da noi, in diciotto anni qualcuno lo avrebbe detto. Nessuno ha mai condizionato nessuno.

Le è mai capitato di temere che lo “scontro” potesse andare oltre?

Ho grande fiducia nel sentimento Rai 1 che anima tutti noi. Quando si arriva a “Ballando con le Stelle” l’apparato ti dà subito la sensazione di essere in un luogo in cui la nostra storia, la nostra tradizione, il nostro rispetto reciproco sono un fatto assodato nel tempo. C’è quasi una legge non scritta, se non ti comporti in una certa maniera la gente si arrabbia. Il pubblico non vuole trovare su Rai 1 quello che magari trova da altre parti.

Si pensi per una volta concorrente, tra i giurati chi temerebbe di più?

(sorride) Non è un fatto individuale ma corale. Tra loro c’è una dinamica straordinaria, si compensano e si esaltano a vicenda. Li temerei come insieme, sono un insieme compatto, ma che non ha mai intenzioni malvage: quando ti criticano lo fanno per non farti adagiare, per farti tirare fuori la grinta. Stiamo in televisione, non stiamo facendo una gara. La giuria ha ben presente quella che è l’aspettativa del pubblico e sprona i personaggi a dare di più.

Mandiamo in pista i giurati e assegniamo un ballo a ognuno di loro… cosa facciamo ballare a Mariotto e compagni?

Lui è un tanguero appassionato, ma devo dire che il tango è un ballo che si adatta un po’ a tutti. Salvo Carolyn, che è una tecnica e che può davvero ballare quello che vuole. Affiderei a tutti il tango come prova di maturità.

Quanto le fa bene “Ballando”?

Lo trovo un programma straordinario perché nel corso degli anni mi ha messo in contatto con tantissimi personaggi. Ho esplorato storie, ho capito cose delle persone, del loro modo di vivere. Al di là della meravigliosa cornice del ballo, che è anche motore del programma, il lato umano è importantissimo: è un’esperienza istruttiva.

Veniamo al cast 2023…

Abbiamo cercato di fare un cast più che mai “all stars”, cercando di mantenere il più possibile fedeal nostro titolo.Un cast di stelle che sono onoratissima di avere con noi, sono personaggi che ci hanno dato fiducia, che hanno messo la loro professionalità nelle nostre mani: abbiamo il massimo impegno per valorizzarli tutti in maniera straordinaria. La nostra vittoria è quando un personaggio che esce da “Ballando” non solo ha vissuto una bella esperienza dal punto di vista umano e professionale, ma ne esce arricchito come immagine, con ancora più affetto e simpatia da parte del pubblico di quando è entrato.

Chi è il suo ballerino impossibile?

Lo dico da sempre: Richard Gere. Nell’anno in cui iniziammo il programma uscì nelle sale “Shall we dance”, il paradigma di quello che facciamo noi, la storia di una persona normale che trova soddisfazione e realizzazione in una cosa semplice quale è ballare. Avere Richard Gere come ballerino per una notte sarebbe la quadratura del cerchio.

Cosa ballano Milly e suo marito Angelo in una serata tutta loro?

Angelo non è uno da ballo del mattone, da ballo romantico. Il suo genere è “La febbre del sabato sera”, che conosce alla perfezione. A lui piace questo e io un po’ lo seguo (sorride).

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