QUANTE VITE IN UN ATTORE

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MASSIMO GHINI

Nella serie diretta da Fausto Brizzi il popolare attore romano è Manlio De Vitis, temutissimo agente delle dive e manager di Gloria. Il RadiocorriereTv incontra l’artista che insieme a Sabrina Ferilli ricrea una delle coppie cinematografiche più amate dal pubblico. Lunedì 26 e martedì 27 febbraio in prima serata su Rai 1

Cosa ha pensato dopo avere letto il copione di “Gloria”?

Sono subito rimasto colpito dal racconto, da una narrazione nuova rispetto a tutto quello a cui eravamo abituati nella serialità. E poi c’era la possibilità di tornare finalmente a lavorare con Sabrina Ferilli. Siamo stati sempre una coppia positiva, non voglio dire vincente per scaramanzia sportiva. All’inizio ho pensato a uno scherzo, ma fortunatamente non lo è stato. Lavoro con l’attrice con la quale ho recitato di più nella mia carriera mentre il regista Fausto Brizzi è come se fosse un fratello.

Con “Gloria” si ride e si riflette. Con quale spirito affrontate vizi e virtù del “dietro le quinte” del mondo dello spettacolo?

Entriamo un po’ a gamba tesa ed è tutto molto politicamente scorretto. E io dico, vivaddio che è politicamente scorretto (sorride). Facciamoci due risate con le battute di Gloria, con il suo cinismo. Sono felice della scelta della Rai di realizzare questa serie, c’è un coraggio che porta ad aumentare una sorta di provocazione costruttiva. Parliamo dell’ambiente del cinema, spesso conosciuto male, spero che “Gloria” porti attenzione verso problematiche che sono universali.

Quanta verità c’è in questa storia?

Non è che nel nostro ambiente avvenga esattamente questo (sorride). Però c’è certamente qualcosa che riporta a una realtà che è legata, più in generale, all’idea del successo. Quali sono i mezzi per raggiungerlo? Cosa accade quando viene meno? È una riflessione più in generale su un meccanismo che vale sia nel mondo dell’arte che in quello della politica, della medicina, per qualunque tipo di attività.

Che cosa deve fare un attore per sfondare e resistere nel tempo?

Studiare ed essere determinato. A 19 anni venni bocciato all’esame d’ammissione all’Accademia nazionale d’arte drammatica e per me fu un grande dolore. Sono cresciuto autodidatta, la mia scuola è stata il lavoro. Debuttai a Parigi al teatro Odéon con il “Re Lear” di Shakespeare e la regia di Giorgio Strehler. Alla fine dello spettacolo telefonai a mia madre e le dissi: qui qualcuno si è sbagliato. O l’Accademia o Strehler (sorride). Se vuoi durare nel tempo ti devi applicare come un medico, un chirurgo, un professore. Servono una totale dedizione e spirito di sacrificio.

All’Accademia si è invece diplomato suo figlio Leonardo…

Un bel giorno ho scoperto che era passato da Totti a Čechov. Leonardo mi ha fatto un bel regalo, mi ha dato una grande soddisfazione. Spesso tra i giovani che vogliono intraprendere la carriera d’attore c’è confusione, si pensa al risultato facile. Ma per diventare attori serve altro.

Sono oltre cento i film e le serie a cui ha preso parte…

Ma se devo dire la verità non sono mai stato molto amato dalla critica. Per molti anni mi è dispiaciuto, mi facevano sembrare uno che aveva sbagliato le proprie scelte. Quando iniziai, secondo una mentalità sbagliatissima, tutta italiana, ero considerato fisicamente non adatto. Venivo da Strehler, Gassmann, Zeffirelli, dal teatro. I critici dicevano che avrei dovuto fare i b-movie, i film d’azione, ma io vedevo la mia anima che era tutt’altro. Sono arrivato alla commedia che ero un attore maturo, con molte decine di film alle spalle, e non parliamo di cinepanettoni. Una giornalista, in televisione, mi disse che non riusciva a capire come facessi a passare da Strehler a Pietro Garinei al Sistina, da Francesco Rosi a Neri Parenti. Risposi che evidentemente, se mi chiamavano a fare Shakespeare, a fare la commedia musicale, mi consideravano all’altezza. Credo proprio che sia importante per tutti gli attori non essere monotematici. Ho questa carriera molto lunga perché ho avuto dalla mia parte il pubblico.

Che la seguì anche quando si aprì alla televisione…

Dopo anni di cinema fui uno dei primi a fare la Tv, nonostante le critiche di chi vedeva la televisione come un mondo di serie “b”. Accadde con la miniserie “Come l’America” con Sabrina Ferilli, che fece 11 milioni di telespettatori.

Tante maschere e tanti personaggi nella sua valigia, ha mai avuto timore di mettersi in gioco?

Ho sempre amato l’idea di trasformarmi, di non fare ogni volta me stesso. Amo dovermi cambiare, che sia un trucco, un vestito, una parrucca, ma anche cambiare interpretazione, personaggi. Non farlo, per un attore, significa rinunciare a molto. Anche nei cinepanettoni io e Christian (De Sica) abbiamo dato vita a tanti duetti, scegliendo di essere personaggi e non maschere, era un po’ come fare un doppio al tennis.

Teatro, televisione, il suo inverno è pieno di lavoro…

Ho girato tre film ed è ricominciata la tournée di “Quasi Amici” con Paolo Ruffini, che stiamo portando in giro con un successo devo dire pazzesco, in tutta Italia. Io sono il tetraplegico che sta sulla sedia a rotelle, colto e ricco, lui è il politicamente scorrettissimo, maleducato e ignorante: i due si incontrano e si scambiano in qualche maniera le loro storie. Il sold out dei teatri mi conforta tantissimo, in sala c’è un pubblico trasversale, con giovani e adulti.

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Se l’arte salva l’anima

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YEVA SAI

La misteriosa ragazza senza nome e diffidente di tutto e tutti, chiusa in un mondo inaccessibile, grazie a Cardiotrap riesce ad aprirsi al mondo, a intraprendere un difficile percorso alla ricerca di quanto ha lasciato fuori dell’Ipm. Il RadiocorriereTv incontra la giovane attrice ucraina, tra i protagonisti della quarta stagione di “Mare Fuori” in onda il mercoledì in prima serata su Rai 2: «La bellezza, l’arte mi ha aiutata a trovare un modo per vivere, per godere delle cose belle e superare quelle difficili»

Il suo personaggio, Alina, è tra i protagonisti della serie. Ce la presenta?

Alina è una ragazza molto riservata, reagisce immediatamente se qualcosa non le piace, la sua vita è avvolta dal mistero. È chiusa nel suo silenzio, parla raramente, ma ha un cuore molto buono e di questo se ne accorge Cardiotrap, l’unico con il quale riesce a trovare dei momenti di pace. Tra loro c’è una bella amicizia, tra silenzi e voglia di mettersi in ascolto, è un rapporto nel quale si sentono entrambi liberi di essere loro stessi.

L’amicizia, la condivisione, anche del dolore… come ha costruito il legame professionale con Domenico Cuomo?

È andato tutto in maniera naturale tra noi. Domenico è un attore molto bravo, ma soprattutto una persona di cuore, ogni volta che mi trovavo in difficoltà lui era sempre pronto a darmi una mano e a tranquillizzarmi. È stato bello lavorare con lui, a ogni scena ci sentivamo sempre più connessi e liberi.

Cosa nasconde Alina nel suo silenzio?

Un dolore grandissimo. È una ragazza straniera, completamente sola e profondamente insicura. Nonostante tutto, però, cerca di essere forte per difendersi dai pericoli, come il tentativo di violenza da parte di un uomo che poi, nel suo drammatico tentativo di evitare uno stupro, perde la vita. Quando si subisce una violenza non si sa mai quale potrebbe essere la reazione, lei smette più o meno da questo momento di parlare. 

Quanta Alina ha dentro di sé e quanto della sua vita ha concesso a questa ragazza?

Siamo due persone molto diverse, il suo silenzio, il suo modo di scegliere le persone mi affascina molto. Se fossi veramente Alina, anche io sceglierei Cardiotrap (ride). Nella vita reale, come nel lavoro, non amo mai giudicare le persone, con i personaggi che devo interpretare mi chiedo quale siano le loro difficoltà, i desideri. In questo lavoro un attore deve provare a scendere nella propria oscurità e, anche se fa paura, conoscerla aiuta ad andare avanti. È stata un’esperienza davvero molto bella, piena, in alcuni momenti emotivamente difficile perché, pur avendo molto chiaro quale fosse il confine tra me e lei, ho vissuto la storia di Alina intensamente.

Che occasione è stata per lei “Mare Fuori”?

Questo è il lavoro che voglio fare e “Mare Fuori” mi ha dato l’opportunità di recitare in una grande produzione, una grandissima fortuna. È una serie che mi ha dato visibilità, una voce alla mia storia personale e a quella del mio Paese in guerra. Di questo sono molto grata, così come aver avuto la possibilità di nuove amicizie, di incontrare persone carinissime, di entrare veramente nel mondo della recitazione.

Cosa significa recitare per lei?

È una domanda che mi faccio spesso anche io (ride). Credo che l’essere umano sia una creatura giocosa, ognuno di noi trova il proprio modo di giocare. Quando ero piccola facevo teatro a casa con i miei cugini, organizzavo dei piccoli spettacoli per i miei genitori. Mi piace creare, adoro le storie, raccontare ad altri. A teatro il rapporto con il pubblico è molto stretto, non ci sono pareti di separazione, ma sogno spesso il cinema. Voglio tenere aperte tutte le porte…

L’arte e la bellezza salvano le anime delle persone. In che modo ha salvato la sua?
L’arte è magia, credo tantissimo nel suo potere. Litigo con mio padre perché pensa che l’arte sia solo per pochi privilegiati, che per vivere serve altro. Circondarmi di bellezza e di creatività mi ha aiutata a trovare un modo per vivere, per godere delle cose belle e superare quelle difficili. Se hai dentro di te tantissimo dolore, se ti senti solo, puoi alleggerire la tua anima con il canto, il disegno, la recitazione. Quando sono stata a Napoli per lavoro, nei momenti di solitudine cantavo sempre. Mi liberavo da ogni peso. L’arte ci aiuta a guardarci meglio dentro di noi, come se fossimo davanti a uno specchio, ad accettare o gestire quello che di noi non non ci piace.

Cosa l’ha colpita dell’Italia?

L’Italia mi ha sorpreso per la grande morbidezza nell’accoglienza. Venivo da una situazione difficile, sono stata compresa e ho ricevuto tutto l’aiuto di cui avevo bisogno. Stata molto fortunata, in questo Paese ho incontrato persone belle, che sono diventate un po’ la mia famiglia. E poi è una terra super gioiosa, una gioia che sapete dimostrare agli altri, e questo è bellissimo, mi ha spinto a ritrovare la forza di vivere.

Cosa si aspetta dal suo domani professionale e dalla vita?

Spero di continuare a lavorare nel mondo del cinema, magari con i registi che amo e, chissà, un giorno, anche mettermi alla prova dietro la telecamera, sperimentare altre opportunità creative. Mi piace l’idea di mischiare diverse direzioni dell’arte. In generale però faccio fatica a pensare al futuro, ci sono stati momenti in cui pensavo di non averlo. Ho cercato di lavorare su di me, di trovare un modo più sereno per affrontare la vita, ma ora mi concentro sull’oggi, senza immaginare come potrebbero andare le cose. Per il momento vivo il mio bellissimo presente.

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Davanti alla Porta Santa

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RAI VATICANO

È in onda la domenica a mezzanotte e 45 su Rai 1 (disponibile su RaiPlay) il nuovo settimanale di Rai Vaticano “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza” condotto da Stefano Ziantoni

Per la prima volta un’intera trasmissione della Rai è stata realizzata di fronte alla Porta Santa della Basilica di San Pietro.  Un evento che ha segnato l’avvio di “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza”, il nuovo programma di Rai Vaticano che vede la collaborazione della Santa Sede – Dicastero per la Comunicazione. In onda da domenica scorsa a mezzanotte e 45 su Rai 1 (e sempre disponibile su RaiPlay), sarà un viaggio lungo e appassionante che condurrà i telespettatori al Giubileo del 2025. “Come pellegrini scopriremo tanti luoghi sconosciuti e meravigliosi dell’Italia – afferma Stefano Ziantoni, responsabile di Rai Vaticano e conduttore del programma – conosceremo tante particolarità dal mondo, ma soprattutto sarà un pellegrinaggio in preparazione all’apertura della Porta Santa. Un programma di tutti, non solo di una parte, perché Il pellegrino non è solo un cattolico, un cristiano, un credente, il pellegrino può anche essere un turista. Ci siamo posti l’obiettivo di raccontare un cammino attraverso l’interiorità di ognuno, non escludendo nessuno. Attingendo alle storie, ai racconti, ai personaggi, riusciamo ad abbracciare tutte queste persone, sia in Italia che all’estero”. Alla presentazione alla stampa di “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza”, monsignore Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero dell’Evangelizzazione, delegato da Papa Francesco all’organizzazione dell’Anno Santo 2025. Per Fisichella il Giubileo “deve consentire al pellegrino di scoprire anche le bellezze del nostro Paese”, proprio come accade a un turista, e “consentire al turista che vede un pellegrino in processione, di riflettere, di chiedersi chi sia e cosa stia facendo. Poi c’è anche un Giubileo che vuole parlare con la città di Roma e recuperare quei luoghi, soprattutto quelle piazze, che sono luogo dell’incontro, dello scambio, luoghi in cui le persone possono conoscersi e creare amicizie che durano un’intera vita”. Le parole “Pellegrini” e “speranza”, sono state scelte da Papa Francesco come motto dell’Anno Santo. Il programma va in onda dal nuovo studio di Rai Vaticano.

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Una fiamma bellissima

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RON

Un viaggio, umano e artistico, lungo ben cinquanta anni, le sue canzoni incise come capolavori della musica italiana. Alle sue spalle i grandi maestri, e uno sguardo attento alle nuove leve che hanno “acceso una fiamma bellissima” nell’ultimo Sanremo targato Amadeus. “Premio alla carriera” nell’ultima edizione del “Premio Tenco”, il cantautore regala a tutti noi una magistrale rilettura di “Lontano Lontano” di Luigi Tenco, disponibile in radio e in streaming. Il tour teatrale parte da Vercelli martedì 27 febbraio

In cammino da alcuni decenni per raggiungere il centro esatto della musica. Che viaggio è stato?

Sono stati anni straordinari, in cui siamo passati in mezzo a momenti unici e gratificanti, non sempre semplice. Questo viaggio è stato l’inizio di qualcosa di bello, di unico, proprio perché quello che facevamo era tutto vero, non c’erano sotterfugi, non c’era qualcosa di nascosto, tutto avveniva alla luce del sole. Chi ce la faceva, ed erano davvero in tanti, compreso me, aveva dietro le spalle qualcosa di straordinario. Insomma, è stato un viaggio meraviglioso.

Come è cambiato, nel tempo, il rapporto con il suo pubblico?

Il mio pubblico è fatto di miei coetanei che mi seguono dagli inizi, persone che mi hanno sempre seguito nei concerti, creando sempre un’atmosfera magica. È sempre stato un grande pubblico, soprattutto onesto che ha sempre avuto voglia, ogni volta che mi incontrava per strada, di dire esattamente quello che pensava di me, di un disco appena uscito.

La sua musica ha sempre raccontato la contemporaneità senza mai perdere contatto con ciò che siamo stati. Cosa significa essere un cantautore oggi?

I tempi sono cambiati… “ieri” essere un cantautore voleva significare molto. Avevamo dei maestri, da Lucio Dalla a Fabrizio De André o Pino Daniele, grandi nomi, montagne straordinarie che hanno trascinato altri autori, tra i quali c’ero anche io. Esserlo oggi non so quanto conti, c’è una nuova realtà fatta di ragazzi molto giovani, legati al mondo del rap, alcuni, tra l’altro, molto bravi. Lazza, Mahmood e Ghali, per esempio, mi piacciono tantissimo. Non sono solo cantautori, hanno già alle spalle una gran bella esperienza. Negli anni ’70 e ’80 chi faceva questo mestiere aveva davvero molto da dire, c’era voglia di stare insieme, anche molti giorni di seguito, per creare qualcosa, per condividere la musica.

La musica sta cambiando, cosa le piace delle nuove leve? Cosa le è piaciuto dell’ultimo Sanremo?

Sono rimasto molto colpito quest’anno dal Festival, in particolare della serata dedicata alle cover, un momento musicale e di spettacolo veramente importante, di grande qualità che ha acceso una fiamma bellissima. Gli artisti presenti sul palco hanno lavorato anche su un repertorio non loro con un’attenzione immensa alla musica, a quello che c’è dietro, hanno provato e fatto provare emozioni altissime. Mi sono ritrovato in un mondo molto lontano dal classico Sanremo. Amadeus ha lavorato molto bene per quella giornata, che sono certo rimarrà nella memoria.

Cosa le piace raccontare con le sue canzoni?

Cerco di raccontare me stesso, senza farlo pesare, magari anche con storie inventate, d’amore… Ho sempre cercato di avere come riferimento me stesso e, con grande meraviglia, mi sono anche reso conto che le tematiche che affrontavo con la mia musica erano comunque vicine alla gente. Per me una soddisfazione enorme, perché mi sono reso conto di raccontare qualcosa che, alla fine, appartiene a tutti.

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In strada con il cuore

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Il conduttore di “Dalla strada al palco” su Rai 2 parla della terza edizione del programma del martedì sera: «Gli artisti vengono da noi per liberare la loro energia, per darsi al pubblico con generosità. Dico loro di divertirsi e di vivere intensamente l’esperienza»

Dal palco dell’Ariston a “Dalla strada al palco” su Rai 2 nel giro di pochi giorni. Filippo, un febbraio a dir poco intenso…

Poco prima di Sanremo ho saputo che il programma sarebbe ripartito a fine febbraio e così ci siamo messi subito all’opera. Il tanto lavoro non mi spaventa, più cose faccio più sono contento (sorride). Fare “Dalla strada al palco” mi dà soddisfazione e in più mi consente di imparare una nuova professione, quella del conduttore. Fare cose nuove continua a essere per me molto affascinante.

Come è stato ritrovare la sua piazza televisiva?

È bello ritrovare gli autori, le persone che lavorano con me sin dalla prima edizione. Nonostante il programma sia abbastanza rodato bisogna fare comunque grande attenzione, perché dietro l’angolo può esserci sempre una sorpresa. Accade in uno studio televisivo così come può accadere sul palco di un concerto. Registriamo solo perché lo richiedono i cambi di palco e scenografia tra un’esibizione e l’altra, ma il programma si svolge come se fosse in diretta. Fare televisione mi consente di mettermi alla prova, di studiare un linguaggio diverso.

Cosa consiglia agli artisti in gara prima che si esibiscano?

Li invito solo a divertirsi, a vivere con il sorriso un’esperienza importante che può lasciare loro un bel ricordo. Quando riesco a entrare un po’ più in confidenza li invito a pensare che la Tv è solo una piazza più grande, con un numero maggiore di persone che guarda. Certo, ci può essere un po’ più di emozione, è comprensibile. La maggior parte degli artisti che prende parte al programma torna volentieri a esibirsi nelle piazze e nelle strade dove sono stati selezionati dalla redazione.

Che cos’hanno in comune un artista che calca le tavole di un teatro o che si esibisce in uno studio Tv e uno che per esibirsi sceglie la strada?

La passione, l’amore per ciò che fanno. C’è chi lascia il Teatro alla Scala, l’opera di Vienna, per stare sulla strada. Perché magari è proprio questa a farlo sentire meglio. Spesso sono loro stessi a dirlo mentre si raccontano. Un artista vuole comunicare un’emozione, se lavori per strada cerchi di catalizzare l’attenzione dei passanti, se fai televisione fai tutto il possibile affinché la gente non cambi canale. Il principio è lo stesso.

Si è mai esibito per strada?

All’inizio della mia carriera mi esibivo sempre nelle piazze, e come accade quando lo fai per strada, devi tenere il pubblico stretto a te, catturare lo sguardo delle persone. Se il pubblico non è interessato si distrae, se non gli piaci ti fischia anche. Devi essere efficace il più possibile.

Cosa significa essere un artista oggi?

Oggi come sempre significa riuscire a trasmettere quello che hai dentro, trasferendolo agli altri nel modo migliore. Oggi ci si scontra con nuove difficoltà, con un mondo più frenetico, dove la musica non la compri con un disco, ma la prendi per così dire in prestito. Anche la concezione dell’artista stesso è a breve e non a lungo termine. Molto è cambiato da quando ho cominciato io, quando c’erano ancora i dischi, i vinili, che oggi sono diventati oggetti di culto. Pensi che mia figlia quando li ha visti per la prima volta non sapeva neanche cosa fossero.  Ha 14 anni e utilizza le piattaforme…

Lo dice con un po’ di nostalgia…

Compravamo il disco che rimaneva nelle nostre mani. Oggi la musica non esiste, è come se fosse polvere nell’aria, non è niente di noi.

Hai partecipato a Sanremo, palco che raccoglie esperienze musicali diverse, che fotografa scatta della contemporaneità musicale. Cosa le piace della musica di oggi?

Vedo una involuzione. Penso alla musica che ascolta mia figlia, trap ma non solo. Da musicista sono molto attento alla costruzione della canzone, anche quando il genere è molto lontano dal mio mondo, e vedo un ritorno al passato, in molti utilizzando ad esempio gli strumenti come avveniva in passato.

Il pubblico televisivo sta dimostrando di volerle bene anche nelle vesti di conduttore… se lo aspettava?

Mi fa sicuramente felice ma non me lo aspettavo. Cerco di trovare empatia con gli ospiti, con il pubblico. Oggi la televisione offre tanto di tutto, non è facile essere attrattivi. Detto questo faccio sempre del mio meglio, pur cercando di non essere schiacciato dai dati d’ascolto, dalle classifiche. Cerco di crescere, di migliorare a ogni stagione. Se ciò che faccio piace alla gente significa che sto facendo un buon lavoro e che quindi la strada è giusta. Mi auguro che sempre più persone si affezionino a un programma che già riceve tanto affetto. “Dalla strada al palco” è una scommessa vinta anche dagli stessi autori, Carlo Conti che ha ideato il programma in testo.

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Vi racconto 70 anni di Tv

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MASSIMO GILETTI

Un viaggio di ricordi e di emozioni nei settant’anni della televisione italiana. Mercoledì 28 febbraio in prima serata su Rai 1 dall’Auditorium del Foro Italico di Roma

La Tv fa 70, sei pronto a festeggiarla?

Siamo pronti a vivere questo lungo viaggio. Raccontare settant’anni è un evento vero, che porta a riavvolgere il nastro della storia del nostro Paese. Ricorderemo attraverso gli occhi dei grandi nomi che avremo in studio che cosa è stata e che cos’era la Tv, scopriremo per esempio che Maria De Filippi la usava come un mero elettrodomestico senza pensarci, come compagnia mentre studiava al liceo o all’università, o che quella acquistata dalla mamma di Piero Chiambretti nel 1966 era un richiamo per tutto il condominio. È un passo indietro che ripercorrere veramente la storia dell’Italia.

Il racconto di una storia intensa ed emozionante. Da dove si comincia?

I compagni di viaggio sono i padri costituenti della televisione, non si capisce se siano loro stessi la televisione, parlo di Pippo Baudo e di Renzo Arbore, punti di riferimento di questa grande serata. Attorno a loro ruoteranno tutti i numeri uno della tv, da Paolo Bonolis a Carlo Conti, da Amadeus ad Alberto Angela, da Enrico Mentana a Bruno Vespa, da Simona Ventura ad Antonella Clerici. Un racconto inframezzato dalle voci di alcune protagoniste, ne cito una su tutte, Serena Rossi, che canterà una delle canzoni emotivamente più importanti di Raffaella Carrà.

Cosa ti colpisce di più nel passare in rassegna tanti anni di storia?

Mi incuriosisce il fatto che forse aveva ragione il linguista Giacomo Devoto, quando disse “fra trent’anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione”. Una specie di avvertimento. Oggi ci sono anche i social, siamo andati oltre, pur avendo la Tv ha ancora un suo ruolo. La stessa politica passa solo attraverso la televisione con le varie forme di Talk show.

Qual è il tuo primo ricordo da telespettatore?

Ho due ricordi di quando ero ragazzino. Mi piaceva da morire una cantante francese, Sylvie Vartan, che cantava un brano che faceva “buonasera, buonasera, che piacere che mi fa incontrarmi di nuovo con te…”. Il sogno erotico di Massimo Giletti bambino era proprio Sylvie Vartan (sorride). Ricordo anche la mia prima trasgressione, che mi riporta a Italia-Germania 4-3, ai Mondiali di calcio del 1970. Ero bambino, allora si andava a letto dopo “Carosello”, ma quella volta mi nascosi dietro ad alcune poltrone. Quando segnò Gigi Riva uscii urlando. Fu una violazione delle regole, ma rimasi fino alla fine.

Prendi la macchina del tempo e scegli tre momenti della storia della Tv nei quali materializzarti…

Mi sarebbe piaciuto conoscere l’ingegner Alessandro Banfi, protagonista, a Torino negli anni Trenta, delle prime sperimentazioni su quella che sarebbe stata la televisione negli anni Cinquanta. Mi sarebbe piaciuto anche conoscere meglio Sergio Zavoli, che trovavo molto interessante da un punto di vista giornalistico. Chiederei, infine, alla macchina del tempo di portarmi a Berlino alla finale dei Mondiali di calcio del 2006. Mi sarebbe piaciuto vivere da telecronista quella partita.

La Tv ha 70 anni, e tu la frequenti da oltre 30. Che ricordi hai dell’esordio in Rai?

Ne ho fatti due. Il primo ai tempi di “Mixer” sotto casa di Giulio Andreotti. Fu il mio primissimo esordio televisivo nella notte drammatica in cui arrivò l’avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Alle 4.30 ero lì sotto casa, unica telecamera della Rai. Raccolsi il passaggio di Andreotti, andata e ritorno verso la chiesa. E poi l’esordio, nel 1994, in una mattina di ottobre, a “Mattina in famiglia”, la mia prima diretta nazionale. Mi è capitato di riguardarmi e fui sciolto, come se quel Giletti lì avesse fatto la televisione da sempre.

Da spettatore che rapporto hai con la Tv?

Un rapporto frenetico perché cerco di vedere più cose contemporaneamente. È un po’ un rapporto di odio e amore, anche perché per lavoro devo vederla anche quando vorrei fare altro (sorride).

Il tuo augurio alla Rai…

Maria De Filippi mi ha confidato un giorno che mai nessun dirigente le ha chiesto di venire a lavorare in Rai. L’augurio che faccio all’Azienda è di aprirsi a nuovi orizzonti, di guardare al futuro con una grande forza.

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Passione e rispetto per il pubblico

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Presadiretta

I viaggi intensi e appassionati della squadra di Riccardo Iacona tornano per gli appuntamenti col giornalismo di approfondimento del lunedì sera, su Rai 3

“Presadiretta”, edizione numero quindici, il lunedì in prima serata Rai 3: “Un programma che è uno dei fiori all’occhiello della Direzione Approfondimento” afferma Paolo Corsini, direttore dell’Approfondimento Rai. Otto imperdibili serate dedicate all’attualità in Italia e nel mondo: “Abbiamo fatto un enorme lavoro di reportage per capire cosa ci sta succedendo. L’attacco alla democrazia, le guerre, il mondo del lavoro, le questioni di genere al centro della nuova stagione, tutte declinate con viaggi in cui l’Italia è solo una parte del racconto” spiega Riccardo Iacona. Il filo rosso che attraversa tutte le puntate è la crisi della democrazia, non solo perché ovunque aumentano i regimi autoritari, ma perché arretrano i principi democratici, su più di un terreno. Nel mondo del lavoro, tra crisi, licenziamenti e deindustrializzazione; nella lotta contro il cambiamento climatico, esposta agli attacchi dei negazionisti; nell’eterno stato di emergenza della sanità pubblica; nella questione femminile, ferma al palo della disuguaglianza; negli scenari di guerra che si moltiplicano.  Cosa rende unita una squadra dopo tutto questo tempo? “L’entusiasmo, l’amore, il rapporto con il pubblico, la passione del racconto, la passione civile, l’affetto che ci circonda” risponde Iacona che, anno dopo anno, ha cercato di tenere sempre alta l’asticella della qualità e dell’approfondimento complesso, senza cadere mai nel racconto facile. La prima puntata – “Democrazia sotto attacco” – è un racconto che parte in Ungheria, una delle democrazie perdute dell’Europa, e passa per la Polonia, “dove c’è stata una battaglia elettorale “pazzesca”, un colpo di coda democratico che spiega come è facile perdere la democrazia quando si attacca l’informazione, l’indipendenza della magistratura, i diritti”. E ancora, una grande attenzione al caso di Assange – l’unico giornalista in Europa in carcere senza avere commesso alcun reato in attesa di estradizione -, a poche ore dalla decisione della giustizia britannica sull’estradizione negli USA “dove dovrebbe essere processato con una legge per le spie. “Se viene estradato Julian si ucciderà. È una questione di vita o di morte” dice Riccardo Iacona.

Tanti i territori attraversati da PresaDiretta:

Il racconto del valore e del significato della democrazia che è sempre più fragile: tra crisi della rappresentanza, astensionismo e cittadini che si allontanano dalla politica. Perfino in Europa avanzano gli Stati autoritari come l’Ungheria, mentre la Polonia, osservato speciale dalle istituzioni comunitarie, ha scelto di cambiare rotta. E da noi? Qual è lo stato di salute dei diritti civili e dei nostri presidi democratici?

Gli scenari di guerra, con il loro carico di dolore e di conseguenze economiche. Gaza, Israele, Libano e Ucraina ci ricordano che la pace è un bene che è stato dato per scontato, ma non lo è più.

La questione salariale delle donne raccontata dalle operaie, dalle libere professioniste, dalle imprenditrici, dalle pensionate. La disparità di genere inizia dallo stipendio e si rafforza con la carenza di strutture a disposizione delle lavoratrici. La mancanza di una politica di sostegno adeguata fa sì che le donne vengano considerate ancora oggi cittadine di serie B.

La sanità pubblica è allo stremo, tra mancanza di medici, di infermieri e di finanziamenti pubblici, mentre la medicina privata gode di ottima salute, assieme a chi se la può permettere. Ma c’è anche la sanità che resiste, tra passione e resilienza.

I territori più inquinati del pianeta, quelli che l’Onu ha definito “zone di sacrificio”, che compromettono la salute di chi ci abita. E che esistono anche in Italia.

Il mondo del lavoro, tra vertenze, licenziamenti, delocalizzazioni e tanta voglia di resistere. Che ne sarà della Fiat-Stellantis? Quale futuro possibile per i dipendenti de La Perla, fiore all’occhiello, una volta tutto italiano, della produzione di biancheria intima di lusso?

Il farmaco per diventare magri sta conquistando il mondo. Il grande successo del medicinale creato in Danimarca non solo sta travolgendo l’economia danese, ma sta trasformando i sistemi di cura dell’obesità negli Stati Uniti e non solo. È la soluzione definitiva al problema del sovrappeso? 

Le ultime scoperte legate all’idrogeno potrebbero davvero rappresentare una rivoluzione in fatto di approvvigionamento energetico? Per ora andiamo avanti a tutto gas, a dar retta alle scelte fatte in Italia negli ultimi anni in questo settore.

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Perché Sanremo è Sanremo?

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PRIMA VISIONE

Un documentario che racconta la storia del Festival della canzone italiana e dei grandi artisti che lo hanno reso unico. in onda mercoledì 21 febbraio in prima serata su Rai 1

Da più di settant’anni, il Festival della canzone italiana invade le cronache, il costume e il panorama musicale del nostro Paese. Un caso unico al mondo, non solo per la sua longevità, ma per il suo enorme impatto. Il Festival di Sanremo, con i suoi pregi e i suoi difetti, rappresenta in qualche modo l’Italia, la nostra storia e il nostro carattere nazionale. Ogni anno, l’Italia intera si ferma di fronte ad un evento così popolare da esser diventato un fenomeno mediatico. “Perché Sanremo è Sanremo”, in onda mercoledì 21 febbraio in prima serata su Rai 1, racconta una storia fatta di grandi sorprese, di forti scandali, di enormi successi, di un evento drammatico, di pesanti polemiche, di grandissimi ospiti noti in tutto il mondo, di bellissime canzoni e di messaggi alla Nazione. Il documentario racconterà gli eventi politici e di cronaca che hanno attraversato l’Italia in quegli anni, e i personaggi, cantanti, autori e produttori che hanno animato la storia musicale del Festival. Un caleidoscopio di storie ed eventi, canzoni e canzonette, personaggi e comparse, raggruppate in un unico grande racconto popolare che ci racconterà “perché Sanremo è Sanremo”. Rai Documentari rende omaggio alla storia del Festival della canzone italiana e ai grandi artisti che lo hanno reso unico. Un viaggio all’insegna della musica, alla scoperta delle storie, le emozioni e la magia del palco dell’Ariston. Una serata speciale dedicata al Festival che da settant’anni rappresenta l’Italia e la sua eccellenza musicale.

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Cerco la straordinarietà dell’ordinario

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ADRIANA PANNITTERI

I fatti e i loro protagonisti di gente comune e non. Il sabato in seconda serata su Rai 2 c’è “Tg2 Storie”, il RadiocorriereTv incontra la curatrice

Un appuntamento amato dal pubblico che si rinnova, il sabato sera c’è Tg2 Storie…

Raccontiamo storie di personaggi conosciuti e di persone comuni, per capire di che colore siano le loro vite. Per farlo ho ritenuto che fosse utili unire alla parte di reportage in esterna, interviste in studio, il programma ha adottato così una formula mista. Il nuovo Tg2 Storie propone anche la personalità di chi lo conduce e lo cura, perché ognuno di noi ha una propria biografia, una storia personale e professionale, un approccio. Io porto anche il mio essere cronista, le tematiche che ho approfondito nel corso degli anni. Nella puntata in onda sabato 24 febbraio ospiterò in studio Santo Versace, ci occuperemo anche degli orfani di femminicidio, tema di drammatica attualità, con una conversazione tra Carmelo Calì, l’uomo che alcuni anni fa adottò i figli della cugina uccisa, e uno di questi ragazzi. Il tema non è creare scalpore, emozione, bensì affrontare una problematica da più punti di vista, attraverso le testimonianze dei protagonisti.

Cosa significa raccontare la contemporaneità utilizzando lo strumento dell’intervista…

Mi permetto di citare l’esperienza accumulata negli anni trascorsi a “Tv7” e a “Speciale Tg1”, dove ho sempre raccontato la vita delle persone, la loro quotidianità. Siamo spesso portati a vedere la vita della gente comune come ordinaria, ma non è così. Sono proprio loro, molto spesso, ad avere delle risorse da offrire agli altri, e a fornire alla narrazione spunti interessanti. Lo straordinario è ben presente anche nell’apparente ordinario. In questa nuova versione di “Tg2 Storie” puntiamo a una cura ulteriore nello stile narrativo a partire dalla grande attenzione all’immagine. Il nostro racconto deve mettere sempre più al centro la storia delle persone.

C’è una storia che ti piacerebbe raccontare più delle altre?

Sono molto curiosa e questo mi porta sempre ad ascoltare con attenzione gli altri. A cogliere tanti spunti interessanti. Se penso a un personaggio pubblico dico Patty Pravo, vorrei che mi parlasse a cuore aperto. L’abbiamo sempre vista nelle sue performance, vorrei incontrare Nicoletta, i suoi pensieri, le sue emozioni. Vorrei incontrare nuovamente Giovanni Allevi, vederlo sul palco di Sanremo è stato un tuffo al cuore. Vorrei anche raccontare le persone che scelgono la solitudine, che vivono da eremita. Anche la solitudine, l’isolamento, hanno un grande fascino. Mi pongo sempre la domanda “cosa c’è dietro al silenzio”?

Raccontare storie in Tv, cosa può ancora dare, nell’era della rete, il piccolo schermo?

Se un tempo la televisione era il focolare di fronte al quale si riunivano le famiglie, oggi la Tv è sempre più una scelta. Nell’era di Internet molto è cambiato, ma sono certa che la qualità continui a pagare. I programmi di approfondimento, la divulgazione, ma anche l’intrattenimento intelligente, possono ancora offrire chiavi di lettura della realtà, possono raccontare chi siamo e indicarci dove stiamo andando.

Obiettivo è quello di attrarre anche un pubblico giovane…

La Tv è vista per lo più da persone adulte, ma può dare molto anche ai più giovani, esempio ne sono quanto fatto da Amadeus con il Festival di Sanremo e la grande offerta della piattaforma della Rai.

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Che emozione i primi applausi

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GIUSEPPE PIROZZI

Promessa del cinema e della Tv è tra i protagonisti di “Mare Fuori” nei panni di Micciarella, ruolo che ricopre anche a teatro. L’attore napoletano al RadiocorriereTv: «Sono grato al pubblico. Spero di continuare a fare questo lavoro ma senza perdere il contatto con la vita reale». Su Rai 2 il mercoledì in prima serata e su RaiPlay

Come ritroviamo e dove va Micciarella in questa quarta stagione?

È un Micciarella diverso da quello della teza stagione. Il primo affrontava le situazioni in maniera giocosa, a lui piaceva scherzare con gli altri ragazzi dell’IPM, voleva sempre fare festa e divertirsi. Nella quarta stagione invece il suo comportamento cambia, diventa cupo, scontroso, arrabbiato, e non riesce a vedere con lucidità le vicende che gli girano attorno. Vuole sentirsi indispensabile e inizia per lui un cammino diverso.

Giovanissimo ma con una carriera importante alle spalle, cosa rappresenta per te “Mare Fuori”?

Ho iniziato all’età di tre anni per gioco grazie a mio padre Vincenzo Pirozzi, attore, sceneggiatore e regista. Lui fu chiamato da una nota casting che gli chiese di portarmi al provino per un film perché cercavano un bambino della mia età. I miei genitori decisero di farmi provare, ero piccolissimo quindi senza pretese, mi presero… Venni scelto per Benvenuti al Nord il film di Luca Miniero. Poi ho avuto la fortuna di continuare e lavorare in tanti altri progetti importanti e dall’iniziare come un gioco, è diventato oggi il mio lavoro, ed è ciò che vorrei continuare a fare nel mio futuro. “Mare Fuori” mi ha dato in poco tempo notorietà e successo e gliene sono grato.

Cosa ti sta insegnando questa esperienza in Tv e a teatro?

La TV, e in particolare “Mare Fuori”, mi hanno reso quasi subito popolare e mi stanno insegnando molto, prima di tutto che bisogna essere riconoscenti al pubblico che ci segue e che ci ama, e che non bisogna perdere di vista la nostra vita reale: io sono un ragazzo di 16 anni, vado a scuola, frequento i miei amici di sempre e vivo con i piedi per terra. Ho avuto la fortuna di vivere i palchi teatrali da quando ero molto piccolo, sempre grazie a mio padre che gestiva il teatro del mio quartiere, la Sanità. Ho imparato molto da queste esperienze, ho ricevuto i miei primi applausi, delle emozioni incredibili. Con “Mare Fuori” il musical, torno a teatro dopo un anno. Mi sentivo arrugginito ma poi il palco, l’amore del pubblico mi hanno completamente travolto, sono felice. Lavoro sodo e con determinazione per qualsiasi progetto mi ritrovo a vivere.

Che cosa rappresenta per te la libertà?

Per me una persona libera è una persona che vive, dobbiamo essere capaci di non farci imprigionare dai nostri demoni. Per quanto strano possa sembrare, “Mare Fuori” mi dà l’idea di libertà, perché dà ai ragazzi l’opportunità di sperare: la vita è un dono prezioso e solo noi possiamo fare in modo che sia unica e libera.

Se potessi dare un consiglio al tuo personaggio, quale sarebbe?

Se Giuseppe potesse dare un consiglio a Micciarella sarebbe sicuramente “Micciare’ fa o brav!, rifletti di più prima di agire. Vivi la tua età in maniera più spensierata e felice godendoti le piccole e le grandi cose”.

Un pensiero a tuo “fratello” Cucciolo e a Francesco Panarella…

Francesco per me è un fratello, da quando ci siamo conosciuti abbiamo avuto da subito una grande sintonia. Abbiamo un legame stabile e fortissimo, ci aiutiamo, ci consigliamo sul set e fuori dal set, gli voglio un bene dell’anima. Cucciolo per Micciarella è il fratello maggiore a cui non rinuncerebbe mai. Cucciolo è la sua vita.

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