MARGHERITA DELLE STELLE

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«Un viaggio emozionante, lo studio delle stelle di Margherita Hack è una metafora della nostra vita: puntare alla stella giusta, dirigerci verso i nostri sogni. La sua non è stata complessa, ma semplice, perché felice» afferma la protagonista del film “Margherita delle stelle”, in onda martedì 5 marzo in prima serata Rai 1

Un ritratto intimo ed emozionante della grande astrofisica italiana Margherita Hack, modello di emancipazione, curiosità, eccezionale autenticità. Il film diretto da Giulio Base e interpretato da Cristiana Capotondi, è la storia di una donna che non si è mai piegata a compromessi e che ha scelto sempre per se stessa costruendosi una realtà che la rappresentasse davvero: a partire dal modo di vestire così lontano dalle regole del tempo, fino ad arrivare alla costruzione di un matrimonio tanto felice quanto non convenzionale.

Liberamente ispirata al libro “Nove vite come i gatti” di Margherita Hack e Federico Taddia, la sceneggiatura di Monica Zapelli è un coming of age che si concentra sugli anni meno noti della vita della scienziata, dalla sua infanzia e adolescenza con dei genitori straordinariamente anticonformisti che le hanno insegnato la libertà di scegliere e l’hanno portata a rompere gli schemi imposti dalla società, primi fra tutti quelli dell’ideologia fascista. Questa prima serata della rete ammiraglia è certamente un tributo a una figura nota in tutto il mondo per il suo enorme apporto alla scienza, ma soprattutto una storia di empowerment femminile perseguito con tenacia da una donna che in fondo non si è mai posta come obiettivo di andare controcorrente, ma ha sempre fatto tutto con profonda leggerezza e libertà.

Il film racconta la storia di una bambina come tante altre che però ha avuto la fortuna di avere due genitori che – con qualche generazione d’anticipo – le hanno insegnato i valori della libertà, della parità, del contatto con la natura e della curiosità. Margherita gira per le campagne fiorentine in bicicletta, coi capelli sciolti, i vestiti comodi e una naturale predisposizione all’autonomia. Quella bambina si trasforma poi in una liceale che, durante il ventennio fascista decide di seguire l’istinto, rischiando di farsi espellere dai licei italiani perché non crede sia giusto che la sua insegnante ebrea venga cacciata per le sue origini. È anche la ragazza che se ne frega delle mode, di quello che pensano gli altri e che preferisce lo sport e le gite in bicicletta alle serate mondane.

Con Aldo, prima amico d’infanzia e poi compagno di tutta una vita, costruisce un matrimonio su misura, al di là di ogni usanza e tradizione, tra lunghe chiacchierate sotto le stelle e la scelta condivisa di prediligere la libertà alla famiglia. L’adolescente diventa infine la giovane donna che si innamora del mondo delle stelle e, a dispetto di tutte le convenzioni e del ruolo della donna in uso all’epoca, riesce a emergere in un mondo fatto e governato da soli uomini grazie alla sua passione e dedizione.

Ancora una volta la sua eccezionalità nasce da uno spontaneo istinto, una libertà autentica e da una curiosità inesauribile: qualità che la rendono una ricercatrice fenomenale. Tanto che, dopo dieci anni al centro Astronomico di Merate, dove si è scontrata con le dinamiche baronali del mondo accademico italiano, Margherita Hack diventa finalmente la prima direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Trieste. E da lì proseguirà il suo viaggio pluridecennale tra i meandri del cosmo, con gli occhi sempre puntati in alto.

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Lolita, il mio portafortuna

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LUISA RANIERI

L’attrice, alla terza stagione della serie, parla al RadiocorriereTV dell’affetto per la vicequestore a cui dà voce e volto: «È forte perché non ha paura di mostrare le sue fragilità»

Ritrovarsi da dove ci si era lasciati. Che tipo di ripartenza è stata?

Quando sono tornata a Bari per girare ho provato la voglia di ritrovare i compagni, le storie di Lolita, le sue fragilità, le sue tenerezze, le sue nostalgie, il rapporto con la città. In questa terza stagione vedremo una Lolita indaffarata a superare un passato che non è passato, e al tempo stesso spinta verso qualcosa di nuovo, che cerca di andare avanti. Ritroveremo anche tutti gli altri personaggi, interpretati da Bianca Nappi, Giovanni Ludeno, Jacopo Cullin, alle prese con un rapporto di coppia in cui si devono mettere in gioco veramente, perché sono cambiati gli equilibri.

Lolita affonda i suoi tacchi nella sabbia, è un po’ la metafora della vita, si sprofonda e servono maniglie per rimanere saldi. Quali sono gli appoggi di Lolita per andare avanti?

Sicuramente le sue amicizie, la sua famiglia, il suo lavoro: sono qiesti i punti fermi. Marietta è un suo punto fermo, insieme ad Antonio Forte. Sono la piattaforma su cui lei si appoggia.

Lolita è un personaggio sfuggito allo stereotipo, si mostra per quello che è, una donna che vuole affermarsi nel lavoro, che non rinuncia a nulla nella sua vita…

La cosa che mi piace di lei è che non ha paura di mostrare la sua fragilità. È forte per quello. Si concede anche le malinconie, a volte dei momenti di tristezza, di solitudine, però con un fare quasi di coccola. Sono dei sentimenti umani: non esistono solo la forza, il determinarsi, l’essere autonomi, ma anche tanti altri sentimenti e conflitti interni. Lolita i suoi conflitti se li vive, con i suoi bicchieri di vino, la sua solitudine, i suoi pensieri, le sue riflessioni. Trovo questo molto attinente alla realtà.

Essere una persona libera comporta sempre delle responsabilità. In che modo Lolita le ha accettate?

Credo che questa sua libertà, questo suo essere intransigente li abbia anche pagati. L’abbiamo vista ad esempio combattere contro il cliché della madre, che nella prima stagione le diceva che una donna alla sua età si sarebbe dovuta sistemare, in realtà lei è portatrice di un femminile diverso, tanto da fare emancipare anche la madre e la sorella dalla figura maschile. Le sprona a diventare imprenditrici, a seguire il sogno e a non averne paura, a non temere di incontrare l’amore, di andare oltre al giudizio altrui. In questo la trovo un personaggio di un femminile a tutto tondo, solidale.

Qual è la soddisfazione che le ha dato questo lavoro?

Sicuramente l’affetto del pubblico, impagabile. Sono grata a questo personaggio che ho molto amato, molto cercato, è un femminile che mi piaceva rappresentare. Per me Lolita è un portafortuna che mi è stato donato, insieme a lei sono arrivate nella mia vita bellissime occasioni. Quest’anno il secondo film con Sorrentino e la partecipazione a un film di Jonny Deep. E poi la cittadinanza barese. Devo dire che non è andata male. (sorride)

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Quello che le donne dicono

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ILLUMINATE

Martina Stella, Anna Ferzetti ed Euridice Axen sono tre delle protagoniste della nuova stagione della docu-serie in onda su Rai 3 e disponibile su RaiPlay. Alla vigilia dell’8 marzo abbiamo incontrato le attrici impegnate a raccontare rispettivamente Nilla Pizzi, Suso Cecchi D’Amico e le sorelle Fontana

MARTINA STELLA

Donne che raccontano altre donne, cosa le ha lasciato questa esperienza?

È stato un progetto bellissimo, di grande qualità, e sono stata felice e onorata di farne parte. Sono sempre stata una grande spettatrice del programma, e quando dopo una serie di incastri con altri progetti lavorativi sono riuscita a registrare l’episodio, ho percepito una sensazione di magia. Credo che ripercorrere la vita, la carriera, il percorso artistico e umano di Nilla Pizzi, di questa grande artista, regina della canzone italiana, sia stato interessante e molto emozionante.

Come la vita di una persona può “illuminare” quella di un’altra?

Credo che il cinema, la musica, l’arte in generale, illuminino ed emozionino gli altri. In particolare, ripercorrere la vita professionale e umana di artisti meravigliosi, di donne straordinarie dalle vite straordinarie, è sicuramente qualcosa che non può lasciarti indifferente, qualcosa che ti illumina, ti ispira, ti colpisce profondamente.

Cosa l’ha colpita della personalità di Nilla Pizzi?

Conoscevo Nilla Pizzi come cantante, attraverso le sue canzoni e la sua voce inconfondibile ovviamente, ma non conoscevo la sua vita nel profondo, il suo percorso umano e psicologico, grazie a questo programma ho avuto l’opportunità di farlo e sono rimasta affascinata, oltre che dall’inconfondibile talento, anche dalla modernità, dalla determinazione di questa giovane donna che partendo dalla provincia riesce a girare tutto il mondo grazie al suo lavoro, alla sua grande passione, da sola, senza un marito o un uomo che la guidino. Una giovane donna che, in maniera sensibile e intelligente, è riuscita ad abbattere regole e schemi sociali dell’epoca. Una grandissima artista e una grandissima donna.

Pochi giorni e sarà l’8 marzo, cosa rappresenta questo giorno per lei?

È una giornata importante, la giornata internazionale della donna, dei diritti di tutte le donne per ricordare le conquiste sociali e l’importanza delle lotte che tante donne prima di noi hanno affrontato in passato. Sembra una banalità ma l’8 marzo dovrebbe essere celebrato tutti i giorni perché c è ancora tanta strada da fare per contrastare la violenza, gli stereotipi, per educare anche le nuove generazioni alla parità e al rispetto.

ANNA FERZETTI

Donne che raccontano altre donne, cosa le ha lasciato questa esperienza?

Io sono una fan delle donne e non solo perché lo sono, ma perché amo lavorare tra donne, credo che ci possa essere un’alchimia importante e che un gruppo di donne possa fare molto insieme. È stata un’esperienza bellissima e importante, soprattutto poter raccontare una donna come Suso Cecchi D’Amico.

Come la vita di una persona può “illuminare” quella di un’altra?

In tanti modi, secondo me rendere felice qualcuno è uno dei più gratificanti.  Per farlo bisogna essere aperti e disposti a impegnarsi, a mettersi in discussione e, in certi casi, da parte. Bisogna supportare emotivamente amici, familiari, o la persona con cui si condivide la vita, incoraggiarli, ascoltarli prima di tutto, ma anche riconoscere le qualità degli altri e illuminarle, valorizzarle, sostenerle, incoraggiarle. Riconoscere le qualità altrui equivale anche a riconoscere se stessi.

Cosa l’ha colpita della personalità di Suso Cecchi D’Amico?

Non ho cercato di rifare Suso Cecchi D’amico, perché è difficilissimo poter essere qualcun altro, ho dato una mia visione ma non era questa la richiesta. Ho cercato di darle una voce più che altro e un volto, ma non somigliante. Però molti aspetti di lei mi hanno colpito: è stata una donna autonoma, con un grandissimo senso dell’umorismo, una donna semplice, diretta, coltissima e anche molto elegante. Ha avuto una carriera straordinaria in un periodo anche difficile, dove il cinema era maschilista, e ha avuto modo di lavorare con tante persone importanti come Rossellini, Zeffirelli, Monicelli, Antonioni, firmando a sua volta de grandissimi capolavori come “Il Gattopardo”, “I Soliti Ignoti”, “Ladri di biciclette”. Credeva nel lavoro di gruppo, che per lei aveva un grande significato e che condivido anche io moltissimo. Credo che questo mestiere, e tanti altri, si debbano fare in gruppo, dove ci si ascolta, dove c’è uno scambio continuo di pareri, dove ci si compensa. È stata una donna che ha amato tantissimo il compagno, nelle tante lettere che gli scriveva emergeva un carattere divertente e un senso dell’umorismo che si percepiva sempre. Ha mandato avanti la casa, i figli, è stata molto presente come madre, riuscendo comunque a lavorare e a prendersi il suo spazio. Sono felice e onoratissima di aver avuto modo di raccontarla. Suso diceva: “Lo sceneggiatore non è uno scrittore, è un cineasta, e come tale non deve rincorrere le parole bensì le immagini, deve scrivere con gli occhi”, ed è così, mi trovo pienamente d’accordo e ho sempre apprezzato questo suo pensiero.

Pochi giorni e sarà l’8 marzo, cosa rappresenta questo giorno per lei?

Da ragazzina consideravo la festa della donna una giornata in cui uscire con le amiche, stare un po’ da sole tra noi, un giorno di svago e divertimento. Poi, naturalmente si cresce, si legge, si cerca di capire perché esiste questa festa, che rappresenta un giorno importante per vari accadimenti. Credo però che ogni giorno sia un giorno buono per festeggiare la donna. Certo, sono molto amareggiata per quello che accade, ho iniziato ad avere paura a stare da sola in giro per le strade, c’è diffidenza. Per me l’8 marzo è più un pretesto che una vera e propria festa. Un pretesto anche per riflettere sulle conquiste politiche, sociali, economiche: bisogna continuare a lottare per tutto questo e per i diritti delle donne.

EURIDICE AXEN

Donne che raccontano altre donne, cosa le ha lasciato questa esperienza?

Di questa esperienza rimane l’incontro, sicuramente, con tutte le donne meravigliose dell’atelier Fontana che mi hanno stupita per la loro apertura e simpatia.

Come la vita di una persona può “illuminare” quella di un’altra?

In tanti modi, ma tutti hanno a che fare con l’amore.

Cosa l’ha colpita della personalità delle sorelle Fontana che ha raccontato nel programma?

La forza di volontà, il coraggio e quel pizzico (anche più di un pizzico) di follia… Se pensiamo al fatto che per tentare la fortuna hanno preso il primo treno che è passato (letteralmente) senza decidere la destinazione… Questa cosa mi è rimasta particolarmente impressa.

Pochi giorni e sarà l’8 marzo, cosa rappresenta questo giorno per lei?

Un’ipocrisia.

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L’inizio di una bella storia

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CLARA

Da Sanremo Giovani (vinto) a quello dei Big dove ha conquistato tutti per la sua voce, interpretazione e raffinatezza, la cantante e attrice per la serie cult “Mare Fuori” è pronta a spiccare il volo. Fuori il suo “Primo”, l’inizio di una nuova straordinaria avventura in musica che proseguirà da maggio in un tour live per l’Italia

Poche settimane fa si sono spente le luci di Sanremo, cosa le rimane di questo viaggio?

Emozioni profonde, energia, affetto delle persone. È stata un’esperienza bellissima, sarebbe stato bello se non fosse finita (ride).

Questi “diamanti grezzi” sono pronti a spiccare il volo?

Anche se rimarranno sempre “diamanti grezzi”, il bello è proprio questo.

A Sanremo ha vinto il “Premio Enzo Jannacci Nuovo Imaie” sottolineando nella motivazione la sua splendida voce, un’interpretazione raffinata, simbolo di una nuova generazione musicale…

La lettura del commento che accompagnava la premiazione è stata un momento per me molto emozionante, ricevere un Premio che porta il nome di Enzo Jannacci è stato proprio bello. Ero a Sanremo per la prima volta e sapere che la mia canzone era arrivata al pubblico è stato importante. Io rappresento una delle tante voci di questi tempi, quando penso o scrivo una canzone non ho come riferimento i miei coetanei, spero sempre di raggiungere più persone possibili. Quello che ho potuto captare dalla mia esperienza sanremese è che ho un pubblico molto eterogeneo, che va dai bimbi ai ragazzi, ma anche adulti. Ho ricevuto apprezzamenti anche da persone più anziane… questo è bello. Alla fine, una persona può sentirsi “diamante grezzo” a ogni età.

Con quale consapevolezza affronta oggi il suo viaggio nella musica?

C’è sempre un po’ di paura, non sai mai quello che può succedere. La cosa bella del futuro è proprio questo, c’è tutto da creare. C’è quindi un po’ d’ansia, ma sono carichissima, quest’anno è stato speciale, mi ha cambiato la vita e anche io sono maturata come persona e come artista. Il carico di responsabilità è tanto, ma sono solo all’inizio della storia.

“Primo” è il suo album di esordio, a maggio un tour live che la porterà in tutta Italia sui live…

In questo anno speciale era arrivato il momento di condividere con il pubblico una raccolta delle mie canzoni, raccontare un po’ più di me. L’ho voluto chiamare così non solo perché è il mio primo album, ma perché sono successe tante cose per la prima volta… sono certa che anche il tour, nel quale canterò live con una band, sarà un’esperienza magica. Rispetto alla scorsa estate, per esempio, nella quale facevo molti dj set, con il tour porto nuove consapevolezze, una Clara con un bagaglio umano e professionale più pesante.

Cosa troviamo in questo album?

Dentro l’album c’è molto di me, si va da tracce più melanconiche a quelle più up, c’è anche una canzone di cui sono interprete, e per questa è un’altra prima volta. Normalmente sono un po’ restia, fare l’interprete è molto complicato, ci vuole veramente molto talento. Quando scrivi sei tu che fai le tue linee melodiche, la canzone è immediatamente tua, quando sei un’interprete il lavoro è molto più lungo e complesso… questa volta, però, è stato diverso, perché è stata scritta da un ragazzo che mi conosce molto bene.

Delle sue canzoni è spesso anche autrice. Come avviene il flusso creativo?

Non c’è uno schema, a volte entro in studio senza alcuna idea, mi lascio semplicemente trasportare, altre volte ho già in mente le linee melodiche, so già quale argomento mi interesserebbe musicare. Con “Diamanti grezzi”, per esempio, non avevo la canzone, ma sapevo già quale fosse il titolo.

Esiste qualcuno, o qualcosa, che ha determinato le sue scelte musicali?

Non proprio, ho dovuto sbattere la testa per capire cosa fare. Ho avuto un periodo in cui ero molto “zarra” … per mantenermi a un certo punto ho iniziato a fare la modella, mi veniva quindi richiesto un certo stile. A un certo punto è come se mi fosse un po’ ribellata a tutto questo, mi sono persa… credo però che siano proprio gli sbagli ad aiutarci, nel mio caso ad abbandonare una direzione artistica che non mi rappresentava. 

Come sono cambiati oggi i suoi obiettivi?

Spero che la mia carriera musicale vada avanti a lungo, c’è sempre molta ansia, i numeri, purtroppo, contano sempre troppo in questa società che corre così veloce e che pretende il massimo. Si richiede di essere sempre sul pezzo, non ci si può fermare un attimo, sembra che se manchi per un giorno, ci si dimentichi di te. Nella realtà non è proprio così, ma nella mia testa sì, ecco perché ora cerco di godere degli attimi che capitano, fare un passo alla volta, fermarmi quando è necessario e apprezzare quel che mi accade, quello che ho.

Che effetto le hanno fatto le parole di Sangiovanni?

Conosco molto bene Sangiovanni, gli ho anche scritto… mi è dispiaciuto davvero molto. Le sue parole, le sue scelte (prendersi una pausa, del tempo per “stare bene”) mettono in evidenza il fatto che, troppo spesso, non ci soffermiamo su una cosa molto importante: noi stessi. Corriamo da una parte all’altra, inseguendo le richieste della società, quelle di avere prestazioni alte, di essere perfetti, di spaccare sempre. È un po’ come salire su una bici e pedalare pensando di andare avanti, in realtà sei seduto su una cyclette che, per quanto tu possa pedalare, non vai da nessuna parte. Sapere che un ragazzo, un amico non sta bene mi ha fatto molto dispiacere, dall’altra parte ho apprezzato il suo coraggio, nelle parole e nelle azioni, di fermarsi e dedicare il tempo giusto a sé. Quello della salute mentale è un argomento importantissimo, ci riguarda tutti.

Parliamo della tua avventura da attrice…

Che non può prescindere dalla musica, è questa che mette tutto in equilibrio. Con “Mare Fuori” è stata un’esperienza bellissima, un palcoscenico enorme per me e per la mia musica, recitare mi ha divertito molto e interpretare Crazy Jay mi ha fatto venire in mente la me degli inizi. Quando ho iniziato a registrare la serie era un periodo in cui mi sentivo un po’ persa, guardando quella che sono oggi, i traguardi che ho raggiunto con la musica e con il lavoro, mi sento proprio felice.

È così giovane e così piena di arte nella sua vita…

L’arte è un modo per esprimersi, fare quello che si desidera, sempre rispettando la libertà degli altri. Ognuno sceglie la strada che più di altre gli appartiene, nel mio caso la musica mi ha trainato nella vita fin da piccola. Quello che mi ha, però, insegnato il mio percorso – la musica che incontra la recitazione, prima la moda – è che un’arte non intralcia l’altra. Ivan Silvestrini, il regista di “Mare Fuori”, ascoltava per esempio la mia musica e mi ha proposto un provino. Nella mia vita non voglio chiudere nessuna strada per esprimermi.

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QUANTE VITE IN UN ATTORE

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MASSIMO GHINI

Nella serie diretta da Fausto Brizzi il popolare attore romano è Manlio De Vitis, temutissimo agente delle dive e manager di Gloria. Il RadiocorriereTv incontra l’artista che insieme a Sabrina Ferilli ricrea una delle coppie cinematografiche più amate dal pubblico. Lunedì 26 e martedì 27 febbraio in prima serata su Rai 1

Cosa ha pensato dopo avere letto il copione di “Gloria”?

Sono subito rimasto colpito dal racconto, da una narrazione nuova rispetto a tutto quello a cui eravamo abituati nella serialità. E poi c’era la possibilità di tornare finalmente a lavorare con Sabrina Ferilli. Siamo stati sempre una coppia positiva, non voglio dire vincente per scaramanzia sportiva. All’inizio ho pensato a uno scherzo, ma fortunatamente non lo è stato. Lavoro con l’attrice con la quale ho recitato di più nella mia carriera mentre il regista Fausto Brizzi è come se fosse un fratello.

Con “Gloria” si ride e si riflette. Con quale spirito affrontate vizi e virtù del “dietro le quinte” del mondo dello spettacolo?

Entriamo un po’ a gamba tesa ed è tutto molto politicamente scorretto. E io dico, vivaddio che è politicamente scorretto (sorride). Facciamoci due risate con le battute di Gloria, con il suo cinismo. Sono felice della scelta della Rai di realizzare questa serie, c’è un coraggio che porta ad aumentare una sorta di provocazione costruttiva. Parliamo dell’ambiente del cinema, spesso conosciuto male, spero che “Gloria” porti attenzione verso problematiche che sono universali.

Quanta verità c’è in questa storia?

Non è che nel nostro ambiente avvenga esattamente questo (sorride). Però c’è certamente qualcosa che riporta a una realtà che è legata, più in generale, all’idea del successo. Quali sono i mezzi per raggiungerlo? Cosa accade quando viene meno? È una riflessione più in generale su un meccanismo che vale sia nel mondo dell’arte che in quello della politica, della medicina, per qualunque tipo di attività.

Che cosa deve fare un attore per sfondare e resistere nel tempo?

Studiare ed essere determinato. A 19 anni venni bocciato all’esame d’ammissione all’Accademia nazionale d’arte drammatica e per me fu un grande dolore. Sono cresciuto autodidatta, la mia scuola è stata il lavoro. Debuttai a Parigi al teatro Odéon con il “Re Lear” di Shakespeare e la regia di Giorgio Strehler. Alla fine dello spettacolo telefonai a mia madre e le dissi: qui qualcuno si è sbagliato. O l’Accademia o Strehler (sorride). Se vuoi durare nel tempo ti devi applicare come un medico, un chirurgo, un professore. Servono una totale dedizione e spirito di sacrificio.

All’Accademia si è invece diplomato suo figlio Leonardo…

Un bel giorno ho scoperto che era passato da Totti a Čechov. Leonardo mi ha fatto un bel regalo, mi ha dato una grande soddisfazione. Spesso tra i giovani che vogliono intraprendere la carriera d’attore c’è confusione, si pensa al risultato facile. Ma per diventare attori serve altro.

Sono oltre cento i film e le serie a cui ha preso parte…

Ma se devo dire la verità non sono mai stato molto amato dalla critica. Per molti anni mi è dispiaciuto, mi facevano sembrare uno che aveva sbagliato le proprie scelte. Quando iniziai, secondo una mentalità sbagliatissima, tutta italiana, ero considerato fisicamente non adatto. Venivo da Strehler, Gassmann, Zeffirelli, dal teatro. I critici dicevano che avrei dovuto fare i b-movie, i film d’azione, ma io vedevo la mia anima che era tutt’altro. Sono arrivato alla commedia che ero un attore maturo, con molte decine di film alle spalle, e non parliamo di cinepanettoni. Una giornalista, in televisione, mi disse che non riusciva a capire come facessi a passare da Strehler a Pietro Garinei al Sistina, da Francesco Rosi a Neri Parenti. Risposi che evidentemente, se mi chiamavano a fare Shakespeare, a fare la commedia musicale, mi consideravano all’altezza. Credo proprio che sia importante per tutti gli attori non essere monotematici. Ho questa carriera molto lunga perché ho avuto dalla mia parte il pubblico.

Che la seguì anche quando si aprì alla televisione…

Dopo anni di cinema fui uno dei primi a fare la Tv, nonostante le critiche di chi vedeva la televisione come un mondo di serie “b”. Accadde con la miniserie “Come l’America” con Sabrina Ferilli, che fece 11 milioni di telespettatori.

Tante maschere e tanti personaggi nella sua valigia, ha mai avuto timore di mettersi in gioco?

Ho sempre amato l’idea di trasformarmi, di non fare ogni volta me stesso. Amo dovermi cambiare, che sia un trucco, un vestito, una parrucca, ma anche cambiare interpretazione, personaggi. Non farlo, per un attore, significa rinunciare a molto. Anche nei cinepanettoni io e Christian (De Sica) abbiamo dato vita a tanti duetti, scegliendo di essere personaggi e non maschere, era un po’ come fare un doppio al tennis.

Teatro, televisione, il suo inverno è pieno di lavoro…

Ho girato tre film ed è ricominciata la tournée di “Quasi Amici” con Paolo Ruffini, che stiamo portando in giro con un successo devo dire pazzesco, in tutta Italia. Io sono il tetraplegico che sta sulla sedia a rotelle, colto e ricco, lui è il politicamente scorrettissimo, maleducato e ignorante: i due si incontrano e si scambiano in qualche maniera le loro storie. Il sold out dei teatri mi conforta tantissimo, in sala c’è un pubblico trasversale, con giovani e adulti.

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Se l’arte salva l’anima

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YEVA SAI

La misteriosa ragazza senza nome e diffidente di tutto e tutti, chiusa in un mondo inaccessibile, grazie a Cardiotrap riesce ad aprirsi al mondo, a intraprendere un difficile percorso alla ricerca di quanto ha lasciato fuori dell’Ipm. Il RadiocorriereTv incontra la giovane attrice ucraina, tra i protagonisti della quarta stagione di “Mare Fuori” in onda il mercoledì in prima serata su Rai 2: «La bellezza, l’arte mi ha aiutata a trovare un modo per vivere, per godere delle cose belle e superare quelle difficili»

Il suo personaggio, Alina, è tra i protagonisti della serie. Ce la presenta?

Alina è una ragazza molto riservata, reagisce immediatamente se qualcosa non le piace, la sua vita è avvolta dal mistero. È chiusa nel suo silenzio, parla raramente, ma ha un cuore molto buono e di questo se ne accorge Cardiotrap, l’unico con il quale riesce a trovare dei momenti di pace. Tra loro c’è una bella amicizia, tra silenzi e voglia di mettersi in ascolto, è un rapporto nel quale si sentono entrambi liberi di essere loro stessi.

L’amicizia, la condivisione, anche del dolore… come ha costruito il legame professionale con Domenico Cuomo?

È andato tutto in maniera naturale tra noi. Domenico è un attore molto bravo, ma soprattutto una persona di cuore, ogni volta che mi trovavo in difficoltà lui era sempre pronto a darmi una mano e a tranquillizzarmi. È stato bello lavorare con lui, a ogni scena ci sentivamo sempre più connessi e liberi.

Cosa nasconde Alina nel suo silenzio?

Un dolore grandissimo. È una ragazza straniera, completamente sola e profondamente insicura. Nonostante tutto, però, cerca di essere forte per difendersi dai pericoli, come il tentativo di violenza da parte di un uomo che poi, nel suo drammatico tentativo di evitare uno stupro, perde la vita. Quando si subisce una violenza non si sa mai quale potrebbe essere la reazione, lei smette più o meno da questo momento di parlare. 

Quanta Alina ha dentro di sé e quanto della sua vita ha concesso a questa ragazza?

Siamo due persone molto diverse, il suo silenzio, il suo modo di scegliere le persone mi affascina molto. Se fossi veramente Alina, anche io sceglierei Cardiotrap (ride). Nella vita reale, come nel lavoro, non amo mai giudicare le persone, con i personaggi che devo interpretare mi chiedo quale siano le loro difficoltà, i desideri. In questo lavoro un attore deve provare a scendere nella propria oscurità e, anche se fa paura, conoscerla aiuta ad andare avanti. È stata un’esperienza davvero molto bella, piena, in alcuni momenti emotivamente difficile perché, pur avendo molto chiaro quale fosse il confine tra me e lei, ho vissuto la storia di Alina intensamente.

Che occasione è stata per lei “Mare Fuori”?

Questo è il lavoro che voglio fare e “Mare Fuori” mi ha dato l’opportunità di recitare in una grande produzione, una grandissima fortuna. È una serie che mi ha dato visibilità, una voce alla mia storia personale e a quella del mio Paese in guerra. Di questo sono molto grata, così come aver avuto la possibilità di nuove amicizie, di incontrare persone carinissime, di entrare veramente nel mondo della recitazione.

Cosa significa recitare per lei?

È una domanda che mi faccio spesso anche io (ride). Credo che l’essere umano sia una creatura giocosa, ognuno di noi trova il proprio modo di giocare. Quando ero piccola facevo teatro a casa con i miei cugini, organizzavo dei piccoli spettacoli per i miei genitori. Mi piace creare, adoro le storie, raccontare ad altri. A teatro il rapporto con il pubblico è molto stretto, non ci sono pareti di separazione, ma sogno spesso il cinema. Voglio tenere aperte tutte le porte…

L’arte e la bellezza salvano le anime delle persone. In che modo ha salvato la sua?
L’arte è magia, credo tantissimo nel suo potere. Litigo con mio padre perché pensa che l’arte sia solo per pochi privilegiati, che per vivere serve altro. Circondarmi di bellezza e di creatività mi ha aiutata a trovare un modo per vivere, per godere delle cose belle e superare quelle difficili. Se hai dentro di te tantissimo dolore, se ti senti solo, puoi alleggerire la tua anima con il canto, il disegno, la recitazione. Quando sono stata a Napoli per lavoro, nei momenti di solitudine cantavo sempre. Mi liberavo da ogni peso. L’arte ci aiuta a guardarci meglio dentro di noi, come se fossimo davanti a uno specchio, ad accettare o gestire quello che di noi non non ci piace.

Cosa l’ha colpita dell’Italia?

L’Italia mi ha sorpreso per la grande morbidezza nell’accoglienza. Venivo da una situazione difficile, sono stata compresa e ho ricevuto tutto l’aiuto di cui avevo bisogno. Stata molto fortunata, in questo Paese ho incontrato persone belle, che sono diventate un po’ la mia famiglia. E poi è una terra super gioiosa, una gioia che sapete dimostrare agli altri, e questo è bellissimo, mi ha spinto a ritrovare la forza di vivere.

Cosa si aspetta dal suo domani professionale e dalla vita?

Spero di continuare a lavorare nel mondo del cinema, magari con i registi che amo e, chissà, un giorno, anche mettermi alla prova dietro la telecamera, sperimentare altre opportunità creative. Mi piace l’idea di mischiare diverse direzioni dell’arte. In generale però faccio fatica a pensare al futuro, ci sono stati momenti in cui pensavo di non averlo. Ho cercato di lavorare su di me, di trovare un modo più sereno per affrontare la vita, ma ora mi concentro sull’oggi, senza immaginare come potrebbero andare le cose. Per il momento vivo il mio bellissimo presente.

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Davanti alla Porta Santa

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RAI VATICANO

È in onda la domenica a mezzanotte e 45 su Rai 1 (disponibile su RaiPlay) il nuovo settimanale di Rai Vaticano “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza” condotto da Stefano Ziantoni

Per la prima volta un’intera trasmissione della Rai è stata realizzata di fronte alla Porta Santa della Basilica di San Pietro.  Un evento che ha segnato l’avvio di “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza”, il nuovo programma di Rai Vaticano che vede la collaborazione della Santa Sede – Dicastero per la Comunicazione. In onda da domenica scorsa a mezzanotte e 45 su Rai 1 (e sempre disponibile su RaiPlay), sarà un viaggio lungo e appassionante che condurrà i telespettatori al Giubileo del 2025. “Come pellegrini scopriremo tanti luoghi sconosciuti e meravigliosi dell’Italia – afferma Stefano Ziantoni, responsabile di Rai Vaticano e conduttore del programma – conosceremo tante particolarità dal mondo, ma soprattutto sarà un pellegrinaggio in preparazione all’apertura della Porta Santa. Un programma di tutti, non solo di una parte, perché Il pellegrino non è solo un cattolico, un cristiano, un credente, il pellegrino può anche essere un turista. Ci siamo posti l’obiettivo di raccontare un cammino attraverso l’interiorità di ognuno, non escludendo nessuno. Attingendo alle storie, ai racconti, ai personaggi, riusciamo ad abbracciare tutte queste persone, sia in Italia che all’estero”. Alla presentazione alla stampa di “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza”, monsignore Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero dell’Evangelizzazione, delegato da Papa Francesco all’organizzazione dell’Anno Santo 2025. Per Fisichella il Giubileo “deve consentire al pellegrino di scoprire anche le bellezze del nostro Paese”, proprio come accade a un turista, e “consentire al turista che vede un pellegrino in processione, di riflettere, di chiedersi chi sia e cosa stia facendo. Poi c’è anche un Giubileo che vuole parlare con la città di Roma e recuperare quei luoghi, soprattutto quelle piazze, che sono luogo dell’incontro, dello scambio, luoghi in cui le persone possono conoscersi e creare amicizie che durano un’intera vita”. Le parole “Pellegrini” e “speranza”, sono state scelte da Papa Francesco come motto dell’Anno Santo. Il programma va in onda dal nuovo studio di Rai Vaticano.

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Una fiamma bellissima

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RON

Un viaggio, umano e artistico, lungo ben cinquanta anni, le sue canzoni incise come capolavori della musica italiana. Alle sue spalle i grandi maestri, e uno sguardo attento alle nuove leve che hanno “acceso una fiamma bellissima” nell’ultimo Sanremo targato Amadeus. “Premio alla carriera” nell’ultima edizione del “Premio Tenco”, il cantautore regala a tutti noi una magistrale rilettura di “Lontano Lontano” di Luigi Tenco, disponibile in radio e in streaming. Il tour teatrale parte da Vercelli martedì 27 febbraio

In cammino da alcuni decenni per raggiungere il centro esatto della musica. Che viaggio è stato?

Sono stati anni straordinari, in cui siamo passati in mezzo a momenti unici e gratificanti, non sempre semplice. Questo viaggio è stato l’inizio di qualcosa di bello, di unico, proprio perché quello che facevamo era tutto vero, non c’erano sotterfugi, non c’era qualcosa di nascosto, tutto avveniva alla luce del sole. Chi ce la faceva, ed erano davvero in tanti, compreso me, aveva dietro le spalle qualcosa di straordinario. Insomma, è stato un viaggio meraviglioso.

Come è cambiato, nel tempo, il rapporto con il suo pubblico?

Il mio pubblico è fatto di miei coetanei che mi seguono dagli inizi, persone che mi hanno sempre seguito nei concerti, creando sempre un’atmosfera magica. È sempre stato un grande pubblico, soprattutto onesto che ha sempre avuto voglia, ogni volta che mi incontrava per strada, di dire esattamente quello che pensava di me, di un disco appena uscito.

La sua musica ha sempre raccontato la contemporaneità senza mai perdere contatto con ciò che siamo stati. Cosa significa essere un cantautore oggi?

I tempi sono cambiati… “ieri” essere un cantautore voleva significare molto. Avevamo dei maestri, da Lucio Dalla a Fabrizio De André o Pino Daniele, grandi nomi, montagne straordinarie che hanno trascinato altri autori, tra i quali c’ero anche io. Esserlo oggi non so quanto conti, c’è una nuova realtà fatta di ragazzi molto giovani, legati al mondo del rap, alcuni, tra l’altro, molto bravi. Lazza, Mahmood e Ghali, per esempio, mi piacciono tantissimo. Non sono solo cantautori, hanno già alle spalle una gran bella esperienza. Negli anni ’70 e ’80 chi faceva questo mestiere aveva davvero molto da dire, c’era voglia di stare insieme, anche molti giorni di seguito, per creare qualcosa, per condividere la musica.

La musica sta cambiando, cosa le piace delle nuove leve? Cosa le è piaciuto dell’ultimo Sanremo?

Sono rimasto molto colpito quest’anno dal Festival, in particolare della serata dedicata alle cover, un momento musicale e di spettacolo veramente importante, di grande qualità che ha acceso una fiamma bellissima. Gli artisti presenti sul palco hanno lavorato anche su un repertorio non loro con un’attenzione immensa alla musica, a quello che c’è dietro, hanno provato e fatto provare emozioni altissime. Mi sono ritrovato in un mondo molto lontano dal classico Sanremo. Amadeus ha lavorato molto bene per quella giornata, che sono certo rimarrà nella memoria.

Cosa le piace raccontare con le sue canzoni?

Cerco di raccontare me stesso, senza farlo pesare, magari anche con storie inventate, d’amore… Ho sempre cercato di avere come riferimento me stesso e, con grande meraviglia, mi sono anche reso conto che le tematiche che affrontavo con la mia musica erano comunque vicine alla gente. Per me una soddisfazione enorme, perché mi sono reso conto di raccontare qualcosa che, alla fine, appartiene a tutti.

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In strada con il cuore

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Il conduttore di “Dalla strada al palco” su Rai 2 parla della terza edizione del programma del martedì sera: «Gli artisti vengono da noi per liberare la loro energia, per darsi al pubblico con generosità. Dico loro di divertirsi e di vivere intensamente l’esperienza»

Dal palco dell’Ariston a “Dalla strada al palco” su Rai 2 nel giro di pochi giorni. Filippo, un febbraio a dir poco intenso…

Poco prima di Sanremo ho saputo che il programma sarebbe ripartito a fine febbraio e così ci siamo messi subito all’opera. Il tanto lavoro non mi spaventa, più cose faccio più sono contento (sorride). Fare “Dalla strada al palco” mi dà soddisfazione e in più mi consente di imparare una nuova professione, quella del conduttore. Fare cose nuove continua a essere per me molto affascinante.

Come è stato ritrovare la sua piazza televisiva?

È bello ritrovare gli autori, le persone che lavorano con me sin dalla prima edizione. Nonostante il programma sia abbastanza rodato bisogna fare comunque grande attenzione, perché dietro l’angolo può esserci sempre una sorpresa. Accade in uno studio televisivo così come può accadere sul palco di un concerto. Registriamo solo perché lo richiedono i cambi di palco e scenografia tra un’esibizione e l’altra, ma il programma si svolge come se fosse in diretta. Fare televisione mi consente di mettermi alla prova, di studiare un linguaggio diverso.

Cosa consiglia agli artisti in gara prima che si esibiscano?

Li invito solo a divertirsi, a vivere con il sorriso un’esperienza importante che può lasciare loro un bel ricordo. Quando riesco a entrare un po’ più in confidenza li invito a pensare che la Tv è solo una piazza più grande, con un numero maggiore di persone che guarda. Certo, ci può essere un po’ più di emozione, è comprensibile. La maggior parte degli artisti che prende parte al programma torna volentieri a esibirsi nelle piazze e nelle strade dove sono stati selezionati dalla redazione.

Che cos’hanno in comune un artista che calca le tavole di un teatro o che si esibisce in uno studio Tv e uno che per esibirsi sceglie la strada?

La passione, l’amore per ciò che fanno. C’è chi lascia il Teatro alla Scala, l’opera di Vienna, per stare sulla strada. Perché magari è proprio questa a farlo sentire meglio. Spesso sono loro stessi a dirlo mentre si raccontano. Un artista vuole comunicare un’emozione, se lavori per strada cerchi di catalizzare l’attenzione dei passanti, se fai televisione fai tutto il possibile affinché la gente non cambi canale. Il principio è lo stesso.

Si è mai esibito per strada?

All’inizio della mia carriera mi esibivo sempre nelle piazze, e come accade quando lo fai per strada, devi tenere il pubblico stretto a te, catturare lo sguardo delle persone. Se il pubblico non è interessato si distrae, se non gli piaci ti fischia anche. Devi essere efficace il più possibile.

Cosa significa essere un artista oggi?

Oggi come sempre significa riuscire a trasmettere quello che hai dentro, trasferendolo agli altri nel modo migliore. Oggi ci si scontra con nuove difficoltà, con un mondo più frenetico, dove la musica non la compri con un disco, ma la prendi per così dire in prestito. Anche la concezione dell’artista stesso è a breve e non a lungo termine. Molto è cambiato da quando ho cominciato io, quando c’erano ancora i dischi, i vinili, che oggi sono diventati oggetti di culto. Pensi che mia figlia quando li ha visti per la prima volta non sapeva neanche cosa fossero.  Ha 14 anni e utilizza le piattaforme…

Lo dice con un po’ di nostalgia…

Compravamo il disco che rimaneva nelle nostre mani. Oggi la musica non esiste, è come se fosse polvere nell’aria, non è niente di noi.

Hai partecipato a Sanremo, palco che raccoglie esperienze musicali diverse, che fotografa scatta della contemporaneità musicale. Cosa le piace della musica di oggi?

Vedo una involuzione. Penso alla musica che ascolta mia figlia, trap ma non solo. Da musicista sono molto attento alla costruzione della canzone, anche quando il genere è molto lontano dal mio mondo, e vedo un ritorno al passato, in molti utilizzando ad esempio gli strumenti come avveniva in passato.

Il pubblico televisivo sta dimostrando di volerle bene anche nelle vesti di conduttore… se lo aspettava?

Mi fa sicuramente felice ma non me lo aspettavo. Cerco di trovare empatia con gli ospiti, con il pubblico. Oggi la televisione offre tanto di tutto, non è facile essere attrattivi. Detto questo faccio sempre del mio meglio, pur cercando di non essere schiacciato dai dati d’ascolto, dalle classifiche. Cerco di crescere, di migliorare a ogni stagione. Se ciò che faccio piace alla gente significa che sto facendo un buon lavoro e che quindi la strada è giusta. Mi auguro che sempre più persone si affezionino a un programma che già riceve tanto affetto. “Dalla strada al palco” è una scommessa vinta anche dagli stessi autori, Carlo Conti che ha ideato il programma in testo.

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Vi racconto 70 anni di Tv

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MASSIMO GILETTI

Un viaggio di ricordi e di emozioni nei settant’anni della televisione italiana. Mercoledì 28 febbraio in prima serata su Rai 1 dall’Auditorium del Foro Italico di Roma

La Tv fa 70, sei pronto a festeggiarla?

Siamo pronti a vivere questo lungo viaggio. Raccontare settant’anni è un evento vero, che porta a riavvolgere il nastro della storia del nostro Paese. Ricorderemo attraverso gli occhi dei grandi nomi che avremo in studio che cosa è stata e che cos’era la Tv, scopriremo per esempio che Maria De Filippi la usava come un mero elettrodomestico senza pensarci, come compagnia mentre studiava al liceo o all’università, o che quella acquistata dalla mamma di Piero Chiambretti nel 1966 era un richiamo per tutto il condominio. È un passo indietro che ripercorrere veramente la storia dell’Italia.

Il racconto di una storia intensa ed emozionante. Da dove si comincia?

I compagni di viaggio sono i padri costituenti della televisione, non si capisce se siano loro stessi la televisione, parlo di Pippo Baudo e di Renzo Arbore, punti di riferimento di questa grande serata. Attorno a loro ruoteranno tutti i numeri uno della tv, da Paolo Bonolis a Carlo Conti, da Amadeus ad Alberto Angela, da Enrico Mentana a Bruno Vespa, da Simona Ventura ad Antonella Clerici. Un racconto inframezzato dalle voci di alcune protagoniste, ne cito una su tutte, Serena Rossi, che canterà una delle canzoni emotivamente più importanti di Raffaella Carrà.

Cosa ti colpisce di più nel passare in rassegna tanti anni di storia?

Mi incuriosisce il fatto che forse aveva ragione il linguista Giacomo Devoto, quando disse “fra trent’anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione”. Una specie di avvertimento. Oggi ci sono anche i social, siamo andati oltre, pur avendo la Tv ha ancora un suo ruolo. La stessa politica passa solo attraverso la televisione con le varie forme di Talk show.

Qual è il tuo primo ricordo da telespettatore?

Ho due ricordi di quando ero ragazzino. Mi piaceva da morire una cantante francese, Sylvie Vartan, che cantava un brano che faceva “buonasera, buonasera, che piacere che mi fa incontrarmi di nuovo con te…”. Il sogno erotico di Massimo Giletti bambino era proprio Sylvie Vartan (sorride). Ricordo anche la mia prima trasgressione, che mi riporta a Italia-Germania 4-3, ai Mondiali di calcio del 1970. Ero bambino, allora si andava a letto dopo “Carosello”, ma quella volta mi nascosi dietro ad alcune poltrone. Quando segnò Gigi Riva uscii urlando. Fu una violazione delle regole, ma rimasi fino alla fine.

Prendi la macchina del tempo e scegli tre momenti della storia della Tv nei quali materializzarti…

Mi sarebbe piaciuto conoscere l’ingegner Alessandro Banfi, protagonista, a Torino negli anni Trenta, delle prime sperimentazioni su quella che sarebbe stata la televisione negli anni Cinquanta. Mi sarebbe piaciuto anche conoscere meglio Sergio Zavoli, che trovavo molto interessante da un punto di vista giornalistico. Chiederei, infine, alla macchina del tempo di portarmi a Berlino alla finale dei Mondiali di calcio del 2006. Mi sarebbe piaciuto vivere da telecronista quella partita.

La Tv ha 70 anni, e tu la frequenti da oltre 30. Che ricordi hai dell’esordio in Rai?

Ne ho fatti due. Il primo ai tempi di “Mixer” sotto casa di Giulio Andreotti. Fu il mio primissimo esordio televisivo nella notte drammatica in cui arrivò l’avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Alle 4.30 ero lì sotto casa, unica telecamera della Rai. Raccolsi il passaggio di Andreotti, andata e ritorno verso la chiesa. E poi l’esordio, nel 1994, in una mattina di ottobre, a “Mattina in famiglia”, la mia prima diretta nazionale. Mi è capitato di riguardarmi e fui sciolto, come se quel Giletti lì avesse fatto la televisione da sempre.

Da spettatore che rapporto hai con la Tv?

Un rapporto frenetico perché cerco di vedere più cose contemporaneamente. È un po’ un rapporto di odio e amore, anche perché per lavoro devo vederla anche quando vorrei fare altro (sorride).

Il tuo augurio alla Rai…

Maria De Filippi mi ha confidato un giorno che mai nessun dirigente le ha chiesto di venire a lavorare in Rai. L’augurio che faccio all’Azienda è di aprirsi a nuovi orizzonti, di guardare al futuro con una grande forza.

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