Il racconto dell’ultimo spettacolo dell’Étoile, omaggio televisivo a una carriera straordinaria. Venerdì 29 marzo in prima serata su Rai 3
Una luce illumina una ballerina sul palco. È Eleonora Abbagnato, étoile dell’Opera di Parigi, che sta per vivere la sua serata d’addio al celebre teatro francese. Un momento intimo, nel quale poter ripensare a un viaggio lungo ed emozionante.Un racconto vivo e coinvolgente che testimonia la grande storia d’amore tra l’artista e la danza, e fa scoprire il coraggio e la determinazione di una ragazzina siciliana che ha inseguito il suo grande desiderio e alla fine l’ha realizzato, dimostrando che nessun sogno è impossibile.“Eleonora Abbagnato. Una stella che danza”, una produzione 11 Marzo Film in collaborazione con Rai Documentari, in onda venerdì 29 marzo in prima serata su Rai 3, è stato presentato in anteprima il 20 marzo al Bif&st – Bari International Film & Tv Festival, uno dei più importanti eventi culturali italiani.Attraverso repertorio inedito della sua infanzia e dei suoi spettacoli, e testimonianze di amici, parenti e compagni d’arte, ma anche dei grandi artisti con cui Eleonora ha collaborato, il documentario restituisce la potenza, la fatica e la magia della danza attraverso la storia di una delle sue più importanti esponenti. Racconta la danza, l’arte e il talento, ma anche la determinazione e la tenacia di una donna incredibile che ha dato tutta se stessa per raggiungere il proprio sogno, riuscendo a diventare la prima Étoile italiana dell’Opéra di Parigi, fino ad arrivare alla sua celebre Soirée d’adieux, a coronamento di ventotto anni di brillante carriera. Un percorso che ci dimostra quanto sia importante non arrendersi mai e non perdere di vista i nostri sogni, per poterli raggiungere.
Personaggi fuori dal comune, i loro pensieri, le loro azioni. Dopo la prima puntata dedicata a Gabriele D’Annunzio, ora disponibile su RaiPlay, appuntamento la domenica in seconda serata su Rai 3 con Filippo Tommaso Marinetti, Giovannino Guareschi, Giuseppe Mazzini
Un viaggio che intreccia il documentario storico all’interpretazione teatrale. Nel nuovo programma di Rai Cultura, Edoardo Sylos Labini ci conduce alla scoperta di vite “Inimitabili”. Al centro del programma uomini di rottura e di passione, raccontati nelle pieghe della loro vita interiore. Potenti “atti unici” intessuti dalle interpretazioni di Sylos Labini, che via via si incarna e dà vita agli “Inimitabili”, attraverso le loro parole e i passaggi cruciali delle loro esistenze fuori dall’ordinario. Un racconto arricchito dalle interviste agli esperti, ai familiari e agli storici e dalle riprese dei luoghi dove gli “Inimitabili” hanno vissuto e agito.
Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo, la prima grande avanguardia che fece irruzione sulla scena internazionale demolendo la quiete ottocentesca dell’arte e della letteratura. Poeta, scrittore, drammaturgo, Marinetti ha dato il là al movimento d’avanguardia che a partire dal 1909, anno di pubblicazione del primo manifesto futurista, ha influenzato tutte le arti. Con interviste all’ex direttore della Vallecchi, una delle prime case editrici del Futurismo, Umberto Croppi, al regista Luca Verdone, allo storico Francesco Perfetti e alla critica d’arte Francesca Barbi Marinetti, nipote di Filippo Tommaso Marinetti.
Giovannino Guareschi, bastian contrario della cultura, cantore di quel “mondo piccolo” tradizionale della provincia italiana. Illustratore, scrittore, umorista e fondatore di periodici, Guareschi è stato anche il “papà” di Don Camillo e Peppone, la cui fama, cartacea e cinematografica, non ha mai visto fine e che hanno trasformato Brescello in set permanente. Intervengono nel racconto gli storici Giuseppe Pardini e Giuseppe Parlato, il direttore del Memoriale di Sandbostel Andreas Ehresmann, il giornalista Marco Ferrazzoli e Alberto Guareschi, figlio di Giovannino.
E infine Giuseppe Mazzini, profeta del Risorgimento, esule per tutta la vita, padre della Patria italiana, ispiratore di quella agognata Repubblica che sarebbe venuta alla luce più di settanta anni dopo la sua morte. Fondatore della Giovine Italia, il patriota genovese cospirò per gran parte della sua esistenza infiammando gli animi di tanti giovani che si immolarono per la causa italiana. Il racconto è arricchito dalle interviste a Elena Bacchin, Alessandro Campi, Giovanni Belardelli e Roberto Balzani.
“Inimitabili”, prodotto da Rai Cultura, è un programma di Sylos Labini e Angelo Crespi, scritto con Roberto Fagiolo e Massimiliano Griner, per la regia di Claudio Del Signore.
Disco d’oro per il successo sanremese “Ma non tutta la vita” e una tournée per la quale si prevede il tutto esaurito. Angela Brambati e Angelo Sotgiu stanno facendo cantare l’Italia intera: «Stiamo vivendo una favola bellissima»
“Ma non tutta la vita” è disco d’oro. Come vivete questo prestigioso riconoscimento?
Angela: Per me è una favola. È qualcosa che non ho ancora realizzato del tutto.
Angelo: Con tanto piacere e tanta soddisfazione. Siamo stati premiati dal pubblico per il nostro lavoro, per il nostro impegno.
Al vostro esordio all’Ariston avete sorpreso il pubblico…
Angela: Siamo saliti sul palco completamente avvolti da un grande fiocco rosso che abbiamo indossato per tutta la nostra prima esibizione (sorride). Ci siamo presentati in due, e per noi è stata la prima volta, e con una canzone in cui credevamo e che speravamo potesse avere successo.
Angelo: Non ci aspettavamo, dopo 32 anni, di tornare a Sanremo. Esserci andati è stata la cosa più importante.
Come avete vissuto il palco dell’Ariston dopo così tanto tempo?
Angelo: Con felicità e difficoltà allo stesso tempo, perché negli anni tutto è cambiato. Una volta si facevano poche interviste e la cosa più importante era salire sul palco e cantare. Oggi le cose si sono un po’ invertite, è importante il lavoro che devi fare per i social, e poi anche cantare.
Per la prima volta vi siete esibiti in due. Cosa ha significato per voi?
Angela: Abbiamo iniziato da tempo una nuova vita a due. Abbiamo sempre amato la musica senza mai pensare di smettere. Sono già otto anni che cantiamo in coppia, facendo tournée in Italia e all’estero. Questa canzone ci ha consacrati come duo.
Piacete ai bambini, agli adulti, ai nonni. Qual è la vostra forza?
Angela: Penso che sia un insieme di cose. A Sanremo, ad esempio, abbiamo indossato abiti bellissimi di stilisti che li hanno scelti per noi. La canzone era molto bella e noi ci abbiamo messo tutto di noi stessi, anche scherzando e ridendo, così come accade nella vita reale.
Il momento più bello di questi ultimi otto anni di carriera?
Angelo: Non uno ma tanti, i concerti che facciamo, le serate. Tutto questo è sempre una sorpresa.
A maggio parte una anteprima del vostro tour, per alcune date è tutto esaurito…
Angelo: Esatto. Milano, Roma e altre date sono già sold out e speriamo che lo diventino tutte (sorride).
“Ma non tutta la vita” è tra le canzoni più virali del momento su TikTok. Che rapporto avete con i social?
Angelo: Angela segue il suo e io il mio. È un rapporto molto leggero. Io leggo le notizie, mi informo.
Angela: Mi capita di rispondere a dei messaggi, pur non trascorrendo la giornata sui social. Leggo ogni tanto, mi fa piacere ricevere apprezzamento. Impareremo comunque a essere più presenti (sorride).
Vi aspettavate tanto successo sui social media?
Angela: Abbiamo un seguito di giovanissimi, perché credo che li divertiamo.
Angelo: Ci sono molti ragazzi che ci seguono e che iniziano ad apprezzare la nostra musica. Per noi è una grande soddisfazione.
“Ma non tutta la vita” è una dichiarazione di intenti, una traduzione in chiave pop della filosofia dell’attimo. Voi quando lo avete colto in maniera decisiva quell’attimo?
Angelo: Probabilmente quando abbiamo conosciuto Fabrizio De André che ci portò a fare un provino a Milano. Non andò bene, non ci presero, ma lui ci spronò ad andare avanti dicendoci che avremmo avuto successo ugualmente. Noi continuammo così, a studiare e a fare altri provini. Quello forse è stato l’attimo giusto.
Il videoclip della vostra canzone è come un ritorno al passato, ma con un passo deciso verso il futuro?
Angela: Ilpassato lo vediamo lontano. Siamo concentrati sul presente e sul futuro, in questo particolare momento ci sembra di essere rinati.
Angelo: Non rinneghiamo nulla del passato, ma siamo concentrati su quello che facciamo oggi.
Icone della musica italiana, grandissimo successo all’estero. Dove amate di più esibirvi?
Angelo: Ultimamente siamo stati in Cile, dove abbiamo ricevuto un’accoglienza incredibile, cosa che non pensavamo. Lì mi piacerebbe tornare, così come in tutto il Sud America, per poterci esibire anche in altri contesti.
Nelle vostre esibizioni il divertimento non manca…
Angela: Per fortuna!
La canzone a cui siete più legati qual è?
Angelo: Credo che siamo d’accordo nel dire “Sarà perché ti amo”. È quella che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo.
Angela: È lei. La cantano tuttora negli stadi, un brano di grandissimo successo. La può cantare chiunque e c’è anche chi cambia le parole. È molto divertente.
Come fate a non fermarvi mai?
Angela: Oggi dormiamo poco, mangiamo poco, ma ce la facciamo. Ogni tanto ci prendiamo una breve pausa in cui io non esco di casa per due o tre giorni e dormo tantissimo per recuperare. Poi riparto.
Angelo: Questo non è un mestiere ma una passione vera e propria. È quello che ci porta avanti sempre.
Avete mai pensato di fare una pausa un po’ più lunga?
Angela: Mai.
A cosa avete rinunciato per il vostro successo?
Angelo: Abbiamo forse trascurato un pochino la famiglia lavorando all’estero. Ma abbiamo fatto quello che potevamo fare. Non siamo i soli a stare lontani, ci sono tanti mestieri molto più difficili del nostro che portano lontano, purtroppo, dai propri cari.
A parte il tour, qual è la vostra prossima sfida?
Angelo: È tutto in divenire.
Angela: Andremo in sala d’incisione per registrare in lingua catalana, e poi arriveranno nuove canzoni.
Che saluto volete fare ai lettori del RadiocorriereTv?
Angela: Continuate a seguire questo bellissimo giornale, che io leggo. E se ci sono i Ricchi e Poveri, è ancora più bello! (sorride)
In questa storia di sorellanza, di quale femminile sono portatrici queste donne?
SAVINO: La mia Marina Battaglia sicuramente di un femminile forte. È una donna che non molla mai e questa forza ha cercato di trasmetterla anche alle figlie, ciascuna delle quali l’ha accolta secondo la propria personalità. Dovrebbe andare in pensione, ma non ne ha nessuna intenzione perché ama il suo lavoro, ne ha fatto il centro della sua vita. È ironica, tagliente, con la battuta fulminante, si capisce che, per arrivare nella sua posizione, ha lottato molto.
OCCHIONERO: Viola è la controparte, l’unica delle sorelle Battaglia che ha scelto di non seguire le orme della madre, ma di trovare liberamente la propria strada, di assecondare la propria personalità. È un po’ la nemesi di sua madre Marina (ride), il lavoro non è assolutamente il centro della sua vita, piuttosto è una giovane donna in connessione con i sentimenti, con l’amore.
SIGNORIS: Il mio personaggio, dopo il divorzio ha iniziato un cammino di ricostruzione della sua vita, vive una sorta di revanscismo femminile, riemerge dalle sue ceneri e si getta a capofitto in una nuova avventura. Apre una attività tutta sua, un ristornante, ma si trova sotto attacco degli hater sui social, di chi si nasconde dietro una tastiera per demolire l’altro. Ancora una volta dovrà ricorrere all’aiuto legale di una donna Battaglia, e questa volta a difenderla ci sarà Marina, la più cattiva di tutte.
Cosa significa per queste donne prendersi cura di sé e ricercare la propria felicità?
SIGNORIS: Le donne, in generale, hanno la straordinaria abilità di rimboccarsi le maniche e andare avanti, dobbiamo farlo per forza. Nella serie tutte le protagoniste devono affrontare un problema, e lo fanno a testa alta, prendendosi per mano, difendendosi, proteggendosi a vicenda con amore. È lo spirito della sorellanza che prevale, che non vuol dire certamente essere contro i maschi.
SAVINO: Marina capisce al volo quando le figlie soffrono, nonostante tra queste donne ci sia un rapporto non proprio facile, lineare. Spesso tendono a escluderla o la informano di qualcosa sempre per ultima, ma lei sa sempre quando è il momento di intervenire, di unire le forze. Per le sue ragazze è in prima linea, così come nel lavoro.
OCCHIONERO: Ci sono stili molto diversi di affrontare la vita e il lavoro, quello che per me è davvero interessante è il modo in cui i personaggi entrano in relazione tra loro. Carla, per esempio, aiuterà la piccola Viola a inserirsi nel lavoro, tra loro si crea complicità e sapranno sostenersi nelle difficoltà.
Tra le tante sfumature di questo racconto, quale vi ha colpito di più?
SIGNORIS: È una serie estremamente elegante, attuale, con delle belle luci, girata, scritta e interpretata benissimo. Sono davvero felice di esserne parte.
SAVINO: Io mi dichiaro femminista, non credo che sia la definizione giusta per Marina Battaglia, penso che lei lo sia nelle azioni più che nelle parole, anche se a un certo punto saprà emozionare con un discorso sulle battaglie che ha dovuto fare per affermarsi in un mondo così maschile come quello della avvocatura. Eccellere non era facile, soprattutto alle donne della sua generazione – guarda caso anche la mia. Ecco perché la sua testimonianza è importante, così come l’esempio di queste donne capaci di essere protagoniste della loro vita, di scegliere il proprio destino. Non succede spesso in televisione, al cinema ancora meno.
OCCHIONERO: La sceneggiatrice Lisa Nur Sultan ha centrato il tema, in alcuni casi, come quando raccontiamo del mondo degli influencer, ha perfino anticipato i tempi. Viola vuole emanciparsi dalla sua famiglia, cerca casa e, come sappiamo, Milano conosce da anni una crisi abitativa molto forte. I più colpiti, ovviamente, sono i giovani per i quali anche il lavoro non è più una garanzia, precario, sottopagato, spesso poco tutelato o senza diritti garantiti. Anche per questo è un racconto molto contemporaneo, perfettamente allineato con quello che vivono le persone della mia generazione.
Che caratteristiche deve avere un personaggio per conquistare l’affetto dello spettatore?
SIGNORIS: Renderlo vicino, attuale, affinché tutti, in un modo o in un altro, possano rispecchiarsi, immedesimarsi nelle loro vicissitudini.
SAVINO: La qualità della recitazione è un punto di forza, ma anche la capacità di restituire al pubblico l’umanità di un personaggio. Chi guarda, anche attraverso il sorriso, l’ironia o la battuta, può ritrovare una tipologia umana riconoscibile.
OCCHIONERO: Quello che posso aggiungere è che tutto questo viene fuori esclusivamente in relazione. Il nostro lavoro esiste perché esistono gli altri, la nostra fortuna è stata portare avanti un dialogo molto proficuo.
Giorgio Marchesi (Massimo Munari) – Barbora Bobulova (Anna Battaglia) – Thomas Trabacchi (Alberto Casorati)
Da dove siete ripartiti?
BOBULOVA: Anna dal casino della prima stagione, divisa tra il marito Alberto e Massimo, la sua vecchia passione, non mi piace usare la parola amante. È un triangolo che le crea inquietudine, caratteristica comune a tutti gli altri personaggi. Si creano diversi cortocircuiti, tutti sono davanti a un bivio e saranno costretti a prendere delle decisioni, con dei piccoli colpi di scena.
MARCHESI: È una serie ben inserita nella contemporaneità, a partire dalla scrittura che delinea personaggi maturi, che non nascondono i propri difetti. Non assistiamo a grandi solchi tra il maschile e femminile, le donne non sono in competizione con i colleghi, anche se mi è capitato di parlare con ragazze giovani che hanno spiegato come per non soccombere negli ambienti professionali prettamente maschili devono spesso imporsi.
TRABACCHI: Si affrontano tanti temi e tutti hanno l’occasione per riflettere su ciò che a tutti accade, o potrebbe accadere, nella propria vita.
Una serie molto amata dal pubblico, quali le ragioni di questo successo?
TRABACCHI: Rispondo da spettatore… c’è un cast di attori che non mente, o sono molto bravi a farlo, la scrittura è perfetta, la regia ha supportato il nostro lavoro e lo ha reso molto interessante.
BOBULOVA: Se un personaggio è scritto bene per l’attore è tutto molto più facile. Poi ciascuno ci mette del suo, arricchisce il proprio protagonista della giusta complessità.
MARCHESI: L’empatia è fondamentale, rende questi personaggi vicini. Le Battaglia sono persone con una vita normale, hanno un lavoro, una famiglia, vivono la loro femminilità senza problemi, gli uomini non vivono la competizione con loro, in molte case italiane questa è la normalità. Almeno mi auguro che sia così, sarebbe preoccupante il contrario.
Storie di donne che affermano se stesse e di uomini che…
BOBULOVA: Le protagoniste sono certamente le donne, anche se io non avverto questa differenza tra femminile e maschile, perché tutti personaggi sono attraversati da un dilemma e costretti ad affrontarlo.
MARCHESI: La cosa bella di questa serie è che al pubblico viene restituita una fotografia coerente con la contemporaneità, fatta di donne molto moderne, di uomini in ascolto e capaci di rispettare le loro scelte. Sono esseri umani, ognuno alle prese con delle difficoltà, non ci sono dei buoni e dei cattivi, ma persone libere di scegliere.
TRABACCHI: Gli uomini si relazionano normalmente, a dimostrazione del fatto che in una ipotetica società, costruita meglio dell’attuale, con una maggior parità di genere, l’uomo non perde niente. Come ben dicono gli esperti, siamo divisi in due, maschile e femminile, ciascuno poi coltiva il proprio equilibrio. Nella nostra storia c’è un microcosmo fortunato, è il vantaggio dei film, in cui i ruoli fissi sono in sintonia con queste parti, tutto avviene in modo molto naturale.
I casi di puntata sono una buona occasione per riflettere sulla sempre più complessa questione dei diritti…
TRABACCHI: C’è chi lo fa di professione, la difesa dei diritti, come nel caso degli avvocati della serie, e chi, come ogni essere umano, lo deve fare nella propria vita. Sono battaglie che dobbiamo continuare a mettere in atto, perché i diritti non sono scontati. Assistiamo troppo spesso alla messa in discussione del nostro stato di diritto, ci sono rigurgiti più o meno reazionari in cui si afferma che le persone non sono tutte uguali, che gli uomini e le donne non hanno uguali diritti. Gli avvocati diventano così i migliori “soldati” a disposizione, anche se io un po’ diffido di loro nella vita reale (sorride).
BOBULOVA: Sono pienamente d’accordo, non bisogna mai abbassare la guardia, basta vedere quello che sta succedendo nel mondo, si rimette in discussione, per esempio, il diritto sull’aborto, conquistato con molte lotte nel passato.
MARCHESI: Nel nostro Paese godiamo, in teoria, di una grande libertà, spesso però nella vita reale le cose non sono così lineari. Rubo il motto di Unita, una importante Associazione di interpreti, “differenti interpretazioni, uguali diritti” per dire che la differenza tra le persone, per mille motivi culturali, di genere, di provenienza, resta una opportunità. Rispettando la differenza, il diritto di scegliere deve essere lo stesso per tutti, questo per me è fondamentale.
In una società che viaggia con il turbo, in che modo i vostri personaggi si relazionano con il concetto di felicità, della cura di sé e dell’altro?
TRABACCHI: Bisognerebbe avere un vocabolario comune, capire cos’è la felicità, una chimera o no… Secondo me tutti dovremmo imparare a parlare meno e ascoltare di più, provare ad avere cura dell’altro per imparare a prenderci cura di noi stessi. È quello che accade in qualche modo ad Alberto, un uomo che si risolve molto nell’altro. Dovremmo ragionare in termini collettivi, i giovani lo hanno capito bene, sono migliori di noi perché sono collegati con qualcosa di più grande. Io sono nato nel ’65 e, mio malgrado, sono un uomo egoico che non ascolta molto. Si parte dagli altri per arrivare a se stessi, un’opinione personale difficilissima da mettere in atto.
MARCHESI: Credo, però, che il benessere personale, interiore sia fondamentale per farci stare meglio con noi stessi. È necessario prendersi cura della propria persona, ritagliarsi degli spazi, ricaricare le energie per essere attento all’altro. Massimo è uno che si butta nello sport, ma è un single, non ha molte altre persone a cui dedicare il proprio tempo, anche se avrebbe trovato in Anna la donna con la quale fare il grande passo.
BOBULOVA: I nostri personaggi hanno tutti un momento di inciampo, in cui perdono di vista loro stessi. Penso che la società in cui viviamo sia stata costruita in modo che, prima o poi, le persone non riescano a rimanere integre. È una situazione molto pericolosa, è sempre più difficile prendersi cura di sé, anche se ci illudiamo di farlo.
MARCHESI: Dovremmo avere il coraggio, ogni tanto, di fermarci e godere anche del silenzio.
Pochi giorni al debutto, tra giochi confermati (“Segui il labiale”, “Rumori di mimo”, “Stanza inclinata”), novità e ospiti pronti a divertirsi, ci racconta l’edizione che sta per partire?
Festeggiamo la decima con i grandi classici di “STEP”, giochi che hanno fatto divertire il pubblico televisivo nel corso degli anni. Lo facciamo introducendo qualche nuovo ospite, non ancora passato su nostro divano, e rimpinguando il cast fisso. A Biagio Izzo e Francesco Paolantoni si aggiungono quest’anno Giovanni Esposito ed Herbert Ballerina. La compagnia di giro diventa ancora più stabile (sorride). Insieme a loro saranno numerosi gli amici che ci verranno a trovare per trascorrere una serata di divertimento insieme, penso a Massimo Lopez, a Mara Maionchi e a tanti altri.
In questi cinque anni il pubblico l’ha vista crescere professionalmente, con “Bar Stella”, con le piazze e la musica di “Tim Summer Hits”, con il one man show delle feste natalizie… chi è Stefano De Martino oggi?
Uno che si sta facendo le ossa sul campo e che ha imparato questo mestiere facendolo, giorno dopo giorno. Me lo godo sempre di più, perché sviluppando un minimo di abilità riesci anche a curare meglio il dettaglio, perché sei meno preoccupato da ciò che devi fare in prima persona e puoi dedicarti al contesto. Quando ho ereditato “Stasera tutto è possibile” da Amadeus, ero veramente molto più acerbo. Ora, alla sesta edizione, lo firmo insieme agli altri autori: è una cosa che mi fa piacere, mi dà gusto, sono contento di essere partecipe di tutto il processo creativo. La stessa cosa accade con “Bar Stella”, che mi ha aiutato ancora di più a sviluppare la parte autorale. Sto dando un po’ di esami in questa facoltà della televisione, pian piano ci stiamo avvicinando alla tesi di laurea (sorride).
Romantico e sognatore in “Bar Stella”, decisamente più scanzonato a “Stasera tutto è possibile”, qual è la sua vera anima?
A “Bar Stella” siamo un po’ più romantici, nostalgici, ogni tanto strizziamo l’occhio al mondo intellettuale, sul fronte “STEP” si frequenta la leggerezza, che può sembrare frivola, ma in realtà per essere leggeri bisogna conoscere i vari aspetti della vita, averli testati tutti. Credo che la leggerezza sia una grande chiave per affrontare la vita. La mia anima è al centro di questi due poli quasi opposti.
La sua è una popolarità trasversale e genuina, come è cambiato, negli anni, il suo rapporto con il pubblico?
È un rapporto cresciuto nel tempo. Tutto è iniziato ad “Amici”, poi sono diventato noto per vicende private, per cose di cui non avevo nessun tipo di merito. Mi veniva attribuita una notorietà che sapevo di non meritare, non stavo facendo nulla di gratificante dal punto di vista lavorativo. A un certo punto ho capito cosa volessi fare da grande e mi sono messo a studiare. Da quel momento ho percepito che l’affetto e l’attenzione del pubblico erano la risposta al mio impegno. È un po’ la differenza che esiste tra i soldi guadagnati e quelli che trovi per terra (sorride).
La Tv italiana compie 70 anni, la radio 100. Cosa prova nei confronti di questo passato? Quali sono le pagine che ha più nel cuore?
Sono nato e cresciuto davanti alla televisione, che rimane centrale nella mia quotidianità, così come credo lo sia ancora per tante famiglie. Certo, c’è chi la Tv non la guarda, ma mi rendo conto al tempo stesso che anche il mondo dei social e del web cercano spesso una consacrazione attraverso il piccolo schermo. Penso che sia ancora al centro della comunicazione. Sono affezionato alla televisione, alla Rai, a RaiPlay, un pozzo di sapere da cui mi abbevero. La storia della Tv è legata al Servizio Pubblico, penso a Raffaella Carrà, a Renzo Arbore, alle edizioni di “Canzonissima”, ai “Rischiatutto”. Sono stati programmi avanguardistici sui quali torniamo sempre a mettere le mani, è un repertorio dal quale continuiamo a prendere spunto.
Nel suo mondo c’è anche tanta musica. Siamo da poco usciti da “Sanremo” e le hit nate al Festival non mancano, che cosa c’è nella sua playlist?
Sono onnivoro, ogni giorno ascolto musica diversa. Sono anche un aspirante musicista da tempo, mi piace suonare il piano, il sax. Mi sveglio e passo da Angelina Mango a Rachmaninov a Stan Getz a Gigi D’Alessio. Per quanto riguarda il Festival ciò che mi è piaciuto di più insieme alle hit, nate per essere efficaci, è stata l’esecuzione de “La rondine” di Angelina Mango, che ho cantato per giorni. Tra le canzoni da ascoltare nella mia playlist ho messo proprio quel brano, nella straordinaria interpretazione di Pino Mango, in quanto Angelina non l’ha incisa.
A proposito di “Sanremo”, le piacerebbe salire un giorno sul palco dell’Ariston da conduttore?
Anche per cinque giorni (sorride facendo riferimento alla durata del Festival). Ritornando alla similitudine con il percorso di studi, penso che “Sanremo” rappresenti la laurea. Sono iscritto a questa facoltà che si chiama televisione e mi mancano ancora alcuni esami. Ecco, il sogno è quello di laurearmi su quel palco.
Torna da lunedì 1° aprile su Rai 2 con “Stasera tutto è possibile”, uno dei programmi più divertenti e amati del piccolo schermo. «Mi sto facendo le ossa sul campo, giorno dopo giorno, come conduttore e come autore, l’affetto del pubblico mi rende felice», racconta al RadiocorriereTv. Pensando al futuro, il pensiero va anche al palco dell’Ariston: «La televisione è la mia facoltà, mi mancano ancora alcuni esami. Il sogno è quello di laurearmi a Sanremo»
Al via le riprese della nuova serie di Rai 2 con Giuseppe Battiston nei panni di un particolare ispettore di Polizia e con Barbora Bobulova che interpreta il medico legale Marina De Santis
“È più misterioso Stucky o i misteri che si trova ad affrontare? Uomo silente e tenace, cerca, pensa, indaga tra le miserie e le ricchezze di un luogo che non è nord, non è sud, non è Italia, è mondo: quello delle debolezze umane” racconta Giuseppe Battiston, protagonista di “Stucky” in cui interpreta un ispettore di Polizia apparentemente distratto, spesso bistrattato e sottovalutato, che si lascia guidare dal suo istinto, dalla curiosità e da un pensiero fuori dagli schemi. Girata tra Treviso e Roma per circa 14 settimane, coprodotta da Rai Fiction – Rosamont e distribuita Rai Com, la serie è ispirata ai romanzi di Fulvio Ervas e sarà trasmessa su Rai 2: “È un immenso piacere per me prendere parte a questo progetto. E sono molto contento di farlo avendo la possibilità di lavorare con attori come Giuseppe Battiston e Barbora Bobulova. Sono convinto che, insieme a loro, sarà divertente e stimolante esplorare nuove possibilità di racconto a partire dalle pagine dei romanzi gialli di Ervas. Il fatto che le sei storie che racconteremo siano incentrate su un ispettore di Treviso permetterà al pubblico di avvicinarsi, conoscere ed apprezzare una città poco presente nell’immaginario cinematografico e televisivo. Ringrazio Rai Fiction e Rosamont per questa bella sfida e preziosa opportunità” racconta il regista Valerio Attanasio.
LA STORIA
Fine osservatore dell’animo umano, Stucky combatte tutti i giorni con l’ovvietà del male, spesso vestita in abiti eleganti. Grazie alla sua capacità di indagare le dinamiche relazionali, riuscirà a trovare la risposta per risolvere anche i casi più spinosi. I suoi compagni di viaggio sono il medico legale Marina (con cui Stucky ha un rapporto di intensa e un po’ maldestra intimità), l’oste Secondo (consigliere e mentore) e i due poliziotti Guerra e la Landrulli, che hanno imparato ad amarlo, ma non ancora a capirlo.
Il Servizio Pubblico al fianco del Fondo per l’Ambiente Italiano. La presidente della Rai, Marinella Soldi: «Un evento che parla al cuore degli italiani». La 34esima edizione in programma dal 18 al 24 marzo
Da oltre dieci anni Rai è in prima linea al fianco del Fai, il Fondo per l’Ambiente Italiano, con i canali tv, la radiofonia, RaiPlay e con l’offerta online, per contribuire a creare un racconto corale che abbia al centro la bellezza e la sostenibilità del patrimonio artistico e paesaggistico italiano. Dal 18 al 24 marzo torna la Settimana per i Beni Culturali promossa da Rai e Fai, che si concluderà con le Giornate Fai di Primavera del 23 e del 24 marzo. Oltre 750 i luoghi visitabili. “Le Giornate Fai – dichiara la presidente della Rai Marinella Soldi – sono un evento molto speciale perché parla al cuore degli italiani. Una celebrazione e una possibilità per la Rai di comunicare e divulgare un patrimonio pazzesco, che forse a volte diamo un po’ per scontato”. In prima fila tutta l’azienda Rai, che nel corso dei programmi di intrattenimento e di informazione (da “Unomattina” a “L’eredità”, da “Domenica In” a “Geo”, a “Radio anch’io”, ai telegiornali e ai giornali radio) descriverà l’ampia proposta dei siti visitabili. “L’altro aspetto che unisce Rai e Fai – prosegue Soldi – è rendere il patrimonio accessibile a tutti. Sono parole che ci accomunano, la Rai come Servizio Pubblico e il Fai nel suo ruolo”. La Rai supporta le Giornate FAI di Primavera 2024 anche attraverso la raccolta fondi solidale autorizzata da Rai per la Sostenibilità – ESG e promossa sulle reti del servizio pubblico. “Raccontare il patrimonio culturale per educare la collettività a proteggerlo e a prendersene cura: da questa necessità nacquero nel 1992 le Giornate Fai di Primavera dando vita, e poi corpo, e poi forza ad una impressionante struttura di volontariato – dichiara il presidente Fai Marco Magnifico – che con entusiasmo e pervicacia eccezionali in questi trentadue anni hanno aperto al pubblico 15.540 luoghi dimenticati o difficilmente visitabili raccontandoli, appunto, con semplicità e passione a ben 12 milioni e 515.000 cittadini”.
«Il teatro è per me quel luogo magico pieno di mistero, in cui uno inizia a fare i primi giochi con la rappresentazione, con l’amore che ha per le storie e per i personaggi» racconta l’attore napoletano, tra i protagonisti fin dalla prima stagione de “Le indagini di Lolita Lobosco”. Il lunedì in prima serata su Rai 1
Un grande successo che si rinnova. Cos’ha di speciale questo progetto?
Sono storie molto appassionate, la serie non si limita al poliziesco, non è solo un giallo ma, con il pretesto del crime, approfondisce il mondo dei suoi personaggi. È una cosa che mi ha colpito subito, la presenza di una grande famiglia che si ritrova attorno al mondo della protagonista, una vicequestore che si trascina dietro tantissime piccole ferite. Ciascuno dei personaggi è, dunque, intento a risolvere le piccole imperfezioni della propria struttura umana e sentimentale.
È un po’ come se Lolita, una donna così empatica, costringesse tutti allo step successivo…
Forte e Lobosco sono speculari, sono legati fin da ragazzi e si ritrovano con il ritorno di Lolita a Bari. I due sono stati compagni di scuola, alle elementari e alle scuole medie, c’è stata poi la formazione adolescenziale, l’università, fino a quando poi, nel passaggio alla vita adulta, lei ha fatto scelte diverse e si sono allontanati…
Il vantaggio della serialità è quello di approfondire meglio i personaggi. Com’è cresciuto il suo?
Il ringraziamento più grande va ovviamente a Gabriella Genisi e ai suoi romanzi sui quali sono intervenuti con maestria e amore gli sceneggiatori che da quelle pagine hanno tirato fuori i personaggi, rendendo ancora più appassionanti le loro vite. A fare tutto il resto c’è il passaggio alla regia, al direttore artistico, fino ad arrivare alla recita con noi attori che abbiamo dato carne, nervi, sentimenti, emozioni. C’è una famosa intervista della tv americana a Sophia Loren e Marcello Mastroianni in cui i due artisti non seppero rispondere alla domanda sul perché facessero tutti i film insieme. Non ci sono parole per spiegare questo, è “solo” una questione di chimica. È lo stesso che è successo ai personaggi di Antonio e Lolita, al mondo che questa donna porta con sé, a quei legami che, di anno in anno, sono cresciuti sempre di più. Una chimica che parte dal set e che di stagione in stagione si è amplificata.
E quando questa chimica dovesse venire a mancare?
Subentra il mestiere. Credo, però, che il successo della serie sia da ritrovare in quel qualcosa in più che il pubblico percepisce. C’è poi la protagonista, Luisa Ranieri, oltre a essere una grande attrice, e non lo scopriamo certamente con “Le indagini di Lolita Lobosco”, è in uno stato di grazia totale. Questa ultima stagione lo conferma. Uno stato di grazia incosciente, ovviamente, perché la grazia non è qualcosa che si decide, arriva e basta. Mi viene in mente il Dolce stil novo con l’immagine della donna che illuminava tutto quello che incontrava: “Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand’ella altrui saluta”. Il rischio di una terza stagione poteva essere la fiacca, non era scontato che quello che aveva funzionato prima potesse riuscire anche nel nuovo capitolo. La chimica è, invece, raddoppiata, tutti abbiamo dato il massimo, passando sempre la palla al nostro Maradona.
Napoletano come Luisa Ranieri, calati però in una Bari piena di luce… …e però appena chiamavano lo stop ritornavamo immediatamente due napoletani (ride). Abbiamo dovuto tenere a bada la nostra natura, ma era anche una sorta di deterrente. I nostri personaggi sappiamo che hanno dei precedenti di conoscenza, non c’è un prequel che lo racconta, io e Lolita abbiamo così trovato il nostro minimo comune denominatore nella lingua napoletana. Una musicalità, una identità partenopea, una base comune che ci ha aiutato a trovare subito un’intesa.
Essere napoletano è come “nascere” attore nella recita della vita?
Diciamo che si è un po’ condannati da questa spada di Damocle: o rubi i portafogli o fai l’attore. Da bambino frequentavo le colonie dei ferrovieri, il pregiudizio sui napoletani era evidente. Quando si è piccoli, si cresce con i luoghi comuni, credi a quello che ti viene raccontato, diventa la tua verità. Noi bimbi partenopei ispiravamo anche molta simpatia, a me costringevano a recitare, anche se io ero molto timido. Era un po’ scritto quello che avrei fatto nella vita.
Con il successo di “Lolita Lobosco” cresce anche la fama. Che rapporto ha con la gente, con i fan?
Ci sono il bello e il brutto, come tutte le cose. A volte ti considerano come un loro parente, uno di casa, ma tu non le conosci queste persone, potrebbe crearsi qualche imbarazzo, mai fastidio però. Di contro, sapere che la gente prova affetto per te, per quello che fai, è molto carino. Non ce la passiamo molto bene di questi tempi, le persone necessitano di leggerezza, e la trovano anche nelle nostre storie, trovano conforto nel fatto che i nostri personaggi non rappresentano modelli di perfezione, sono incompleti, hanno mille problemi come tutti. Oggi sentirsi completi, a posto, è faticosissimo, le generazioni precedenti basavano la loro identità, la loro ricchezza morale, su dei principi culturali, politici ed economici molto più stabili e solidi dei nostri. Il lavoro lo trovavi quasi subito, riuscivi a creare una famiglia, ad accedere al mutuo, compravi gli elettrodomestici… c’era una maggiore sicurezza. Oggi per noi è tutto più traballante. In “Lolita Lobosco” pur mantenendo solarità e un forte senso dell’humor, i protagonisti vivono la difficoltà, si mettono costantemente in discussione.
E questo favorisce il gioco dell’immedesimazione…
Il pubblico vorrebbe compiere le azioni del personaggio, essere quel personaggio e magari arrivare alla famosa catarsi per purificarsi, per sentirsi liberi. È il grande insegnamento del teatro greco, il pubblico si immedesimava nelle storie, anche abbastanza cruente, per trovare pace. È quello che accade anche ora, con queste piccole storie che si raccontano la sera in televisione. Il processo è il medesimo.
Nel suo curriculum c’è tanto teatro. Cosa rappresenta per lei?
È qualcosa di molto viscerale, un cordone ombelicale mai tagliato. Mi sono formato a teatro, è vero, ma non amo definirmi un attore di teatro, un attore lo è sempre, a prescindere dal palco su cui ti esibisci. Ma questa è una questione molto italiana. Il teatro è per me è quel luogo magico pieno di mistero, in cui uno inizia a fare i primi giochi con la rappresentazione, con l’amore che ha per le storie e per i personaggi. Questo sentimento lo provi e poi lo liberi nell’incontro con il pubblico, nelle serate dal vivo.
Molti attori, in particolare chi ha cominciato molto giovane e “per caso”, al teatro ritorna…
Diciamo che in questo mestiere c’è una percentuale di caso, quando la casualità non rappresenta qualcosa di buono non aiuta a mettere bene a fuoco anche il proprio talento. Io non so se sono veramente contrario al caso, quello che ti catapulta in questo mondo e, all’improvviso, ti fa diventare una star. “Sarà la storia a giudicare”, disse Fidel Castro all’Onu. Va bene anche per un attore. Quello che, alla fine, conta nel nostro mestiere è la resistenza, la pazienza, quanto sei disposto a mettere in gioco di te stesso. È un lavoro faticoso nel quale si è sempre in ballo, non è mai concesso staccare la spina. Ma questo è anche la sua bellezza, ogni volta sei trascinato dentro nella totalità del tuo essere. Ci sono certamente tecniche che aiutano ad arrivare prima agli obiettivi, più le tecniche, prima riesci a sfondare altre porte.
Come sono cambiate nel tempo le sue ambizioni da attore?
Io sono un uomo totalmente privo di ambizione, mi manca anche quella positiva, che stimola, faccio più che altro affidamento a quella tensione continua che mi spinge a migliorarmi, nella vita e nel lavoro. È una ricerca al vivere meglio, non da solo però, perché la condizione imprescindibile dell’essere umano, e quindi anche dell’artista, è il confrontarsi con una comunità, con il mondo. Un solipsista non avrebbe senso. Tutta l’ispirazione, tutta l’arte, il film che si sceglie di fare, il romanzo che si sceglie di scrivere, il personaggio che si sceglie di interpretare, in un modo piuttosto che un altro… la recitazione è un grande mistero. Potrei dire che l’ambizione vive nello scegliere ogni volta quale strada voglio percorrere, non certo per portare a casa trofei, non mi è mai interessato. Alla fine, le cose vengono, il pubblico, se fai bene, ti segue. Essere amati è magico, soprattutto in questi tempi in cui se ti esponi, qualunque mestiere tu faccia, vieni fatto a pezzi. Si è sempre soggetti al giudizio altrui, da artista devi avere la forza a non farti logorare dalle critiche, anche quelle feroci e amplificate dai social media, dove chiunque si sente autorizzato a sentenziare.
Come reagisce alle critiche?
Non mi possono arrivare, perché il peggiore critico di me stesso sono io, sono molto più “criminale” dell’ultimo hater nascosto nei social. Ho una cattiveria molto profonda verso me stesso, per questo pago fior fiore di analisti (ride). Non mi ferisce se qualcuno prova a insultarmi dicendomi che sono troppo calvo.
Prossimi step del suo lavoro?
Si è da poco conclusa la mia partecipazione nella seconda stagione di “Vincenzo Malinconico. Avvocato di insuccesso”, e ora mi dedico al teatro, con degli amici musicisti organizziamo delle serate molto improvvisate tra letteratura e musica. Lo spettacolo, per ora solo a Napoli, si chiama “Che’ succies”, una frase che fa riferimento alla battuta di Amalia che precede quella più famosa pronunciata da Gennaro Jovine in “Napoli milionaria”. Tutti ricordano “Ha da passa’ a nuttata”, un po’ il marchio di Napoli. Se De Filippo avesse chiuso prima la commedia, forse la napoletanità avrebbe fatto tutt’altro corso. È la teoria su cui ci concentriamo durante tutta la serata.
Il sabato in seconda serata su Rai 1, Riccardo Rossi con “I miei vinili”, ospita personaggi famosi che si raccontano attraverso i loro dischi preferiti, tra aneddoti e ricordi. Con l’ironia che lo contraddistingue da sempre, l’attore-conduttore è anche in teatro con “Discorsi amorosi”
È in Tv, su Rai 1, con “I miei vinili”. Con quali emozioni?
Un grande ritorno. Devo ringraziare Maurizio Imbriale (Direttore Rai Contenuti Digitali e Transmediali) che ci ha creduto subito, anche lui è un appassionato di vinili. È accaduto anche che ho informato Amadeus della ripresa del programma e lui, appassionato di vinili, ha partecipato a una delle mie puntate. Stiamo andando in onda su Rai 1 e su RaiPlay e sono felicissimo.
Apre le sue puntate innalzando un 33 giri. Un rituale di consacrazione?
È come se fosse un totem.
Quali sono i suoi ricordi legati ai dischi in vinile?
A casa mia giravano molta musica classica e i 45 giri dei miei genitori. Sono cresciuto con la musica degli anni ’50 e ’60, con quella della Tv. Ero appassionato di sigle televisive di cui acquistavo i dischi. Ho conosciuto la musica dell’altro secolo, è il caso di dire. In seguito, durante un viaggio a Vienna ho sentito tutti i più grandi della musica classica e della lirica. Tornando a Roma, in discoteca, ho scoperto Michael Jackson e Heart Of Fire. A 17 anni e mi sono buttato sulla musica black e sono andato avanti. E comunque, fra la terza media e il quinto ginnasio, ho comprato tutta la discografia dei Beatles.
L’LP è tornato a essere un oggetto di culto, non soltanto per gli amanti del vintage…
La riscoperta è partita come fenomeno vintage. In quel periodo proposi un programma simile a quello che conduco oggi, dove i ricordi erano nascosti in un disco che gli ospiti portavano in trasmissione. Nel corso degli anni il vinile è tornato di moda non tanto per ascoltare la musica di una volta, ma per pubblicare quella nuova. Per i giovani artisti oggi uscire sul vinile è come mettere una sorta di medaglia al petto. Un disco, non è musica liquida, ma resta nella realtà come un libro di carta. I libri dopo averli letti parlano di noi. I nostri genitori mettevano un fiore secco nel libro, un biglietto dell’autobus o una vecchia cartolina. Così come fa il disco, parla di noi.
Cosa pensa di questa seconda vita del vinile?
Le differenze tra l’ascolto di un vinile e quello, ad esempio, di un CD, sono due: una è data dall’attrito della puntina, che genera un suono caldo, l’altra è quel bellissimo stand by che si crea tra l’appoggio della puntina e l’inizio della musica. Un momento di attesa bellissimo. E poi c’è la copertina, un art work che guardi e ti riguardi, che fa girare la testa. Quindi altro che seconda vita, speriamo sia definitiva. Tra l’altro, i CD, non si vendono più. E secondo me torneranno anche gli audio tape, le cassette che io non ho buttato. Dentro c’erano le nostre play list e farle era davvero faticoso.
Le sue puntate sono all’insegna della musica ma anche dei ricordi. I suoi ospiti si lasciano andare anche a ricordi intimi. Una magia del vinile?
Certo. La musica fa da colonna sonora alla vita.
Ascolta musica che non le piace?
È difficile. La musica che non mi piace la fermo subito, la tronco dopo l’intro e qualche battuta.
E invece qual è il suo rapporto con la musica liquida e in streaming?
Un rapporto di lavoro, non c’è passione. Se il pezzo mi piace, di fatto me lo compro. Le colonne sonore, sono le ultime tipologie di dischi che compro in CD, ma li trovo solo on line. Mi fanno da sottofondo per scrivere, per creare. Oggi voglio conoscere sempre meglio quello che ho. Ma ascolto anche Sanremo, mi è piaciuta Loredana Bertè.
Con la sua irresistibile comicità torna anche a teatro con “Discorsi amorosi”. Cosa sopportiamo di più in amore?
Sicuramente dovremmo sopportare le differenze di carattere, ma è molto difficile. Questo spettacolo, come gli altri miei, mette al centro l’intelligenza della donna che è nettamente superiore alla nostra. Di fatto l’uomo non ha pazienza, lei è molto più concentrata. Da sopportare in una coppia c’è sicuramente il carattere, ma anche la condivisione degli spazi. Bisognerebbe fare prima una convivenza per poter condividere una vita con un’altra persona. Anche la casa dovrebbe essere concepita in un certo modo, tutto separato.
Nel suo continuo muoversi fra Tv, teatro, cinema… cos’altro ci possiamo aspettare?
La musica sempre di più. Il 1° maggio farò un concerto con una band, dove parlo della musica e degli incontri che ho avuto con i grandi di tutti i tempi. Racconto da fan e da appassionato, il mio incontro. Se non si è capito, la musica è il mio primo grande amore.
È arrivato il momento della scelta i protagonisti della seconda stagione della fiction diretta da Simone Spada. Un family drama che, attraverso i casi di puntata, riesce a immergersi nella contemporaneità e, in alcuni casi, a suggerire soluzioni. Da martedì 19 marzo in prima serata Rai 1
“Una squadra collaudata, un racconto che, grazie ai casi di puntata, amplia lo spettro di rappresentazione della nostra società. Dalla Milano upper class si passa con questa seconda stagione a un’arena più ampia che rappresenta la società nella sua contemporaneità e varietà. Un family perfetto, dove si ride e si piange, nel quale tutti possiamo riconoscersi nei personaggi che, vedremo, saranno alle prese con decisioni importanti per le loro vite” afferma Luigi Mariniello, Capostruttura Rai Fiction. Le sorelle Anna e Nina e la madre Marina Battaglia tornano a lavorare insieme nel prestigioso Studio Zander, ora Zander Battaglia. I patti erano che Marina sarebbe uscita di scena non appena chiuse le ultime pratiche, ma per Zander liberarsi di lei sarà più arduo del previsto. In questa seconda stagione ritroviamo anche Massimo con cui Anna, nel finale della prima stagione, si era lasciata andare a una travolgente passione. Per lei, sposata con Alberto da cui ha avuto due figli, è arrivata l’ora di chiedersi quale sia la scelta giusta, tra i sentimenti e le emozioni, anche se questo significa rinunciare a una parte della propria felicità. Cuore del racconto sono come sempre le donne Battaglia, tre divorziste e una neo-sposa, la sorella minore Viola. Quattro donne in diverse fasi della vita, ognuna con i propri sogni e turbamenti, unite da un amore profondo e un’invincibile ironia che le ha sempre salvate. Se Viola cerca di emanciparsi dalla famiglia, ma si scontra con le difficoltà della vita adulta e con il costo folle degli affitti milanesi, Nina dovrà mettere in discussione quello che credeva di desiderare, perché a volte crescere significa anche non aver paura di cambiare. Come nella precedente stagione, in ogni episodio si svilupperà un caso legale di cui si dovrà occupare lo Studio Zander Battaglia, andando a trattare alcuni tra i temi più attuali del diritto di famiglia. Inoltre, Anna sarà alle prese con un delicato e doloroso caso di separazione legale, accettando di rappresentare la famosa chef-influencer “Michela in famiglia” contro il marito Corrado, uomo manipolatore che controlla e gestisce il fortunato business che hanno creato.
La parola al regista, Simone Spada La bellezza di essere “sorpreso”
Quando inizi ad affrontare la seconda stagione di una serie che hai in qualche modo creato o definito, immaginato e raccontato nella prima stagione, riscopri un mondo che già conosci e devi essere pronto a rinnovarlo, riscoprirlo e accoglierlo per capire dove sta andando e dove ti può portare. Insieme a Rai, con al mio fianco una squadra già affiatata, dai produttori Carlo Degli Esposti e Nicola Serra fino a una serie di attori ormai diventati “amici” anche fuori dal set e guidati dalle sceneggiature di Lisa Nur Sultan, abbiamo attraversato questa seconda stagione che personalmente mi ha stupito e piacevolmente sorpreso. Non c’è niente di più bello per un regista che essere sorpreso positivamente dal proprio lavoro. Credo che, se ero fortemente convinto delle potenzialità dei temi trattati da “Studio Battaglia” quando accettai di girare la prima stagione, ne sono ancora più convinto in questa seconda. Possiamo definirlo come già detto un Legal Drama con linee di comedy familiare molto raffinate, una serie al femminile che parla di madri, figlie, mogli o compagne, di generazioni diverse, di avvocate divorziste piene di empatia e ricche di ironia, ma quello che più esce fuori, a mio modo di vedere, in questa seconda stagione sono i sentimenti che sono certo riguardano tutti noi. Sono convinto che ogni spettatore si riconoscerà in un modo o nell’altro in molte delle vicende umane che riguardano le nostre e i nostri protagonisti, perché ancora di più in questa seconda stagione la mia personale sensazione è che “Studio Battaglia” parli di tutti noi e a tutti noi. Senza avere la presunzione di lanciare messaggi o moralismi inutili e datati, la serie parla di sentimenti, di amore, di speranze e desideri calandosi in maniera semplice, diretta e umana nel tempo in cui viviamo. Quest’anno ci saranno tante sorprese perché le nostre “donne” sono andate avanti e si confronteranno maggiormente con loro stesse. Non mancheranno i classici casi di puntata molto ironici che ancora una volta trattano tematiche attualissime e che ci hanno anche dato la possibilità di inserire nel cast altri attori di alto livello con sorprese molto interessanti. Mantenendo i punti fermi a livello di costumi, di scenografia, di linguaggio e di messa in scena che avevo scelto per la prima stagione, nella continua ricerca del giusto equilibrio tra la ricchezza della scrittura e il ritmo del racconto visivo, ho sentito la voglia di stare un po’ più vicino ai “miei” personaggi, usando maggiormente il primo piano e la macchina a mano quando ne sentivo la necessità. “Studio Battaglia” ha fatto un passo avanti e noi gli siamo andati dietro.
La parola alla sceneggiatrice, Lisa Nur Sultan Felici di rientrare nello Studio Battaglia
Siamo stati tutte e tutti davvero molto felici di rientrare nello Studio Battaglia, perché queste donne formidabili – argute, solidali, anticonformiste – e gli uomini che dividono la vita con loro sono una grande famiglia in cui è bello tornare. Per vederle cadere, ridere e rialzarsi, nella lotta quotidiana per l’affermazione della propria felicità. In questa seconda stagione c’è meno traccia della serie inglese “The Split” che aveva ispirato la serie, avevo, infatti, voglia di far vivere i personaggi in maniera diversa. Sono donne (e uomini) che sbagliano spesso, che cambiano idea, ma che provano ogni giorno a fare la cosa giusta: e se non per loro stesse, per gli altri. C’è un’etica di fondo molto forte, un senso della giustizia profondamente umano, contemporaneo, che le motiva e le spinge a battersi per il bene dei clienti. Domandandoselo spesso, quale sia il bene – dei clienti, e il proprio. Perché non è automatico saperlo, in una società che viaggia a mille all’ora, ed è onesto riconoscerlo. Servono nuove norme per nuovi diritti, per scenari che cambiano sotto i nostri piedi. Serve farsi nuove domande. Si parlerà di diritto all’oblio, di divorzio breve, di haters online, di adozioni, di figli mantenuti dai genitori, di separazioni in tarda età, di relazioni tossiche e di matrimoni a Las Vegas. Una mia fissazione, il tema della privacy, ritornerà anche quest’anno in bocca a Daria, la figlia di Anna, a proposito dei carteggi e dei diari pubblicati postumi. E soprattutto si parlerà di rapporti tra i sessi, e perché sbagliamo sempre tutto nel provare a farli funzionare. Ribadendo quello che il podcast “Rinascite” non smette di ripetere, e cioè che “Non è mai troppo tardi per cominciare una vita migliore”. Vale per chi scelga di separarsi, come per chi voglia rimettersi in gioco. Ricordandosi sempre che il vecchio amore di qualcuno, prima o poi, diventa il nuovo amore di qualcun altro. E quale sia la fine di una storia, o quale l’inizio, non si può mai dire.
I PERSONAGGI
ANNA BATTAGLIA (Barbora Bobulova)
È la maggiore delle sorelle Battaglia, una donna forte e affidabile, con un gran senso del dovere. Avvocata formidabile ed empatica, dopo aver lasciato lo studio di famiglia per emanciparsi dalla madre Marina, adesso, a causa della fusione tra i due studi, si vede costretta a lavorare di nuovo al suo fianco. Ma Anna ha ben altro per la testa: la vicinanza con Massimo, infatti, rischia di allontanarla da Alberto e dai suoi figli, Daria e Giacomo.
MARINA BATTAGLIA (Lunetta Savino)
Elegante, autorevole e temibile, nei processi è un mastino senza scrupoli. Ha cresciuto tre figlie da sola senza perdere un giorno di lavoro ma, adesso che lo studio di famiglia è stato acquisito e lei ha promesso di uscire di scena, riuscirà a “sposare” pienamente la nuova gestione? Quel che è certo, è che la sua tempra, bilanciata da un cinismo irriverente e da sprazzi di imprevedibilità, la rende irresistibile e forse anche indispensabile.
NINA BATTAGLIA (Miriam Dalmazio)
È la secondogenita di Marina, bella, sarcastica, indipendente e in carriera. Dopo aver lavorato nello studio di famiglia e aver dovuto assecondare il carattere autoritario di Marina, è pronta ad approdare nello “studio Zander Battaglia” dove però la sua ironia e sfrontatezza diventeranno un’arma a doppio taglio. Anche se fatica ad ammetterlo, in fondo al cuore Nina cova una grande sensibilità che presto, per un motivo o per l’altro, verrà fuori.
VIOLA BATTAGLIA (Marina Occhionero)
Solare e quasi sempre sorridente, Viola è per tutti la piccola di casa, anche se la fede che porta all’anulare sinistro le ricorda che ha ormai iniziato un nuovo capitolo della sua vita da adulta. Curiosa e spontanea, è anticonformista in un modo tutto suo: è l’unica Battaglia a non aver studiato giurisprudenza. Babysitter per scelta, vive senza ansie e conflitti ma, adesso che con Alessandro vogliono liberarsi dell’ingombrante presenza di Marina e trovare un nido d’amore, deve necessariamente rimboccarsi le maniche e cercare un lavoro a tempo pieno.
MASSIMO MUNARI (Giorgio Marchesi)
Avvocato di punta dello studio Zander. Ora, a causa della fusione che ha riempito lo studio di avvocate competitive, avrà chi gli darà del filo da torcere. Massimo è un bell’uomo,con il fascino dell’avvocato in carriera e per giunta single che non deve rendere conto a nessuno. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Lui e Anna, infatti, sembrano sempre troppo vicini.
ALBERTO CASORATI (Thomas Trabacchi)
Marito di Anna da vent’anni e padre di Daria e Giacomo, è un uomo solido e ironico. Insegna Bioetica all’università, presta spesso consulenze legali nei casi connessi ai suoi studi. È legato alla famiglia e molto rispettoso del lavoro di Anna e della sua indipendenza, ma da quando è stato investito dallo scandalo “Black Dahlia” – che ha portato alla luce numerose relazioni extraconiugali, tra cui la sua –, si impegna ogni giorno per convincere la moglie di aver fatto la scelta giusta. Essere un buon padre e un buon marito, per lui, ora è la priorità.
GIORGIO BATTAGLIA (Massimo Ghini)
Tornare dopo venticinque anni dalla Costa Azzurra e rientrare nella vita delle donne Battaglia è stata la scelta migliore che abbia mai fatto, nonostante il recente infarto. Lentamente sta riallacciando i rapporti con le figlie, che in modi del tutto diversi lo hanno perdonato. E, inaspettatamente, c’è chi va a fargli visita spesso nella lussuosa clinica dove è ricoverato.
CARLA NOBILI (EX SIGNORA PARMEGIANI) (Carla Signoris)
Volitiva e istrionica, dopo aver divorziato in grande stile, Carla non riesce a stare ferma. E quale sfida migliore dell’aprire un ristorante stellato? Certo, la concorrenza è tanta; gli haters sono agguerriti: ma chi può fermare la Parmegiani, pardon, Carla Nobili?
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