Il Futuro e la Memoria

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Shoah, antisemitismo e Generazione Z. Di Ariela Piattelli, dal 22 gennaio in libreria e negli store digitali

Rai Libri presenta “Il futuro e la memoria. Shoah, antisemitismo e Generazione Z” di Ariela Piattelli. La forza dei figli della Generazione Z per custodire e proiettare nel futuro il ricordo della Shoah anche senza le voci dei sopravvissuti ai campi di sterminio. Tra i depositari delle testimonianze che giungono da una delle pagine più buie della storia ci sono Michela e Gabriel, nipoti di Shlomo Venezia, uno dei pochissimi sopravvissuti al Sonderkommando, c’è Tommaso, il cui nonno, il medico Adriano Ossicini, inventò il contagiosissimo “Morbo di K” per tenere lontano i nazifascisti dagli ebrei nascosti all’ospedale Fatebenefratelli di Roma, ci sono Dov, che con le sue pagine social ha dato voce alla bisnonna Llily Ebert sopravvissuta ad Auschwitz raggiungendo milioni di persone, e il quattordicenne Cristian, che ascoltate le parole della scrittrice Edith Bruck ha raccolto in un video in rete le testimonianze di alcuni reduci da lui incontrati personalmente. Giovani custodi creativi della memoria che hanno condiviso con l’autrice le proprie esperienze e le proprie emozioni, certi che l’impegno contro l’antisemitismo, ancor di più dopo i fatti drammatici del 7 ottobre 2023, sia un imperativo morale. Un libro reportage che attraverso interviste ad esperti indaga i possibili scenari del futuro della memoria, strettamente legati al rapido mutamento dei linguaggi e degli strumenti di conoscenza. La rete, i social e le nuove tecnologie sono i mezzi di una narrazione che riflette la contemporaneità. Il viaggio di Ariela Piattelli termina con le voci dei testimoni, che in una riflessione speculare con le parole dei giovani, disegnano il possibile futuro della memoria, spiegando la loro visione sul mondo della Generazione Z. Ariela Piattelli è una giornalista. È direttore responsabile di Shalom, quotidiano online e magazine edito dalla Comunità Ebraica di Roma. Ha collaborato con il Giornale, Corriere della Sera e La Stampa. Ha vissuto alcuni anni in Israele, e da oltre un decennio dirige Ebraica – Festival Internazionale di Cultura e il Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel Cinema. Ha collaborato inoltre con istituzioni come promotrice e curatrice di iniziative dedicate alla cultura ebraica e israeliana.

 

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GIUSY BUSCEMI

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Un dono inatteso

Tra le interpreti più amate del piccolo schermo, l’attrice siciliana, protagonista di “Un Passo dal Cielo” il giovedì su Rai 1, si racconta al RadiocorriereTv: «L’affetto e l’attenzione del pubblico sono una coccola che mi fa capire come la direzione sia quella giusta». La grande popolarità di una donna innamorata della propria famiglia e del proprio lavoro, che mantiene i piedi saldamente a terra: «A diciannove anni non avrei mai pensato a questa carriera, è stata una grande sorpresa che si rinnova ogni giorno»

 

Un inizio d’anno importante. Il successo di “Leopardi”, l’ottimo avvio di stagione di “Un Passo dal Cielo”… come sta vivendo questo momento?

Un inizio d’anno pieno di emozioni, un gennaio molto intenso cominciato alla grande (sorride). Sono felice di questi progetti che mi hanno impegnata tanto. Questo momento, l’affetto e l’attenzione del pubblico, sono una coccola che mi fa capire come la direzione sia quella giusta.

Il pubblico sta conoscendo una Giusy matura, che interpreta ruoli anche molto diversi tra loro. Come sta cambiando il suo essere attrice e l’avvicinarsi a un personaggio?

Tutto va di pari passo con la conoscenza più profonda di me stessa come donna che cresce, fa esperienze, si lascia anche modificare dal tempo che passa. È come se a poco a poco uno scoprisse una sorta di passaggio facilitato per portare nei personaggi il proprio vissuto. A differenza di quanto accadeva nei primi anni di carriera, dopo dodici anni che faccio questo mestiere, tutto riesce a diventare un gioco, senza le paure di dover fare il compitino giusto. Si va oltre lo studio della parte. Gli ultimi personaggi che ho interpretato mi hanno dato ancora di più l’occasione di poterlo fare. Tutto questo mi ha aperto a mondi prima inesplorati.

Cosa le ha lasciato l’esperienza in “Leopardi”?

Una grandissima tridimensionalità del femminile. Il personaggio di Fanny mi ha lasciato la bellezza di come un progetto ben fatto possa essere al servizio della cultura, della conoscenza, delle scuole. Come l’arte, se ben usata, possa dare chiavi alternative di lettura ai consueti percorsi di studio. Questo attraverso la passione di Sergio Rubini che da 25 anni desiderava immergersi nel progetto di raccontare un poeta che si fa le stesse domande che ci facciamo tutti.

“Un Passo dal Cielo” e il personaggio di Manuela sembrano essere sempre più nelle sue corde, come sta vivendo questo viaggio?

Quello di Manuela è un viaggio edificante. Lei è una donna che ha certamente delle piccole lotte quotidiane, ma che è molto in sintonia con il luogo in cui vive, la montagna. È nel posto giusto, è cresciuta e in questa stagione è pronta a tendere la mano. Lo fa con il fratello, nei confronti di Nathan, che ha bisogno di riconciliarsi con la propria storia prima di potersi fidare di nuovo del prossimo. Mi piace il suo coraggio di tendere la mano anche laddove non sempre le persone sono pronte a fare la stessa cosa. Manuela sa esattamente quello che vuole.

In Giusy la stessa determinazione di Manuela?

Ogni giorno mi metto in discussione, mi pongo domande che mi mettono in crisi rispetto alle scelte lavorative, all’organizzazione familiare. Sono decisamente più insicura rispetto a quello che possa sembrare dall’esterno (sorride).

Cosa cerca di dare a un personaggio che interpreta?

Mi chiedo quale sia il suo bisogno. Ogni personaggio, in rapporto al momento in cui si trova, ha un motore che lo spinge, alimentato talvolta da un dolore altre da un desiderio. Nel prepararlo cerco di capire questo. Punto a lasciargli empatia, anche quando non ne approvo le scelte. Il ruolo dell’attore è proprio quello di mettersi nei panni del personaggio ascoltandolo.

Cosa porta con sé, della sua Sicilia e cosa le danno le montagne del Veneto?

Della Sicilia conservo il rapporto materico con la terra, tanto importante da spingermi ad aprire anche una azienda agricola nella mia Menfi. Porto questo insieme ai legami, alla famiglia e alle amicizie di sempre, che mi hanno formato. Le montagne venete mi trasmettono il mistero del creato, qualcosa di grande e al tempo stesso fragile. I cambiamenti climatici ce lo insegnano.

Chi è Giusy nella vita di tutti i giorni?

Come dicono i miei tre figli sono “scordona e sempre in ritardo”. Una che si dimentica le cose anche se le sono state dette poco prima e che va in affanno. Forse perché, come dice invece mio marito, penso ancora di vivere a Menfi, dove tutto è raggiungibile con cinque minuti di macchina. Vivendo a Roma non è così semplice e mi capita di mettermi a correre.

Cos’è per lei la popolarità e come la vive?

Sono una persona molto timida, me ne accorgo anche quando mi trovo tra la gente e qualcuno riconoscendomi mi osserva. Questo un po’ mi dispiace, può essere anche un limite. Mi lascio andare più facilmente quando conosco le persone. La mia vita quotidiana oltre il set è quella di tante altre donne, forse anche grazie all’educazione datami dai miei genitori. Pensando ai momenti belli del mio lavoro li vivo come un dono: ne gioisco sapendo che un giorno potrebbe anche andare via.

Da ragazza immaginava tutto questo?

A diciannove anni non avrei mai pensato a questa carriera, è stata una grande sorpresa e lo è ogni giorno. Sono sempre stata, e continuo a essere, una persona molto pragmatica. A volte temo di sognare cose che poi non siano realizzabili, cerco di non illudermi.

Cosa le strappa un sorriso?

Il tempo trascorso in famiglia, i bagni in vasca di tutti quanti, i bimbi che poi si mettono a girare per casa prima di finire sul lettone per asciugare i capelli. Li vedo lì e quasi non ci credo che quei mattacchioni siano i miei figli. E poi mia nonna, che la sera va a letto sempre molto presto, ma quando sono in Tv fa uno strappo alla regola e mi manda un messaggio a mezzanotte.

 

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Le avventure di Paddington

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Torna su Rai Yoyo con nuove avventure l’orso Paddington. L’amato personaggio, già protagonista di libri amati dai bambini di tutto il mondo, torna con la terza stagione della serie animata che lo vede protagonista. Appuntamento tutti i giorni, alle ore 15.40 su Rai Yoyo e RaiPlay

Un orso molto sentito, che in Inghilterra è stimato persino dai reali inglesi.  Basti pensare che la regina consorte Camilla ha portato ai bambini di un asilo a Londra, gestito da una associazione benefica, gli orsi Paddington donati dai piccoli sudditi a Elisabetta II dopo la sua morte. Insieme a lei c’erano due celebrità, gli attori Hugh Bonneville e Madeleine Harris, protagonisti del film Paddington, e anche Karen Jankel, figlia dello scrittore Michael Bond, che ha creato il celebre personaggio dell’orso arrivato a Londra dal “misterioso Perù”, con un cappello rosso e una vecchia valigia.  “E’ un piacere”, ha detto Camilla una volta arrivata alla Bow Nursery gestita dall’organizzazione Barnardo’s. La famiglia reale con questa iniziativa rivolta ai più piccoli ha così donato più  di mille peluche che erano stati lasciati come tributo alla defunta regina di fronte e vicino ai cancelli delle sue residenze. Elisabetta II era stata patrona di Barnardo’s fino al 2016, poi sostituita proprio da Camilla. E aveva inoltre un rapporto speciale con Paddington: nel giugno 2022, in occasione del Giubileo di Platino, era stata trasmessa una clip con la sovrana protagonista insieme all’orso che ha divertito i sudditi e non solo. Anche nella terza stagione le storie di Paddington scaldano il cuore, incoraggiano ad essere curiosi, generosi con gli altri e a vivere gli affetti sentendosi parte di una grande famiglia. Il mondo di Paddington diventa molto più grande, le sue avventure escono dai confini dei Windsor Gardens e i suoi viaggi sia reali che immaginari riservano grandi emozioni: da una vacanza al mare all’esplorazione dell’isola dei dinosauri o alla spedizione all’interno di un buco nero! La terza stagione è suddivisa in quattro temi -“Fuori dal mondo”, “Vacanze al mare”, “Supereroi” e “Festeggiamenti» – e ci farà conoscere tre nuovi personaggi: Shantee, la guardiana del faro amante della natura, Taylor, il bagnino e istruttore di surf americano, e un ospite che arriva dal Perù. Non mancherà una visita speciale della zia Lucy! “Le avventure di Paddington (The Adventures of Paddington)” è una serie televisiva animata, sviluppata da Jon Foster e James Lamont, basata sul franchise dell’orso Paddington. L’opera è incentrata su un giovane Paddington mentre scrive lettere a sua zia Lucy celebrando le nuove cose che ha scoperto nel corso della giornata. Paddingon è un gentile orso peruviano che si è trasferito a Londra dopo che un terremoto ha distrutto la sua casa. Vive con la famiglia Brown – Henry, Mary, Judy e Jonathan – e accanto al signor Curry. È amato da tutti tranne che dal signor Curry.

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UMBERTO BROCCOLI

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Storie e voci del Novecento

Gli eventi e le persone della nostra vita, un viaggio quotidiano alle radici di ciò che siamo. Lunedì 13 gennaio alle 18.05 su Rai Radio 1 debutta “Successo”. Il RadiocorriereTv incontra l’autore-conduttore: «Ci sono tutti i protagonisti della storia, da Lenin a Giacomo Puccini, anche i più incredibili. Un programma dovuto dalla Rai alla radio»

 

Con “Cento” ha festeggiato su Rai Radio 1 l’anniversario del Servizio Pubblico.  Ora lei e la sua squadra siete pronti per una nuova sfida, “Successo. Storie e voci del Novecento”. Qual è la parola chiave di questa nuova avventura?

La parola “successo”. Qualcuno potrebbe pensare che la intendiamo come “avere successo”, l’affermazione nel lavoro, nella vita privata, invece, in questo nostro viaggio, “successo” altro non è che il participio passato del verbo succedere, accadere.  È una cosa accaduta, che non c’è più. Facendo “Cento” ci siamo resi conto del patrimonio inesauribile delle voci della radiofonia: non ci sono solo i cantanti, gli attori, i conduttori, Corrado, Renzo Arbore, Pippo Baudo… ci sono le voci della storia, dei politici, degli scrittori, dei grandi condottieri, poi anche quelle dei personaggi dello spettacolo. Noi prendiamo dei frammenti di queste voci e le ricontestualizziamo.

 

A guidarci puntata dopo puntata saranno le voci dei protagonisti…

Ci sono tutti i protagonisti della storia, da Lenin a Giacomo Puccini, anche i più incredibili. Il 13 gennaio, ad esempio, è l’anniversario dell’evasione di Giuseppe Saragat e di Sandro Pertini, futuri presidenti della Repubblica, dal carcere romano di Regina Coeli dove erano detenuti dopo essere stati arrestati dai nazifascisti. Era il 1944. Quale migliore occasione di ricordare i fatti attraverso la voce di Pertini? Sono entusiasta di questa formula. Credo che sia un programma dovuto dalla Rai alla radio.

 

Come nascono le puntate di “Successo”?

Ci riuniamo il lunedì con Patrizia Cavalieri, mio autore storico, e le altre due colleghe della redazione, Roberta Genuini e Stefania Livoli. Con noi il regista Luca Bernardini. Portiamo il menabò degli avvenimenti e partiamo proprio dal calendario, da quello che è accaduto giorno dopo giorno. Attorno alle pagine di storia, ne mettiamo alcune più “leggere”, insomma la scaletta della puntata si dipana facendola. Al centro ci sono le voci, le testimonianze, sarà quindi la mia bravura, posto che ci sia, suffragata dalle ricerche di Patrizia, a raccontare quello che accadeva.  Dall’evento, dall’accaduto, arriviamo al successo della persona. Altra maestria incredibile è quella del regista Bernardini, che confeziona il programma legando le scelte musicali, vuoi per i sottofondi, vuoi per le uscite dalle citazioni, dall’ultima parola detta, legando i brani al contesto di quel momento storico. Apriamo delle finestre sulla storia del nostro Paese e del mondo. In una delle prime puntate, essendo nel clima dell’insediamento del presidente americano Donald Trump, abbiamo preso i discorsi di John Fitzgerald Kennedy e di Ronald Reagan in occasione dei loro insediamenti, avvenuti rispettivamente nel 1961 e nel 1981. Racconteremo il presidente democratico e quello repubblicano. Siamo nella storia del mondo. Le nostre puntate nascono dalla traccia storica, la magia si raggiunge quando Bernardini monta le puntate con le musiche.

 

Cosa rende un evento o un personaggio capaci di resistere al tempo?

A dominare sono gli eventi. Se parliamo di Ronald Reagan non ricordiamo tanto l’attentato che subì a tre mesi dal suo insediamento, ma il fatto che sia stato il protagonista del disgelo tra i blocchi di Unione Sovietica e Stati Uniti d’America. Tutto si misura sui risultati.

 

Quali sono gli ingredienti del successo?

Il primo presupposto è lo studio, perché a monte ci deve essere una preparazione profonda. Insieme a questo ci sono la dedizione, la ricerca, la credibilità, la curiosità. Passo la mia vita divertendomi nello studio, credo che il vero nemico di oggi siano superficialità e approssimazione. Spero che si superi questo momento, il mondo esisteva prima dei social media (sorride).

 

Nella sua carriera di autore e conduttore sono tanti i successi, molti dei quali televisivi, ma lei non ha mai abbandonato la radio…

La radio continua a essere una zona franca di qualità. Davanti al microfono non ti devi truccare, ma devi fare vedere delle “immagini” con le parole. Non puoi bleffare. Sono davvero soddisfatto di potermi dedicare a questa trasmissione che mi hanno affidato il direttore di Rai Radio 1 Francesco Pionati e il vicedirettore vicario Ivano Liberati.

A un extraterrestre che le chiedesse di ascoltare alcune voci tratte dalle nostre Teche per capire chi siamo e chi siamo stati, cosa farebbe ascoltare?

Non potrebbe mancare il primo annuncio radiofonico, nel 1924, di Ines Viviani Donarelli, che è bene ricordare che nel momento in cui andò in onda in diretta non venne registrato, e che l’Eiar, per consegnarlo agli archivi e alla storia, fece ripetere e registrare successivamente. Poi Corrado, che l’8 maggio del 1945 annunciava la fine della Seconda guerra mondiale. Passerei quindi al 1948, trasmettendo la voce gioiosa di Gino Bartali per la vittoria al Tour de France, trionfo commentato sempre alla radio da Palmiro Togliatti, che in ospedale perché ferito in un attentato, cercava di rassicurare l’opinione pubblica e distendere gli animi intervenendo sull’impresa sportiva. Non potrebbero mancare l’allunaggio del 1969, commentato da Tito Stagno e Ruggero Orlando in televisione e da Luca Liguori alla radio, così come i grandissimi radiocronisti sportivi di “Tutto il calcio minuto per minuto”, il cui esame consisteva nel descrivere, con i toni della telecronaca, un muro bianco (sorride). Metterei infine un nome, meno conosciuto ma non per questo meno importante, quello di Cesare Palandri, che il 16 marzo 1978 annunciò alla radio il rapimento di Aldo Moro.

 

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MINA SETTEMBRE 3

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Travolti dall’anima di Napoli

Terza volta per Serena Rossi e Giuseppe Zeno, protagonisti assoluti della nuova stagione di una serie amatissima dal pubblico, diretta da Tiziana Aristarco, in onda la domenica in prima serata su Rai 1

A questo punto della vostra frequentazione con Mina e Domenico, cosa rende questi due personaggi così speciali per il pubblico e per voi?

SERENA ROSSI: Io voglio molto bene a Mina, mi piacerebbe averla come amica. È una donna così aperta, solare, accogliente ed empatica, sempre pronta ad ascoltare e a dare consigli. Credo che tutti, in fondo, ci meriteremmo una Mina Settembre nella nostra vita. Penso che questa grande umanità che traspare dalla serie sia uno degli elementi che l’hanno resa così amata, sia dal pubblico che da noi interpreti.

GIUSEPPE ZENO: Domenico è un “essere umano” che vorrei come amico anche io. Mi dà l’impressione di essere una persona che non si arrabbia mai, sempre conciliante. È un personaggio buono, mi ispira una grande tenerezza. Non credo che, nel corso delle varie stagioni, lo abbiamo mai visto davvero arrabbiato…

SERENA ROSSI: Beh, una volta ha fatto a botte con Giorgio Pasotti (ride)… che lusso vedere due uomini lottare per me!

GIUSEPPE ZENO: (sorride) In generale, però, Domenico è un uomo accogliente. Sono davvero molto felice di avergli prestato il mio corpo, la mia voce e, spero, anche un po’ di anima.

In scena personaggi che devono trovare un equilibrio tra un’empatia umana piuttosto spiccata e l’esigenza di mantenere un distacco professionale per non essere travolti dalle situazioni. Ci riusciranno?

SERENA ROSSI: Mina ha ormai una notevole esperienza professionale e, quest’anno più che mai, la vedremo più pacata ed equilibrata, meno impulsiva e istintiva rispetto al passato. Nel corso di queste stagioni abbiamo assistito alla sua crescita. In questo terzo capitolo sarà affiancata da una giovane assistente, che invece somiglia alla Mina delle origini: irruenta, un po’ goffa, decisamente incasinata. Mina cercherà di insegnarle come mantenere il giusto distacco nel lavoro, e in parte ci riuscirà. Tuttavia, la vera natura di Mina – la sua empatia, il suo cuore – continuerà sempre a emergere, ed è proprio questa la sua forza, anche sul lavoro. È il motore che le permette di stare accanto alla gente e aiutarla, senza mai temere di fallire. Una persona così non si può che amare.

GIUSEPPE ZENO: Mentre Mina cresce, Domenico invecchia e matura. Anche se negli episodi non lo vediamo interagire troppo con i suoi pazienti, il suo ambito professionale rimane sullo sfondo, ma è chiaro che è un medico affermato. E sappiamo bene quanto le sue pazienti lo adorino, grazie al suo modo di essere e di comportarsi. Questo contribuisce a strappare un sorriso in un contesto dove spesso si affrontano drammi e situazioni complesse. Domenico, insieme a Mina, e contando sull’aiuto degli amici e degli assistenti, cerca di risolvere questi problemi con umanità e delicatezza.

E ovviamente c’è Napoli con la sua personalità…

SERENA ROSSI: Napoli è un po’ la nostra mamma, le nostre radici. Attraverso l’occhio di una regista milanese, quindi esterno, viene raccontata una città a 360 gradi, con i suoi mille colori – come diceva Pino Daniele – le sue ombre, il suo sole, la sua luce, le difficoltà e il mare. Napoli è una città costruita sul magma di un vulcano, un luogo che ribolle di umanità e che sa sempre sorprendere. Quest’anno, più che mai, mentre giravamo, ho avuto la conferma di quanto Napoli sia un luogo emotivamente profondo, caldo, capace di accoglierti e abbracciarti. Siamo stati davvero amati, coccolati, stimati, e questo calore mi ha commosso in tante occasioni. La generosità che questa città dona senza chiedere nulla in cambio è qualcosa di raro.

GIUSEPPE ZENO: Napoli l’ho riscoperta nel tempo. Sono andato via quando ero molto piccolo, ma ne conservavo un ricordo bellissimo. La fortuna di questa serie, iniziata più di quattro anni fa, è stata darci l’opportunità di osservare il processo di trasformazione della città. Oggi Napoli è un punto di riferimento culturale, non solo italiano ma europeo, e noi ne siamo stati testimoni. Come dice Serena, la generosità della città ci ha travolto. È una generosità che può accadere ovunque in Italia, ma a Napoli si esprime in un modo unico. È una città che vuole essere protagonista, e ogni piccolo gesto ne è la prova.

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Il Conte di Montecristo

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Una storia senza tempo

«Il romanzo di Dumas diventa una serie tv, con il doppio cuore italiano e francese, un progetto ambizioso che unisce due grandi broadcaster: France Television e Rai. Questo lavoro nasce da lontano, una serie imponente, che tratta temi universali» afferma Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, sul kolossal in onda da lunedì 13 gennaio su Rai 1

 

SAM CLAFLIN

Ho passato gli ultimi 15 anni in prigione per un crimine che non ho commesso… ho intenzione di scoprirne il motivo e quando lo farò,
punirò tutte le persone responsabili. Non chiamarmi mai più Edmond,
d’ora in poi io sono “Il Conte di Montecristo”

Mi sento profondamente fortunato ad aver avuto l’opportunità di interpretare un ruolo così affascinante e complesso come quello di Edmond Dantès ne “Il Conte di Montecristo”. Questo personaggio è ricco di sfumature, intenso e profondo, e per me è stata un’occasione unica nella vita. Sarò eternamente grato anche per tutte le ore di trucco a cui mi sono sottoposto: un sacrificio che valeva ogni secondo. Edmond Dantès mi ha lasciato un segno indelebile. Interpretarlo è stata un’esperienza che mi ha aiutato a guardare la mia stessa vita da una prospettiva diversa. Certo, la vendetta è un sentimento distruttivo e sbagliato, ma non ho potuto fare a meno di ammirare la straordinaria dedizione e concentrazione del personaggio, la sua capacità di lottare con tutte le sue forze per ciò in cui crede. Nessuno può davvero immaginare cosa significhi mettersi nei panni di un uomo rinchiuso per oltre dieci anni in un carcere da innocente. Quando si affronta un ruolo come questo, è necessario capirlo profondamente, amarlo e, in qualche modo, entrare in sintonia con lui. Io, personalmente, non sono una persona vendicativa e non potrei mai spingermi ai suoi estremi. Tuttavia, ho ammirato immensamente la sua determinazione e la sua capacità di trasformare il dolore in forza. Edmond Dantès non è solo un personaggio: è una lezione di resistenza, fede e trasformazione.

 

BILLE AUGUST, regista

Una produzione internazionale da kolossal…

Grazie alla quale ho avuto la possibilità di scegliere in tutto il mondo gli attori migliori per ogni ruolo, interpreti straordinari che hanno messo tutta la loro anima, tutto il loro cuore nel dare vita a questa storia.

Una serie che ha il fascino del cinema qual è stata l’ambizione più grande nel misurarsi con il capolavoro di Dumas?

Il Conte di Montecristo è la storia più affascinante, più interessante, più complessa di vendetta mai raccontata nella storia. La premessa è che, se mi avessero proposto di realizzare un film, un lungometraggio al posto di una serie di otto ore, sicuramente non avrei accettato perché non sarebbe stato possibile rendere al meglio la completezza di questa storia.  Il punto di interesse maggiore di questa storia è la vicenda di Edmond Dantès, un giovane uomo che viene ingiustamente imprigionato per quindici anni, un periodo lunghissimo durante il quale la sua unica ossessione è quella di vendicarsi. Quando finalmente esce di prigione è pieno di odio, pieno di desiderio di vendetta, che riuscirà a portare a termine, rendendosi però conto, alla fine, di non essere comunque un uomo felice. Quella sete, quell’odio lo hanno divorato dall’interno.

Una storia universale…

Ogni volta che si decide di adattare un film per il cinema o per piccolo schermo basato su un romanzo si è consapevoli del fatto che per essere fedeli bisogna prendersi delle libertà, a volte anche essere leggermente infedeli a quella che è la storia originale. Vista la complessità narrativa e il modo in cui la storia viene presentata, abbiamo necessariamente apportato qualche cambiamento, condensato, per esempio, in un personaggio più personaggi, ma senza mai allontanarsi dal focus, ovvero questa sete di vendetta. Quello che mi interessava era costruire una rete profonda di relazioni personali fra i vari personaggi, la vera impalcatura su cui regge il film. Funziona così bene che il pubblico riesce a identificarsi con loro, a stare dalla loro parte, a seguirli. L’obiettivo per me era creare un ambiente in cui potesse nascere la magia e, con gioia posso dire che, a volte, su queste scene è avvenuto davvero qualcosa di magico.

 

Gabriella Pession

Hermine, una donna che brilla per i suoi gioielli, ma cosa nasconde nel suo animo?
È vero: Hermine è una donna che trova luce nei suoi gioielli, ma dentro di sé cela un inferno. Nel contesto sociale e nell’epoca in cui vive, è costretta a negare la cosa più preziosa che possa capitare a una donna: aver dato alla luce un figlio legittimo, un figlio che per ragioni oscure doveva sparire. Dopo il parto, le fanno credere che il bambino sia morto, strappandoglielo dal seno per poi seppellirlo. Solo anni dopo scoprirà che, in realtà, quel figlio è sopravvissuto. Quella che vediamo è una donna di mondo, sofisticata, perfettamente a suo agio nelle dinamiche della società, capace di presenziare a ogni evento e di gestire abilmente denaro e investimenti. Una figura moderna per il suo tempo, ma che porta dentro di sé un dramma inconfessabile, un trauma che, lentamente, la divorerà dall’interno. Se Edmond è consumato dalla vendetta, Hermine è lacerata dal dubbio e dal senso di colpa: suo figlio è vivo o morto?

Tra vendetta e perdono: dove si posiziona questa donna?

Perdonare è un atto di volontà e coraggio, ma Hermine non intraprende questa strada. Non è un personaggio che si allinea con il perdono: il mistero che la circonda, il dolore represso e la rabbia scatenata dalla violenza che ha subito – un figlio strappato via – la portano gradualmente a perdere il controllo. Il suo percorso culmina nella follia, una dimensione che non è presente nel romanzo di Dumas, ma che abbiamo scelto di esplorare. Dopo aver letto la sceneggiatura, insieme al regista abbiamo deciso di introdurre questo cambiamento. Abbiamo girato una scena cruciale a Malta, in un carcere, dove Hermine si trova in completo isolamento. In quella cella, sotto il peso insostenibile di una realtà distorta, crolla definitivamente nella follia. È stato un “tradimento” necessario per approfondire i sentimenti di una donna che non riusciva più a sopportare il peso del non detto.

Cos’ha rappresentato per lei questa occasione?

Questa è stata per me un’occasione straordinaria per tornare su Rai 1, dopo tanti anni lontana dalla televisione che amo profondamente. Voglio ringraziare la Rai per questa opportunità e Palomar, in particolare Carlo Degli Esposti, il mio primo produttore quando avevo solo diciassette anni. Per me lui è come un buon padre, e lavorare insieme a lui è stato come tornare a casa, questa volta con un bagaglio arricchito dal mio percorso internazionale. Sono molto felice di ritornare sul piccolo schermo con un progetto così importante, diretto da un grande maestro. Dopo la scomparsa di Lina Wertmüller, che è stata la mia guida all’inizio del mio cammino artistico, ho incontrato dopo vent’anni un altro maestro, Bille August. Spero che non passino altre vent’anni prima di incrociare di nuovo una figura di questa statura. Il mio ringraziamento va a tutti i membri della produzione, del cast e della troupe. E un plauso speciale a Sam, che è stato un Montecristo straordinario.

Nicolas Maupas

Il suo personaggio incarna più di altri la colpa dei padri che ricade sui figli. Cosa le è rimasto addosso di Albert?

È vero, Albert è profondamente vittima del contesto e della società in cui vive, ma dimostra una straordinaria capacità di evolversi. Alla fine della storia, riesce a fare la scelta giusta: non scende a compromessi con la corruzione morale e si allontana da tutto ciò a cui inizialmente aspirava. La lezione più preziosa che ho imparato da Albert è la sua integrità, la sua capacità di restare saldo sui propri valori anche di fronte alle pressioni più forti. È un esempio di forza morale che mi ha accompagnato durante tutto il periodo delle riprese. Credo che, al suo posto, anch’io avrei fatto la stessa scelta. Albert è stato una guida, un modello di coerenza e rettitudine che porterò sempre con me.

Nella tela intessuta da Dantes, come si muove Albert verso il perdono?

Inizialmente Albert rimane affascinato dal Conte di Montecristo, attratto dalla sua misteriosa figura. Tuttavia, quando inizia a comprendere le ragioni profonde che muovono quest’uomo, emerge la sua vera personalità. Albert è dotato di una sensibilità e di un’intelligenza che gli permettono di riconoscere un’importante verità: la vendetta è una promessa non mantenuta. Nonostante l’apparente soddisfazione che può derivare dal vendicarsi, Albert ha il coraggio e la lucidità di capire che il perdono è una scelta più potente e, in ultima analisi, più appagante. È un giovane che osserva attentamente ciò che accade intorno a lui: vede il declino morale del padre, il disfacimento della sua famiglia sotto il peso della corruzione, e trae una conclusione netta e inequivocabile. Albert comprende che l’unica strada possibile è quella del perdono, e questa consapevolezza lo distingue come un personaggio profondamente umano e ispiratore.

 

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BLACKOUT 2

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Le verità nascoste

Da martedì 14 gennaio su Rai 1 in quattro serate la seconda stagione di “BlackOut” con Alessandro Preziosi, Rike Schmid, Marco Rossetti, Aurora Ruffino, diretta da Fabio Resinaro e Nico Marzano

Dopo aver tenuto col fiato sospeso i telespettatori di Rai 1 per un’intera stagione, “BlackOut” torna nella bellissima e innevata Valle del Vanoi e al Cima Paradisi, l’hotel al centro della vicenda. La storia riprende esattamente da dove il racconto è stato interrotto. Un omicidio commesso sotto gli occhi degli spettatori da Umberto, il padre amorevole e accudente di Lara, che continua a nascondere la verità agli altri. Ma perché Umberto ha ucciso un altro ospite dell’albergo, mentre era in sala radio? Cosa stava per scoprire? Cosa non doveva essere rivelato? Mille nuove domande e il dubbio che fuori dalla Valle potrebbe essere successo qualcosa di terribile. A rendere ancora più intensa la vicenda, l’arrivo di nuovi misteriosi personaggi a bordo di un elicottero. “Ripartiamo esattamente dal momento in cui sembra tutto perduto: il nostro protagonista, considerato inspiegabilmente il responsabile di tutto e l’incedere di queste situazioni atmosferiche che creano terrore, in quanto non sai cosa sta accadendo fuori – dice Alessandro Preziosi, nei panni del protagonista Giovanni –. Ma ecco che arrivano nella valle del Vanoi i primi soccorsi che portano speranza e informazioni che vengono dilazionate, misteriosamente fornite ai protagonisti. Quello che in apparenza sembra essere un aiuto, una speranza di sopravvivenza, si trasforma. Tutto quello su cui lo spettatore era rimasto in misteriosa sospensione viene a essere spiegato: il mondo sta finendo, sta per avere un turning point sotto i nostri occhi”. I protagonisti sono ancora loro, a partire da Giovanni (Alessandro Preziosi), broker di successo profondamente cambiato dall’esperienza accanto a sua figlia Elena (Giulia Patrignani) in coma, innamorato di Claudia (Rike Schmid), la dottoressa che le ha salvato la vita e che Giovanni aveva ricevuto l’ordine imperativo di uccidere, in quanto testimone chiave nel processo contro suo fratello, boss di un clan. Claudia, dal canto suo, ha appena scoperto che Giovanni, al quale si è avvicinata mentre si prendeva cura di Elena, ha tentato di toglierle la vita per ben due volte. Il tema della serie e dei suoi personaggi è ancora una volta il destino. Nel cast, accanto ad Alessandro Preziosi e Rike Schmid, ci sono Marco Rossetti, Aurora Ruffino, Caterina Shulha, Federico Russo, Giulia Patrignani, Juju Di Domenico, Mickaël Lumière, Riccardo Manera, Maria Roveran, Magdalena Grochowska, Eugenio Franceschini. “Questa storia vuole portare all’attenzione dello spettatore tutte le conseguenze del rapporto che l’uomo ha con la natura. Con la natura ci si può confrontare, ma con regole che non sono più quelle dell’uomo” prosegue Preziosi, che sul successo della prima stagione afferma: “Credo che l’ambientazione e l’aspetto giovanile della serie siano stati molto importanti. È interessante vedere il differente modo in cui ci si approccia alla fine del mondo: i giovani continuano ad amarsi, scoprono sentimenti nuovi, crescono emotivamente più velocemente, mentre gli adulti si dimostrano molto più vigliacchi e impavidi. La serie queste mette l’una di fronte all’altra due generazioni che si ritrovano ad armi pari davanti a uno stato di urgenza e di incertezza”. Nuovi arrivati nel cast Adele Dezi, Fiorenza Tessari, Alessio Vassallo, Marina Delmonde, Federico Tolardo. Una nuova stagione piena di colpi di scena per questo mistery-drama ambientato sulle magnifiche montagne del Trentino; una seconda stagione diretta da due giovani registi, Fabio Resinaro e Nico Marzano: “La seconda stagione di BlackOut 2 – Le verità nascoste” rappresenta un’immersione ancora più profonda nei temi universali dell’isolamento, della resilienza e del senso di comunità – affermano – La valle imbiancata dalla neve diventa uno spazio sospeso nel tempo, dove ogni scelta, ogni relazione, e ogni sguardo nasconde una lotta per la sopravvivenza. L’idea alla base della regia è stata quella di amplificare questa sensazione di stallo e incertezza, creando un dialogo costante tra lo spazio intimo dei personaggi e la vastità del paesaggio circostante, quasi a riflettere il contrasto tra le paure interiori e le forze implacabili della natura”. A comporre la colonna sonora della serie i musicisti Paolo Vivaldi e Andrea Bonini per le Edizioni Musicali Rai Com. Le immagini in 4K restituiscono i meravigliosi scenari di location come San Martino di Castrozza, della Valle del Vanoi, di Sagron Mis di Val Canali, del Lago di Calaita, Forte Buso e Paneveggio.

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RENZO ARBORE

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Sorrisi senza tempo

Le risate che hanno fatto la storia della Tv. “Come ridevamo” è il nuovo programma di Rai Cultura ideato da Renzo Arbore e Gegé Telesforo insieme a Ugo Porcelli, in onda il giovedì in seconda serata su Rai 2. I due conduttori che hanno selezionato 120 tra scenette e brani, sketch iconici da far conoscere anche alle nuove generazioni. Renzo Arbore racconta questo viaggio di venti puntate

 

È partito con un nuovo emozionante viaggio televisivo, questa volta nel tempo. Com’è nato?

Avevo il rammarico che certi momenti di televisione venissero visti soltanto di sfuggita, magari tra una cosa e l’altra, tagliati a pezzettini senza essere valorizzati come meritano. Con il mio gruppo di lavoro, con cui ho fatto anche altre trasmissioni, siamo andati a ricercare tutto il materiale.

Risate che ancora oggi resistono al passare del tempo, com’è possibile?

Noi abbiamo scelto proprio i sorrisi che resistono ai cambiamenti. Non abbiamo, ahimè, preso la satira, le imitazioni di D’Alema ad esempio, o di altri, quella roba che purtroppo decade. Abbiamo scelto quegli sketch che fanno ridere sempre, perché sono sorrisi nati dalla fantasia più che dall’attualità dell’epoca, ma anche dalle invenzioni. La generazione del dopoguerra ci ha insegnato a sorridere: Sordi, Manfredi, Tognazzi e poi Dario Fo, e tutti noi che siamo stati discepoli, la mia generazione insomma.

Quanto è importante la leggerezza?

È fondamentale, perché con la leggerezza ci si deve convivere. L’importanza è straordinaria. Grazie a Dio ci sono città dove la leggerezza è un dovere dal mattino, penso a Napoli, dove si nasce con una propensione al sorriso, che in questo momento è un po’ dimenticata.

E in televisione?

L’intrattenimento televisivo non ha più contemplato i varietà. Certo, ci sono dei talk show divertenti o dedicati al ballo o alle meditazioni, ma proprio dei programmi dove ci sia una comitiva allegra che deve far ridere non mi pare che ci siano.

Gli sketch saranno riprodotti in maniera integrale…

Sì, li abbiamo lasciati come sono nati. A volte tagliarli toglie il gusto della scenetta. E poi, al tempo, le cose che facevano ridere esigevano una certa calma, non si rideva freneticamente, si rideva piano piano, montava la risata.

Qual è la potenza della tv che lei ha fatto?

Devo dire che, non per vanità, ma “Quelli della Notte” fu il primo programma che faceva ridere nato dopo gli anni di piombo che finirono ufficialmente proprio con questo programma.

Dopo il successo di un programma lei si è sempre reinventato…

Eh già, di questo invece mi vanto un po’, perché ho sempre cercato di inventare altri format. Alla lunga ne ho fatti 21, uno diverso dall’altro. Dopo il covid ne ho ideati alcuni più economici, anche da casa mia, anche per ragioni di età.

“Con gli amici faccio lo show” diceva in una sua canzone. Quanto è stata importante l’amicizia nella sua vita e quanto lo è oggi?

Determinante. Ho lavorato con tutti quelli che sono miei amici, sono rimasti amici e grati. Il rapporto era quello, un po’ come il rapporto che si crea tra un regista e gli interpreti di un film. Non si può girare un film se odi il tuo attore. Insomma, più o meno è un rapporto sempre di affettuosità e di sintonia, molta sintonia naturalmente.

Torniamo a “Come ridevamo”: è pensato anche per far scoprire alle nuove generazioni come si divertivano i loro genitori e nonni. Lei cosa pensa del linguaggio dei giovani di oggi?

Lo approvo, ma non è lo stesso mio. Oggi si fa ridere con un umorismo “contro” che io chiamo hard. Niente di male, per carità, alcuni fanno ridere, sono molto intelligenti, ma lo stand up o il monologo satirico è così e non è in sintonia con me, anche se riconosco che molti giovani sono bravi e sono efficaci.

Il volume “Renzo Arbore Bontà Vostra” di Gianni Garrucciu, edito Rai Libri, raccoglie gli interventi di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, dell’arte, che danno una lettura a tutto tondo della sua persona. Ci si è ritrovato?

Molto, da Fiorello a Mariangela Melato, da Benigni ai registi, tutti quelli che sono stati interpellati sono stati molto generosi con me. Poi naturalmente il libro non è solo quello, ma una biografia molto accurata della mia carriera. Questo mi ha stupito, perché c’erano cose che io stesso ho dimenticato o ho sottovalutato come quelle che vengono chiamate ospitate televisive. Finalmente viene riconosciuta l’importanza della mia orchestra, che è stata una grande invenzione fatta nel ‘91 e che è durata fino al 2021 con più di  60 concerti all’anno in tutto il mondo, dall’Australia alla Russia, dal Nord America a Francia, Spagna e altri paesi, Cina e Giappone compresi. Viene riconosciuto che l’Orchestra italiana ha rilanciato le canzoni napoletane classiche, che venivano  ritenute canzonette d’epoca superate e che invece io ho dimostrato essere canzoni eterne, evergreen, sempreverdi.

Sappiamo che lei è un collezionista. In questo caso anche di risate?

Eh sì! In “Come ridevamo” abbiamo collezionato risate di tutti i tipi. Quelle di Paolo Villaggio e di Benigni, di Corrado Guzzanti, quelle con Lino Banfi. Insomma, un grande assortimento. La nostra scelta, di fronte ai tanti sketch visionati, avveniva a seconda delle risate che ci facevamo guardando. Sono risate senza tempo!

 

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L’uomo, la natura e la ricerca dell’amore reciproco

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L’ottava stagione di “Un passo dal cielo” torna in un presente sempre più attento ai cambiamenti climatici e alla salvaguardia del pianeta, il tutto con uno sguardo di speranza. Da giovedì 9 gennaio prima serata su Rai 1

I fratelli Nappi sono ormai una coppia perfettamente consolidata nelle indagini. Vincenzo rimane lo stesso vicequestore, generoso, scaltro e ligio al dovere, Manuela, invece, l’abbiamo vista crescere e affinare anche le sue abilità nello studio della prossemica, diventando una risorsa sempre più importante per la squadra. Un talento, il suo, che potrebbe offrirle nuove opportunità anche lontano da San Vito, se non fosse che Manuela tra quelle montagne sta bene. Lì c’è la sua famiglia, c’è Vincenzo che ha finalmente imparato a fidarsi di lei e del suo intuito. E poi, c’è Nathan, di cui conosciamo ancora troppo poco. Sappiamo che è stato trovato nel bosco da una coppia di antropologi, che lo ha adottato, lui ricorda solo che un’orsa si è presa cura di lui. Crescendo ha provato a vivere in società, ma a diciott’anni, non sentendosi capito, ha deciso di tornare nella natura, unico luogo a cui ha sempre sentito di appartenere. Solo dopo aver conosciuto Manuela e Vincenzo ha scoperto che gli esseri umani non sono tutti uguali, di alcuni ci si può fidare, con alcuni si può collaborare e, di qualcuno, a volte, ci si può anche innamorare. O almeno, questo è quello che spera Manuela. Dopo mesi da quella promessa d’amore silenziosa che i due si sono fatti al cospetto delle Cinque Torri alla fine della scorsa stagione, la nostra poliziotta spera che Nathan le dica di non lasciare San Vito e di rimanere con lui. Ma lui sarà pronto per questo? Forse, prima di legarsi a qualcuno, ha bisogno di fare chiarezza sul suo passato. Scoprire chi è davvero, quale sia la sua storia e come ha fatto a ritrovarsi nel bosco, da solo, così piccolo.  Ad aiutarlo a far luce sulle sue origini, potrebbe essere un nuovo personaggio: Stephen Anderssen. Un ricercatore affasciante e idealista che arriva a San Vito di Cadore con la sua squadra e si stabilisce alle pendici di un ghiacciaio con un sogno: salvarlo. Stephen, infatti, sa che se scoprisse un modo per impedire lo scioglimento di un solo ghiacciaio, potrebbe salvare anche tutti gli altri. E in questo modo, forse, salvare l’intero pianeta. Questo esperimento affascina Manuela e sarà lei, grazie al suo sguardo sensibile e acuto, a scoprire che la fragilità di quell’imponente ghiacciaio nasconde un segreto. Della squadra di Stephen fanno parte diversi scienziati, tra cui Gabriele, un ragazzo molto ambizioso e pronto a tutto per la salvaguardia del pianeta, Laura, storico braccio destro di Stephen che aiuta anche con la parte burocratica dell’associazione. E poi c’è Anna, un’orfana che Stephen ha preso sotto la sua ala protettiva. Anna è una ragazza con uno spirito selvaggio, che si batte per quello in cui crede e che sembra comprendere perfettamente il modo di vivere di Nathan. Il loro incontro metterà in crisi l’uomo degli orsi, che si troverà tra due personalità completamente differenti: Anna, così simile a lui e Manuela, che ha rivoluzionato il suo mondo. A vedere il proprio mondo rivoluzionato sarà anche la famiglia di Vincenzo. Lui e Carolina verranno messi alla prova e ci dimostreranno come, grazie alla persona amata, si possa trovare la forza di rialzarsi in tutte le prove a cui la vita ci può sottoporre. E le prove quest’anno saranno tante: dalla gestione di una famiglia sempre più grande, con l’arrivo della terzogenita Nina, ai colpi di testa di Paolino che, sempre innamorato perso di Lisa, mostrerà ai nostri di essere cresciuto molto più in fretta di quanto Carolina stessa sia pronta ad ammettere. Infine, la vita di Vincenzo sarà stravolta da un evento inaspettato, diverso da tutti quelli che ha dovuto affrontare nella sua carriera in polizia. E così, per la prima volta, dopo tanti anni da napoletano sradicato, Vincenzo, insieme a Huber, Carolina e tutta la famiglia di Un passo dal cielo, dovrà imparare ad amare davvero la montagna, perché per la prima volta si troverà ad osservarla da un punto di vista completamente nuovo.

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NEK

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Liberi nell’arte

«L’arte è ascolto, è condivisione, crea unione e rappresenta un universo sconfinato dove non esiste il male» racconta l’artista impegnato per la quarta volta nella conduzione di “Dalla strada al palco”. Al suo fianco, in prima serata su Rai 1 da venerdì 10 gennaio, Bianca Guaccero

 

Nuovo anno, nuova edizione di “Dalla strada al palco”. Tante novità…

Con grande emozione mi sento pronto… o quasi (ride). Siamo giunti alla quarta edizione, un traguardo importante che dimostra quanto l’attenzione del pubblico e della Rai sia cresciuta nel tempo. Quest’anno il programma fa un salto di qualità: siamo stati promossi su Rai 1. È un passo significativo, che ci permette di “indossare il vestito da sera”, quello delle grandi occasioni. Di fronte a sfide così importanti non ci si sente mai del tutto preparati, ma sia io che Bianca faremo del nostro meglio per regalare al pubblico qualche ora di spensieratezza e leggerezza.

Non è la sua prima esperienza come conduttore. Come vive questo ruolo?

Lo considero un piacevole percorso “parallelo” alla mia carriera musicale, che risponde al mio continuo desiderio di imparare e di mettermi alla prova. Sono sempre aperto alle novità, e questa curiosità mi accompagna da oltre trent’anni, anche nella musica. La creatività, per fortuna, è un mondo senza confini: non si smette mai di fare nuove scoperte, di affinare il proprio talento e di svelare lati inaspettati di sé, sia a livello personale che professionale. Questo ruolo, infatti, mi permette di esplorare e crescere, offrendo sempre qualcosa di nuovo al pubblico e a me stesso.

Al suo fianco Bianca Guaccero… che coppia sarete?

Bianca, come me, si metterà completamente al servizio del programma, un po’ come fa un musicista quando si dedica a una canzone: usa il proprio talento e le proprie competenze per arricchire il brano, senza cercare di rubare la scena. Diversamente, chi punta solo a mettersi in mostra finisce per essere un virtuoso fine a se stesso, che non lascia davvero il segno. Io e Bianca cercheremo di accogliere il pubblico con calore e di essere il ponte ideale tra gli artisti di strada – che sono i veri protagonisti dello show – e le persone che hanno deciso di trascorrere il loro tempo in nostra compagnia. Il nostro obiettivo è valorizzare al massimo le performance e creare un’atmosfera autentica e coinvolgente per tutti.

Cosa avete in serbo per noi?

A parte la doppia conduzione, che rappresenta un valore aggiunto, accanto ai “passanti” – diversi in ogni puntata e provenienti dal mondo dello spettacolo – che, per la prima volta, saranno chiamati a esprimere, ogni puntata, il loro voto e giudizio sulle performance degli artisti in gara, proprio come il pubblico in studio che voterà con il proprio telecomando. Una bella novità sarà la presenza dei nostri osservatori speciali: i bambini. Saranno lì, tra gli spettatori-giudici, a esprimere la loro meraviglia di fronte a un’esibizione artistica, proprio come accade per strada quando un performer cattura la loro attenzione. Con questa nuova edizione di “Dalla strada al palco”, vogliamo creare un vero e proprio varietà d’arte, con ospiti “speciali” che affiancheranno gli artisti di strada, raccontando insieme i loro sogni nel cassetto; ci saranno artisti internazionali fuori gara che impreziosiranno lo spettacolo con performance straordinarie. Ma, soprattutto, ci saranno le storie. Le storie degli artisti che decidono di mettersi in gioco, con il loro talento e la loro passione, su questa grande piazza di Rai 1.

Che storie ascolteremo?

Ascolteremo storie di riscatto nei confronti di una vita che ha segnato pesantemente la vita di questi talenti, e che hanno trovato nell’arte una splendida via di salvezza. Durante le tre edizioni precedenti, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con tanti artisti che sono stati letteralmente “salvati” dall’arte, riscoprendo una libertà autentica proprio in un angolo di piazza o lungo il lato di una strada. Devo ammettere che, inizialmente, anche io appartenevo a quel gruppo di spettatori un po’ superficiali che, osservando le loro esibizioni, pensava: “Non avranno avuto altra scelta nella vita, purtroppo”. Ma mi sbagliavo. La maggior parte di loro ha scelto consapevolmente quel palco: una scelta di libertà, per sfuggire alle scomodità e ai compromessi di una vita artistica legata ai meccanismi rigidi dello show business. Sono storie di coraggio, di passione e di amore per l’arte, che meritano di essere ascoltate e celebrate.

Se il mondo fosse un grande teatro a cielo aperto…

… sarebbe un luogo meraviglioso perché attraversato dalla creatività. Dove c’è poesia e musica c’è bellezza. L’arte è ascolto, è condivisione, crea unione e rappresenta un universo sconfinato dove non esiste il male.

Artisti tra improvvisazione, passione e talento. Che significato attribuisce a queste parole?

Ogni percorso artistico contiene una buona dose di improvvisazione. È quel lampo inatteso, quel momento fugace che afferri al volo e trasformi in arte. Alcune canzoni nascono da incontri strutturati, da progetti pensati a tavolino; altre, spesso le più belle, sono il frutto di un’idea improvvisa che devi catturare e fissare in parole e melodia. L’improvvisazione è una compagna di viaggio per ogni artista, ma anche per un conduttore televisivo, specialmente in diretta, quando bisogna essere pronti a colmare un vuoto o gestire l’imprevisto. Accade anche nella vita di tutti noi: per quanto si possa pianificare, le variabili sono sempre pronte a stravolgere ogni scaletta. Il talento, invece, è un dono innato, qualcosa che si percepisce subito e che affascina perché rende straordinario ciò che una persona fa con apparente semplicità. Il talentuoso ha un dono che è mille volte più potente di qualsiasi tecnica appresa, è fondamentale, senza si va poco lontano, soprattutto oggi. Il pubblico non si lascia ingannare facilmente, ha bisogno di talenti capaci di resistere al tempo, di mettersi o sempre in discussione, costantemente in discussione e di accettare consigli per affinare il proprio dono. È ciò che ho sempre fatto nella mia carriera: ho imparato a nutrire il mio talento con umiltà e dedizione. Ma il talento da solo non basta, senza la passione per il proprio mestiere si rischia di diventare semplici mercenari. Se io avessi scelto questo mestiere solo per guadagnare denaro o per vivere comodamente, sarei finito molto tempo fa, professionalmente e forse anche fisicamente. La passione è il motore di tutto: senza di essa, noi artisti ed entertainer saremmo schiacciati dalla pressione psicologica, dallo stress di una vita precaria. È l’amore per ciò che facciamo a renderci capaci di sopportare tutto e a farci andare avanti, sempre.

Dalla sua posizione privilegiata di “osservatore” dell’arte di strada, cosa ha scoperto?

Ho scoperto il desiderio profondo di ritrovare empatia, quel piacere unico che nasce da uno sguardo, da un sorriso, dall’attenzione genuina delle persone. È quel “like” reale che, purtroppo, molti oggi cercano solo sui social. Chi ha tra le mani l’arte – che sia un giocoliere, un musicista o qualsiasi altro artista –, vive sempre in rapporto con il giudizio e l’attenzione degli altri, e sente il bisogno di conquistarla e condividerla. Gli artisti di strada che ho incontrato in questi anni, pur essendo perfettamente inseriti nel mondo contemporaneo e spesso attivi anche sui social, hanno una caratteristica in comune: vogliono mantenere vivo il contatto umano. Quando si esibiscono in una piazza o all’angolo di una via, il loro obiettivo è catturare l’attenzione di un passante distratto, che certamente non pensa a fermarsi ad ascoltare una canzone o ammirare un numero di giocoleria. Quando questo accade, quando un passante si ferma e si lascia coinvolgere, è una vittoria immensa, sia artistica che umana. Alla fine, tutti noi che viviamo di arte puntiamo a questo: a un incontro autentico, a un incrocio di sguardi e sentimenti. Senza questo, tutto rischia di diventare finto e artificiale, perdendo il senso più profondo dell’arte.

Anche lei con la sua carriera ha attraversato tante strade e piazze…

Anche il mio ultimo giorno dell’anno ero in piazza a Ladispoli, tra la gente. Io me lo ricordo bene quando, nei primi anni Novanta, all’inizio della mia carriera, mi esibivo per strada, facendo un percorso molto simile agli artisti che ritroviamo nel nostro spettacolo. Ed è proprio questa la ragione per cui si crea un’empatia profonda con gli artisti che presentiamo, perché abbiamo esperienze simili sulla pelle.

Il programma terminerà proprio a ridosso di Sanremo… chiudiamo con una dedica e un in bocca al lupo a Carlo Conti (che è anche ideatore del programma)?

A Carlo Conti voglio molto bene. Nel 2015 mi chiamò per il suo primo Festival di Sanremo, dopo 18 anni dalla mia ultima partecipazione. Da quel momento, il nostro rapporto si è intensificato e mi ha portato fino a qui, in prima serata su Rai 1 alla conduzione di uno show che amo moltissimo. Non lo ringrazierò mai abbastanza, mi ha offerto un modo bellissimo per iniziare questa mia avventura televisiva. Gli auguro prima di tutto di divertirsi, perché in un progetto così grande, con una pressione enorme, dopo i vari Sanremo condotti da Amadeus, che hanno avuto un grande riscontro mediatico, il divertimento è fondamentale. Gli auguro di fare un grande Festival, che, tra l’altro, è il più grande reality show della storia della musica, il re dei talent. In quei tre minuti (che prima erano quattro, poi accorciati di un minuto) un artista deve essere efficace, sia se è la prima volta che sali sul palco dell’Ariston, sia se partecipi per cercare una conferma. Il Festival di Sanremo è un momento culturale importante per l’Italia che va difeso e Carlo ha fatto un importante lavoro a cominciare dal cast.

Anche Sanremo è una immensa piazza di talento…

Proprio così, lo è da sempre e per questo il mondo ce lo invidia. Dobbiamo esserne fieri e, anche se a volte ha sofferto un po’, grazie allo straordinario lavoro artistico dei direttori artistici, negli ultimi anni è stato riportato davvero in alto. Oggi tutti vogliono partecipare al Festival, perché la visibilità che offre non si trova in nessun altro evento promozionale.

 

 

L’edizione di quest’anno, che vede Nek affiancato da Bianca Guaccero, reduce dal grande successo di “Ballando con le Stelle”, è ancora più coinvolgente grazie a una serie di novità pensate per stupire e appassionare il pubblico. Ogni puntata si apre con numeri spettacolari che coinvolgono i conduttori, l’orchestra e il corpo di ballo, dando il via a un inizio scoppiettante. Ancora più protagonisti i “passanti importanti”: le stelle del mondo dello spettacolo diventano parte integrante dello show, interagendo direttamente con gli artisti e contribuendo a creare momenti di varietà memorabili. Anche questa seconda serata sarà una grande festa, ricca di sorprese, con interventi musicali inaspettati di artisti affermati che duetteranno con i talenti in gara, regalando loro momenti da sogno e partecipando a numeri unici creati appositamente per l’occasione. Lo studio, completamente rinnovato, e il grande palco esterno ospiteranno anche le coreografie del corpo di ballo, che arricchiranno ogni esibizione, e i numeri spettacolari di artisti di fama internazionale. A supportarli, la band del Maestro Luca Chiaravalli. Rimangono intatte le caratteristiche che hanno reso Dalla Strada al Palco una celebrazione universale dell’arte e della libertà di espressione: al centro dello show ci sono gli artisti e le loro storie. Performer di ogni genere, provenienti da tutta Italia e dal mondo, porteranno sul palco la loro passione, il loro straordinario talento e il loro rapporto unico con il pubblico. Le performance saranno giudicate dal pubblico e dagli ospiti in studio, che, insieme, alla fine di ogni puntata decreteranno i migliori. Questi si sfideranno durante la puntata finale per aggiudicarsi il premio di miglior artista di strada d’Italia.

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