All’ora della pennica si ride con Fiorello

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L’amato showman è tornato (a sorpresa) con “Radio 2 Radio Show. La pennicanza” in onda dal lunedì al venerdì alle 13.45. Al suo fianco il compagno di tante risate Fabrizio Biggio

A distanza di un anno dalla scoppiettante conclusione di “Viva Rai 2”, lo show del mattino entrato di diritto nella storia della televisione italiana per essere riuscito a rivoluzionare il concetto e le regole del varietà, Fiorello è tornato in scena ripartendo dalla sua amata radio. Lo ha fatto, ancora una volta, a sorpresa, irrompendo lunedì 19 maggio sulle frequenze di Rai Radio 2 a ora di pranzo. Quarantacinque minuti divertenti e mai scontati, in compagnia di Fabrizio Biggio e di tanti amici al telefono, per uno show che vuole rappresentare un break ironico e originale, una boccata d’allegria, tra le 13.45 e le 14.30. Comicità tagliente, ritmo serrato e surrealismo sono la cifra dello show, che fin dalla prima settimana di messa in onda ha unito il tono provocatorio all’imprevedibilità. “Non abbiamo un’idea, siamo qui a fare… nulla, non lo so!”, ha detto Fiorello in un debutto rigorosamente work in progress. Fiore in diretta a pranzo e in replica alla mattina alle 7.00 con il “meglio” della puntata del giorno prima. Titolo? “La sveglianza”. Su RaiPlay sono disponibili tutte le puntate on-demand mentre la visual radio di Rai Radio 2 (canale 202) garantisce contenuti extra decisamente da non perdere, anche attraverso il QR code che riportiamo anche nelle nostre pagine.  Sui social di @rairadio2 seguono lo show e il backstage. “Radio2 Radio Show. La pennicanza” è un programma di Rosario Fiorello scritto con Francesco Bozzi, Pigi Montebelli, Federico Taddia, e con Fabrizio Biggio, Enrico Nocera, Edoardo Scognamiglio.  Le musiche sono di Enrico Cremonesi. Regia di Piergiorgio Camilli. Regia radiofonica Marco Lolli.

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CARTOONS ON THE BAY 2025

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Vi aspettiamo a Pescara

I premi alla carriera a Quentin Blake e Rob Minkoff, lo special award a Noah Falstein, l’anteprima mondiale dell’ultimo corto di Bruno Bozzetto, l’assegnazione dei Pulcinella Awards 2025.  Dal 29 maggio al 1° giugno

Tra star internazionali, première, incontri sui grandi temi del mondo dell’animazione, eventi aperti al pubblico e alle scuole, torna Cartoons On The Bay, Festival internazionale dell’animazione, della transmedialità e delle meta arti, a Pescara dal 29 maggio al 1° giugno. A firmare il manifesto della 29esima edizione è Quentin Blake, disegnatore, illustratore e scrittore britannico, pilastro della narrativa per l’infanzia di numerose generazioni. Diretto da Roberto Genovesi, “Cartoons On The Bay” è promosso da Rai e organizzato da Rai Com, in collaborazione con la Regione Abruzzo e il Comune di Pescara. Main partner del Festival sono Rai Kids, RaiPlay, Rai Radio Kids e Rai Radio 2. A contendersi gli ambiti Pulcinella Awards, nelle nove categorie del concorso, opere provenienti da 50 paesi (320 quelle iscritte). Cartoons on the Bay celebra quest’anno la creatività dei Paesi Nordici (Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia e Islanda), tra i più dinamici dell’animazione europea e nella produzione di contenuti animati e per l’infanzia. Ampio il programma professionale del Festival che si svolgerà all’Aurum e sarà animato da oltre ottanta ospiti tra registi, produttori, artisti e manager protagonisti di una tre giorni di panel, key notes e masterclass. L’edizione 2025 di Cartoons On The Bay assegnerà due Career Award, a Quentin Blake e a Rob Minkoff, il Pulcinella Special Award a Noah Falstein e al programma di Rai Radio 2 “610”, il Pulcinella Studio of the year a Eaglet Films, il Pulcinella Transmedia Award a The Angry Birds x Legends, il Pulcinella Diversity Award a Barbie (Mattel). Il Premio Sergio Bonelli, giunto alla quarta edizione, sarà conferito a Lorenzo Ceccotti, fumettista, illustratore e artista a tutto tondo tra i più apprezzati al mondo. Imperdibili i programmi Pubblico, Cinema e Scuole. Due le mostre allestite nei saloni dell’Aurum, a ingresso libero dal 29 al 31 maggio tra le 10.00 e le 18.00. Alla straordinaria carriera di Quentin Blake, narratore visivo senza pari, è dedicata la mostra “Quentin Blake: L’arte di dare vita all’immaginazione”, nella sala Europaurum. La sala Gabriele D’Annunzio ospiterà invece “Lillo Modellista fra storico e fantasy” che svela la passione nascosta di Lillo Petrolo, comico, musicista e attore, per il mondo dell’arte modellistica. L’emiciclo esterno dell’Aurum accoglierà famiglie e appassionati nello spazio “Cartoons on the Bay Fun & Comics” realizzato in collaborazione con Funside Games Academy e Scuola Internazionale di Comics, con eventi dimostrativi, sessioni di gioco e performance di artisti. Il grande palco di Piazza della Rinascita ospiterà le dirette di appuntamenti cult di Rai Radio 2: “Numeri UNI” con il duo comico Maria Di Biase e Corrado Nuzzo (venerdì 30 maggio alle 15.30) e “610” con Lillo, Greg e Carolina Di Domenico (sabato 31 maggio alle 10.30). Attesa tra i più piccoli per l’incontro con le star di Rai Yoyo, da Maia a Bing, da Bluey a Peppa Pig (sabato 31 maggio alle 18.00) e per il Winx 20th Celebration Show! (sabato alle 19.00). Imperdibili gli eventi di prima serata. Venerdì alle 21.00 concerto di Banco del Mutuo Soccorso con “Storie Invisibili – Tour 2025”, mentre sabato, alla stessa ora, in scena ci saranno Greg & the Frigidaires. Il Cineteatro Massimo ospiterà le proiezioni dei lungometraggi in concorso, la retrospettiva dedicata a Rob Minkoff, l’anteprima italiana del lungometraggio “Maracuda – Diventare grandi è una giungla” di Viktor Glukhshin (31 maggio ore 20.30). Tutte le proiezioni saranno a ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Protagonisti di Cartoons On The Bay anche gli studenti di classi primarie e secondarie di primo grado. Ad animare gli incontri mattutini, che alterneranno momenti di spettacolo, gioco e divulgazione alla proiezione del meglio della produzione di Rai Kids, saranno popolari personaggi della tv e della radio, da Armando Traverso con il Rai Radio Kids Live a Oreste Castagna.  Sul palco anche la doppiatrice Arianna Craviotto e il campione del mondo di pallavolo Andrea Lucchetta. Dal 30 maggio al 1° giugno ritorna anche il Village di Cartoons on The Bay, ideato e promosso dal Consorzio Gruppo Eventi. All’interno del Villaggio sul mare, in Piazza della Rinascita, verranno creati angoli interattivi per promuovere la Cultura in tutte le sue sfaccettature e per coinvolgere il pubblico con appuntamenti prestigiosi.

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EMILIA BRANDI

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Al servizio delle storie che raccontiamo

La nuova serie di “Cose Nostre” il lunedì in seconda serata su Rai 1, il podcast su RaiPlay Sound. La giornalista al RadiocorriereTv: «A muoverci è la curiosità, la stessa di un lettore o di una lettrice qualunque». E ancora: «Quando ho avuto la possibilità di avere uno spazio mio ho scelto questo tema perché mi sembrava di potere restituire qualcosa»

“Cose Nostre” è tornato per raccontare altre storie di persone che scelgono di dire no alle mafie, ai soprusi… a che punto siete del vostro lungo, lunghissimo viaggio?

Sono dodici puntate con le quali tocchiamo i nostri temi classici, storie di persone che hanno sacrificato la propria vita per contrastare la mafia, allargando però la narrazione ad altre storie di criminalità. Nella prima puntata (disponibile su RaiPlay) ci siamo chiesti chi fosse davvero Tony Chichiarelli, un personaggio che ha avuto a che fare con le trame più torbide della storia della Repubblica. Nella seconda, che abbiamo intitolato “L’amore bugiardo”, raccontiamo la vicenda del calciatore del Cosenza Calcio Denis Bergamini, morto nel 1989 in circostanze non chiare. La terza puntata è invece dedicata al rapimento della diciottenne Cristina Mazzotti, avvenuto nel 1975. All’orrore del sequestro si aggiunse la ferocia della crudeltà: la giovane veniva tenuta reclusa in una buca, respirava attraverso un tubo che sbucava dal terreno. La sedavano per non avere grane, poi, quando doveva rispondere alle domande dei familiari che chiedevano prove del fatto che fosse viva, le davano degli eccitanti, adrenalina.

Qual è l’elemento che vi porta a scegliere una storia piuttosto che un’altra…

La curiosità, la stessa di un lettore o di una lettrice qualunque. Leggo libri, metto da parte ritagli, riviste, interviste. Poi studio, cerco di saperne di più, vado a verificare quale repertorio ci sia. Da lì nasce la scelta.

Di fronte alle realtà che fotografate è possibile pensare al futuro con ottimismo?

Se guardo al passato lo vedo eroico. Ci sono alcuni uomini, con o senza divisa, che hanno fatto il proprio dovere, come dovremmo fare tutti. Persone che non hanno fatto compromessi e sono state rette fino in fondo e questo mi conforta. Sono stati il volto credibile dello Stato, sempre dalla parte giusta. Per l’oggi non so dirti, per certo è cambiata la mafia. Si dice che quando non ci sono più morti significa che non c’è bisogno di farne. E questo è inquietante, ovviamente non perché debba morire la gente. L’argomento sta prendendo altre forme, sta mutando. Non ci sono più i vecchi ‘ndranghetisti, i figli sono laureati, hanno studi legali, società all’estero. Oggi è più difficile capire, non credo che il fenomeno si sia estinto, credo solo che abbia mutato forma.

Da giornalista cosa ti sta dando questo viaggio?

Quando ho avuto la possibilità di avere uno spazio mio ho scelto questo tema perché mi sembrava di potere restituire qualcosa. Quello della criminalità organizzata è un elemento narrativo per raccontare un territorio, una persona, la scelta quotidiana che tutti facciamo tra il bene e il male. Non una conquista ma una scelta, anche nel modo di vedere le cose, come avere ad esempio un gesto di gentilezza o garbo verso l’altro. Da giornalista sono sempre al servizio delle storie che raccontiamo, certa che quando chi racconta si mette al centro della narrazione c’è qualcosa che non va. Questo viaggio mi ha fatto anche incontrare tante persone motivate. Accanto a me ci sono tanti giovani entrati da poco in Rai, montatori, fonici, grafici, vedo in loro molto entusiasmo per il programma, per la sua artigianalità, per il modo in cui raccontiamo, per il fatto di andare a inseguire, costruire e raccontare le storie.

Le storie di “Cose nostre” sono oggi anche un podcast di RaiPlay Sound, recentemente presentato al Salone del libro di Torino…

Sono contentissima di questa cosa che ho inseguito per anni. Ho incontrato un gruppo di lavoro fantastico, guidato da Andrea Borgnino, e sono nate quattro puntate che raccontano storie di donne molto diverse tra loro. Si parte con Maria Concetta Cacciola, figlia della ‘ndrangheta di Rosarno che a 31 anni si ribella diventando testimone di giustizia. Raccontiamo Marisa Merico, figlia dell’ex boss Emilio Di Giovine, che nel nome del padre diventa un corriere del crimine per il riciclaggio di denaro sporco e che dopo l’arresto decide di dare una svolta alla propria esistenza; Luisa Fantasia, giovane vittima innocente di mafia; Maria Badalamenti, nipote di una delle figure apicali di Cosa Nostra, Tano Badalamenti, impegnata a difendere la memoria del padre Silvio, uomo perbene, malgrado il cognome e vittima incolpevole della sete di vendetta mafiosa. “Cose nostre” è un programma fondato sulla parola, la versione podcast aiuta a mettere a nudo l’anima. Abbiamo fatto un esperimento, per il futuro potrebbero arrivare anche contenuti originali. Spero di avere il tempo per farlo (sorride).

A chi dedica questa nuova stagione di “Cose Nostre”?

A Raffaele Maiolino, il nostro regista scomparso il 10 marzo scorso, la persona con cui per sette anni ho costruito le puntate, il mio primo riscontro. Per tutti noi è un momento drammatico, questa serie la stiamo portando avanti tra mille sacrifici, nel suo ricordo, e devo dire che in questo l’azienda ci sostiene. Nel nostro racconto c’è tanto di lui.

 

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BRUNO BOZZETTO

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Signor Rossi, il mio attore disegnato

A Cartoons On The Bay presenta in anteprima mondiale il corto “Rossi Boomer”. Mentre il suo amato personaggio spegne le 65 candeline, il disegnatore, animatore e regista, apprezzato in tutto il mondo, si racconta al RadiocorriereTv: «Qualsiasi film, qualsiasi opera, deve nascere da un concetto, da qualcosa che si vuole comunicare. La cosa importante non è il perfezionismo tecnico, ma il racconto»

 

Il Signor Rossi si confronta ancora una volta con il tempo che passa… cosa dobbiamo aspettarci da “Rossi Boomer”?

Questo film nasce dal concetto che il Signor Rossi ha fatto la sua età (sorride), è nato negli anni Sessanta e potrebbe essere considerato un uomo superato. In realtà lui è l’uomo comune e come tale affronta i problemi, esattamente come noi. Avrei potuto inventare un personaggio nuovo, ma mi son detto: il Signor Rossi funziona, è simpatico, e soprattutto in Germania lo amano moltissimo, e così mi è sembrato giusto rimetterlo in pista, provare a usarlo per parlare della contemporaneità, esattamente di quello che prova l’uomo comune oggi di fronte alle nuove invenzioni tecnologiche che cambiano ogni ora e che a volte sono difficili da accettare. Il computer, ad esempio, dovrebbe essere fatto per semplificare le cose. Ma basta usarlo per entrare nel sito di qualche ente e ti trovi a passare da una pagina all’altra, tra parole in inglese e password, rischiando di dover fare più volte anche cose banali. A me almeno succede così, divento matto. Computer a parte, anche comperando un’automobile ci si trova di fronte a qualcosa che prima non avveniva, pensi alla guida automatica. Mi sembra divertente mettere il Signor Rossi, esagerando il tutto come avviene in un cartone animato, nelle situazioni in cui rischiamo di trovarci prima o poi noi tutti. È un esperimento. In questo film lui si trova a passare dagli anni Sessanta a oggi, pensando che tutto sia migliorato, che non ci siano più guerre, che non esistano più le tasse, e questo proprio non è così.

“Rossi Boomer” potrà avere un seguito?

Se riuscissimo a fare una serie, con una trentina di film, potremmo affrontare un sacco di argomenti, molto divertenti e interessanti. Pur essendo di sei minuti funziona. Abbiamo preso il Signor Rossi con Gastone e li abbiamo portati nel 2025.

Lei e il Signor Rossi come avete convissuto in questi sessantacinque anni di vita insieme?

Non abbiamo mai avuto problemi. Diciamo che lui ha subito delle metamorfosi un po’ traumatiche. Nei primi otto film non parlava, era da solo ed era come un attore del cinema muto, come Chaplin, era un mimo. Quando ha cominciato ad andare in televisione abbiamo sentito la necessità, anche per arricchire le storie, di farlo parlare. Perché questo avvenisse ci voleva una spalla ed è arrivato Gastone, che ha formato con lui una strana coppia, divertente, in cui Gastone è un po’ la moglie burbera ma con tanto buonsenso. Il Signor Rossi, invece, è un po’ il bambino che si vuole buttare in tutto e se non ci fosse Gastone non lo fermerebbe nessuno. Nei tre lungometraggi scritti con Guido Manuli e Maurizio Nichetti, abbiamo visto come il Signor Rossi funzionasse anche parlante.

Che rapporto ha costruito nel tempo con il Signor Rossi?

Lo considero un attore disegnato. Andiamo d’accordo ma ci incontriamo solo quando dobbiamo fare qualcosa insieme, non sempre. Se mi serve in un film lo frequento, per parecchio tempo non l’ho più visto. Oggi mi serve ancora, lui è disponibilissimo e stiamo provando a fare qualcosa insieme.

Come alimenta la sua creatività?

Leggo molto, penso che i libri siano stimolanti per una persona creativa, la portano in altri mondi, a conoscere modi diversi di esprimersi. Se leggo certi libri sull’uomo e sul suo comportamento, sull’etologia, di stimoli ne ricevo ancora di più. Mi spingono a ragionare e a riflettere: dell’uomo vedo anche gli errori. Lo osservo e poi lo ridimensiono. Se penso all’uomo visto da vicino, diventa una persona importante, se invece lo allontano da me, ne vedo i comportamenti, quello che produce, i danni o le cose belle che crea. Lo vedo con un’ottica più distaccata. Avere un punto di vista diverso nell’esaminare le cose fa nascere molti stimoli.

Il suo studio ha fatto da apripista ai tanti che sono arrivati dopo di voi… come sta l’animazione italiana oggi?

Ho fatto le mie cose, ho visto che molta gente mi ha seguito, altri hanno fatto cose totalmente diverse, ma c’è spazio per tutti. L’animazione italiana, specialmente nei giovani, sta crescendo bene. Ci sono tantissime promesse, animatori che prima non esistevano. Ma quello che mi interessa di più non è forse l’animatore, il disegnatore, bensì la persona che scrive soggetti. Credo che qualsiasi film, qualsiasi opera, nasca da un concetto, da qualcosa che si vuole comunicare. Oggi non vorrei che questi animatori, disegnatori, si innamorassero troppo del disegno, dei colori, della tecnica, e tralasciassero quella che per me è l’unica cosa importante: il contenuto, con il rischio di farsi affascinare troppo dal perfezionismo tecnico, dagli effetti speciali. Tutte cose magnifiche che anche io adoro, ma non devono essere sostitutivi di ciò che si racconta. Mi capita talvolta di vedere film al cinema spettacolari, ma quando esco mi chiedo: cosa ho visto? In un’ora, con un film di Woody Allen, ho molti più stimoli sull’umorismo, sulla vita, sull’affetto, sulle relazioni, di certi film spettacolari che mi fanno vedere gente che viene catapultata a tremila chilometri. Sono mondi diversi. Il disegno animato è un mezzo di comunicazione straordinario, quindi, usiamolo.

Cosa la fa arrabbiare nel lavoro e nella vita?

Mi arrabbio quando non riesco a raggiungere quello che vorrei fare. Mi capita di alzarmi al mattino volendo trovare un’idea per una vignetta, per un disegno, e non mi viene…

… succede anche a lei?

Tantissimo. A volte le idee arrivano casualmente, altre si fa fatica e bisogna avere pazienza. Ci sono giornate no, bisogna accettarle e sperare nel domani (sorride)...

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Domenico Iannacone

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Resistenza e speranza

Al via la nuova stagione di “Che ci faccio qui”, un viaggio profondo e intimo, raccontato al Radiocorrieretv dal conduttore: «Questa volta è un viaggio più profondo, più intimo. Se dovessi individuare una differenza rispetto alle stagioni precedenti, direi che c’è un’esplorazione dell’interiorità». Un viaggio nell’anima dell’Italia contemporanea, tra fragilità, resistenza e speranza. Da martedì 20 maggio alle 21.20 su Rai 3

Si affronta il tema della perdita della memoria, una delle condizioni più laceranti che possa colpire l’essere umano. L’Alzheimer e le demenze cancellano i volti, smarriscono i legami, dissolvono l’identità. Domenico Iannacone raccoglie le storie che nascono all’interno del Centro Diurno Ra.Gi. di Catanzaro, fondato da Elena Sodano, dove si sperimenta una forma di cura che non si limita all’assistenza, ma cerca, attraverso la relazione e l’ascolto, di restituire dignità anche quando il tempo sembra aver smarrito il suo senso. Accanto a questo racconto si intreccia la storia di Pino Astuto, rinchiuso a soli otto anni nell’ex manicomio di Girifalco, dove ha trascorso trentadue anni della sua vita, pur non avendo mai ricevuto alcuna diagnosi psichiatrica. Una reclusione ingiusta che avrebbe potuto spegnere ogni ricordo, ogni traccia di sé. E invece, Pino ha custodito la propria memoria come un atto di resistenza silenziosa. Oggi, la sua testimonianza diventa voce necessaria: perché la mente, anche quando sopravvive segregata e sola, può essere l’unico rifugio per resistere all’ingiustizia.

Con uno sguardo empatico e mai giudicante, “Che ci faccio qui” continua a restituire voce agli invisibili, facendo della televisione un luogo di riflessione e coscienza civile.

Domenico, è arrivato il momento di rimettersi in viaggio…

Questa volta è un viaggio più profondo, più intimo. Se dovessi individuare una differenza rispetto alle stagioni precedenti, direi che c’è un’esplorazione dell’interiorità. Partiamo con “Ricordati di me”, due puntate dedicate alla mente, alla memoria, a ciò che è invisibile e spesso insondabile. Questo mi ha permesso di attraversare mondi che tendiamo a ignorare, che non guardiamo con attenzione. Nel primo capitolo raccontiamo la storia di una mente che si spegne con la malattia dell’Alzheimer. Siamo andata a Catanzaro, in un territorio complicato in cui l’associazione gestita da Elena Sodano rappresenta una forma di resistenza, offrendo una cura diversa della malattia, tarata sull’individuo, non massificata. Ogni persona che entra in quel luogo viene accolta per ciò che è, con le proprie peculiarità, perché l’Alzheimer non si manifesta mai allo stesso modo. L’approccio è cucito addosso a ciascun individuo, e proprio per questo è così umano. Continuiamo con la storia di una mente rimasta segregata per trentasei anni all’interno dell’ex manicomio di Girifalco, sempre in provincia di Catanzaro. È la vicenda di Pino Astuto, un uomo rinchiuso ingiustamente da bambino, quando aveva appena otto anni, con una diagnosi di “carenza affettiva”, una motivazione che oggi farebbe rabbrividire. Non aveva alcuna patologia psichiatrica, eppure è stato internato per una vita intera. È una delle tante ingiustizie inflitte silenziosamente, senza possibilità di ribellione. Eppure, la mente di Pino ha resistito a quella tortura, e oggi Pino testimonia con lucidità ciò che ha vissuto, del modo in cui la sua mente sia riuscita, nonostante tutto, a sopravvivere, per non cedere alla brutalità della segregazione. Il suo è un racconto potente, che ci ricorda quanto la mente possa essere un baluardo di resistenza, anche nelle condizioni più estreme.

La seconda puntata, invece, dove ci porta?

Continuiamo a lavorare sul tema della mente, racconto un trittico di storie. La prima è quella di Carlo Di Bartolomeo, un ragazzo autistico dotato di una mente sorprendente, che conosce profondamente testi di teatro, lavora con la compagnia Stato Patologico accanto ad altri attori con disabilità. È un pozzo di conoscenza, gli si può chiedere qualunque cosa e lui sa rispondere, dimostrando come, anche una fragilità può essere prodigiosa. Poi c’è la storia della cave multisensoriale del Policlinico Gemelli di Roma, una struttura dove si lavora per far emergere dal coma persone attraverso la somministrazione di immagini, di suoni, di odori, perché anche una mente apparentemente spenta può avere ancora un filo con il mondo. Infine, racconto la storia di un uomo che a 76 anni sta conseguendo la sua dodicesima laurea, una mente, quindi, che non ha mai smesso di essere curiosa, di imparare.

La terza…

Si chiama “La casa degli altri” e considera la casa non come elemento simbolico, fisico, bensì astratto. Protagoniste sono due storie molto intense, quella di Guglielmo, che avevo conosciuto otto anni fa e che aveva perso tutto, una persona che ho incontrato otto anni fa, che aveva perso tutto e che ho voluto raccontare di nuovo per capire se fosse cambiato qualcosa, dopo averlo messo in connessione con un’associazione, per arginare la caduta. La seconda è dedicata a Nikita, una badante romena che fa la scrittrice. Mi ha raccontato l’incapacità di avere una collocazione fisica, di avere una casa, di non sentirsi a casa in nessun posto. Questo rappresenta un elemento di straniamento molto toccante, che fa comprendere esattamente il significato della parola sradicamento, identità, accoglienza o sentirsi in qualche modo parte di qualche cosa.

La quarta…

“Parlami di te” è un ritorno a “Capra Libera”, vicino Nerola, un luogo già protagonista di un nostro racconto di cinque anni fa, che dopo quella puntata, ha fatto esplodere l’associazione. La visibilità ottenuta in tv ha portato a ricevere in comodato d’uso circa 500 ettari di terreno dai Comuni limitrofi, un riconoscimento importante del valore del loro lavoro. Massimo Manni, che gestisce questo santuario per animali, è un allevatore “pentito”, si prende cura oggi di circa 500 animali di ogni specie, che vivono liberi in un luogo straordinario. Tra loro ci sono anche animali con disabilità, che sarebbero condannati a essere abbattuti. La scelta di Massimo è rara e preziosa, perché dà dignità a vite che altrove verrebbero considerate inutili. Il suo è un gesto di profonda compassione, che restituisce senso e bellezza alla relazione tra uomo e animale. Una realtà davvero toccante e fuori dal comune. Accanto a questa storia, si sviluppa un altro filo narrativo: il rapporto dell’uomo con gli animali, con la natura. Al centro c’è un ex falegname, liutaio, fabbro – Guidalberto Bormolini – oggi sacerdote che insegna tanatologia, accompagnando le persone nel tratto finale della vita. Si occupa della cura spirituale delle persone in un percorso profondamente umano e compassionevole. È una puntata che, partendo dal mondo animale, arriva a toccare l’anima degli uomini, intrecciando storie personali, cura degli spazi e trasformazione. Guidalberto e il suo gruppo hanno anche ristrutturato un luogo nei pressi di Prato, un tempo abbandonato, che oggi accoglie persone che affrontano gli ultimi momenti della loro esistenza. Qui possono arrivare anche le famiglie, per condividere insieme questo tempo prezioso, in modo dignitoso e consapevole. In quel luogo, la morte non è vista come un’uscita marginale, ma come un passaggio che può ancora avere un senso profondo, un momento di riconnessione intensa con la vita. È una puntata molto intensa, che ci parla di spiritualità, cura e rinascita, anche laddove tutto sembra finire.

Queste storie sono abitate da protagonisti, ma anche da chi sta loro accanto: familiari, operatori, volontari…

Il nostro è sempre un racconto collettivo, non solo ai soggetti che offrono la loro testimonianza, appartiene anche alla famiglia, alla comunità. Io credo, in questi anni, di aver fatto attraversamenti che hanno a che fare con i bisogni collettivi del nostro tempo, ogni piccola storia diventa, così, un archetipo di quello che la società in qualche modo mi sta chiedendo.

Cosa racconta di noi italiani come popolo il programma?

“Che ci faccio qui”, così come “I dieci comandamenti”, sono programmi che non hanno mai subito contaminazioni, non hanno mai ceduto al populismo o alla manipolazione di suggestioni. Ho cercato di fare fotografie nitide, oneste. Credo che questo lavoro sia una sorta di cartina tornasole, uno specchio di noi stessi: chi guarda può ritrovare i propri limiti, le proprie debolezze ed errori, ma anche le speranze. Il mio obiettivo è restituire al telespettatore la sensazione di essere rappresentato davvero.

Hai mai provato a mettere te stesso di fronte lo specchio? Cosa resta dopo il viaggio?

Dopo ogni puntata, ogni stagione, ogni incontro ne esco trasfigurato, non sono mai lo stesso del giorno prima, è un’immersione profonda che non mi lascia indifferente, che non mi fa stare al margine. Le relazioni che creo con i protagonisti, con i luoghi, con le storie non finiscono con la puntata, restano. È come un treno che aggiunge vagoni a ogni viaggio, creando un esercito infinito di uomini e donne che rimangono ancorate alla mia esistenza, spesso gran parte del lavoro comincia dopo la messa in onda. Si crea una rete, una forma di solidarietà molto forte, i telespettatori dei miei programmi hanno costruito una sorta di comunità in cui si ritrovano e in cui sono pronti a dare una mano.

Anche il tuo è un lavoro collettivo. Come scegli i tuoi collaboratori?

Chi lavora con me deve condividere un progetto, deve immedesimarsi in una modalità narrativa un po’ anomala. Nei nostri racconti abbiamo reintrodotto le pause, abbiamo creato uno spazio riflessivo. Abbiamo una redazione molto piccola, da due anni lavora con me Gabriella Quartulli, condividiamo ogni parte del processo, dalle riprese al montaggio. Chi entra in un programma del genere non può rimanere distante, deve immergersi completamente. Le persone non devono avvicinarsi al racconto soltanto con la curiosità. Io dico sempre che le storie devono avere un reagente morale, devono avere un peso, un senso, un’etica.

A proposito di storie…

Abbiamo ormai assunto un atteggiamento verso le cose, verso gli altri che è dettato dalla fretta, mentre a me interessa che le storie vengano raccontate con il giusto tempo. La televisione non deve essere fagocitata, non deve lasciarsi avvolgere dal vortice imposto dalla velocità, per esempio dei social, ma deve rimanere se stessa, deve mantenere gli stessi canoni espressivi del cinema: immagini, i dialoghi e anche le pause. Tutto questo io non lo voglio perdere, anche a costo di andare controcorrente.

Il tuo è un giornalistico, ma anche un atto di osservazione sociologica. Come mantieni l’equilibrio?

In questi hanno ho imparato a esserci pienamente, essere un testimone nelle storie, mai protagonista, però, cercando di creare un racconto partecipante. Questo è un meccanismo mutuato dalla sociologia, per cui, chi entra per raccontare qualcosa, ha un punto di osservazione privilegiato, ma non deve sovrastare, entra nella narrazione in punta di piedi, con rispetto, cammina a fianco dei protagonisti. Sono gli occhi del telespettatore, guardo, mi immedesimo, racconto ciò che vedo senza alterarlo.

“Che ci faccio qui?” ha raggiunto anche il teatro…

Il teatro è diventato parte di questo bellissimo percorso, mi ha permesso di rinsaldare il legame con il pubblico, con quella comunità che attende la nuova stagione del programma, ma soprattutto ha rotto la quarta parete, facendomi uscire dal virtuale per entrare in contatto fisico con le persone. Se in tv parlo pochissimo, a teatro prendo la parola, divento parte attiva del racconto, compensando quello che il piccolo schermo non riesce a descrivere. Sul palcoscenico è come se riuscissi a entrare ancora di più nelle pieghe delle storie, un esperimento che mi ha restituito forza, energia, uno sguardo ancora più attento.

Ti senti una persona soddisfatta?

Soddisfatto è una parola difficile. Io sono un perfezionista, un professionista molto esigente, che cura con attenzione maniacale ogni dettaglio del lavoro, dalla scelta delle storie al montaggio. E questo significa che trovo sempre qualcosa da migliorare, soprattutto quando il livello è alto. Però sì, sono soddisfatto come persona, perché in tutti questi anni non mi sono mai dovuto piegato a logiche che non condividevo, ho potuto esprimere liberamente il mio pensiero. E in questi tempi, questo è già un grande privilegio.

 

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Salto25

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Una Rai di libri, parole, musica e informazione al Salone del Libro

La XXXVII edizione del Salone Internazionale del Libro è stata, ancora una volta, per la Rai occasione di condivisione di contenuti e spunti, a partire dall’evento di Rai Radio 3 – “Dire, fare combaciare, leggere e concertamento (Scrittura per pensata armonica)” – che, in diretta mercoledì 14 maggio nell’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino, ha visto sul palco Alessandro Bergonzoni, un vero e proprio funambolo delle parole, e Antonello Salis, grande jazzista maestro nell’arte dell’improvvisazione. Da giovedì 15 maggio, protagonista lo Spazio Rai, nella nuova e più ampia collocazione all’Oval, che ha registrato una grande affluenza di pubblico – moltissimi i giovani – attratta dalla varietà di ospiti sul palco e dalla validità dell’offerta. Le dirette di Rai Radio 1 (In Prima Fila e Plot Machine); il quotidiano impegno di Rai Radio 3 (L’idealista, Fahrenheit, Fahre Off); lo spettacolo di Laura Carusino per Rai Kids “Eglefino, sei speciale!”; quattro nuovi podcast di RaiPlay Sound (tra cui “Cose nostre” di Emilia Brandi e “La città d’amianto” di Sara Soma); i panel e le pubblicazioni curati da Rai per la Sostenibilità – ESG (“Il Glossario della Sostenibilità: 100 parole chiave per un futuro da realizzare”, “La parità non è un’opinione – No Women No Panel: i dati, le analisi, la policy”, “Il linguaggio della diversità culturale – Prospettive per una comunicazione inclusiva”, “Vademecum – Informare sulla salute mentale”), da Rai Pubblica Utilità (“Accessibilità dei contenuti tra nuovi linguaggi e format innovativi. L’esperienza Rai: un cammino verso la piena inclusione” e “L’importanza dell’accessibilità nella diffusione della cultura”) e gli studi curati da Rai Ufficio Studi (“Trasformazione digitale e Intelligenza Artificiale” e “I lavori del futuro”); la presentazione del nuovo format della Direzione Contenuti Digitali e Transmediali per RaiPlay “Itaca, un mare di storie”; lo Speciale di Wonderland “Torino tra fumetto, noir e avventura”. Ottimo riscontro di pubblico per le presentazioni nello Spazio Rai che hanno visto protagonisti in anteprima i libri di Monica Maggioni – che ha parlato a una affollata platea di lettori di “The Presidents”, saggio che analizza il potere condiviso dei leader della Casa Bianca, da Trump a Thiel – e di Fausto Bertinotti, che ha presentato il libro di prossima uscita “La Sinistra che non c’è”, riflessione sul declino della Sinistra e i possibili orizzonti di rinascita. Tantissimi spettatori anche per titoli di Rai Libri già usciti, come quello di Massimiliano Ossini – che ha portato i lettori sulla seconda vetta più alta al mondo con “K2. Un passo dalla vetta un passo dalla vita” raccontando la sua spedizione con le alpiniste italiane e pakistane – e quello di Annalisa Bruchi e Carlo D’Ippoliti che hanno affrontato il tema della crisi economica con “Ricchi o poveri?”, una guida per orientarsi tra stipendi bloccati e rincari. La narrazione contemporanea di Rai Libri ha toccato ancora i temi di politica internazionale con Donato Bendicenti, che ha analizzato luci e ombre dell’UE con “Al centro della tempesta”, tra nuove rotte geopolitiche e assetti in trasformazione. Non è mancata l’attenzione al territorio e alle tradizioni con il viaggio proposto da Peppone Calabrese nel libro “L’Italia che ho visto”, frutto dell’esperienza del programma Linea Verde. Il romanzo storico ha avuto spazio con “Iubilaeum. A.D. 1300” di Luigi De Pascalis, tra Templari, papi e intrighi medievali, mentre il sociale è stato affrontato da Lorenza Fruci, che ha esplorato l’immaginario femminile in 70 anni di Rai con “Donne in onda”. L’abile narratore linguista Massimo Roscia ha arricchito il vocabolario di molti con il suo “Boomerario”, dedicato al linguaggio giovanile. Grande attenzione è stata dedicata alla copertura informativa del Salone del Libro con collegamenti, servizi e approfondimenti da parte di tutte le Testate. La Tgr Piemonte ha raccontato il Salone nelle varie edizioni del tg, mentre Tgr Petrarca ha realizzato uno Speciale in diretta.

 

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Amy Larsen è DOC

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Da martedì 20 maggio arriva su Rai 1 la versione americana di “Doc – Nelle tue mani”. La protagonista Molly Parker vestirà i panni della dottoressa Amy che, dopo un grave incidente d’auto, perde la memoria. Ottime notizie anche per l’italianissima “Doc – Nelle tue mani”… presto, infatti, inizieranno le riprese della quarta stagione con Luca Argentero

Dall’Italia agli Usa, un successo clamoroso, un grande ritorno. In prima visione assoluta per l’Italia, la rete ammiraglia della Rai trasmette l’adattamento statunitense di “Doc – Nelle tue mani”, una delle serie tv italiane più amate degli ultimi anni. Il dottor Andrea Fanti, interpretato nel format originale dal nostro Luca Argentero, nella versione americana è la dottoressa Amy Larsen che, in seguito a un incidente stradale, perde la memoria di otto anni della sua vita. Proprio come per il “nostro” Doc, Amy dovrà ricostruire il suo presente, professionale e affettivo, e confrontarsi coi cambiamenti e anche le gravi perdite che aveva subito durante il lungo periodo che ha cancellato ogni ricordo. Ispirata alla vera storia del dottor Pierdante Piccioni, la serie italiana, prodotta da Lux Vide, società del Gruppo Fremantle, in collaborazione con Rai Fiction, ha riscosso un eccezionale gradimento da noi e all’estero, dove è stata venduta in oltre cento paesi. La versione statunitense, realizzata da Sony Pictures Television, è stata lanciata nel gennaio 2025 con un enorme successo, risultando il miglior debutto di una serie Fox negli ultimi 5 anni. Il “Doc” d’oltreoceano è ambientato a Minneapolis, e il ruolo della protagonista è affidato all’attrice canadese Molly Parker, molto conosciuta come una delle interpreti di “House of Cards”, e che con i dieci episodi della prima stagione è diventata in America una vera e propria superstar: la Fox ha annunciato a fine febbraio che ci sarà una seconda stagione di ben 22 episodi. Gli spettatori di Rai 1 vedranno i dieci episodi della prima stagione in cinque puntate a partire dal 6 maggio. Primario di Medicina interna al Westside Hospital di Minneapolis, la dottoressa Amy Larsen ha competenze professionali eccezionali ma è molto poco empatica coi pazienti: la perdita di un figlio qualche anno prima ha causato la fine del suo matrimonio e l’ha portata a concentrarsi solo sulla propria carriera, diventando una donna chiusa e scostante. Un incidente d’auto le fa perdere la memoria: quando si sveglia dal coma non ricorda cosa è successo negli ultimi otto anni. L’amnesia le restituirà, tuttavia, anche un lato del proprio carattere, più umano e caloroso, che sembrava perduto per sempre.

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MASSIMO ROSCIA

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Il manuale per decifrare il linguaggio giovanile

Esiste un manuale per sopravvivere all’intricata giungla linguistica dei giovani? Da oggi sì: con oltre duecento lemmi e mille esempi, l’autore esplora con ironia e profondità il gergo giovanile, offrendo agli adulti uno strumento divertente e utile per conoscere parole e modi di dire spesso incomprensibili. Un viaggio tra slang, abbreviazioni e neologismi, per non sentirsi più… troppo cringe!

 

Come nasce l’idea di esplorare il linguaggio giovanile contemporaneo?

Da tanti anni mi occupo della lingua italiana, attraverso diversi generi letterari, senza essere un esperto linguista. Sono un appassionato della lingua, un artigiano delle parole. Mi interessano l’evoluzione, gli abusi, usi e trasformazioni. Un anno fa, con Rai Libri, avevo pubblicato un piccolo dizionario degli errori grammaticali, in cui riflettevo su come la lingua si adatti e cambi, soprattutto per effetto delle nuove generazioni. La lingua italiana è viva, è un organismo che si evolve quotidianamente. Ogni giovane ha il suo linguaggio, è fisiologico, e con il linguaggio giovanile non c’è nulla da temere: è creativo, dinamico, che riflette la vitalità e la fantasia dei ragazzi.

Parliamo di un linguaggio vivo, in evoluzione…

Esattamente! Il linguaggio giovanile è espressivo, creativo, e a volte può sembrare scomposto o sfidante, ma in realtà è porta energia e freschezza. Non bisogna temerlo, anzi, è una parte integrale del nostro linguaggio. È vero che a volte diventa difficile comprenderlo, ma è naturale che i giovani vogliano esprimersi con un codice proprio, un linguaggio che li differenzi dagli adulti.

 

Qual è stata la scintilla che ha ispirato la scrittura di questo libro?

La curiosità. Mi sono trovato più volte di fronte a frasi o testi che non capivo, e ho sentito il bisogno di comprendere meglio questo linguaggio. Non è solo una questione anagrafica, ma anche professionale. Lavorando nella comunicazione, ho capito che il linguaggio è uno strumento potente. Quando mi sono trovato a non capire certe espressioni usate dai ragazzi, ho deciso di studiarle e di comprenderle più a fondo. Ho iniziato a osservare i testi sui social, a leggere i dialoghi, e da lì è nato tutto.

È stato difficile trovare un equilibrio tra ironia e serietà?

No, affatto. Ho cercato di assecondare la mia indole, che è fatta di leggerezza, ma anche di rigore. La leggerezza non è superficialità, ma un modo per rendere fruibile un argomento serio, come la lingua, senza rinunciare alla profondità. Penso che sia possibile trasmettere messaggi anche importanti con un approccio leggero, senza perdere di vista la sostanza. Ho fatto lo stesso anche in un libro precedente dedicato ai bambini dove ho cercato di insegnare in modo divertente ma efficace.

Come ha scelto i vocaboli da inserire nel suo libro e cosa li rende rappresentativi del linguaggio giovanile?

I vocaboli scelti sono un campione di ciò che oggi caratterizza il loro linguaggio. Ho cercato di includere parole che potessero essere riconoscibili da diverse generazioni, anche se è un linguaggio in continua evoluzione. Ogni gruppo ha il suo, e questo cambia velocemente. Alcune espressioni che oggi sono popolari potrebbero essere già obsolete tra un mese. Questo linguaggio non è uniforme, ma varia in base all’età, alle influenze culturali e ai contesti sociali e viene principalmente da internet, dai social, dalla musica, dai videogiochi, dallo sport, ma anche dalla tradizione orale che ha sempre accompagnato il nostro linguaggio.

Quanto è importante per un adulto comprendere questi termini per instaurare un dialogo più efficace con i giovani?

È fondamentale. Il linguaggio giovanile non è solo una forma di divertimento, ma una vera e propria strategia identitaria. Utilizzano questi termini per affermare la loro appartenenza a un gruppo e per differenziarsi dagli adulti. In un certo senso, è un codice segreto che serve anche a non farsi capire dagli estranei. E proprio come un codice, è in continua trasformazione, con nuove parole che nascono ogni giorno. Perciò, per gli adulti, è importante non solo comprendere questi termini, ma anche riconoscere il valore che hanno per i ragazzi. Non dobbiamo rassegnarci a non capirli, ma fare uno sforzo per entrare in sintonia con questa nuova forma di comunicazione.

Come si inserisce questo libro nel suo personale viaggio letterario e culturale?

Il libro si inserisce in un cammino che ho intrapreso ormai vent’anni fa, senza armarmi di lance o spade, ma con il sorriso. È un viaggio che non ha una fine prestabilita, ma che mi permette di esplorare la lingua, la grammatica e la cultura da angolazioni sempre nuove. Mi ha dato l’opportunità di guardare il linguaggio giovanile con occhi diversi, di approfondire un aspetto che, prima, consideravo solo marginale. La lingua giovanile è un universo difficile da classificare, ma incredibilmente affascinante, polimorfo e in continua evoluzione.

Cos’è che l’ha sorpresa di questo linguaggio?

Il fatto che, nonostante sia una lingua che sfugge a ogni tentativo di classificazione, ha una sua logica, un suo dinamismo. Esiste solo dal secondo dopoguerra, quindi è relativamente giovane. Ed è interessante perché, pur essendo transitoria, continua a evolversi: non segue regole rigide, ma si adatta ai contesti.

Come l’ha arricchita, professionalmente, questo percorso?

Mi ha permesso di esplorare angoli che non avevo mai considerato: ho avuto la lingua italiana da una prospettiva completamente nuova. Questa esplorazione mi ha dato anche l’opportunità di migliorare il mio approccio scientifico al linguaggio, applicando metodi di studio e analisi più rigorosi. È stato un modo per approfondire la mia comprensione della lingua e, allo stesso tempo, divertirsi.

Considera il linguaggio giovanile una risorsa o un rischio per la lingua italiana?

È una risorsa, una varietà della lingua italiana, che si sviluppa in contesti informali, all’interno di gruppi di pari. Non va contro la lingua italiana, anzi la arricchisce. Certo, bisogna fare attenzione ai contesti. Il rischio può emergere quando non si distingue l’uso di questo linguaggio in situazioni informali rispetto a quelle più formali, come un articolo giornalistico o una tesi di laurea, dove una certa “pulizia” linguistica è necessaria. Ma, se usato nei contesti giusti, è un arricchimento, un modo di rinnovare la lingua.

Come vede il futuro di questo linguaggio?

Come parte integrante della lingua italiana. È un linguaggio che riflette i cambiamenti sociali, culturali e tecnologici. Con la sua mescolanza di regionalismi, dialettismi e influenze internazionali, arricchisce la lingua, ma non la minaccia. Naturalmente, sarà importante che i giovani imparino a utilizzarlo con consapevolezza, riconoscendo quando è appropriato e quando no. La lingua italiana continuerà a evolversi, ma il linguaggio giovanile è destinato a restare, forse sotto forme diverse, adattandosi ai nuovi tempi.

Cosa pensa dell’uso dei termini anglosassoni o delle parole “moderne” nel quotidiano?

Penso che ci sia una certa esagerazione, da parte nostra, nell’adozione di termini stranieri. A volte usiamo parole come “location” o “step by step” come se fossero indispensabili, ma sono solo il riflesso di un periodo in cui pensavamo che usare un po’ di anglicismi ci facesse sembrare più colti o alla moda. Nel linguaggio giovanile questi termini sono spesso usati in modo consapevole. Il problema nasce quando li usiamo senza comprenderne il significato o senza contestualizzarli correttamente. Se li usano nei giusti contesti, senza abusarne, non vedo alcun problema.

Qual è il suo prossimo progetto in ambito linguistico?

Sto continuando il mio tour con “Errorario”, che è sempre un divertente approfondimento sulle peculiarità della grammatica e del linguaggio italiano. In futuro, vorrei approfondire ulteriormente l’aspetto del linguaggio giovanile, magari con nuovi spettacoli o libri. L’idea è di proseguire il mio viaggio attraverso la lingua, sempre in modo giocoso, ma anche con l’obiettivo di fare riflettere sulle sue sfumature e sulla sua evoluzione. Oltre ai corsi di scrittura e alle presentazioni con “Errorario”, dal 18 maggio riparto in tour in tutta Italia anche con “Boomerario”. Sono eventi che mi permettono di interagire con il pubblico in modo informale e divertente, senza perdere mai il focus sulla cultura e sulla lingua.

 

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VALENTINA ROMANI

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Preferisco le storie scomode

«Mi piace interpretare personaggi densi, difficili, contraddittori». Raggiunta la popolarità con serie di successo della Rai come “La porta rossa” e “Mare fuori”, dal 22 maggio l’attrice romana conduce l’original di RaiPlay “Dark Lines” dedicato a casi efferati di cronaca nera, mentre su Rai 1 si avvia alla conclusione la fiction “Gerri”, nella quale interpreta il personaggio della viceispettrice di polizia Lea Coen. Al RadiocorriereTv confida: «Nel lavoro porto la mia parte bambina. Mi piace giocare con lo stupore»

 

Che cosa la attrae del mondo dark e del genere crime?

La cosa che apprezzo del crime è il fatto di essere un genere, spesso, in grado di innescare profonde riflessioni nel pubblico. Tutto ciò che può invitarci a porci delle domande lo trovo molto stimolante.

 

Cosa l’ha spinta ad accettare di narrare “Dark Lines”?

Raccontiamo otto fatti di cronaca nera che hanno al centro delle vittime donne. È un tema a cui mi sento molto vicina e spero che, con la mia presenza, si riesca a sensibilizzare anche i più giovani.

 

Cosa deve avere una storia per catturare le sue emozioni?

Non sento di avere un genere che preferisco, vado un po’ a periodi. In generale mi piacciono le storie con personaggi densi, difficili, contraddittori. La scomodità a volte è l’ingrediente perfetto per spingerci oltre i nostri limiti.

 

Cosa significa dare voce a storie di donne?

Per me l’occasione di fare da ponte con le nuove generazioni. La situazione dei femminicidi in Italia è qualcosa che ha urgente bisogno di essere debellata. Noto con piacere che anche molti uomini sono vicini alla tematica e questo, da donna, mi incoraggia perché è una battaglia da fare insieme.

 

Cosa porta di Valentina nel suo lavoro?

Forse la mia parte bambina, ma non lo faccio apposta. Mi piace giocare con lo stupore, cercare di non aspettarmi niente, mi lascio guidare spesso dall’istinto e lo presto, come posso, ai miei personaggi. Credo che restituisca una buona dose di realismo.

 

Un nuovo femminile proposto con la serie “Gerri” alla platea di Rai 1, che donna è Lea?

Lea è una donna molto forte, che sa bastarsi. Non ama scavare in profondità dentro se stessa e non è una crocerossina, piuttosto una persona che ha scelto di dedicare la sua vita agli altri, alla giustizia.

 

Qual è l’ambizione di una serie come “Gerri”?

Speriamo che il pubblico possa affezionarsi alla nostra serie, perché ambisce ad abbattere i pregiudizi che spesso usiamo come filtro tra noi e il mondo. È un racconto che esplora gli esseri umani in tutta la loro complessità.

 

Tra cinema, serie e Tv che tipo di attrice desidera essere?

Desidero potermi riconoscere sempre e portare avanti una carriera lavorativa che possa essere coerente con me stessa. Mi piace spaziare tra i personaggi e immergermi in mille vite nuove.

 

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Aemilia 220

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La Mafia sulle rive del Po

L’espansione della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna, una terra a lungo ritenuta immune dalle infiltrazioni mafiose. Il racconto esclusivo del più grande processo per mafia mai celebrato nel Nord Italia: 220 arresti, centinaia di intercettazioni audio e video, e un’aula bunker costruita appositamente per ospitare un’inchiesta senza precedenti. Un viaggio dentro una criminalità organizzata che si è evoluta, mimetizzandosi nel tessuto economico e sociale del territorio. In prima visione su Rai 2, venerdì 23 maggio 2025, in prima serata

Una docufiction che, per la prima volta, racconta in modo sistematico e con un linguaggio cinematografico l’espansione della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna, una regione a lungo considerata immune dalle infiltrazioni mafiose. Al centro del racconto, il più grande processo per mafia mai celebrato nel Nord Italia: 220 arresti, centinaia di intercettazioni audio e video, un’aula bunker costruita appositamente per ospitare un’inchiesta che ha segnato una svolta. Una criminalità che ha cambiato volto: non più lupara e pizzo, ma giacca e cravatta, frodi fiscali, imprese inquinate, appalti truccati e legami trasversali con politica, istituzioni e media locali. Attraverso le voci di investigatori, magistrati, giornalisti e una potente ricostruzione fiction – firmata da Claudio Canepari e Giuseppe Ghinami – la docufiction trasforma le carte processuali in un thriller civile, capace di restituire tutta la tensione, la complessità e l’urgenza di una vicenda che ha scosso il Paese. “220” non è solo un numero, è il simbolo di un’inchiesta che ha spezzato il silenzio, rivelando quanto la mafia si sia fatta moderna, mimetica e trasversale. È la storia di un territorio che ha faticato a riconoscere il nemico, ma che ha saputo – tardi ma con coraggio – reagire. Un’indagine che ci ricorda come nessun luogo sia davvero al sicuro, e che la vigilanza democratica non sia mai un lusso, ma una necessità.

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