La sinistra che non c’è

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Rai Libri presenta il nuovo lavoro di Fausto Bertinotti, disponibile anche negli store digitali

Fausto Bertinotti, una delle figure più influenti della politica italiana degli ultimi decenni, racconta, dalla prospettiva di un protagonista e di un osservatore in prima linea, la parabola della sinistra contemporanea. L’inizio del declino si può far risalire storicamente al crollo dell’Unione Sovietica, quando – insieme con il socialismo reale e le sue storture – viene meno un mito della sinistra: la possibilità di un’alternativa al capitalismo. Dalla lotta rivoluzionaria si è passati così alla sinistra riformista, che ha accompagnato il consolidamento dell’Europa sulla base delle ragioni del mercato e dei vincoli di debito, abbandonando Marx (senza superarlo) e la lotta di classe. Il neoliberismo e la globalizzazione hanno fatto il resto, relegando ai margini le voci dei lavoratori e delle lavoratrici. Intanto, in Italia e nel mondo, la politica annegava nella spettacolarizzazione e sceglieva di parlare non secondo giustizia e verità ma alla “pancia del Paese” oppure facendo propria la lingua del mercato. Non più una politica di alti ideali ma una politica servile e di corto respiro: quando i partiti progressisti si sono allineati a questa tendenza, è venuto meno anche l’impegno in favore delle rivendicazioni del lavoro. Cosa rimane allora della sinistra? Da dove è necessario ripartire e a cosa si può mirare? Fausto Bertinotti prova a spiegarcelo in questa lucida e penetrante analisi, attingendo alla sua esperienza diretta e alla visione maturata nella lunga militanza politica.

Fausto Bertinotti, sindacalista e politico, è stato segretario nazionale della CGIL, segretario del Partito della Rifondazione Comunista dal 1994 al 2006, presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008, europarlamentare e presidente del Partito della Sinistra Europea. Nel 2013 è stato insignito della Legion d’onore, la più alta onorificenza attribuita dalla Repubblica francese.

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JACOPO VENEZIANI

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Le case, l’arte e gli artisti

Da Carducci a Manzoni, da Leopardi a Michelangelo. Dal 2 giugno, dal lunedì al venerdì alle 20.20 su Rai 3, “Vita d’artista”, il nuovo programma che porta nelle case dei grandi protagonisti dell’arte e della cultura italiana. Il conduttore esplora luoghi autentici in cui gli oggetti diventano chiavi per raccontare storie intime

Cosa l’ha spinta a ideare un programma che entra nelle case private degli artisti?

È nata un po’ come una scommessa. Nelle piazze italiane ci sono tanti monumenti in bronzo che un tempo erano esseri umani: Manzoni, Leopardi, Michelangelo, Canova. Ci siamo detti: “E se provassimo a entrare nelle loro case, per restituire loro un po’ di quella umanità che il tempo e la fama hanno trasformato in mito?”. Aprendo cassetti, osservando armadi, strumenti, oggetti personali… L’idea è proprio questa: riportare all’umanità figure che oggi sembrano quasi scollegate dal nostro mondo, congelate nel tempo come statue.

Come ha scelto gli artisti protagonisti del programma? Cosa li rendeva particolarmente adatti a questo tipo di narrazione?

Siamo partiti dalle case. Cercavamo luoghi che fossero rimasti il più possibile intatti, autentici, come se l’artista fosse appena uscito un attimo. A Casa Canova, ad esempio, sembra che lui sia uscito a comprare il pane; la stessa sensazione l’abbiamo avuta a Casa Leopardi e a Casa Manzoni. Non volevamo case diventate musei, con teche e didascalie, ma ambienti ancora caldi, abitati, vivi. Il nostro è stato un lavoro di ricerca quasi archeologica della vita quotidiana.

Il programma punta a un linguaggio moderno e accessibile. Come avete lavorato per rendere la storia dell’arte fruibile a un pubblico ampio?

Abbiamo cercato di mettere in primo piano le storie, non le nozioni da manuale. Ad esempio, parlando di Leopardi, non ci siamo limitati a descrivere un suo ritratto dal punto di vista stilistico. Ci siamo chiesti: come si vedeva lui? Si sentiva bello o brutto? Che immagine aveva di sé? E siamo andati a fondo, leggendo lettere, testimonianze, per scoprire questo aspetto personale. Per me l’arte è sempre un tentativo di comunicazione: qualcuno che vuole dire qualcosa a qualcun altro, usando non le parole ma un oggetto, un’opera. Il nostro lavoro è stato quello di amplificare quel messaggio, renderlo più umano, quindi più universale.

Qual è stata la scoperta più sorprendente o emozionante visitando questi spazi privati?

A Casa Pascoli, ad esempio. Pascoli è un nome che molti associano solo alle antologie scolastiche. Ma scoprirne il lato intimo è stato davvero emozionante. In casa sua c’è una stufa che non è mai stata accesa perché, nella canna fumaria, aveva trovato un nido di api e non voleva disturbarle. E ancora oggi, in quella canna, vivono le loro discendenti. È il segno di un Pascoli tenero, sensibile, che nel giardino disegnava tombe per il suo cane e per un merlo con cui viveva. Dietro a ogni oggetto si nasconde una storia che parla.

Come riesce a raccontare la personalità degli artisti attraverso oggetti e ambienti domestici?

Mi chiedo sempre: in che momento quell’oggetto è entrato nella vita dell’artista? Cosa ci racconta di lui? Sulla scrivania di Carducci a Bologna, ad esempio, c’è un orso intagliato nel legno. Un souvenir delle sue vacanze a Courmayeur. E uno pensa: “Davvero Carducci sciava come un milanese?”. Sì, lo faceva. Oppure la tabacchiera di Manzoni: sempre con lui, tanto che il pittore Francesco Hayez l’ha dipinta nel suo ritratto, nascosta ma presente. Ogni oggetto è un grumo di storie, come quelli che abbiamo nelle nostre case: ricordi, regali, tracce di vita.

Come siete riusciti a trasformare queste storie in un racconto televisivo contemporaneo e pop?

Anche la musica ha avuto un ruolo fondamentale. Volevo che il programma avesse ritmo, non fosse il classico documentario patinato. Così, ad esempio, per raccontare il tempio neoclassico di Canova a Possagno, invece di usare musica d’epoca abbiamo scelto Billie Eilish. Immagini col drone, musica moderna: è un modo per dire che anche Canova può essere vicino a noi. La regia, le scelte sonore, tutto ha contribuito a dare un linguaggio più fresco, immediato.

Quali temi o messaggi spera che il pubblico porti con sé dopo aver visto Vita d’Artista?

Spero che riesca a sentire questi grandi nomi meno lontani. A volte li percepiamo come statue irraggiungibili, ma in realtà erano persone. Con un talento immenso, certo, ma anche con paure, abitudini, amori, stranezze. Se riusciamo a vederli come simili a noi, ci avvicineremo anche alla loro arte in modo più diretto e spontaneo. Alla fine, sono persone che ci hanno lasciato qualcosa per comunicare con noi. E noi possiamo ancora rispondere.

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SPECIALE ULISSE

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Hiroshima e Nagasaki: i giorni che cambiarono il mondo

In occasione degli ottant’anni dal lancio delle bombe atomiche avvenuto nell’agosto del 1945, Alberto Angela ripercorre le tappe fondamentali di un evento che ha segnato la storia dell’umanità. Lunedì 2 giugno in prima serata su Rai 1

“Hiroshima e Nagasaki: i giorni che cambiarono il mondo” è il titolo dello speciale di “Ulisse, il piacere della scoperta”, il programma di Alberto Angela che Rai Cultura propone lunedì 2 giugno alle 21.30 su Rai 1. In questa puntata si cercherà di capire come la bomba atomica venne realizzata e come si arrivò alla decisione di sganciarla sul Giappone. Si ripercorreranno le ragioni militari e politiche che hanno portato alla nascita del “progetto Manhattan”, con l’eccezionale gruppo di scienziati che vi lavorò, tra cui Oppenheimer ed Enrico Fermi, che svolse un ruolo decisivo, e di cui si visiterà la storica palazzina che un tempo era il suo laboratorio di ricerca, in via Panisperna, a Roma. In Giappone Alberto Angela accompagnerà gli spettatori in alcuni dei luoghi protagonisti di questa pagina della storia: Hiroshima e Nagasaki, le due città che furono scelte come obiettivo delle prime bombe atomiche. Ricostruzioni filmate faranno rivivere ciò che accadde sull’Enola Gay, l’aereo che il 6 agosto 1945, effettuò la missione su Hiroshima, grazie anche alla testimonianza di chi era a bordo. A Hiroshima Alberto Angela racconterà gli effetti dello sgancio della prima bomba nucleare, attraverso alcuni dei luoghi simbolo di quella tragedia come il Genbaku Dome, la Cupola della bomba atomica, e il Museo della Pace di Hiroshima che contiene alcune delle più toccanti testimonianze di quei giorni. Ulisse si sposterà quindi a Nagasaki, la città che sarà colpita dalla seconda bomba atomica, per ripercorrere le tappe che portarono alla sua distruzione il 9 agosto del 1945. Una puntata durante la quale si ascolteranno le voci degli hibakusha, i sopravvissuti delle due bombe atomiche, tra i quali Terumi Tanaka, rappresentante dell’associazione Nihon Hidankyo che nel dicembre 2024 è stata insignita del premio Nobel per la Pace per i suoi sforzi per realizzare un mondo libero dalle armi nucleari e aver portato avanti la testimonianza dei sopravvissuti.

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Ilaria e Miran sono tornati a casa

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Un murale nella sede Rai di Saxa Rubra a Roma ricorda la giornalista e l’operatore uccisi il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio

Il colpo d’occhio è, anche, un colpo al cuore. Ilaria e Miran, coloratissimi, sorridenti, campeggiano sulla facciata della palazzina C di Saxa Rubra, lì dove si trova da sempre la redazione del Tg3 che ha atteso invano il loro ritorno. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati uccisi il 20 marzo del 1994. Una morte che non ha ricevuto giustizia, nonostante le energie profuse dai genitori di Ilaria fino alla fine. Per questo una delle rose bianche nel murale reca le parole: “Noi non archiviamo”. L’Usigrai, il sindacato unitario dei giornalisti Rai, e il comitato di redazione del Tg3 si sono fatti artefici, in perfetta sintonia con i vertici aziendali, di questa iniziativa che va oltre il semplice ricordo e diventa memoria viva e impegno quotidiano per un’informazione fondata sulla verità, altra parola che incornicia i volti dei due giornalisti. Autrice del bozzetto Laika, street artist romana che ha fatto dell’anonimato la propria cifra. La realizzazione dell’opera è stata quindi affidata alla sua squadra che ha lavorato, all’interno del Centro radiotelevisivo Biagio Agnes, a partire dal 24 maggio, giorno in cui Ilaria avrebbe compiuto 64 anni. “Abbiamo voluto tatuarceli addosso” hanno dichiarato i membri del CdR del Tg3. Messe a dimora anche le rose bianche che un floricultore ha ibridato in onore di Ilaria e che erano state piantate nel giardino della sede di Viale Mazzini, attualmente chiusa.

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Rob Minkoff

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L’A.I. cambia tutto, ma restano le storie

Il Festival dell’animazione promosso da Rai e organizzato da Rai Com ha assegnato il Pulcinella Career Award al regista statunitense, che nel 1994 co-diresse “Il Re Leone”. In questa intervista racconta i suoi inizi alla Disney, il dietro le quinte del film che ha segnato intere generazioni e riflette sull’impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’animazione

Quando ha iniziato a disegnare?

Ho iniziato a disegnare quando ero molto piccolo. Era qualcosa che mi veniva naturale, mi piaceva farlo anche durante le lezioni a scuola. A volte finivo nei guai con gli insegnanti, perché mi mettevo a disegnare invece di seguire la lezione. Ma non riuscivo a farne a meno, era più forte di me.

Com’è proseguito il suo percorso nell’animazione?

Dopo quegli inizi da autodidatta ho deciso di studiare animazione seriamente e mi sono iscritto alla “California Institute of the Arts”. È lì che ho imparato davvero la tecnica e la disciplina del mestiere. Poi ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare alla Disney, nel dipartimento di animazione. Ho partecipato a diversi progetti importanti, come “La Sirenetta” e “La Bella e la Bestia”. Il mio primissimo lavoro, però, è stato su un cortometraggio con Roger Rabbit, “Tummy Trouble”. Dopo quell’esperienza, mi sono stati assegnati altri progetti e incarichi di regia, e infine ho fatto il mio debutto come regista proprio con “Il Re Leone”.

Ricorda la sua prima volta in Italia?

Fu nel 1994, proprio l’anno in cui è uscito “Il Re Leone”. È stato un momento spettacolare, indimenticabile. Da allora sono tornato molte volte, perché ho un legame speciale con questo paese. Però è la prima volta che vengo a Pescara. Non c’ero mai stato prima e devo dire che è davvero bellissima. È stato emozionante poterla visitare finalmente.

Quando ha capito che “Il Re Leone” avrebbe avuto un successo così grande?

Quando abbiamo iniziato a lavorare al film, in realtà non si chiamava ancora così. Era solo un progetto in fase iniziale, con un titolo provvisorio. Ovviamente speravamo di realizzare un buon film, ma non potevamo immaginare che sarebbe stato accolto così bene dal pubblico. Solo quando fu completato e cominciammo a mostrarlo alle persone, ci rendemmo conto dell’impatto che aveva. La reazione della gente è stata incredibile. Ancora oggi, quasi 31 anni dopo l’uscita, il film continua a toccare il cuore delle persone. È qualcosa che mi riempie di gratitudine.

Che effetto ti fa vedere che “Il Re Leone” è ancora così amato?

È meraviglioso. Tutti noi che abbiamo lavorato a quel film lo sentiamo ancora molto vicino. I nostri figli, in un certo senso, sono cresciuti con quella storia che è diventata parte della nostra vita. Vedere che continua a emozionare nuove generazioni è davvero una soddisfazione enorme.

Cosa pensa dell’intelligenza artificiale nell’ambito dell’animazione? La sta usando nel suo lavoro?

L’A.I. è un tema molto attuale e interessante. Negli ultimi anni ha fatto enormi progressi. Allo stesso tempo, però, c’è una certa preoccupazione, perché potrebbe causare grandi cambiamenti – o meglio, vere e proprie distruzioni – nel settore. Quando ho iniziato a lavorare alla Disney, tutto si faceva a mano: disegni, pennelli, carta. Era un processo molto tradizionale. Poi, col tempo, i computer sono diventati sempre più presenti nella produzione. Ho già vissuto quella prima trasformazione dell’industria. E oggi, con l’arrivo dell’intelligenza artificiale, stiamo entrando in una nuova rivoluzione tecnologica.

La spaventa questo cambiamento oppure lo vive come una nuova opportunità?

Un po’ entrambe le cose. Da un lato può fare paura, perché cambia il modo in cui lavoriamo, ma è anche molto eccitante, perché apre possibilità nuove, incredibili. Ci saranno strumenti che ci aiuteranno a fare cose che prima erano impossibili. Alla fine, però, quello che conta davvero, sono le storie che raccontiamo. È su questo che le persone si emozionano, non tanto sul mezzo tecnico con cui la storia viene realizzata.

Quindi la tecnologia è un mezzo, ma il cuore resta la creatività?

Esattamente. Pensate alla Monna Lisa: siamo affascinati da ciò che ha creato Leonardo da Vinci, non tanto dal tipo di pennello o di vernice che ha usato. Allo stesso modo, nell’animazione o nel cinema, la tecnologia è uno strumento. Ma ciò che rimane nel tempo è la forza della narrazione, l’emozione, il messaggio. Credo che, anche in mezzo a tutti i cambiamenti, sarà proprio questo a guidarci e a farci evolvere nel modo giusto.

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CARTOONS ON THE BAY 2025

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Incontri e progetti per diffondere creatività e speranza

Grande successo per l’edizione del Festival appena conclusa a Pescara. La soddisfazione dell’ad Rai Giampaolo Rossi: «La missione del Servizio Pubblico è anche quella di essere al fianco delle nuove generazioni, restando contemporaneo e affrontando le sfide del domani»

Significativi i numeri della 29esima edizione di Cartoons On The Bay, il Festival internazionale dell’animazione, transmedia e media art, promosso da Rai e organizzato da Rai Com a Pescara. Sono stati oltre 1.000 gli addetti ai lavori accreditati al Programma professionale all’Aurum, tra registi, animatori, produttori, che hanno partecipato ai panel e alle tavole rotonde. Trecento le opere provenienti da 50 paesi iscritte al concorso Pulcinella Awards, 16 le statuette assegnate tra i vincitori delle nove categorie, Career Awards, Special Awards. Oltre 1.000 le presenze al Cinema Massimo per il Programma scuole, almeno 8.000 per il Programma pubblico, con gli eventi in scena sul grande palco di piazza della Rinascita – tra questi i concerti del Banco del mutuo soccorso e di Greg  & the Frigidaires – le retrospettive e le anteprime cinematografiche, le mostre dedicate all’arte di Quentin Blake e alla passione modellistica di Lillo Petrolo. Diverse centinaia di bambini e ragazzi hanno preso parte alle attività organizzate nell’area “Cartoons On The Bay Fun & Comics” nell’emiciclo dell’Aurum.  Grande la soddisfazione dell’Amministratore Delegato della Rai Giampaolo Rossi: “Tre giornate di incontri e progetti per diffondere un messaggio di creatività e speranza. La missione del Servizio Pubblico è anche quella di essere al fianco delle nuove generazioni, restando contemporaneo e affrontando le sfide del domani. Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questa manifestazione: la Rai, Rai Com, le Istituzioni che ci hanno affiancato in questo viaggio, gli artisti, i partecipanti e tutti coloro che hanno contribuito con entusiasmo e talento.”

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PINO INSEGNO

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Oltre quarant’anni di intesa vincente

Dall’esordio televisivo con Bramieri a inizi anni Ottanta sulla Rai alla conduzione di uno dei game più amati della televisione,“Reazione a catena” (ritorna l’8 giugno su Rai 1). La Tv, il cinema, il doppiaggio, il teatro, quello dell’attore romano è un successo che dura da quattro decadi

Un’estate al lavoro, domenica 8 giugno alle 18.45 torna “Reazione a catena”…

Questo è il mio sesto anno di “Reazione a catena”, quattro più due, sembra uno sconto al supermercato (sorride). Abbiamo rinfrescato tantissimo, una scena nuova, due giochi nuovi, un ritmo pimpante giusto per questi tempi, è una figata. Grazie al lavoro di tutti gli autori, di tutti i tecnici, qui a Napoli c’è un’atmosfera bellissima. È una famiglia.

Cosa le ha insegnato, negli anni, questo programma?

Prima di tutto come si conduce un game, cosa completamente diversa dall’essere un attore, un doppiatore, un presentatore e basta. Il fatto di essere un po’ tutte queste cose mi arricchisce molto e può arricchire anche il programma, è un po’ il mio valore aggiunto al programma. Quando sento che c’è bisogno della battuta, la trovo, quando c’è bisogno di essere empatici, lo sono, come quando c’è bisogno di essere solo una voce, nella fase finale, e accompagno l’ultima catena, l’ultima parola, come se si trattasse di una voce fuori campo. “Reazione a catena” mi ha insegnato anche a fare dei passi indietro per valorizzare sempre di più i concorrenti, i protagonisti sono loro e non sei tu. È un game bellissimo che non ha rivali, dentro c’è tutto: il divertimento, la goliardia, l’approfondimento culturale, la filologia delle parole, i vari significati. Questo fa bene a tutti.

Come sono cambiati, nel tempo, i concorrenti?

Ci sono squadre forti, anche se è sempre più difficile trovare persone che abbiano tempi, ritmi. Il telefonino ha un po’ distrutto tutto, anche la voglia di pensare. Se non ti viene in mente una cosa clicchi su un motore di ricerca, se non ti ricordi una strada metti il navigatore, e questo spegne un po’ la curiosità, la mente. “Reazione a catena” invece accende la mente.

Quale valore dà alla parola “squadra”?

La parola squadra è il segreto, non è solo uno strumento geometrico. Il segreto è far sentire, se ci fosse mai un ultimo, primo. Fare sentire parte di una squadra anche una persona che tende un cavo è fondamentale, deve sentirsi parte di un successo come di un insuccesso. Tutti devono remare nella stessa direzione.

E alla parola “successo”?

Il successo bisogna saperlo interpretare e gestire. L’ho capito sin dall’inizio, quando cominciai a essere riconosciuto per le strade tra il 1985 e il 1986 con “Pronto chi gioca?”. All’inizio fu un po’ una febbre, andavo in macchina la sera con la luce accesa per farmi riconoscere. L’anno successivo l’attenzione della gente calò un po’ e cominciai a chiedermi cosa volessi fare da grande: essere riconosciuto o fare questo mestiere? Per esserci nel tempo devi avere rispetto degli altri e di te stesso. Se vivi così, non sarai mai solo. Vivo ogni esperienza come se fosse il primo giorno: il primo doppiaggio, il primo film che faccio, la prima puntata che conduco.

La parola che nella sua vita non può mancare?

Sono due, amicizia e rispetto.

Che cosa significa trovare nella vita un’intesa vincente?

È il segreto della vita stessa ma è complicatissimo (sorride), è la ricerca del sacro Graal. Esiste, devi saperla gestire, mantenere, un po’ come il successo. Il rischio è di perderla, parlo dell’amicizia come dell’amore, in tutto. Bisogna saperla annaffiare, gestire, perché l’intesa vincente non è un sempreverde.

Si sente più analogico o digitale?

Analogico tutta la vita. Digitale solo quando serve, certo, ti aiuta, ma se perdi il telefonino è finita. Io sono un LP, non un CD, e come vede gli LP sono tornati di moda. Gli anni Settanta non moriranno mai.

Fa parte della generazione del “Tuttocittà” in auto…

… quello ci ha allungato la vita. Facevamo la tournée con la Premiata Ditta chiedendo la strada… fortunatamente veniamo da quegli anni.

Ci regala un ricordo incancellabile dei suoi esordi?

A teatro con l’Allegra Brigata, dieci ragazzi che sono poi diventati grandi, eravamo al Teatro Testaccio di Roma con “Giulio Cesare è… ma non lo dite a Shakerspeare”. Lì incontrammo Massimo Cinque, poi Bramieri e Garinei che ci portarono su Rai 1. Era il 1982, facemmo tre edizioni di “G.B. Show” il sabato in prima serata.

Un pensiero (e una promessa) al pubblico che le vuole bene da quarant’anni…

Torna la parola “rispetto”, che ho avuto sempre nei confronti di tutti. Per me le persone non sono un gruppo informe senza un nome, senza un cognome, senza una storia, non sono genericamente il pubblico. Ho sempre rinverdito questo rapporto, mettendomi sempre in gioco, con educazione, la gente riconosce i valori veri. Quando cammino per strada, anche a costo di metterci dieci minuti per fare cento metri io mi fermo con tutti. Mia moglie mi dice che mi fermo anche con chi la foto non me l’ha chiesta. E io a quel punto rispondo: ma me la stava per chiedere (sorride).

 

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Vita da artista

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Italia, paese di santi, poeti, navigatori… e case d’artista. Dal 2 giugno, dal lunedì al venerdì alle 20.20 su Rai 3, il giovane storico dell’arte Jacopo Veneziani accompagnerà il pubblico alla scoperta di spazi unici

Luoghi affascinanti, ricchi di quadri, sculture, oggetti curiosi, aneddoti e memorabilia, spesso poco noti. “Vita da artista”, il nuovo programma di Rai Cultura e Ruvido Produzioni, parte proprio da qui: dalle case, dai luoghi della creatività, dell’anima, della quotidianità. Dal 2 giugno, dal lunedì al venerdì alle 20.20 su Rai 3, il giovane storico dell’arte Jacopo Veneziani accompagnerà i telespettatori alla scoperta di spazi unici, camminando per le stanze alla scoperta della vita degli artisti. Attraverso gli oggetti presenti emergeranno storie personali, passioni e lati inediti dei protagonisti. Protagoniste del racconto anche opere d’arte, soprattutto quadri, che Veneziani descrive con ironia e leggerezza. Il tono è sempre imprevedibile, capace di passare da un dettaglio a un tema più ampio o sorprendente. Un linguaggio moderno, pop, coinvolgente, non accademico o serioso, ma ironico e originale. Con “Vita da artista” la cultura entra nelle case, partendo da quelle degli artisti come Manzoni, Puccini, Leopardi, De Chirico, Buonarroti, Alberto Sordi e altri.

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The Presidents

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Un’indagine lucida e penetrante sulle dinamiche di potere, palesi e occulte, che muovono gli Stati Uniti: i grandi protagonisti, le scelte, le conseguenze. È il nuovo libro di Monica Maggioni (Rai Libri)

“The Presidents”, il nuovo saggio di Monica Maggioni, edito da Rai Libri, si addentra nei meccanismi profondi della presidenza americana di Donald Trump, offrendo una chiave di lettura inedita. Chi è davvero Donald Trump? Qual è la visione che muove le sue scelte politiche? E soprattutto: chi sono i protagonisti nell’ombra che ne orientano le decisioni? Nei primi tre mesi del suo mandato, il mondo ha assistito a un’escalation di azioni destabilizzanti, capaci di mettere in crisi alleanze storiche e di intaccare gli equilibri dell’ordine internazionale. Dietro la maschera dell’eccesso mediatico e del linguaggio provocatorio, Maggioni svela l’architettura nascosta di un nuovo progetto politico. Attraverso un’analisi rigorosa dei discorsi, degli scritti e delle testimonianze di chi ha orbitato intorno alla Casa Bianca trumpiana, l’autrice traccia il profilo di un gruppo di potere trasversale, composto da capitali privati, tecnologia, controllo sociale e dominio della comunicazione: una vera e propria élite che ha ridefinito il concetto stesso di leadership democratica. “The Presidents” non è solo un titolo: è una definizione. Perché dietro il volto del presidente si cela un sistema che potrebbe determinare, e forse sta già determinando, anche il nostro futuro. Con questo libro Monica Maggioni ci consegna un’opera illuminante, che interroga il nostro tempo e invita a riflettere sul significato e sui rischi della concentrazione del potere nella società contemporanea.

L’autrice

Monica Maggioni è una giornalista, inviata speciale, scrittrice, documentarista, conduttrice. È Direttrice editoriale dell’Offerta Informativa Rai, è stata Presidente della Rai (2015-2018), Amministratore Delegato di Rai Com (2019 – 2020) e Direttrice del Tg1 (2021-2023). È stata corrispondente di guerra e ha seguito la politica statunitense. Ha ricoperto il ruolo di corrispondente da Baghdad e si è occupata di reportage sul Medioriente. Negli ultimi due decenni ha raccontato le principali aree critiche del pianeta: Iraq, Iran, Siria, Afghanistan, Israele e paesi africani. Nel 2010 e nel 2011 ha diretto due documentari proiettati alla Mostra del Cinema di Venezia, Ward 54 Out of Tehran. Ha scritto Dentro la guerra (2005), La fine della verità (2006), Twitter e Jihad (2015), Terrore mediatico (2015), Spettri (2024). È docente di Storia dei conflitti contemporanei presso l’Università Cattolica di Milano.

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All’ora della pennica si ride con Fiorello

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L’amato showman è tornato (a sorpresa) con “Radio 2 Radio Show. La pennicanza” in onda dal lunedì al venerdì alle 13.45. Al suo fianco il compagno di tante risate Fabrizio Biggio

A distanza di un anno dalla scoppiettante conclusione di “Viva Rai 2”, lo show del mattino entrato di diritto nella storia della televisione italiana per essere riuscito a rivoluzionare il concetto e le regole del varietà, Fiorello è tornato in scena ripartendo dalla sua amata radio. Lo ha fatto, ancora una volta, a sorpresa, irrompendo lunedì 19 maggio sulle frequenze di Rai Radio 2 a ora di pranzo. Quarantacinque minuti divertenti e mai scontati, in compagnia di Fabrizio Biggio e di tanti amici al telefono, per uno show che vuole rappresentare un break ironico e originale, una boccata d’allegria, tra le 13.45 e le 14.30. Comicità tagliente, ritmo serrato e surrealismo sono la cifra dello show, che fin dalla prima settimana di messa in onda ha unito il tono provocatorio all’imprevedibilità. “Non abbiamo un’idea, siamo qui a fare… nulla, non lo so!”, ha detto Fiorello in un debutto rigorosamente work in progress. Fiore in diretta a pranzo e in replica alla mattina alle 7.00 con il “meglio” della puntata del giorno prima. Titolo? “La sveglianza”. Su RaiPlay sono disponibili tutte le puntate on-demand mentre la visual radio di Rai Radio 2 (canale 202) garantisce contenuti extra decisamente da non perdere, anche attraverso il QR code che riportiamo anche nelle nostre pagine.  Sui social di @rairadio2 seguono lo show e il backstage. “Radio2 Radio Show. La pennicanza” è un programma di Rosario Fiorello scritto con Francesco Bozzi, Pigi Montebelli, Federico Taddia, e con Fabrizio Biggio, Enrico Nocera, Edoardo Scognamiglio.  Le musiche sono di Enrico Cremonesi. Regia di Piergiorgio Camilli. Regia radiofonica Marco Lolli.

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