DON MATTEO 14

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Un crocevia di sentimenti

«Ci hanno spalancato le porte, e non è scontato» è un po’ il mantra che ripetono i nuovi protagonisti della quattordicesima stagione di una serie che da ben 25 anni ha conquistato il cuore del pubblico. Il RadiocorriereTv ha raccolto le loro esperienze. Ogni giovedì in prima serata Rai 1

 

EUGENIO MASTRANDREA

Dopo molte esperienze all’estero, è un ritorno per lei…

Nel 2021 e nel 2022 ho lavorato tantissimo all’estero, questo progetto rappresenta, dunque, un felicissimo ritorno a casa, in una serie così amata nel nostro Paese. Sono contento di recitare interamente nella mia lingua, non perché farlo in inglese non sia divertente, ma perché è una sfida più complessa, più difficile.

In che senso?

Esprimersi nella propria lingua madre ci costringe a pensare di più come attori, si comprende meglio il senso di tutto, c’è uno sforzo emotivo superiore. Farlo poi in una serie che riscuote tantissimo affetto, che è entrata nella storia della televisione, è straordinario. Ne avverto, però, anche un certo peso e responsabilità (sorride).

Ci presenta il suo Capitano?

Diego Martini, nuovo capitano della caserma dei Carabinieri di Spoleto, uomo rigorosissimo, ligio al dovere e al ruolo che ricopre. Sentimentalmente direi molto confuso, non sa proprio cosa deve fare con la sua vita affettiva. Il trasferimento a Spoleto non è certo arrivato per caso, ma lo ha richiesto per “riconquistare” la sua ex fidanzata Vittoria che, guarda caso, è la nuova PM (Gaia Messerklinger). Ma la vita, si sa, ci sottopone sempre a nuove e imprevedibili sfide…

Cosa ha significato per lei entrare a far parte di questo cast?

Credo che una serie di questo tipo, che va avanti da tantissimo tempo, porta con sé naturalmente delle dinamiche umane e relazionali molto strutturate. Venticinque anni di storia hanno permesso che si creasse un gruppo – di attori e di maestranze – unito, molto affiatato, una famiglia nella quale io, come gli altri nuovi attori, siamo entrati in punta di piedi, ma meravigliosamente accolti. Non mi era mai successo di far parte di un team circondato da così tanto affetto, tra noi si è stabilito subito un legame molto forte, ci vogliamo bene.

 

FEDERICA SABATINI

Come si è sentita nella famiglia di “Don Matteo”?

Direi benissimo, abbiamo trovato un ambiente molto accogliente, dei grandissimi professionisti, persone sempre pronte a supportarsi certamente sul lavoro, ma soprattutto umanamente. Si sono potute create tantissime connessioni, anche personali che, per come sono fatta io, sono un valore fondamentale.

Ci presenta il suo personaggio?

Nella serie interpreto Giulia, la sorellastra di Don Massimo, una ragazza molto dinamica che dal nulla piomba nella vita del fratello, dopo un’assenza di ben quattordici anni. Con sé porta però tutti i suoi guai e tanto scompiglio. È molto istintiva, riflettere non è il suo forte, ma ha un gran cuore e, un po’ alla volta, vedremo se riuscirà a entrare in quello del fratello. Puntata dopo puntata emerge il suo estremo bisogno di amore familiare, e in questo giocherà un ruolo fondamentale la mitica Natalina – interpretata magistralmente da Nathalie Guetta -, mediatrice perfetta del percorso affettivo.

Com’è stato lavorare a stretto contatto con Raoul Bova?

Molto piacevole, ci siamo confrontati molto per rendere la relazione tra i nostri personaggi più vera, per fondere le caratteristiche dell’uno e dell’altra. Tra Giulia e Don Massimo esiste un passato di conflitto, ma lavoreranno per trovare un punto di incontro, un equilibrio, esattamente come abbiamo fatto io e Raoul, con meno difficolta però (ride).

 

GAIA MESSERKLINGER

Che aria tira a Spoleto per la nuova PM?

Innanzitutto, diciamo che ci sono un sacco di crimini e per Vittoria il lavoro non manca mai. È una donna in carriera, dal punto di vista professionale ha sicuramente raggiunto i risultati che si era prefissata, riesce a gestire in maniera equilibrata il potere che deriva dalla sua posizione. La vulnerabilità esce fuori immediatamente nella sfera dei sentimenti, dove sta per iniziare un nuovo percorso. Esce fuori da una delusione amorosa e finalmente vive una relazione serena con il suo nuovo fidanzato Egidio, con il quale cerca di costruire un futuro.

E invece…

I fantasmi del suo passato riaffiorano tutti e la metteranno molto in difficoltà (ride). Vittoria dovrà imparare a gestire queste due anime contrastanti, una determinata, ambiziosa, che sa bene quello che vuole, quella del cuore più fragile e confusa.

E sul set? Ci racconta la sua esperienza?

Ci hanno spalancato le porte, e non è scontato. A volte, quando ci troviamo a parlare del nostro luogo di lavoro, tendiamo a descrivere i set con un po’ di retorica, li presentiamo spesso come una famiglia, ma non sempre è così. Si possono infatti creare situazioni professionali molto difficili, anche dal punto di vista umano. In questo caso è stato tutto perfetto. La squadra di “Don Matteo” è super rodata, una macchina che funziona alla grande perché tutti hanno a cuore ciò che fanno. Le “new entry” non hanno dovuto far altro che partecipare attivamente a questo sentimento, contribuire alla forza del progetto. È una storia che parla di una comunità che, pur nelle differenze, si sostiene, e di un’altra comunità che lavora, spesso dietro le quinte, che agevola questo amore. Proprio come nelle famiglie.

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Stucky

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«Il metodo investigativo di Stucky è interamente basato sullo studio delle psicologie umane, si basa sul dialogo, sulla parola, sui colloqui con i diversi personaggi legati in vario modo con la vittima, tra cui chiaramente si nasconde sempre anche l’assassino. E quando l’ispettore punta il presunto assassino non gli dà scampo…» racconta il regista Valerio Attanasio. La serie con Giuseppe Battiston è in programma su Rai 2 da mercoledì 30 ottobre

 

Liberamente ispirata ai romanzi di Fulvio Ervas, la serie esplora il cuore inquieto della provincia italiana. Origini persiane, temperamento flemmatico e sornione, Stucky è un ispettore della Questura di Treviso, si muove a proprio agio nelle pieghe oscure del nord-est italico, tra vecchi centri storici, periferie postmoderne e campagne sonnolente. Affronta casi in cui lo studio di un delitto non è solo disvelamento razionale dell’enigma, ma anche, e soprattutto, un pretesto per osservare e indagare la condizione umana. Ad accompagnarlo in questo viaggio il medico legale Marina, con cui Stucky ha un rapporto di intensa e di una maldestra intimità, l’oste Secondo, consigliere e mentore, e i due poliziotti a lui assegnati, Guerra e Landrulli, che hanno imparato ad amarlo, ma non ancora a capirlo.

 

Il regista Valerio Attanasio racconta…

«Quando mi hanno chiesto di immaginare un adattamento televisivo dei gialli di Fulvio Ervas, ho pensato istintivamente che le trame contenute nei romanzi sarebbero state troppo dense per essere trasposte in puntate di 60 minuti. Volevo trovare una chiave originale che si distaccasse nettamente dal film realizzato qualche anno fa, tratto da uno dei libri della serie. Mi sono preso la libertà di prendere il protagonista, l’ispettore Stucky, e di modificarlo un po’ nei suoi tratti caratteriali ed estetici. Mi piaceva l’idea di raccontare un poliziotto talmente ossessionato dal proprio lavoro, e dagli assassini che insegue, da non trovare il tempo di portare avanti la propria vita privata. Pur essendo una persona con inaspettati slanci di empatia e tenerezza – questo è un aspetto che ho rubato a quel grande attore che è Battiston – Stucky di relazioni personali non sembra averne, tanto che non ha una compagna né figli. Ha un solo amico, Secondo, proprietario di un’osteria in cui si rifugia spesso. Altro di questo solitario ispettore non sappiamo, se non che non sopporta la vista del sangue, non porta la pistola, non guida la macchina, non possiede uno smartphone, indossa sempre un trench piuttosto liso, legge Kafka ed è nato in Iran, a Tabriz, da madre persiana, anche se per parte di padre proviene da antenati svizzeri trasferitisi nell’Ottocento a Venezia. Stucky l’ho immaginato, vestito e inquadrato, come una specie di antieroe mitteleuropeo fuori tempo massimo, un personaggio antico e contemporaneo allo stesso tempo che, con il suo sigaro in bocca, solca le vie e i canali del centro storico di Treviso alla ricerca ossessiva dei suoi assassini, perennemente in bilico tra il senso di giustizia verso la vittima e la curiosità per l’infinita varietà della Commedia Umana, per dirla alla Balzac. E per innalzare il livello della sfida tra il protagonista e l’antagonista, anche le trame dei sei gialli si sono via via andate a formare attorno a dei casi di omicidio in cui gli assassini fossero persone ricche e potenti, talvolta anche arroganti. Stucky invece è un semplice ispettore di provincia che per indole personale non farà mai carriera. Troppo discreto e allergico alle dinamiche del carrierismo, porta avanti il proprio lavoro in solitaria, con la costanza e la tigna del bravo artigiano. È questo suo aspetto che ci ha fatto venire in mente il Tenente Colombo, una serie che da adolescente ho amato e che ci è tornata utile come modello strutturale. Anche in Stucky, come in Colombo, a differenza dei gialli classici, la rivelazione al pubblico dell’assassino avviene nei primi minuti. Ci è sembrato il modo migliore per concentrare l’attenzione sugli aspetti più psicologici di un omicidio, omettendo completamente la parte procedurale dell’indagine o le scene d’azione. Ecco perché non vediamo mai Stucky nel suo ufficio in Questura, così come non lo vediamo mai impugnare una pistola. Il metodo investigativo di Stucky è interamente basato sullo studio delle psicologie umane, si basa sul dialogo, sulla parola, sui colloqui con i diversi personaggi legati in vario modo con la vittima, tra cui chiaramente si nasconde sempre anche l’assassino. E quando l’ispettore punta il presunto assassino non gli dà scampo, lo tampina ovunque, che sia a casa, al lavoro o al circolo del tennis, alla ricerca di quel piccolo errore che tutti commettono. E alla fine lo incastra sempre.»

 

 

 

 

I PERSONAGGI

Giuesppe Stucky (Giuseppe Battiston)

Ispettore capo della Polizia in forza alla Questura di Treviso è un tipo sui generis: apparentemente compassato e solitario, odia la vista dei cadaveri, non ama la tecnologia e organizza le indagini a modo suo, servendosi di tanti foglietti fitti di appunti, che si diverte a disporre su un tavolo come tasselli di un puzzle per mappare l’animo di chi incontra e porsi le domande giuste, fino a ricomporre la vicenda che lo porta alla soluzione del caso. Non ama lavorare nel suo ufficio, ma preferisce formulare le sue ipotesi e i suoi ragionamenti passeggiando per Treviso o seduto davanti ad un buon bicchiere di vino nell’osteria del suo amico Secondo.

 

Marina (Barbora Bobulova)

Medico legale forte, determinata e risolutiva sul lavoro. Nella vita privata, invece, sembra vivere continui alti e bassi che Stucky osserva e accoglie con dolcezza e premura, mentre lei sorride con tenerezza delle piccole manie dell’ispettore. I due sono sulla stessa lunghezza d’onda e si bilanciano a vicenda: lui tutto istinto, lei tutta testa. Marina potrebbe essere la partner perfetta per Stucky, ma per ora sono solo buoni amici.

Secondo (Diego Ribon)

Professione oste, amico di una vita di Stucky. Tra un bicchiere e l’altro, i due condividono gioie, dolori e pensieri. Secondo gestisce la sua osteria, divertendosi con tutti gli avventori, ma al nostro ispettore dedica sempre del tempo (e un piatto speciale) per ascoltarlo o stimolarlo. È con Secondo, infatti, che Stucky ricostruisce i tasselli del delitto per metterli insieme, perché in osteria si pensa meglio e perché in casa di amici ci si sente protetti!

Ilaria Landrulli (Laura Cravedi) e Fabio Guerra (Alessio Praticò)

Sono i due poliziotti che affiancano Stucky nelle indagini. Ilaria, giovanissima e piena di voglia di fare, è molto attenta, precisa, sempre sul pezzo. Fabio, meridionale, simpatico con la sua aria sbadata, è a volte un po’ inopportuno ma sicuramente fidato. Niente di meglio di questa strana coppia per accompagnare il nostro Ispettore che spesso si dimentica di loro ma, altrettanto spesso, li sottopone a prove inaspettate. Eppure, Landrulli e Guerra – senza sapere il perché – non possono fare a meno di Stucky e delle sue stranezze…

 

La storia inizia così

 

Il sole di Tabriz

Malik, giovane immigrato magrebino, viene trovato morto sul selciato sotto casa sua. Il giovane avrebbe dovuto recarsi all’inaugurazione di una mostra fotografica promossa da un’agiata famiglia trevigiana, gli Zanon, che curano un’associazione per ragazzi stranieri da cui lo stesso Malik è transitato. Tutto lascerebbe pensare che il giovane si sia suicidato, eppure qualcosa non quadra. Stucky si convince che si tratti di un omicidio e inizia a marcare stretto l’assassino.

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GENTILE & VAGNATO

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In Playlist la fotografia della Gen Z

I brani più ascoltati del momento. Al via “Playlist – Tutto ciò che è musica”, una finestra aperta sull’attualità musicale arricchita da preziose performance live. Le interviste ai conduttori, Federica Gentile e Gabriele Vagnato, protagonisti da sabato 19 ottobre alle 14.00 su Rai 2

FEDERICA GENTILE

Come si sta preparando al primo appuntamento di “Playlist”?

Con grande entusiasmo. Siamo molto contenti di riportare la musica in televisione con un appuntamento fisso che mancava.  Siamo strafelici di avere questa opportunità che è un po’ anche una scommessa, perché parleremo soprattutto ai giovani e quindi intercetteremo un po’ il loro mondo. Io che amo molto i giovani, e da anni dedico loro la mia vita professionale e non solo, sono molto felice di continuare a farlo con un nuovo progetto come questo.

Mancava proprio un appuntamento dedicato alla musica oltre i contest, le esibizioni…

Vero, verissimo. Vogliamo dare spazio alla musica, agli artisti delle nuove generazioni che piacciono ai ragazzi e che in qualche modo stanno scrivendo anche una nuova modalità di espressione.  La musica, da sempre, ci restituisce i confini di una generazione. La televisione penso che sia un mezzo, nonostante tutto, giovane, e che vogliamo continuare a mantenere tale.

Coppia inedita con Gabriele Vagnato, come lavorate insieme?

Benissimo perché è un ragazzo di una creatività incredibile, genuino, autentico, gentile, educato. Lavoreremo molto bene insieme perché abbiamo tra l’altro dei gusti molto coincidenti e una grandissima intesa, oltre che stima reciproca.

“Palylist” è un programma dall’impostazione contemporanea. Ma quali possiamo considerare le novità della musica oggi?

C’è una grande varietà, nel senso che gli ultimi sono stati anni di grande sperimentazione da parte della musica, soprattutto giovane. C’è stato il periodo della trap in cui sembrava che fosse l’unica via di espressione di una generazione. Ma in realtà c’è molto altro, c’è l’urban, il pop, il cantautorato, c’è tutta la parte di sonorità elettroniche, la scrittura delle barre che permette di fare una narrazione. In “Playlist” anche anche le persone più adulte possono curiosare, affacciarsi e scoprire magari tante cose che i loro figli seguono, fanno. Un occhio di riguardo lo avremo anche per i grandi fenomeni internazionali che racconteremo insieme ai ragazzi, anche per fotografare una generazione.

Della musica contemporanea cosa apprezza e cosa invece non le piace proprio?

Apprezzo molto la varietà e la voglia di scrivere nuovi linguaggi, nuove sonorità oltre che la capacità che hanno molti ragazzi di oggi di fare da soli, nel senso che comunque ci sono tanti cantautori. Non mi piace a volte l’eccesso contenutistico, chi usa la musica per veicolare, forse in modo anche un po’ superficiale, delle immagini e dei concetti che sono assolutamente lontani da me, ma probabilmente, a volte, anche da molti di loro. Di bello trovo che spesso ci sia un uso molto evoluto della lingua italiana, con figure retoriche sofisticate, immagini, riferimenti anche letterari, perché molti artisti hanno studiato, sono colti, hanno la capacità di far tesoro di un passato che in qualche modo rilanciano.

Quale genere musicale preferisce?

A me piace tutto, ma ho passione particolare per il rock e il cantautorato.

Oggi c’è un po’ meno rock…

C’è un po’ meno rock, sì. Però, per esempio, c’è il ritorno del folk. Pensa a un cantautore come Alfa, giovanissimo, che di fatto mette tanto folk nella sua musica e questo potrebbe sembrare strano. In realtà c’è tanta contaminazione.

Un invito ai nostri lettori a seguire “Playlist”…

Fatelo, perché c’è anche un modo per comprendere, appunto, i ragazzi. E ai giovani dico fatelo perché via via ci saranno tutti gli artisti che amate di più. Cercheremo di approfondire insieme tanti fenomeni e la conoscenza di tanti artisti. Sarete protagonisti proprio voi.

 

GABRIELE VAGNATO

“Playlist” è indirizzato ad un pubblico giovane ma non solo…

Stiamo provando a fare un programma contemporaneo ed è una bellissima sfida. La Rai ci ha messo davanti un foglio bianco dal quale partire, insieme agli autori, insieme a Federica, e siamo riusciti a costruire qualcosa che ci piace, speriamo possa piacere a tanti, non solo ai giovani.

Coppia inedita con Federica Gentile. Come lavorate insieme?

Io e Federica ci conosciamo da tempo anche se ci eravamo persi di vista. Abbiamo tanta voglia di fare, siamo sulla stessa lunghezza d’onda e poi lei è molto esperta di musica, è una mano santa anche per me, per un po’ di cultura musicale.

Quanto sono presenti i social in playlist?

Stiamo provando a fare un programma che comunichi, sul web, sulle piattaforme e che vada bene anche in tv. Che sia veloce, dove le cose durano due, massimo tre minuti dato che oggi la soglia dell’attenzione su internet si è abbassata drasticamente. Arrivo dall’esperienza con Fiorello a “Viva Rai2” dove era tutto stretto in un minuto e mezzo, massimo due. I social sono fondamentali per amplificare anche durante la settimana quello che fai in onda.

E invece quale sarà l’interazione con il pubblico presente?

Un programma giovane ha bisogno di persone giovani in studio. Ci saranno delle belle situazioni che stiamo creando e che possano far sentire a proprio agio anche gli artisti che vengono come ospiti.

Quale genere musicale ascolta?

Mi faccio guidare dalle playlist. Le “scrocco” ai miei amici, ai parenti. Se una mi convince o se scopro delle nuove canzoni, continuo ad ascoltarle in loop per un periodo finché non mi annoio. Se dovessi ascoltare sempre un artista mi stancherei, quindi cerco di variare, cerco di farmi sorprendere anche da una  canzone che magari non avrei mai ascoltato.

Un invito ai nostri lettori a seguire “Playlist”…

So che è difficilissimo accendere la televisione sabato alle 14,00, so che è una cosa che non si fa più se non per Milo Infante, il maestro che ogni giorno racconta l’Italia. Il sabato non c’è, però accendete la TV, perché nell’ambito della musica il nostro è un programma nuovo, che non si vedeva da tanto, dato che non si parla più di musica in televisione se non con i talent, le sfide o delle gare. Se siete interessati alla musica, se la musica vi piace, “Playlist” è il vostro programma.

 

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Raoul Bova

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A letto con il sorriso

«In questo straordinario gruppo di lavoro, tutti sono orgogliosi di far parte del progetto, lo amano e lo rispettano, non c’è mai stanchezza nel lavoro, ma solo una grande passione, un’assoluta armonia» racconta l’attore impegnato per la seconda volta nei panni di Don Massimo nella quattordicesima stagione di Don Matteo. Da giovedì 17 ottobre su Rai 1

Uno dei meriti della serie è proprio essere riuscita a trovare un equilibrio tra spiritualità e vita concreta…

È una serie scritta in modo incredibilmente vero, tra i racconti televisivi più longevi che, pur ricorrendo a temi tipici della commedia e a situazioni da teatro, presenta allo spettatore personaggi molto credibili, mai sopra le righe, o quando lo sono, perfettamente funzionali alla linea più comedy che conferisce leggerezza alla narrazione. Gli ambienti in cui si svolgono le scene, gli interni in particolare, sono caratterizzati da atmosfere familiari che creano calore; il tavolo della canonica, per esempio, è il simbolo perfetto dei legami forti tra le persone, è qui che si pranza e si cena tutti insieme, è qui che ci si confronta. Le partite a scacchi tra Don Massimo e Cecchini diventano fortemente simboliche di un rapporto saldo, di complicità, ma anche di confronto professionale. Quest’anno è stata per me una scoperta ancora più forte della prima volta, abbiamo lavorato a fondo sul dare verità alla storia, tutto quello che raccontiamo potrebbe essere potenzialmente reale, anche nella sua follia perché, come ben sappiamo, a volte la realtà è molto più folle della finzione. I casi di puntata sono interessanti e aderenti all’attualità, e per questo affrontati con estrema attenzione, cercando di non cadere troppo nella profondità del dramma, senza però essere superficiali. Lo scopo è mantenere il giusto equilibrio per intrattenere lo spettatore in un contesto di “piacevole profondità”. Diciamo che “Don Matteo” ti manda a letto con un sorriso.

Cosa significa entrare nell’intimità di un personaggio come don Massimo?

Le location, in particolare la casa dove vive Don Massimo, hanno qualcosa di speciale, perché racchiudono un mondo, quello di un uomo complesso, pieno di fascino che, a un certo punto della sua vita, ha compiuto scelte determinanti, come lasciare la divisa da carabiniere e indossare quella da prete, abbracciando con una consapevolezza diversa la vita spirituale.

Cosa ha rappresentato nella vita di quest’uomo questa scelta di vita?

Una scelta che rivela un uomo in continua ricerca di sé stesso, del suo rapporto con Dio, con una naturale spinta a stare in mezzo alla gente, come San Francesco che, per fare un riferimento concreto, amava le persone, non si curava né dei vestiti, né della propria immagine. La regola era “fare” più che “sembrare”.  Don Massimo è un uomo che, di volta in volta, in base alle esperienze, cresce come prete e come essere umano, e lo vedremo bene anche in questa stagione quando si troverà costretto a gestire l’arrivo di una sorella con la quale condivide un passato di contrasti.

Possiamo dare qualche dettaglio in più?

La relazione tra questi due fratelli non è mai stata facile e i rapporti si erano interrotti da tempo. Ora, però, che Massimo è diventato prete, non può fuggire ai problemi del suo passato, ma questa volta è animato da una diversa sensibilità e, complice anche la “spinta” del vescovo, vede il mondo con occhi diversi, più aperti.

Una serie di successo, un modello per altri racconti?

È importante raccontare ciò che rende unica questa serie che, al di là della scrittura, della regia, ha qualcosa di speciale: il rapporto umano e di grande rispetto all’interno della troupe, dagli attori, alle maestranze tutte. In questo straordinario gruppo di lavoro, tutti sono orgogliosi di far parte del progetto, lo amano e lo rispettano, non c’è mai stanchezza nel lavoro, ma solo una grande passione, un’assoluta armonia.

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MIKE

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Una miniserie evento sulla vita di Mike Bongiorno a cento anni dalla sua nascita e a settanta dalla prima trasmissione televisiva italiana che lo vede protagonista. Due serate per celebrare un’icona della tv, ricordare una carriera unica e irripetibile, ma soprattutto per raccontare il volto inedito, più intimo, spesso rimasto all’ombra del conduttore di successo: spigliato e sorridente di fronte alle telecamere ma riservato e introverso nel privato. Il 21 e il 22 ottobre in prima serata Rai 1

Quando in Italia si sente dire “Allegria!” si pensa subito a Mike Bongiorno, padre della televisione italiana e re dei quiz. Nato a New York nel 1924 da una famiglia italo-americana, Mike è stato uno dei principali protagonisti del piccolo schermo sin dal primo programma trasmesso dalla Rai nel 1954. Ha iniziato a fare il presentatore in giovanissima età e della sua lunga carriera si conoscono le tappe, le sfide, i successi. Meno i presupposti, i sacrifici, la solitudine. Diviso fra Stati Uniti e Italia, fra padre e madre, fra guerra e ricostruzione, ciò che Mike ha vissuto si allaccia inevitabilmente alla storia del nostro Paese, da lui scelto per mettere radici e formare la sua famiglia.

Il racconto si apre nel 1971: Mike è all’apice della popolarità grazie a “Rischiatutto” e da qui si snodano a ritroso i capitoli più significativi della sua parabola, in un armonico alternarsi tra la cornice, costituita da un’approfondita e dinamica intervista televisiva, e i diversi flashback che prendono il via dall’infanzia a New York per arrivare anno dopo anno all’incontro con Daniela Zuccoli, la ragazza che sposerà nel 1972 e che resterà al suo fianco fino all’ultimo giorno.

 

Il regista Giuseppe Bonito racconta…

«Poter girare una serie che racconta una parte significativa della vita di Mike Bongiorno è una sfida molto difficile e, allo stesso tempo, una grandissima opportunità. Mike Bongiorno è in assoluto il nome a cui ancora oggi, più di tutti, viene associata la televisione in Italia. Anzi, si può con obiettività affermare che la televisione nel nostro paese è nata con lui e che, per decenni e per generazioni di telespettatori italiani, Mike (il cui nome, per tantissime persone, basta e avanza) è stato più di una figura popolare: è stato una presenza paragonabile a un parente, a un fidanzato, a un amico di famiglia. Per me la sfida è proprio questa: come si può raccontare al grande pubblico una figura così familiare e presente nelle vite di tanti italiani? Cosa può aggiungere a ciò che tutti sanno già? Qual è il punto di vista più giusto? Ciò che ho fatto è stato scordarmi di tutto ciò che già sapevo e ricordavo di Mike, compiendo intanto un percorso di conoscenza il più profondo possibile. Ho scoperto una vita straordinaria e degna di essere raccontata anche alle nuovissime generazioni, non solo per ciò che Mike ha significato per la storia culturale e sociale del nostro paese, ma anche perché la sua vicenda ci racconta di temi universali che riguardano tutti noi: i legami problematici tra genitori e figli, il bisogno degli altri, l’importanza delle proprie radici, la ricerca tenace dell’amore. L’ambizione è quella di esplorare e di raccontare l’uomo Mike, al di là della figura iconica e leggendaria che tutti conosciamo. In quest’ottica, tutto – dalla scrittura, al lavoro con gli attori, all’uso della macchina da presa – si basa proprio su questo dualismo: nella nostra serie, Mike passa in continuazione dalla dimensione pubblica a quella privata e viceversa. Vediamo spesso Mike compiere questo passaggio, per cui non è infrequente che l’uomo timido e introspettivo, improvvisamente, davanti al microfono della radio o alla telecamera accesa, diventi la figura affabile e sicura di sé che tutti conosciamo, il geniale utilizzatore di un linguaggio apparentemente semplice, ma nella sostanza complesso, perché universale. Lo stile di regia di Mike asseconda questo movimento costante dal fuori al dentro e comprende più livelli di ripresa che vanno a contaminarsi tra di loro, oscillando tra un uso della macchina da presa che filma una narrazione oggettiva degli eventi e un uso della macchina da presa che crea delle bolle di astrazione soggettiva. Da un lato c’è un racconto intimo e a tratti doloroso della separazione dei suoi genitori, di una vita divisa tra due continenti, tra l’Italia e l’America, e dall’altro l’ascesa e la consacrazione prima nelle radio americane e poi in tv in Italia. A tal proposito ho scelto di ricostruire la New York degli anni Quaranta e Cinquanta e poi degli anni Settanta, integrando le importanti costruzioni scenografiche a un utilizzo estensivo degli effetti visivi digitali, mentre, per quanto riguarda le sue celebri trasmissioni, ho optato per un’impostazione rigorosamente filologica provando a ricostruire fedelmente gli studi di Lascia o raddoppia? e di Rischiatutto, così come il teatro del Festival di Sanremo del 1967. Mi piacerebbe che lo spettatore godesse di un grande affresco che attraversa una buona parte del secolo scorso in cui si racconta di un uomo che, a modo suo, ha contribuito a fare l’Italia e che è stato l’inventore della tv italiana, ma anche di un giovane studente che ha aderito alla lotta partigiana rischiando la vita. Vorrei però anche condurre lo spettatore in una dimensione intima, privata, umana, raccontando un essere umano con le sue fragilità, le sue paure e il bisogno d’amore autentico che tutti noi proviamo.»

 

 

I PERSONAGGI

MIKE BONGIORNO (Claudio Gioè, Elia Nuzzolo)

Quanti volti ha il protagonista di questa serie? Ne ha tanti, anche perché ha avuto tante vite, Mike, e per ognuna di queste vite ha presentato una faccia diversa. Chi l’ha conosciuto sul lavoro ha avuto a che fare con un professionista rigoroso e preciso, un uomo che ha vissuto di spettacolo e che conosceva bene il suo mestiere, anche perché l’aveva imparato nella patria dell’entertainment, gli Stati Uniti, la sua seconda casa. Mike lavorava per sé, ma anche e soprattutto per quei milioni di persone che lo consideravano uno di famiglia. È il pubblico l’unico giudice supremo a cui Mike si rimette e a cui deve il suo successo e questo non lo dimentica. Ma Mike non è solo un personaggio televisivo, amatissimo dall’Italia e dagli italiani: è anche una persona con le sue complessità e le sue contraddizioni, un uomo lacerato tra due patrie, tra due mondi diversi, coraggioso ma timidissimo, pacato ma deciso.

DANIELA ZUCCOLI (Valentina Romani)

Daniela è una giovane donna del suo tempo, che non è quello di Mike. Quando si incontrano, ci sono 28 anni di differenza, una diversa concezione della vita, che riesce a essere non un ostacolo, ma una fonte di arricchimento per entrambi. La loro unione non dimostra solo che l’amore è imprevedibile, ma anche che, a volte, la scelta della persona con cui vogliamo condividere la nostra vita diventa qualcosa di inevitabile, come la serie di coincidenze che hanno portato Mike e Daniela, tanto diversi e tanto lontani, a incontrarsi spesso e nei contesti più disparati, fino alla consapevolezza che il destino di cui si parla e che sembra ineffabile, a volte, è estremamente concreto.

SEBASTIANO SAMPIERI (Paolo Pierobon)

Unico personaggio di fantasia, il giornalista televisivo Sebastiano Sampieri è colui che conduce l’intervista a Mike Bongiorno attraverso la quale, scavando nel passato del presentatore, si cerca di restituire l’immagine più veritiera di Michael oltre che di Mike, della persona oltre che del personaggio. Sampieri si fa portavoce delle istanze degli intellettuali degli anni Settanta, avversi a Mike e alla televisione, ma sarà proprio Mike a fargli capire che, in realtà, quei due mondi non sono poi così diversi, solo apparentemente appaiono come fronti contrapposti.

PHILIP BONGIORNO (Tomas Arana)

Il padre di Mike è un uomo complesso. Anche lui, come il figlio, ha due nomi, uno italiano e uno americano. Il crollo del 1929 lo mette in ginocchio economicamente e lo costringe a separarsi dalla moglie Enrica, che ritorna in Italia col piccolo Mike, di soli sei anni. Quando Mike ritorna a New York ventenne, dopo la guerra, capisce ben presto che deve ricucire un rapporto su nuove basi. Mentre Philip si rende conto di non essere preparato a fare il padre. Il suo forte pragmatismo lo porterà a insegnare a Mike che nella vita è necessario sudare, meritarsi le cose: niente ci viene regalato. Nonostante questa apparente durezza, tra Mike e Philip si crea un forte legame affettivo.

ENRICA CARELLO (Clotilde Sabatino)

La madre di Mike è una donna dell’Ottocento. Si sposa giovanissima con l’ufficiale Philip Bongiorno, seguendolo a New York, salvo poi rendersi conto che in quella gigantesca metropoli si sente piccolissima, oppressa da una depressione che si fa sempre più pesante e che si associa ad un’altra, collettiva: quella del 1929, che getta sul lastrico migliaia di famiglie, fra cui la loro. Enrica vede il ritorno in Italia come la possibilità di recuperare la voglia di vivere, ma non è facile crescere un figlio piccolo da sola. Insegna a Mike la resilienza e, quando il figlio partecipa alla lotta partigiana, la madre è al suo fianco. Dopo una dolorosa separazione durata anni, al ritorno di Mike in Italia i due finalmente si ritroveranno.

GINO CAVALLERO (Gualtiero Burzi)

 

Gino Cavallero, giornalista sportivo del quotidiano di Torino “La Stampa”, è il primo mentore di Mike, figura quasi paterna, che riconosce nel giovane americano d’Italia un valente atleta, ma un ancor più un valente collega, anche se in erba. Gli affida all’inizio mansioni da “galoppino”, poi lo mette alla prova facendogli scrivere articoli su sport e campionati minori. Ed è Cavallero che condurrà Mike sui sentieri dell’antifascismo e della Resistenza.

 

VITTORIO VELTRONI (Massimo De Lorenzo)

 

A un giovane Vittorio Veltroni Mike deve l’ingresso nella neonata Rai: colpito dalle sue radiocronache dall’America, il dirigente intuirà che quel ragazzo ha le carte in regola per un futuro non solo nella radio ma anche nel nuovo mezzo di comunicazione che sta nascendo anche in Italia, la televisione. Ed è grazie a lui che Mike torna in Italia potendo contare su uno stipendio. E su una prospettiva di vita piena di successi.

 

CARLO FUSCAGNI (Augusto Fornari)

 

Un amico e un confidente per Mike, è colui che nella miniserie lo convince a partecipare all’intervista che dà il via alla storia. Ma non solo: è anche il dirigente Rai che, nel momento più basso della carriera di Mike, lo aiuta a risalire, non smettendo mai di credere in lui e nelle sue potenzialità.

 

La prima serata

All’apice del successo di Rischiatutto, Mike Bongiorno accetta di partecipare a un’intervista in cui si racconta al suo pubblico. Il primo ricordo prende le mosse dal crollo di Wall Street nel 1929, quando Philip Bongiorno viene costretto a separarsi dalla moglie, Enrica Carello, affinché possa risollevarsi dalle ingenti perdite economiche subìte. Enrica ritorna quindi nella sua Torino insieme al piccolo Mike. Ma non si tratta di una parentesi. Una volta lasciata New York, la donna non vorrà più tornarvi, costringendo Mike a restare in Italia e a perdere i contatti col padre. Gli anni a Torino non saranno facili per lui. Muove i primi passi nello sport e come giornalista, si diploma, ma all’improvviso tutto si ferma con l’arrivo della guerra. L’attività di staffetta partigiana e il suo passaporto americano lo portano prima in carcere a San Vittore, dove anche Enrica viene imprigionata, e poi in diversi campi di concentramento. Esperienze durissime senza nemmeno la possibilità di avere notizie della madre, a cui scrive immaginandola nella loro casa a Torino. Mike corre più di una volta il rischio di essere fucilato e dopo due anni, grazie a uno scambio di prigionieri, i nazisti lo rimandano a casa, ma non a Torino bensì a New York.

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PETER GOMEZ

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Mai domande per stupire

Il giornalista, che ritorna sabato 19 ottobre su Rai 3 con “La Confessione”, si racconta al RadiocorriereTv: «Voglio ospitare personaggi che siano controcorrente, ribelli, e che magari, pur non avendo ragione, hanno il coraggio di dire no»

Tornano le “confessioni”, questa volta il sabato in prima serata su Rai 3. Come scegli i tuoi ospiti?

Lavorando a “L’Espresso” ho imparato che per fare informazione bisogna coniugare l’alto e il basso, un giornalista ha il dovere di raccontare il mondo e di parlare di ciò che interessa alla gente. Mi interesso di politica, mafia, ma anche di sport e non me ne vergogno affatto. Credo che in una trasmissione come “La Confessione” sia necessario mettere insieme questi due mondi, ricordandoci sempre che tutti gli intervistati, italiani, sono prima di tutto cittadini. Gli ospiti li scegliamo anche seguendo un filo conduttore, che nella serie scorsa era quello della legalità. Nella stagione che sta per partire ritroveremo questo tema, ma al tempo stesso andrò a cercare personaggi che siano controcorrente, dei ribelli, persone che magari, pur non avendo ragione, hanno il coraggio di dire no.

C’è una domanda che non faresti mai a un tuo intervistato?

Alcune legatissime al gossip. Ma molto dipende dal contesto, da come le poni. Se mi parli, ad esempio, di diritti LGBTQ+, può essere anche legittimo chiedere se hai avuto attrazione per una persona del tuo stesso sesso. Non credo ci siano domande che non si possono fare, vanno poste con il tono giusto e nel contesto giusto. Di certo non faccio domande per stupire.

Come ti poni nei confronti di un intervistato che ritieni dica la verità?

Certe volte gli ricordo che siamo a “La Confessione”, ed è il segnale più chiaro che qualcosa non mi convince. Non è un programma interrogatorio, non torchio nessuno, però la seconda domanda la faccio (sorride).

Come te la cavi con il politicamente corretto?

Penso che nella vita, quando si parla, si debba essere delle persone educate e, anche se non si è credenti, tenere sempre conto di quel che dice il Vangelo: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Detto questo ci sono ambiti, come la satira e la comicità, in cui nemmeno questi discorsi valgono. Un giorno Paolo Rossi mi disse: “Ti rendi conto che se racconto una barzelletta sugli alpinisti gay se la prendono con me sia i gay che gli alpinisti?”.

Hai iniziato con Indro Montanelli.

È stato il mio direttore per tanti anni. Mi assunse a “Il Giornale”, mi portò a “La Voce”, ho saputo che quando voleva mettere in piedi un settimanale che si sarebbe dovuto chiamare “Il Caffè”, aveva incluso il mio nome nell’elenco dei colleghi che avrebbe voluto con sé. Ciò che ho imparato da lui è racchiuso in una sua frase: “L’unica battaglia che noi dobbiamo vincere è quella che facciamo ogni mattina davanti allo specchio quando ci facciamo la barba”. Possiamo sbagliare, chiedere scusa, commettere errori, però dobbiamo farlo sempre con un bell’animo, essendo onesti dentro…

Coerenti…

… apprezzo la coerenza, ma bisogna anche dire, come ricordava Montanelli, che nella vita sono sempre coerenti i fanatici e le mummie. È ovvio che i punti di vista possano cambiare, ma un conto è cambiare posizione, altro sono il trasformismo italico, la corsa sul carro del vincitore, il conformismo totale, un giornalismo sempre più mainstream. Trent’anni fa i giornali erano molto più vivaci, e questo non ha a che vedere con il politicamente corretto. Uno la può pensare come vuole sulla guerra in Ucraina, in Israele, ma non accusare chi è per la pace senza se e senza ma di essere putiniano, “pacifinto”. Un tempo si dibatteva, ci si scannava, ma non si partiva dal presupposto che l’avversario fosse pagato. Nel dibattito pubblico c’era qualcosa di diverso.

Fare domande è il tuo mestiere, ma come ti senti nei panni dell’intervistato?

Dico quello che penso, anche perché non credo di avere pensieri mostruosi, non ho bisogno di trattenermi (sorride).

Un ospite che inviteresti a “La Confessione” …

Morto Berlusconi, che sarebbe stato l’intervistato per eccellenza e che Montanelli definiva “il bugiardo più sincero”, mi piacerebbe intervistare Marcello Dell’Utri, non per fare un’intervista inquisitoria, ma perché ha fondato Forza Italia, perché era con Berlusconi dal primo giorno, perché ha avuto i suoi processi, le sue condanne. Ha una storia da film.

Concludi le puntate chiedendo ai tuoi ospiti di fare una confessione, se tu fossi al loro posto e dovessi “confessare” qualcosa ai tuoi lettori, al tuo pubblico… cosa diresti loro?

Non mi spiego per quale ragione io abbia avuto più successo rispetto ad altri colleghi. Non mi sento particolarmente migliore di loro.

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VINCENZO SCHETTINI

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Il Prof, la logica e l’emozione

“La Fisica dell’Amore”, semplici esperimenti che aiutano a comprendere i sentimenti. Il martedì in seconda serata su Rai 2

Spiegare i principi della fisica e indagare l’universo dei sentimenti. Da dove si parte?

Da un’ispirazion, legata alla mia professoressa di filosofia che purtroppo ci ha lasciati qualche mese fa. Le sue lezioni al liceo, tra il 1994 e il 1996, hanno indicato a me e ai miei compagni una strada, che passa dallo studio dei filosofi che per primi hanno indagato l’Universo, gli elementi, che hanno cercato di capire come siamo fatti, quale sia il nostro destino. Da lì si arriva facilmente alla fisica. Il racconto dell’esistenza umana, quello dei nostri tormenti interiori e quello della scienza sono paralleli, non c’è nulla da fare. Se si può allora imparare dalla scienza, ben venga, e se si può fare in tv una sana lezione di fisica ben venga due volte, perché ne abbiamo tutti bisogno, me compreso.

La fisica è sempre sinonimo di logica?

La fisica va avanti secondo ragionamenti rigorosi. Ce lo ha insegnato Galileo attraverso il suo metodo sperimentale: lui diceva di verificare ogni ipotesi con un esperimento, è questo il fascino che abbiamo sempre un po’ subito davanti a questa disciplina. Non dobbiamo mai avere paura del rigore, ma comprenderlo.

Si ricordi per un istante studente di fronte al suo professore di fisica…

Il mio era un professore simpaticissimo, di Polignano, che di tanto in tanto parlava in dialetto. Mi volle bene particolarmente da quando mi vide in chiesa suonare il violino. Lui, che era un fisico, aveva un animo profondamente romantico, creativo. Ciao Prof!

Il suo rapporto con la curiosità e la fantasia…

Con la curiosità ho un rapporto continuo. Mi annoio facilmente, e quando accade è il momento di disegnare, pensare, leggere, creare, scrivere, amare qualcuno, quindi vivere la vita. Il mio rapporto con la fantasia è una sinusoide, va su e giù. Sono fantasioso a momenti, di solito mi carico quando mi entusiasmo.

Cosa l’ha portata a fare il professore?

L’ossessione che avevo fin da piccolo di spiegare e interrogare (sorride). Da ragazzino interrogavo sempre i miei cugini e mio fratello minore. Volevo spiegare loro ciò che imparavo dai maestri e dai professori a scuola, ero ossessionato dal capire se avessero capito.

Che libri ci sono sul comodino di un professore di fisica?

Libri di scienza insieme a volumi di fantasia, di azione. Ci sono romanzi romantici e thriller, molto spesso in lingua inglese.

Che soddisfazioni le sta dando questa esperienza televisiva?

Una carica incredibile, nonostante avessi molto timore di approcciarmi alla televisione. In passato mi era già stato proposto di fare televisione, ma non mi ci ritrovavo. Quando è arrivata questa idea ho subito capito come fosse giusta per me: il prof in tv che spiega la fisica e parla di vita. Spero di poter continuare questo racconto gentile, culturale, di riflessione. Abbiamo tutti bisogno di riflessione, me compreso.

Da uomo di logica come si pone di fronte a ciò che anche con la logica non si può spiegare?

Da uomo di logica e anche da artista, perché sono metà fisico e metà musicista, davanti alle grandi domande mi pongo in ascolto. Lo dice Laura Pausini in una sua canzone: resta in ascolto perché c’è un messaggio per te. Laura parla dell’onda sonora, che è un’onda meccanica, o di quella elettromagnetica, l’onda radio che arriva alle nostre orecchie. Se non restiamo in ascolto non sentiremo mai quello che gli altri hanno da dirci. Sono in ascolto nei confronti del mistero che è questa vita e sono grato per la felicità di ogni giorno che passa.

Ci tolga una curiosità, a quale legge della fisica rispondono i suoi capelli?

Alla quinta forza: i miei capelli dimostrano una legge che solleticherà i fisici teorici nei prossimi cinquant’anni: l’antigravità (sorride).

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SOFIA PASOTTO

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Sostenibile, è possibile

In viaggio alla ricerca di soluzioni innovative per affrontare le sfide ambientali del nostro tempo. La serie, disponibile su RaiPlay, è ispirata dalle storie di giovani visionari che stanno già cambiando il mondo

 

Un mondo intero nella tua testa, un mondo da costruire e scoprire. Sofia, che mondo è?

È il mondo che c’è già! È il mondo in cui il cambiamento viene accolto in nome dei valori e delle tradizioni, in cui l’ambiente e le persone hanno un valore aldilà di quello economico, in cui si guarda al domani con tanta speranza (e non con la disperazione e demotivazione di oggi) perché ci sentiamo [persone] supportate e in grado di cambiare l’Italia. Beh sì, il Pianeta Sofia in questo caso è proprio la parte bella dell’Italia, in cui la sostenibilità e il valore sociale spiccano tra tutto. È anche il mondo dell’attivismo… ma di questo tratteremo un’altra volta.

Come aumentare la consapevolezza, tra giovani e non solo, dell’importanza di invertire la marcia?

La consapevolezza deve essere aumentata specialmente tra i non giovani. Le nuove generazioni sono disilluse perché si sentono consapevoli ma poco ascoltate: sono anni che ci viene detto che saranno i giovani che “salveranno il mondo”, ma non è così. Da una parte perché il mondo non ha bisogno di essere salvato, dall’altra perché lo sforzo deve essere comune e le generazioni che hanno inquinato, o meglio, che si sono goduta la bella vita senza pensare di avere conseguenze ambientali, adesso devono aiutare a riparare l’equilibrio ecosistemico che hanno rotto.

Cosa hai scoperto in questo tuo viaggio in lungo e in largo per l’Italia?

Ho scoperto che l’idea di collettività e umanità può passare anche attraverso il cambiamento climatico.

Cosa significa avere una vita sostenibile? Quanta fatica costa?

Vivere una vita sostenibile significa fare del proprio meglio, consapevoli che nessuna di noi è perfetta. Bisogna scendere a compromessi e personalmente io cerco sempre di far capire che il senso di colpa che ci pervade se non riusciamo ad esempio a comprare prodotti sfusi o prodotti sostenibili, e mal indirizzato: sono le grandi compagnie del petrolio, le grandi aziende e gli istituti finanziari che dovrebbero vergognarsi di continuare a finanziare ed estrarre combustibili fossili, contribuendo in modo massiccio alla crisi climatica. Responsabilizzare questi big Players è fondamentale, e forse oserei dire che è la cosa più sostenibile che possiamo fare nella nostra quotidianità.

Educare alla sostenibilità, da dove si parte?

Si dice che non è mai troppo tardi per imparare, questa è la conferma. Non è mai troppo tardi per capire il mondo in cui ci troviamo. si passa dalla scuola, al lavoro, ovunque… per la scuola sono molto felice perché sono stata chiamata in alcune scuole in giro per l’Italia a parlare di pianeta Sofia e di sostenibilità. quello è un ottimo inizio.

Il sogno di Sofia…

Non è molto poetico, ma è il futuro: sogno un’Italia che non bruci ogni anno più di 40 miliardi di euro per finanziare progetti e aziende ambientalmente dannose.

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DANIELA E LUCA SARDELLA

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Green Lovers

Su RaiPlay lo straordinario viaggio di Luca e Daniela Sardella tra i misteri e la bellezza della Natura

Un programma itinerante che percorre l’Italia in lungo e in largo, con due eccezionali ambasciatori del verde e dell’ecologia, per far conoscere la Natura e renderla più vicina all’uomo. Con Luca e Daniela Sardella per imparare a distinguere le piante, le erbe e gli alberi, ma anche per capire il ruolo delle stagionalità, degli interscambi tra fauna e flora, l’impatto del clima sulla natura e – attraverso le piante – l’importanza della vegetazione per l’uomo.

Un viaggio alla scoperta del verde e dell’ecologia, dove ci porterete con “Green Lovers”?

Nei luoghi meno conosciuti della nostra penisola, ma più interessanti dal punto di vista naturalistico. Riteniamo che il rispetto per la natura possa essere instillato nelle nuove generazioni spronando i giovani a frequentarla più assiduamente.  Strumentalizzando una famosa frase di Dostoevskij oseremo dire che “la bellezza della natura salverà il mondo”. “Green Lovers” per noi è come una sorta di interminabile passerella di tutte le meraviglie che la Natura è stata in grado di donarci e che noi tutti abbiamo il dovere di custodire. Perché non ci stancheremo mai di ricordarlo – e questo non lo dicono Luca e Daniela Sardella, ma tutti gli scienziati – “il benessere del nostro Pianeta è strettamente legato a quello di tutti i suoi abitanti”.

Accogliere il verde nella quotidianità come può migliorare la nostra vita?

Frequentare aree verdi riduce l’ansia e lo stress e migliora la concentrazione, l’attività del sistema cardiocircolatorio e respiratorio. L’interazione con le piante può modificare gli atteggiamenti, i comportamenti e le risposte fisiologiche umane. Inoltre, può diminuire l’assenteismo, aumentare la produttività, la soddisfazione generale e la felicità nella vita delle persone. Persino coltivare le piante in casa offre numerosi vantaggi, tra cui la produzione di ossigeno attraverso la fotosintesi, la fitodepurazione da agenti tossici come benzene, formaldeide e tricloroetilene dall’aria, oltre a rendere i nostri ambienti esteticamente piacevoli.

Sostenete che “sapersi prendere cura delle piante è un’attitudine”, pensiamo al famoso pollice verde, cosa può fare chi questa attitudine non l’ha ancora scoperta o pensa addirittura di non averla?

Mai disperare… questa “attitudine” è come una piantina: la si può coltivare, la si può annaffiare, la si può curare fino a farla diventare un albero bellissimo. Con “Green Lovers” intendiamo accelerare questo processo.

Quali sono le piante che, tenute in casa o sul terrazzo, possono aiutarci a vivere meglio? 

Non fate mai mancare un’orchidea vicino al computer o alla televisione, aiuta a combattere l’elettrosmog catturando le onde elettromagnetiche. In camera da letto, per conciliare il sonno, vi consigliamo una pianta di aloe vera che, al contrario della maggior parte delle piante, grazie alla fotosintesi CAM (una fotosintesi “invertita”), è in grado di rilasciare ossigeno di notte, assorbendo l’anidride carbonica.

Quando avete capito che il verde sarebbe stato la vostra scelta di vita? 

È una scelta che rinnoviamo quotidianamente attraverso piccoli accorgimenti, nella consapevolezza di essere parti integranti e custodi di questa grande e incredibile comunità che è la Terra.

 

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Prix Italia 2024

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I vincitori

Cala il sipario sulla 76esima edizione della rassegna internazionale promossa dalla Rai, che premia il meglio di Radio&Podcast, Tv e Digital. Si aggiudica il Premio Speciale in onore del Presidente della Repubblica Italiana la serie spagnola “La legge del mare (“La ley del mar”), una storia dei nostri giorni, il dramma dei migranti riletto dalla serie Tv della spagnola Rtve. C’è anche la Rai sul gradino più alto del podio nella sezione “Tv Documentaty”. Trionfa il documentario “Pericolosamente vicini. Vivere con gli orsi” di Andreas Pichler (coprodotto da Rai Documentari), una storia che riflette sul delicato rapporto uomo – Natura

“La legge del mare” – il dramma dei migranti riletto dalla serie Tv della spagnola Rtve (“La ley del mar”) si aggiudica, a Torino, il Premio Speciale in onore del Presidente della Repubblica Italiana del 76° Prix Italia, la rassegna internazionale promossa dalla Rai, che premia il meglio di Radio&Podcast, Tv e Digital. E nella sezione “Tv Documentary” vince anche la Rai con “Pericolosamente vicini. Vivere con gli orsi”: un racconto che riflette sul delicato rapporto uomo – Natura, partendo dalla storia di Andrea Papi, ucciso da un’orsa nel 2023 in un bosco del Trentino: “Andreas Pichler (il regista) – si legge nelle motivazioni – ha l’esperienza necessaria per trovare un equilibrio tra le emozioni e le decisioni provenienti da diverse parti. È un film indispensabile che mette in discussione il nostro comportamento morale e la nostra etica e prospetta il nostro futuro nel costruire e conservare un ecosistema fragile”.

Per le “Performing Arts” si impone la Bbc e il suo “Peaky Blinders: Rambert’s The Redemption of Thomas Shelby” (Peaky Blinders: “La redenzione di Thomas Shelby” di Rambert), “uno spettacolo emozionante che mescola crude storie di gangster e danza mozzafiato, trascinando il pubblico in un mondo di emozioni intense e creatività, e che merita il Prix Italia”.

La serie “Sambre” di France Televisions, conquista, invece, la sezione “Fiction” affrontando il tema della violenza sulle donne con uno stile e un tono innovativi. Olanda, Repubblica Ceca e ancora Spagna primeggiano nella categoria “Digital”: “DIT is jouw verhaal” (DIT è la tua storia), una piattaforma innovativa della olandese Npo che rende il giornalismo accessibile ai cittadini su diversi temi, vince la sezione “Factual”. La Ct ceca con “No Big Deal” (Niente di grave) – una serie drammatica che con tocchi comici esplora la vita dei giovani adulti sotto l’influenza di piattaforme come OnlyFans – è la vincitrice della sezione “Fiction”. La spagnola Rtve, infine, è la preferita tra gli “Interactive”: “Lab Orquesta – Música artificial para humanos” (Lab Orquesta – Musica artificiale per umani) racconta il processo di creazione di un brano musicale con l’intelligenza artificiale.

Come da tradizione, sono due i Premi Speciali, attribuiti dal Prix Italia: il “Premio Speciale Prix Italia – Ifad – Copeam”, va a “Gaspillage alimentaire, n’en jetez plus!” (Spreco alimentare: una ricetta per il riciclo) di France Televisions che affronta il tema attualissimo dello spreco di cibo, mentre il Premio Speciale Signis è della tedesca Ard con “Sieben Winter in Teheran” (Sette inverni a Teheran), un documentario sull’ingiustizia e la violenza contro le donne in Iran.

All’edizione 2024 del Prix Italia sono giunti 252 programmi, presentati da 76 organismi di 50 Paesi. I programmi sono stati valutati da 79 giurati, in rappresentanza di 49 broadcaster da 40 Paesi, mentre i Premi Speciali sono stati attribuiti da 11 giurati di 5 Paesi.

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