Libera

Posted on

Da martedì 19 novembre sulla rete ammiraglia arriva Lunetta Savino nei panni di una giudice integerrima che, per risolvere una dolorosa vicenda familiare, si unisce a un criminale da strapazzo per compiere un’indagine segreta e rocambolesca

Cosa succede quando la Legge, il valore più alto nella vita di una donna magistrata, si scontra con il desiderio di farsi giustizia da soli? Sullo sfondo di una Trieste piena di misteri, una giudice considerata integerrima, si unisce a un criminale da strapazzo per compiere un’indagine segreta e rocambolesca: porterà avanti una doppia vita per non insospettire colleghi, parenti e la sua adorata nipote. Il dilemma tra il rispetto della Legge e il desiderio di vendetta è il motore della storia di Libera Orlando (Lunetta Savino), giudice del tribunale di Trieste. Tutto ha inizio quando la donna riesce a mettersi sulle tracce dell’uomo che ritiene colpevole della morte di sua figlia Bianca, avvenuta quindici anni prima. Un dilemma che segna il paradosso del personaggio di Libera la quale, durante l’arco della serie, è divisa tra un’indagine che la spinge ad agire ai limiti della legge e il suo essere una magistrata incorruttibile. Libera è anche una nonna affettuosa: ha una nipote quattordicenne, Clara (Daisy Pieropan), alla quale ha fatto da madre da quando la ragazzina è rimasta orfana.  Clara è tutto ciò che resta a Libera di sua figlia Bianca; è spensierata e non ha mai sentito la mancanza della madre perché era troppo piccola quando l’ha perduta. La protezione della nonna le è bastata per divenire un’adolescente felice, dinamica e proiettata nel futuro. Il legame tra Libera e Clara è fatto di leggerezza, complicità, piccoli bisticci e tantissimo amore. È anche per amore di Clara che Libera vuole smascherare l’assassino di sua figlia. Disposta a tutto pur di raggiungere il suo scopo, entra in contatto con Pietro, un pregiudicato che le farà rivelazioni inaspettate e dolorose. Tutto si capovolge. Ciò che Pietro (Matteo Martari) racconta a Libera su sua figlia cambia la ricostruzione che la donna aveva fatto sui motivi della sua morte. Grazie ai nuovi dettagli forniti da Pietro, Libera capisce che c’è un mistero molto più grande intorno alla morte di Bianca. Deve scoprirlo e lo farà proprio insieme a Pietro. I due formano una coppia improbabile ma efficiente, sancita dal patto di non rivelare a Clara il loro sodalizio se non quando avranno scoperto la verità. Diversi sia nell’età che nei modi di essere, i due dovranno agire di nascosto. Libera dovrà mentire a molti, a cominciare da Davide (Claudio Bigagli), vicequestore, suo ex marito e nonno di Clara, dal quale Libera ha divorziato anni prima. Oltre a Davide c’è Isabella (Monica Dugo), sorella di Libera, single incallita alla quale lei nasconde la sua indagine fino a quando la presenza sempre più ingombrante di Pietro nella loro vita di donne single la costringerà a confessarle la sua vera identità. Isabella, vivace e iperattiva, deciderà di aiutarli e di non rivelare il loro segreto, soprattutto a Clara. Libera dovrà fingere anche con i colleghi del Tribunale, specialmente con Ettore Rizzo (Gioele Dix), bello e magnetico, che ultimamente ha iniziato a corteggiarla. In tribunale Libera continua a fare il suo mestiere di giudice, per poi svestire la toga e gettarsi nelle indagini insieme a Pietro. La sua diventa una doppia vita fatta di corse estenuanti tra realtà completamente diverse, dal tribunale ai bassifondi di Trieste, dove in alcuni momenti si spingerà addirittura a sfiorare il limite della legalità pur di placare l’ossessione che la divora da anni e scoprire cosa accadde veramente a sua figlia.

 

Il regista Gianluca Mazzella racconta

«Quando Matteo Levi e la Rai mi hanno proposto di dirigere la serie “Libera” ho accettato prima ancora di leggere la sceneggiatura. Sono state sufficienti una breve descrizione del progetto, conoscere il nome dell’attrice protagonista e sapere il luogo dove la fiction sarebbe stata ambientata. Tre ingredienti che a mio avviso erano già una garanzia di qualità. Effettivamente dopo aver letto il copione sono stato molto felice di constatare che il mio istinto era stato premiato. La storia della serie, durante la lettura degli otto episodi, si è confermata avvincente, ben scritta e ricca di colpi di scena. I personaggi protagonisti e di contorno sono molto approfonditi e realistici, i loro movimenti emotivi e psicologici sono appassionanti e sono sicuro che resteranno nel cuore degli spettatori di Rai 1. Il personaggio principale, una giudice dal grandissimo profilo morale, si dovrà confrontare con una dolorosa vicenda familiare del passato. Mossa dall’assoluta necessità di scoprire la verità su eventi che le hanno cambiato la vita si spingerà addirittura a sfiorare il limite della legalità. Lunetta Savino, attrice che io stimo tantissimo e che ho avuto già il piacere di incontrare nella mia carriera, dà volto e anima a questa giudice e riesce a infonderle tanta umanità, creando un personaggio femminile forte che rimarrà nella memoria degli spettatori a lungo. Tanti altri personaggi accompagnano Libera, il nome della giudice interpretata da Savino, nella sua ricerca della verità, e popolano la trama principale della serie che si dipana tra un colpo di scena e l’altro dalla prima all’ottava puntata. Ma la serie oltre a raccontare la storia personale di Libera racconta anche una serie di processi, diversi in ogni puntata, ai quali la protagonista lavora. Mi è sembrato da subito molto stimolante questo aspetto della struttura narrativa della sceneggiatura. Brevi incursioni nelle aule del tribunale che permettono di conoscere tanti altri personaggi coinvolti nelle vicende più diverse ma che rappresentano un variegato spaccato della società di oggi. Ci indigneremo, ci appassioneremo e ci emozioneremo durante i dibattimenti in aula, vivendoli al fianco di Libera, sempre guidata dall’empatia e dall’umanità al momento di emettere i suoi verdetti. Infine, c’è l’altra grande protagonista di questa serie: la città di Trieste, dove si svolgono le vicende di Libera. Una città unica nel suo genere, dove si respira cultura e si apprezza un’eleganza di altri tempi. Città di mare, città di vento, città di cieli tersi e azzurri, città dall’architettura nobile. È stato per me un enorme piacere ambientare le scene della serie nelle sue strade e nei suoi palazzi e ho fatto di tutto per restituire al pubblico di Rai 1 tutto il suo fascino.»

Continua a leggere il Radiocorriere Tv N.46

La voce… del cuore

Posted on

Da venerdì 15 novembre la conduttrice torna su Rai 1 con “The Voice Kids”, successo a cui ha dato volto e sorriso: «A stupirmi non sono tanto una voce prorompente o il vocalizzo fine a se stesso, quanto le emozioni che i giovani protagonisti trasmettono attraverso la musica, che è un grande conforto per l’anima». E ancora: «Vivo molto il programma da persona e non da conduttrice, tutte le cose che faccio le sento»

 

Si tratti di ragazzi o di senior, il mondo “The Voice” è ormai a tutti gli effetti casa sua, cosa rende questo format tanto giusto per lei? 

Il format è già fortissimo in partenza, perché le poltrone rosse che si girano sono uno switch importante della trasmissione, la gente a casa vuole vedere chi premerà il pulsante e si volterà. Io e i coach abbiamo fatto tutto il possibile per renderlo empatico, con il racconto delle storie, con l’interlocuzione con i protagonisti prima del loro ingresso in studio, sul divano per i senior e sopra le casse dietro le quinte per i bambini. È un modo per rendere più calda la narrazione. Nel momento in cui il bambino o il senior arrivano sul palco, a casa già tifi per loro perché ne conosci la storia.  Questo mix è l’idea vincente, il meccanismo della gara unito all’empatia.

I bambini, i ragazzi, così come gli over 60, scelgono “The Voice” per realizzare un sogno. Quanto è importante coltivare un sogno, una passione nella vita?

Facendo questo programma ho capito ancora di più quanto sia indispensabile. Che tu sia ragazzino o over 60 i sogni diventano impellenti, importantissimi. Un ragazzino deve sognare per poter crescere, mentre per una persona over si tratta dei sogni che non ha realizzato, e per questo sono ancora più forti, le ultime occasioni. Nell’età di mezzo, quando hai vent’anni e sei a “The Voice of Italy”, hai la possibilità di uscire e avere una carriera discografica, a “The Voice Kids” o a “The Voice Senior” lo fai come gioco, è davvero una passione genuina, non finalizzata a diventare famosi.

Cosa la stupisce dei suoi giovani concorrenti?

Il talento e l’impegno che ci mettono ci sono giovani straordinari. A stupirmi non sono tanto la voce prorompente o il vocalizzo fine a se stesso, quanto le emozioni che esprimono attraverso la musica. Sono ragazzi che forse i social hanno reso un po’ più soli, ma la musica è un grande conforto dell’anima. Quando cantano questo si vede.

C’è un sogno che custodisce prezioso dentro di sé?

I miei sogni li ho realizzati tutti. Ho avuto molto di più di quello che sognavo da ragazzina: sono nata in provincia, e la provincia è molto formativa, è una spinta propulsiva importante. Ho avuto la mia bambina che desideravo, il successo a cui ambivo. I sogni adesso li ho per mia figlia, per le nuove generazioni. Per me stessa mi sembrerebbe di chiedere troppo alla vita. Va bene quello che ho.

Giovinezza e terza età sono due espressioni della vita. Che rapporto ha con il tempo che passa?

Non è facile, e non lo dico da un punto di vista estetico, perché quello ci sta e anche perché non ho mai basato la mia carriera sull’aspetto fisico. Mi piacerebbe tornare indietro di vent’anni e rivivere tante cose, magari alla stessa maniera (sorride). Quando compi sessant’anni è normale chiedersi quanti anni buoni ci saranno ancora. I sessanta sono un’età spartiacque importantissima.

Come è cambiato, nel tempo, il suo vivere la popolarità?

L’ho sempre vissuta con grande tranquillità, visto che il successo lo dobbiamo alla gente credo sia giusto essere sempre disponibili. Le persone mi dimostrano affetto, un affetto vero. Non ho tanti haters, certo c’è magari chi mi attacca e mi dice di tornare in cucina, come se la cucina non fosse il luogo del cuore degli italiani, delle chiacchiere, del conforto, una parte centrale della nostra vita. Qualche volta capita, ma la maggioranza delle persone dimostra di volermi bene. Forse perché sono sempre entrata nelle loro case all’ora di pranzo. Se il primetime ti dà larga popolarità, il daytime ti dà proprio l’amore della gente.

Quanto l’ha aiutata, nel corso della sua carriera, essere una giornalista?

Mi aiuta prima di tutto ad avere il senso della notizia. Mi rendo subito conto, andando in onda anche prima del telegiornale, quando è il caso di rimarcare una notizia. Stefano Coletta (ex direttore Rai 1) mi mise alla conduzione del programma di mezzogiorno dicendomi di sapere che se fosse accaduto qualcosa sarei stata in grado di fronteggiare una notizia. Il giornalismo mi ha dato il senso del ritmo. Mi accorgo quando rischio di annoiare il pubblico, durante un’intervista o una ricetta, capisco quando è troppo lunga. Nel giornalismo quando vai in montaggio non puoi innamorarti dei tuoi pezzi, devi tagliare. E questa cosa te la porti dietro. Il senso del ritmo, della noia, ce l’ho molto preciso.

Dopo tanti successi ottenuti cosa la emoziona ancora del suo lavoro?

Tutto. A “The Voice Kids” piango tanto, possono emozionarmi una voce, una storia. Vivo molto il programma da persona e non da conduttrice, tutte le cose che faccio le sento. Succede anche quando vado in onda con “È sempre mezzogiorno” e devo dare una notizia, come è capitato con il dramma di Valencia: noi siamo un programma di leggerezza, ma non vuol dire stupidità. Tante volte l’emozione passa e la trasferisco: dentro la mia trasmissione passa anche la vita, è questo che mi piace.

Qual è l’aggettivo con cui definirebbe la sua carriera dal debutto a oggi?

Fortunata, perché la fortuna è un elemento importante.  E “di sentimento”. Quel sentimento che è più facile emerga nei people show, nei programmi che hanno a che fare con la gente comune.

Cento anni di radio, 70 di Tv, cosa rappresenta per lei la Rai?

La Rai è la mia casa, anche con i contrasti che in ogni casa inevitabilmente ci sono. Non è che la famiglia è sempre quella felice delle pubblicità, ma è la mia vita.  Nel 2026 saranno quarant’anni. Quando vedo il pennone con la scritta Rai, Radiotelevisione italiana, mi emoziono, è la Televisione, la Tv con la quale sono cresciuta. La mia generazione sa che cosa voglio dire.

C’è una canzone che dedicherebbe, più di ogni altra, al suo pubblico?

“Viva la Vida” dei Coldplay, un brano che mi emoziona sempre e che è un po’ un monito che vorrei lasciare al pubblico, anche quando si vive un momento di difficoltà. Dentro c’è tutto, c’è la vita, che non è tutta rose e fiori. I bassi ti fanno apprezzare gli alti e viceversa, altrimenti sarebbe tutto piatto e non sarebbe anche divertente. Sarebbe noiosa.

 

Continua a leggere il Radiocorriere Tv N.46

Come in una tragedia greca

Posted on

«Ho lavorato con passione e con divertimento insieme a dei compagni di viaggio importanti e anche io, come Alba e Irene, ho preso quel testimone, cercando per quanto possibile di intonarmi a quell’adolescente, e arrivare al mostro finale» commenta Fabrizio Gifuni che in “Storia della bambina perduta” interpreta il discusso personaggio di Nino Sarratore

«Ero quasi completamente a digiuno del mondo dell’”Amica geniale”, ma non di quello di Elena Ferrante, di cui conoscevo alcuni libri, come “L’amore molesto”. Non avevo però affrontato questi quattro libri e sono arrivato al provino sapendo pochissimo di Nino Sarratore, non conoscevo l’epica che ruotava intorno a questo personaggio, e non avevo idea del guaio in cui mi sarei andato a ficcare (ride). Tutti continuavano a dirmi che ero perfetto per il ruolo, che sarebbe stato straordinario, poi ho iniziato a preoccuparmi quando ripetevano che fossi affidabile. Quando ho capito che l’avventura sarebbe stata interessante, ho letto tutti i libri e recuperato le stagioni passate, ma la domanda che mi sono fatto a un certo punto è stata: “Ho voglia di passare quasi un anno di riprese in compagnia di questo individuo?”. C’è stata un po’ di resistenza, anche perché sappiamo tutti chi è Nino Sarratore, cosa ruota intorno all’epica a dir poco negativa di questo personaggio, una specie di catalizzatore di odio, sul quale la Ferrante ha caricato un fardello cromosomico di negatività abbastanza difficile da sostenere. La sfida, a differenza di quando ho interpretato personaggi molto edificanti, di grande dirittura morale, in cui il compito per me era andare immediatamente a cercare i loro angoli bui, era andare a scovare quei brandelli di luce che questo personaggio poteva portare. Ma il Nino Sarratore del quarto volume è un mondo a parte, che poco ha a che fare con quel ragazzo affascinante che fa perdere la testa alle donne, un discreto intellettuale, un giovane abbastanza misterioso, odiatissimo e amatissimo allo stesso modo.  In questo ultimo capitolo assistiamo alla sua caduta, alla sua trasformazione in un uomo ridicolo, all’esplosione delle patologie narcisistiche. Il re è nudo! Generalmente, quando un attore si fa carico di un personaggio, lo fa dall’inizio alla fine, in questo caso, invece, dovevo prendere sulle spalle solo il tonfo di questo uomo. Alla fine, ha prevalso la passione per questo lavoro, e mi sono messo al lavoro per scovare quei pochissimi elementi di luce nella sua dimensione tragica. E così, mi sono appellato al mio grande amore, la tragedia greca, riflettendo sul fatto che a questo povero diavolo gli dei avevano dato queste carte, questo destino. Ha cercato di fuggire per tutta la vita da una figura paterna detestabile, ma cade nella maledizione della stirpe, in modi e in forme diverse, replicando lo stesso modello, possibilmente peggiorando. Ho lavorato con passione e con divertimento insieme a dei compagni di viaggio importanti e anche io, come Alba e Irene, ho preso quel testimone, cercando per quanto possibile di intonarmi a quell’adolescente, e arrivare al mostro finale (ride)».

Continua a leggere il Radiocorriere Tv N.46

Metropolis -Urban Art Stories

Posted on

Il passaggio indelebile dell’Arte Urbana in esclusiva su RaiPlay. Una produzione Rai Contenuti Digitali e Transmediali

È per tutti: gratuita, democratica, provocatoria, ironica ed effimera – seppur maleducata, come nessun’altra forma d’arte – l’Arte urbana è capace di raccontare il pensiero e i sentimenti della gente scuotendone le coscienze. In esclusiva su RaiPlay da mercoledì 6 novembre “Metropolis-Urban Art Stories”, un intenso viaggio con Metis Di Meo tra i cambiamenti storici, politici e culturali del nostro Paese, interpretati attraverso le opere d’arte urbana presenti sui muri delle nostre città che ci aiutano a comprendere meglio l’evoluzione generazionale e sociale dell’Italia degli ultimi decenni. Otto puntate tra Napoli, Roma, Torino e Milano che conducono il pubblico tra opere che testimoniano il passaggio indelebile delle “Street art” capaci di trasformare lo spazio urbano in un suggestivo museo a cielo aperto. “Street artist”, rapper, scultori e figure iconiche del mondo underground accompagnano la conduttrice nella cultura urban delle quattro città visitate. «“Metropolis – Urban Art Stories” – dice Maurizio Imbriale, direttore Rai Contenuti Digitali e Transmediali – si sfoglia come un romanzo per immagini che parla della contemporaneità, scritto sui muri di quattro città italiane in un linguaggio visivo che tanto piace ai giovani ai quali ci rivolgiamo e che ne caratterizza spesso emozioni, sogni e disagi svelando il nostro tempo e le sue peculiarità. Gli eventi sociali raccontati nel format uniscono passato e presente e si raffigurano attraverso le street art e le sue molteplici espressioni in un linguaggio pop e immediato.» «Ogni puntata – prosegue Metis Di Meo- è un viaggio fra i luoghi meno noti delle città, per scoprire opere e personaggi iconici del mondo underground. Alla scoperta dell’ampio mondo della street art, sempre più ascoltato e capace di lanciare messaggi di rivoluzione giovanile, capace di riqualificare e combattere il degrado, la violenza e l’indifferenza. Da quando, circa quindici anni fa, è scoppiata questa mia passione per la creatività urbana ho scoperto che le microstorie che si nascondono nell’arte e nella comunicazione urbana riescono a raccontarci di noi molto più di quello che immaginiamo».

Continua a leggere il Radiocorriere Tv N.46

Un sabato sera dal grande cuore

Posted on

Da 19 stagioni al fianco di Milly Carlucci a “Ballando con le Stelle” in prima serata su Rai 1. Il musicista e conduttore emiliano racconta al RadiocorriereTv la sua Sala delle Stelle

L’edizione 2024 sta andando alla grande, come la stai vivendo?

All’inizio di ogni nuova edizione abbiamo grandissime aspettative ma anche un po’ ansia. È un po’ come quando comincia l’anno scolastico e non sai cosa ti aspetta. Anche quest’anno Milly e tutti gli autori hanno fatto un lavoro straordinario mettendo insieme un cast eccezionale. I protagonisti si mettono in gioco sempre di più sapendo che “Ballando con le Stelle” rappresenta un’opportunità: si preparano molto, sia fisicamente che psicologicamente. Non tralasciano niente, perché sono consapevoli che più tempo riescono a rimanere in gara maggiore sarà il risultato. Quest’anno la ciliegina sulla torta è data dal fatto che abbiamo più di un fuoriclasse.

Come cambiano tensione e umore dei concorrenti nel corso delle puntate nella Sala delle Stelle?

Sono quattro ore e mezza molto intense, ma ogni settimana è una cosa diversa. All’inizio della stagione i nostri ballerini non hanno mai visto la Sala delle Stelle e sono un po’ spaesati, non hanno sottomano la liturgia del programma. Poi cominciano a entrare nel meccanismo ed emerge il loro vero carattere, vedi chi è più ansioso, più sportivo. Certo, ci sarebbe da fare un programma ad hoc per raccontare quel che accade nella Sala (sorride).

Ci racconta come i concorrenti ingannano l’attesa?

C’è chi è puntiglioso e prova in continuazione, c’è chi sfoga l’ansia con la chiacchiera e parla senza fermarsi per tutta la serata. Dipende molto da quanto i concorrenti si sentono pronti ad affrontare la pista: c’è chi è sicuro e chi lo è meno. Ad accomunarli è il grande rispetto che hanno gli uni per gli altri, seguono con attenzione le esibizioni dei colleghi, ascoltano il responso della giuria, commentano, e protestano quando i giurati danno voti a loro dire bassi. L’atmosfera è veramente bella, c’è un grande senso di protezione reciproca che aumenta di settimana in settimana. Alla base di tutto c’è un grande senso di squadra e questo è merito di Milly, che è la migliore professoressa che si possa avere alla scuola della televisione. Da lei c’è sempre da imparare.

Ha visto passare circa 200 protagonisti nel corso degli anni, cosa deve avere un personaggio per rimanerti nel cuore del pubblico e anche nel suo?

Deve essere se stesso. Più lo sei e più rimani nel cuore del pubblico e anche nel mio (sorride). Io dico sempre di essere un po’ il bidello della scuola di “Ballando”, sono un po’ quello che sa tutto di tutti, che ha sempre la parola giusta per ognuno. Puoi avere le corazze che vuoi ma lo sforzo fisico, la tensione, la quotidianità, ti portano naturalmente a lasciarti andare, ad abbandonare le barriere. Più emergi per come sei e più la gente ti vuole bene.

Attribuirebbe un aggettivo a ciascuno dei magnifici 13 di “Ballando con le Stelle”?

Sono pronto…

Partiamo da Bianca Guaccero

Professionale. Meticolosa, consapevole del fatto che si sta giocando una carta importante.

Federica Nargi

Solare. Federica canta, ride, è felice di essere a “Ballando”.

Francesco Paolantoni…

Simpaticissimo. Si mette di fronte al televisore e ascolta attentamente la giuria. Le sue battute sono esilaranti al punto che spesso mi trovo in difficoltà a trattenere la risata.

Luca Barbareschi…

Sorprendente. Ho scoperto che sta studiando composizione e direzione d’orchestra, è un musicista, recita, balla, ha vinto premi straordinari. Ha quasi settant’anni e ha tanta voglia di mettersi in discussione, di vivere.

Federica Pellegrini…

Federica è timidissima. Ma più passano le settimane più riesce a superare la timidezza, a lasciarsi andare. Da atleta è molto determinata, prova anche otto ore al giorno e non molla.

Sonia Bruganelli…

Doppio aggettivo: timorosa e attenta. Sa di essere brava e bella, sa anche che deve confrontarsi con una giuria che guarda il cavillo.

Alan Friedman…

Alan è un chiacchierone. Parla con tutti noi, passando dall’uno all’altro.  È il suo modo di scaricare la tensione.

Nina Zilli…

Felice. Così come Bianca sa quanto sia importante l’esperienza che sta vivendo.

Tommaso Marini…

Determinato. Tommaso è il campione. Si concentra, prova i passi in continuazione.

I Cugini di Campagna…

Non un aggettivo ma un sostantivo: loro sono la festa, una festa infinita.

Anna Lou Castoldi…

Deliziosa, una ragazza di grande dolcezza.

Massimiliano Ossini…

Esemplare. È fantastico, preparato.

E infine Furkan Palali

Rigorosamente spaesato (sorride). All’inizio non capiva l’italiano, ma ora lo sta imparando. È educatissimo, un professionista che si impegna.

C’è una cosa che non ha mai detto a Milly e che vorrebbe dirle ora?

A Milly continuo a dire grazie. Da bambino sognavo di fare lo show del sabato sera e da 19 anni ho l’onore di essere al suo fianco: non so se io sia capace di farlo, ma ciò che riesco a fare bene, è per merito suo. La ringrazio con tutto il cuore anche per volermi al suo fianco, sin dalla prima puntata, nel collegamento con il telegiornale. È un grande privilegio, un onore, una cosa non prevista dal mio contratto. Mi sento grato a Milly per questo grande regalo.

Su quale brano le piacerebbe invitare Milly a ballare?

Non ci sono dubbi, “What a Wonderful World”.

Eterno visionario

Posted on

Luigi Pirandello nel film di Michele Placido. Nelle sale dal 7 novembre la pellicola coprodotta da Rai Cinema

  1. In treno verso Stoccolma, dove riceverà il premio Nobel per la letteratura, Luigi Pirandello rivive il fascino e la magia dei personaggi che hanno popolato la sua vita e ispirato la sua arte. Davanti al suo sguardo passano i fantasmi di un’intera esistenza: la follia della moglie, incapace di comprendere e accettare la scelta di vita di un artista predestinato; il burrascoso legame con i figli, schiacciati dal genio paterno e per questo incapaci di volare con le proprie ali; il controverso rapporto con il fascismo; lo scandalo del suo teatro, sovversivo e troppo moderno per il perbenismo borghese; il sogno di un amore assoluto per Marta Abba, la giovane attrice eletta a sua musa ispiratrice in un’inestricabile compenetrazione fra arte e vita. È “Eterno Visionario”, il film diretto da Michele Placido che racconta una fase della vita di Pirandello per rivelarne il mondo emotivo, l’umanità, le passioni, le ossessioni e l’esistenza più intima intrappolata fra l’amore dirompente e impossibile per Marta e il burrascoso rapporto con la dolorosa malattia della moglie Antonietta. Nel ruolo di Luigi Pirandello Fabrizio Bentivoglio, in quello di Antonietta Portulano, moglie dello scrittore, Valeria Bruni Tedeschi. Un racconto emozionante che si dipana fra Roma, la Stoccolma dei Nobel, la Berlino dei cabaret e di Kurt Weill, la Sicilia arretrata degli zolfatari e degli arcaici paesaggi. Per restituire il ritratto autentico e vivido, il tormento e la forza di un artista immenso, un implacabile, eterno visionario: un genio capace di trasformare in Arte la propria infelicità. Nel cast Federica Luna Vincenti (Marta Abba), Giancarlo Commare (Stefano Pirandello), Aurora Giovinazzo (Lietta Pirandello), Michelangelo Placido (Fausto Pirandello), Massimo Bontempelli (Mino Manni). Con la partecipazione straordinaria di Ute Lemper e con Michele Placido nel ruolo di Saul Colin.

FABRIZIO BENTIVOGLIO è LUIGI PIRANDELLO

Incompreso dalla moglie, che nella follia sembra avere trovato una via di fuga da lui, nella piena maturità incontra Marta Abba, la donna ideale che unisce bellezza e sensibilità artistica. Ma il suo è un amore impossibile: troppo giovane, la bella attrice, che ha meno anni di sua figlia. E così la sua scandalosa passione si trasforma in un’ossessiva ricerca di lei, che trova il suo compimento nell’arte ma non nella vita. Per lo scrittore una dannazione, per il teatro una fortunata stagione creativa.

VALERIA BRUNI TEDESCHI è ANTONIETTA PORTULANO

Sposata a Luigi Pirandello con un matrimonio combinato, gli dà tre figli, ma senza mai condividere con lui la passione per l’arte, di cui il marito è preda. Vittima di una gelosia feroce, trasmessale dal padre, ricco e rozzo siciliano d’altri tempi, arriverà ad accusare Luigi di incesto con Lietta, la loro figlia. Ricoverata ancora giovane in una clinica per ammalati di mente, vi trascorrerà il resto della vita.

FEDERICA LUNA VINCENTI è MARTA ABBA

Proprio all’esordio della sua carriera di attrice incontra Luigi Pirandello, l’uomo che le innalzerà un monumento in vita. Il primo incontro tra Marta e Luigi in palcoscenico è dirompente e dà inizio a un rapporto esclusivo e tormentato. Attenta a mai deludere il suo “Maestro”, lo terrà avvinto a una passione senza sbocchi, condividendo con lui la gloria e i tormenti del genio incompreso, sempre in fuga da se stesso.

AURORA GIOVINAZZO è LIETTA PIRANDELLO

Secondogenita di Luigi Pirandello, è cresciuta in una sorta di adorazione del padre, che ne ricambia l’affetto. Contrariamente alla madre, è stata interlocutrice entusiasta nel suo lavoro di scrittore. Odiata da Antonietta, che la caccerà fuori di casa, non godrà dell’esclusivo affetto del padre, come lei ha sempre immaginato e sperato, perché Marta Abba ne prenderà il posto.

GIANCARLO COMMARE è STEFANO PIRANDELLO

Primogenito di Luigi Pirandello. Cresciuto all’ombra del padre, scelto per di più lo stesso mestiere di scrittore, tenterà di sottrarsi alla sua influenza, senza mai riuscirci. Così ne diviene una sorta di alter ego, invertendo, quando necessario, il suo ruolo. Da figlio si farà padre, riuscendo a ricondurlo alla ragione, sottraendolo all’esilio che Luigi si autoinfliggerà dopo essere stato abbandonato da Marta. Sarà lui a farlo tornare a casa quando Luigi si rinchiude in un esilio volontario in Germania. Troppo tardi, ma ci riuscirà.

MICHELANGELO PLACIDO è FAUSTO PIRANDELLO

L’unico dei tre figli a essersi sottratto all’influenza del padre. In famiglia si è sempre sentito un corpo estraneo, per questo si trasferisce a Parigi, dove si sposa e fa un figlio all’insaputa dei genitori. Pittore dal grande talento, attratto dal modernismo, non è apprezzato dal padre, il quale più di una volta lo mette in guardia da quelli che egli riteneva fossero i rischi del conformismo insiti nella modernità e nelle avanguardie.

MINO MANNI è MASSIMO BONTEMPELLI

L’amico più caro di Pirandello. Come lui vive una relazione scandalosa con una donna di trent’anni più giovane, Paola Masino. Ma il suo è un rapporto libero dalle problematiche vissute dall’amico in quello con Marta. È l’autore della commedia Nostra Dea, che nel 1925 inaugura l’attività del Teatro d’Arte diretto da Pirandello. Da allora sarà sempre a fianco del drammaturgo, e con la Masino e il figlio Stefano sarà l’unico che lo accoglierà alla stazione Termini di Roma, al ritorno da Stoccolma, dove gli è stato conferito il Premio Nobel.

ANNA GARGANO è CELE ABBA

Sorella di Marta, di sei anni più giovane. Anche lei attrice, vive di luce riflessa, condizionata dalla celebrità che subito ottiene la sorella. Farà anche lei parte della compagnia del Teatro d’arte e incoraggerà Marta, con cui vive un rapporto morboso e simbiotico, ad assecondare il desiderio e i sentimenti del maestro. La sua influenza si rivelerà decisiva nel momento in cui Marta, ormai famosa, durante il soggiorno a Berlino in compagnia di Pirandello, deciderà di staccarsi dal maestro e intraprendere una carriera per proprio conto.

MICHELE PLACIDO è SAUL COLIN

Di origine ungherese, è agente e collaboratore di Luigi Pirandello per i diritti esteri. È l’unico ad accompagnarlo durante il viaggio in treno che dalla Germania lo porterà a Stoccolma, dove gli sarà conferito il Nobel. Per questo in quel viaggio, nel corso del quale Pirandello rivivrà i momenti salienti della sua vita, ne diverrà depositario di confidenze e sfoghi.

 

Tutti in campeggio

Posted on

Una serie divertente, che affronta tanti temi cari ai ragazzi, ambientata in un contesto estivo e spensierato. È arrivata su Rai Gulp la serie live action “Il Campeggio”, in onda dal lunedì al venerdì, alle ore 16.50, e disponibile in boxset su RaiPlay

Finalmente è arrivato il momento divertirsi in campeggio e i ragazzi non vedono l’ora di ritrovarsi insieme. C’è una nuova arrivata: è Lea, la sorellastra di Theodor, che non si sente a suo agio e vorrebbe solo tornare a casa, ma Andrine farà il possibile per farla integrare nel gruppo. Theo invece è alle prese con i suoi sentimenti: troverà il modo per conquistare il cuore di Noor? Andrine e Sebbe resteranno solo amici? Soltanto Lea, costretta a seguire suo padre, la sua compagna e il fratellastro Theo, vorrebbe invece essere partita per Parigi come sua madre le aveva promesso. Qualunque cosa accada, le giornate in campeggio sono piene di sorprese, anche se ognuno deve aspettare il suo turno per ogni cosa. Amicizia, questioni di cuore e di adolescenza, divertimento, avventure indimenticabili e spensieratezza sono gli ingredienti della serie. Al campeggio non ci si annoia mai, anzi. Si vive il fascino dell’avventura e l’estate dei sogni, quella degli incontri inaspettati, dei segreti e delle rivelazioni. È una vera scuola di vita, il luogo in cui scoprirsi e crescere insieme. Tra gli interpreti principali: Herman Nysæther Grinde (Theodor), Selma Adeline Opedal (Andrine), Mathias G. Tiedemann (Sebbe), Idun Dahlskås Urnes (Anja), Leon Mosand-Christensen (Mattis), Selma Skaare Tanderø (Thea), Petter Brækhus (Max), Kajsa Røstgård (Emmi), Peder Dovland (Nils), India Dee Kvangarsnes (Noor), Gabriel Gunerius Fevang (Klaus), Caleb Kebreab (William), Sofia Haug Khoury (Lea), Sienna Rosie Schei (Silje), Lucas Wendelbo Perez (Leo), Anna Paalgard Flemmen (Ronja), Vetle Berge Heivoll (Tony), Emilie Lindgren-Åsly (Nille). Su Rai Gulp la serie live action “Il Campeggio”, in onda dal lunedì al venerdì, alle ore 16.50, e disponibile in boxset su RaiPlay

 

 

 

Amici da sempre

Posted on

Dal 12 novembre su Rai 2 con “Sanremo Giovani” e a febbraio su Rai 1 con il “DopoFestival”. Il conduttore al RadiocorriereTv parla del suo rapporto con la musica (che cambia), della gara delle nuove proposte e del Festival: «Un bel ricordo d’infanzia, lo guardavo con mia mamma e cercavamo di anticipare la classifica. Intorno ai vent’anni l’avevo un po’ perso di vista, poi l’ho recuperato quando è tornato ad avere una rilevanza sia di costume che musicale». I suoi brani sanremesi preferiti?: «“Perdere l’amore” e “La terra dei cachi”»

La musica, i giovani, la gara… quasi una comfort zone per lei. Come si appresta a vivere questa esperienza?

Bene, perché come diceva lei è materiale che conosco, il talent musicale l’ho fatto per tanti anni. “Sanremo giovani” ha delle particolarità, delle novità di struttura rispetto a quello che sono stato abituato a fare, che secondo me sono molto giuste. A partire dal fatto che saranno gare molto serrate: 24 cantanti, sei a puntata e si scontreranno l’uno contro l’altro, con duelli molto efficaci sin da subito. Avremo immediatamente un eliminato e uno che passerà alla fase successiva. Ogni puntata avrà tre eliminazioni, ciò significa che la tensione sarà sempre molto alta, e poi durerà un’ora, che dal mio punto di vista è la durata giusta per ogni programma televisivo, senza eccezione. Sono felice che non ci sarà tempo per annoiarsi.

Che impressione si è fatto degli artisti che prenderanno parte alla selezione?

Per il momento li ho solo ascoltati, a valutarli è stata la giuria. Dal vivo li vedrò a breve. Mi sembra siano molto vari, c’è tanta rappresentazione di quello che va ora, ed è normale che sia così. Sono ragazzi che imparano da ciò che sentono.

Negli ultimi anni abbiamo visto la canzone sanremese cambiare, che caratteristiche deve avere un brano per poter funzionare a Sanremo?

La musica è cambiata e secondo me è un po’ il segreto di questa nuova allure che ha preso Sanremo. Un tempo la canzone sanremese per antonomasia doveva parlare d’amore, doveva essere lenta, avere un certo tipo di arrangiamento, negli ultimi anni è stato fatto un grande lavoro, già a partire dal primo festival di Carlo (Conti), poi Claudio Baglioni e Amadeus, che ha dato proprio un’accelerata in questo senso. Oggi Sanremo è molto più contemporaneo e attuale. Ha cominciato a diventare quello che vedevo era “X Factor” ai tempi, dove gli inediti dei cantanti erano contemporanei.

Il musicista e la sua immagine: funziona più vestirsi di un personaggio o essere se stessi?

Dipende dal tuo portato. C’è chi punta tanto sul contenuto, e presentarsi in maniera più neutra, più vicina al proprio personaggio funziona di più, e chi invece ha bisogno di qualche paillette in più. È il mondo dello spettacolo. Secondo me è una visione molto italiana quella secondo cui la vera musica è fatta solo in un modo. Ognuno ci mette la sua cifra. A partire dal cantautorato, che è diventato un po’ la nostra nuova scena indie, dal punto di vista del look è il più hipster di tutti. Ognuno sta lì a studiarsi anche le sue poche cose che si mette addosso, lo fa con cura. Il mondo della musica è giusto che viva anche di queste cose.

Le canzoni di oggi possono ambire a rimanere nel tempo o rischiano di scomparire in fretta?

Rischiano di sparire in fretta ma non è un discorso di qualità, non è che le canzoni prima fossero più belle. Un tempo c’era un sistema industria per cui un brano lo dovevi portare dietro per 6-8 mesi. Oggi i cantanti stessi, per rimanere sulle piattaforme, devono ridurre il gap tra un singolo e un altro. Questo fa rischiare che canzoni molto valide vengano masticate più velocemente di quello che avrebbero meritato.

Più difficile avere successo oggi o un tempo?

Molto più facile oggi, però è più difficile durare. Abbiamo exploit di giovani artisti che viviamo come fenomeni e che poi, dopo due anni, fatichiamo a ricordare.

Un suo consiglio ai 24 partecipanti…

Non ne ho mai dati, nemmeno quando ero a “X Factor”.  Prima di tutto perché non so se lo vogliano (sorride), poi il consiglio di un quarantaquattrenne… mi ricordo a vent’anni, non so se avrei avuto voglia di sentire un quarantenne che provava a spiegarmi cosa avrei dovuto fare.

Una pacca sulla spalla sì…

Se vedo che ne hanno bisogno sì, altrimenti anche un pugnetto.

A febbraio sarà alla guida del Dopofestival, ha già pensato a come sarà il programma?

No. Ogni tanto nel corso della giornata ci butto un pensiero, ma da qui a febbraio ci sono molte cose, a partire da “Sanremo Giovani”. Quando sarà il momento ci penseremo, l’idea è sicuramente quella di fare qualcosa di divertente…

Tra i Dopofestival del passato ce n’è uno che ricorda con più simpatia?

Su tutti quelli di “Elio e le storie tese” e di Fiore lo scorso anno.

Che cosa rappresenta per lei Sanremo?

Un bel ricordo d’infanzia, lo guardavo con mia mamma e il sabato cercavamo di anticipare tra noi le posizioni della classifica finale. Intorno ai vent’anni l’avevo un po’ perso di vista, poi l’ho recuperato negli ultimi anni quando è tornato ad avere una rilevanza sia di costume che musicale.

La canzone che più la lega al Festival…

“Perdere l’amore” e “La terra dei cachi”. Credo che siano tra le più belle canzoni italiane mai scritte.

La musica e Alessandro Cattelan, cosa vi unisce?

La musica e Alessandro sono due amici che si frequentano da tantissimo tempo. Cambiano, si modificano, si scoprono ancora. La musica è bella perché è lì per farsi ascoltare, e anche io sono lì.

La sua ultima scoperta?

Non avevo mai seguito particolarmente i R.E.M., poi quando Michael Stipe è stato mio ospite ho ricominciato ad ascoltarli, ho scoperto tante cose fighissime, album con pezzi stupendi… Il bello della musica è che è lì (sorride).

 

 

Storia della bambina perduta

Posted on

«Ho provato a prendere i miei attori per mano e sono scesa il più possibile dentro la loro anima per avvicinarli al racconto della Ferrante» racconta Laura Bisturi, la regista che ha diretto Alba Rohrwacher e Irene Maiorino nel capitolo finale dell’opera di Elena Ferrante. Da lunedì 11 novembre in prima serata Rai 1

Lina (o Lila) ed Elena (o Lenù) sono ormai adulte, con alle spalle delle vite piene di avvenimenti, scoperte, cadute e “rinascite”.  Ambedue hanno lottato per uscire dal rione natale, una prigione di conformismo, violenze e legami difficili da spezzare. Elena è diventata una scrittrice affermata, ha lasciato Napoli, si è sposata e poi separata, ha avuto due figlie e ora torna a Napoli per inseguire un amore giovanile che si è di nuovo materializzato nella sua nuova vita. Lila è rimasta a Napoli, più invischiata nei rapporti familiari e camorristici, ma si è inventata una sorprendente carriera di imprenditrice informatica ed esercita più che mai il suo affascinante e carismatico ruolo di leader nascosta ma reale del rione (cosa che la porterà tra l’altro allo scontro con i potenti fratelli Solara). Attraverso le prove che la vita pone loro davanti, scopriranno in se stesse e nell’altra sempre nuovi aspetti delle loro personalità e del loro legame d’amicizia. Intanto, la storia d’Italia e del mondo si srotola sullo sfondo e anche con questa le due donne e la loro amicizia si dovranno confrontare.

Laura Bispuri, la regista racconta

“Quando Saverio mi ha chiesto se volessi fare io la regia dell’ultima stagione dell’“Amica Geniale”, mi è sembrata la realizzazione di un desiderio che avevo provato anni fa, quando avevo saputo che si sarebbe girata una serie tratta dai romanzi di Elena Ferrante. Così ho deciso subito di accettare questa grande sfida, girare tutti e dieci gli episodi del quarto e ultimo libro dell’”Amica Geniale, entrare nel mondo della Ferrante ed entrare nel mondo della serie. La cosa più importante per me è stata trovare un equilibrio tra le stagioni passate e quella che stavo costruendo come nuova. Il principio basilare che mi fa credere in questo lavoro con tutta me stessa è la sincerità della regia. Non credo infatti nelle operazioni studiate a tavolino, ma credo solo nell’aderenza che si ha con la materia che si racconta e quanto più questa aderenza è vera e profonda, tanto più l’opera ne giova. Per questo mi sono immersa completamente nel racconto che andavo a fare, sentendolo in prima persona, rispettando moltissimo il passato, i personaggi, i luoghi, le attese del pubblico che tanto ha amato le stagioni passate e cercando qualcosa di nuovo che si legasse con armonia al vecchio. Questo equilibrio è stato frutto di una ricerca continua, giorno per giorno, che ha coinvolto vari aspetti. In questa stagione, infatti, c’è un’importantissima novità legata al cast. Si entra nell’età adulta, i personaggi cambiano e soprattutto cambiano gli attori. Con loro ho potuto fare un lavoro enorme, capillare, abbiamo ricominciato da capo e credo che quegli stessi personaggi di prima siano oggi, essendo cresciuti, davvero molto stratificati, pieni di sfumature, profondi e veri. Ho sempre cercato con loro quella discesa che la Ferrante fa nelle pieghe più sottili di ognuno di essi, senza risparmiarli mai, ma rendendoli così riconoscibili che sembra di poterli toccare con una mano mentre si leggono le sue pagine. Ho provato a prendere i miei attori per mano e sono scesa il più possibile dentro la loro anima per avvicinarli al racconto della Ferrante. Un viaggio enorme che ognuno di noi ha fatto dentro alla sua scrittura. Un viaggio che per me è stato verticale. Ogni giorno cercavo e ogni giorno trovavo elementi ed elementi in più dentro al suo racconto. Dinamiche e relazioni che all’inizio erano sotterranee, che non si vedevano ad un primo livello, neanche ad un secondo, neanche ad un terzo. Mi è sembrato di scendere verticalmente dentro una sorta di labirinto della sua scrittura e più cercavo, più trovavo. Un processo senza fine che mi ha affascinata tantissimo. In questa stagione, in questo passaggio temporale in avanti, ci sono varie cose che, insieme ai nuovi attori, sono cambiate. Ma, ancora una volta, ci tengo a sottolineare che ho fatto in modo che questi cambi fossero delicati, il più naturali possibile. Il rione, ad esempio, negli anni 80 diventa colorato. Eppure, la sensazione che si ha, guardandolo, è che sia sempre stato così. C’è molta naturalezza nella sua trasformazione e tutto si lega al passato. Con la macchina da presa ho unito quello che è il mio stile fluido di simbiosi costante con i personaggi, di una certa libertà di movimento e di ciak molto lunghi (che è come amo girare), a dei momenti di sospensione e di racconto minimalista per andare a sottolineare atmosfere diverse. Quella stessa fluidità si mescola con pause dedicate a sguardi, reazioni, paure, sospetti, mancanze, speranze, complicità che sembrano lievitare dentro alla semplice vita reale. Il montaggio ha accompagnato e ricreato proprio questa mescolanza di stile, trasmettendo quella vivacità che sempre cerco durante le riprese. Il montaggio e la fotografia sono stati i miei pilastri in questo lavoro nuovo che mi ha stimolata ad una continua ricerca ed evoluzione.”

I protagonisti

Elena “Lenu” Greco (Alba Rohrwacher)

Presa dalla sua carriera e dalle numerose fughe d’amore con Nino, Elena è ormai una donna e una scrittrice di successo che deve però fare i conti con l’angusto ruolo di amante e di madre. È il momento, nonostante le divergenze con Adele e i segreti di Nino, di trovare una stabilità con lui e le figlie a Napoli. Tornare alle origini, al rione, con Lila, ancora capace di pungerla dove fa male, significa complicarsi l’esistenza. Ma se da piccola tutto questo l’ha subito, è ora arrivato il momento di governarlo.

Raffaella “Lila” Cerullo (Irene Maiorino)

Imprenditrice, seconda figlia della numerosa famiglia Cerullo, prima si è sposata con Stefano Carracci, ora è la compagna di Enzo Scanno. Amata e benvoluta da tutti nel rione, ha fondato insieme a Enzo una società di informatica che le ha permesso di trasformarsi da proletaria a padrona, ottenendo il rispetto che merita nel Rione; anche quello dei Solara. Ma sono equilibri instabili, che porteranno Lila ad iniziare una vera e propria guerra al fianco di Elena. Lila sarà costretta ad affrontare dolorosi inconvenienti familiari che riveleranno la sua forza, ma soprattutto le sue fragilità.

Nino Sarratore (Fabrizio Gifuni)

Professore universitario, figlio di Donato e Lidia Sarratore, fratello di Marisa. Fin da ragazzo cultore delle relazioni utili, da uomo adulto continua a tessere la sua rete di protezioni per raggiungere i suoi numerosi obiettivi, spesso anche correndo il rischio di frantumarli. Ma Nino è disposto a tutto, anche se questo significa trascurare Elena, sua moglie Eleonora, e soprattutto i suoi figli. Sarà la sua sfrenata ed allo stesso tempo devota passione per le donne a metterlo in bilico, ma anche la sua sfrontatezza a tenerlo in piedi.

 

La storia inizia così

Primo episodio – La separazione

Elena passa più tempo del previsto in Francia con Nino, ma sa che deve recuperare il tempo perso con le figlie. La dolorosa separazione con Pietro, il successo del suo romanzo, le continue fughe d’amore con Nino; alla fine, gli anni passano e le figlie ormai ubbidiscono solo ai nonni Airota. Quando anche Pietro si costruisce una nuova vita, Elena decide che vuole portare Dede ed Elsa da Nino e vivere tutti insieme a Napoli. Tornata nella sua città, Lila le rivela però che Nino vive ancora con la moglie.

Secondo episodio – La dispersione

Nino ha preso un appartamento a Napoli, a via Tasso, ma Elena non perdona le sue insistenti giustificazioni e lo lascia. Costretta, stavolta da Adele, a riprendersi le figlie, le porta a vivere da Mariarosa e Franco nonostante la situazione precaria nella quale vivano. Le richieste di perdono da parte di Nino sono continue e, dopo il suicidio di Franco, Elena decide di trasferirsi a via Tasso con Nino e le figlie.

 

La voce delle protagoniste “geniali”

Qual è stato il vostro rapporto con la scrittura di Elena Ferrante?

Alba Rohrwacher: Tutto parte dalla sua scrittura geniale, quella di una scrittrice eccezionale capace di scrivere dei personaggi scomodi, che compiono degli errori in continuazione, che ha intercettato un archetipo in cui tutto il mondo si è potuto riconoscere, a prescindere dalla provenienza e dalle epoche storiche. Per noi Elena Ferrante è stata una sorta di spirito guida, che nei momenti di difficoltà, nei momenti più bui, ci ha permesso sempre di ritrovare la strada.

Irene Maiorino: È una scrittura che ha dentro una grandissima complessità, che affronta temi universali, la amicizia stessa, il cardine intorno al quale tutto si muove, è affrontata senza sconti, con tutti i suoi lati oscuri, quelli che interessano di più l’essere umano, perché è qualcosa che abbiamo tutti e ne siamo spaventati. La Ferrante ci parla di queste zone d’ombra e della scomodità di stare in certi temi, affronta argomenti complessi come l’emancipazione femminile, la lotta di genere e di classe, per i quali sia Lila che Lenu si battono, ma in maniera differente, una agisce con l’unico strumento che ha, la vita, un’intelligenza pratica fatta nell’esperienza, non dall’educazione, non dai libri, viceversa l’altra agisce in maniera intellettuale. Siamo di fronte al potere della diversità, e questo è presente in maniera determinante anche nella serie.

Le vite di Lila e Lenu hanno conquistato un pubblico mondiale, quanto si sono “insinuate” in questo ultimo viaggio nelle vostre vite?

Alba Rohrwacher: È rimasto tantissimo, ed è stato difficile salutare la mia Lenu, credo che non lo farò mai veramente, rimarrà sempre un po’ con me. È stata un’esperienza totalizzante. Attraverso il personaggio di Elena, una donna che sbaglia tutto, piena di contraddizioni e di storture, immergendomi a fondo nella sua avventura umana, ho capito meglio anche le mie di storture. È stato un viaggio così lungo e denso che il nostro impegno più profondo è stato trovare la misura, l’equilibrio, io ero ossessionata dal racconto, ero ossessionata da Elena, ero lei in maniera totale; perdersi rimanendo lucidi è stato forse il gioco che abbiamo cercato di fare tutti, perché eravamo dentro in modo assoluto, ma dovevamo mantenere quel distacco che ci avrebbe permesso di lavorare sul tempo lungo della serialità.

Irene Maiorino: Questi sono dei personaggi che ti rimangono dentro, più che addosso, che ti vengono a cercare, come ha fatto Lina con me. Ho utilizzato il nome con cui la Ferrante chiama questa ragazza nel romanzo, che è lo stesso di mia nonna, io ho, infatti, dei punti di incontro personali con queste pagine molto forti, precedenti alla serie. Quando, poi, è arrivato questo lavoro, per me è stato incredibile, sono molto grata, ma il mio viaggio con lei è iniziato molto prima del set, quando, in segretezza, l’ho portato per anni in giro durante il lavoro di casting. Devo dire mi ha cambiato la vita già tanti anni fa, sono grata a questo essere umano così incredibile che, studiandolo a fondo, mi ha aiutato a riscoprire le mie parti più “difficili”, quelle che hanno creato più problemi nella vita, ma che, alla fine mi hanno portato qua.

Cosa rimane nello sguardo di quelle bambine partite nel rione, nelle donne che sono diventate?

Irene Maiorino: Nella scena delle gravidanze, per esempio, quando Lina ed Elena raccontano il loro stato d’animo, con la mente si ritorna alle due bambine che giocavano con le loro bambole nel Rione, un momento che ha tirato fuori in noi, anche inaspettatamente, una grandissima tenerezza. Da una parte noi restituiamo per la prima volta una adultità, dall’altra parte c’è una riscoperta della loro infanzia.

Alba Rohrwacher: Mi viene in mente quella scena, ma soprattutto il loro ultimo incontro, l’ultimo saluto, un momento magico nel quale, come davanti a uno specchio, si ritorno a loro bambine e il cerchio si chiude.

RAI – FONDAZIONE AIRC

Posted on

La cura si chiama ricerca

Fino al 10 novembre 2024, otto giorni per informarsi e sostenere il lavoro di 6 mila ricercatori

RAI e Fondazione AIRC danno vita a una straordinaria campagna d’informazione che coinvolge contemporaneamente tv, radio, testate giornalistiche, web e social. Tutto il palinsesto – dall’informazione all’intrattenimento, dalla cultura allo sport – racconta gli avanzamenti della ricerca e le sfide del futuro attraverso le storie di ricercatori, medici, volontari e soprattutto di donne e uomini che hanno affrontato la malattia. Uno straordinario esempio di servizio pubblico che negli anni ha portato nelle case degli italiani la corretta informazione sul tema ‘cancro’, permettendo di raccogliere donazioni per oltre 148 milioni di euro, fondi che in questi anni di partnership hanno garantito continuità a centinaia di progetti innovativi per la cura del cancro. “La sinergia con AIRC, consolidata negli anni, è la prova dell’attenzione e della cura di Rai verso gli utenti, i cittadini, le persone – afferma l’amministratore delegato della Rai Giampaolo Rossi –. A difesa della ricerca – strumento attraverso il quale si dona concretamente una speranza ai pazienti oncologici – Rai, durante i Giorni della Ricerca, si mobilita, garantendo una straordinaria campagna d’informazione e raccolta fondi, resa possibile attraverso l’impegno e la professionalità delle donne e degli uomini dell’azienda. La potenza comunicativa e l’autorevolezza del nostro racconto possono davvero fare la differenza, dando forza a chi lotta contro il cancro e nuova linfa ai tanti ricercatori. Servizio Pubblico significa dunque anche questo: rendere al Paese un grande servizio dal valore umano, sociale ed etico”. RAI e AIRC offrono una programmazione ricca e articolata che accompagna per tutta la settimana il pubblico. La sfida è portare il tema ‘cancro’ all’interno di tutte le trasmissioni della tv e della radio, sui canali tematici e digitali, proponendo contenuti originali e coerenti con l’approfondimento, la cultura, l’intrattenimento e lo sport. Capitano della squadra degli ambassador RAI per AIRC è Carlo Conti, che insieme ad Antonella Clerici, raccolse il testimone direttamente dalle mani di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello: “Tengo molto alla maratona RAI per AIRC perché mette insieme due mondi a cui sono particolarmente legato. Conosco e sostengo AIRC da oltre quindici anni, ho avuto la possibilità di entrare nei laboratori, vedere la passione e la dedizione che ricercatrici e ricercatori mettono nel loro lavoro. Il cancro è una malattia che tutti noi, direttamente o indirettamente, abbiamo incontrato nel corso della vita, sappiamo che purtroppo può colpire chiunque, anche persone giovani. È una malattia che tocca chi riceve la diagnosi ma insieme coinvolge tutte le persone vicine, famiglia, amici e affetti. Per questo credo sia importante parlarne e farlo anche in un contesto più leggero come nella serata finale di ‘Tale e Quale Show’ dove AIRC sarà protagonista. Insieme a tutta la mia squadra faremo il possibile per coinvolgere il pubblico e invitarlo a donare per aiutare i nostri scienziati a trovare nel più breve tempo possibile le giuste risposte per tutti i pazienti”.