Le avventure di Paddington

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Torna su Rai Yoyo con nuove avventure l’orso Paddington. L’amato personaggio, già protagonista di libri amati dai bambini di tutto il mondo, torna con la terza stagione della serie animata che lo vede protagonista. Appuntamento tutti i giorni, alle ore 15.40 su Rai Yoyo e RaiPlay

Un orso molto sentito, che in Inghilterra è stimato persino dai reali inglesi.  Basti pensare che la regina consorte Camilla ha portato ai bambini di un asilo a Londra, gestito da una associazione benefica, gli orsi Paddington donati dai piccoli sudditi a Elisabetta II dopo la sua morte. Insieme a lei c’erano due celebrità, gli attori Hugh Bonneville e Madeleine Harris, protagonisti del film Paddington, e anche Karen Jankel, figlia dello scrittore Michael Bond, che ha creato il celebre personaggio dell’orso arrivato a Londra dal “misterioso Perù”, con un cappello rosso e una vecchia valigia.  “E’ un piacere”, ha detto Camilla una volta arrivata alla Bow Nursery gestita dall’organizzazione Barnardo’s. La famiglia reale con questa iniziativa rivolta ai più piccoli ha così donato più  di mille peluche che erano stati lasciati come tributo alla defunta regina di fronte e vicino ai cancelli delle sue residenze. Elisabetta II era stata patrona di Barnardo’s fino al 2016, poi sostituita proprio da Camilla. E aveva inoltre un rapporto speciale con Paddington: nel giugno 2022, in occasione del Giubileo di Platino, era stata trasmessa una clip con la sovrana protagonista insieme all’orso che ha divertito i sudditi e non solo. Anche nella terza stagione le storie di Paddington scaldano il cuore, incoraggiano ad essere curiosi, generosi con gli altri e a vivere gli affetti sentendosi parte di una grande famiglia. Il mondo di Paddington diventa molto più grande, le sue avventure escono dai confini dei Windsor Gardens e i suoi viaggi sia reali che immaginari riservano grandi emozioni: da una vacanza al mare all’esplorazione dell’isola dei dinosauri o alla spedizione all’interno di un buco nero! La terza stagione è suddivisa in quattro temi -“Fuori dal mondo”, “Vacanze al mare”, “Supereroi” e “Festeggiamenti» – e ci farà conoscere tre nuovi personaggi: Shantee, la guardiana del faro amante della natura, Taylor, il bagnino e istruttore di surf americano, e un ospite che arriva dal Perù. Non mancherà una visita speciale della zia Lucy! “Le avventure di Paddington (The Adventures of Paddington)” è una serie televisiva animata, sviluppata da Jon Foster e James Lamont, basata sul franchise dell’orso Paddington. L’opera è incentrata su un giovane Paddington mentre scrive lettere a sua zia Lucy celebrando le nuove cose che ha scoperto nel corso della giornata. Paddingon è un gentile orso peruviano che si è trasferito a Londra dopo che un terremoto ha distrutto la sua casa. Vive con la famiglia Brown – Henry, Mary, Judy e Jonathan – e accanto al signor Curry. È amato da tutti tranne che dal signor Curry.

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UMBERTO BROCCOLI

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Storie e voci del Novecento

Gli eventi e le persone della nostra vita, un viaggio quotidiano alle radici di ciò che siamo. Lunedì 13 gennaio alle 18.05 su Rai Radio 1 debutta “Successo”. Il RadiocorriereTv incontra l’autore-conduttore: «Ci sono tutti i protagonisti della storia, da Lenin a Giacomo Puccini, anche i più incredibili. Un programma dovuto dalla Rai alla radio»

 

Con “Cento” ha festeggiato su Rai Radio 1 l’anniversario del Servizio Pubblico.  Ora lei e la sua squadra siete pronti per una nuova sfida, “Successo. Storie e voci del Novecento”. Qual è la parola chiave di questa nuova avventura?

La parola “successo”. Qualcuno potrebbe pensare che la intendiamo come “avere successo”, l’affermazione nel lavoro, nella vita privata, invece, in questo nostro viaggio, “successo” altro non è che il participio passato del verbo succedere, accadere.  È una cosa accaduta, che non c’è più. Facendo “Cento” ci siamo resi conto del patrimonio inesauribile delle voci della radiofonia: non ci sono solo i cantanti, gli attori, i conduttori, Corrado, Renzo Arbore, Pippo Baudo… ci sono le voci della storia, dei politici, degli scrittori, dei grandi condottieri, poi anche quelle dei personaggi dello spettacolo. Noi prendiamo dei frammenti di queste voci e le ricontestualizziamo.

 

A guidarci puntata dopo puntata saranno le voci dei protagonisti…

Ci sono tutti i protagonisti della storia, da Lenin a Giacomo Puccini, anche i più incredibili. Il 13 gennaio, ad esempio, è l’anniversario dell’evasione di Giuseppe Saragat e di Sandro Pertini, futuri presidenti della Repubblica, dal carcere romano di Regina Coeli dove erano detenuti dopo essere stati arrestati dai nazifascisti. Era il 1944. Quale migliore occasione di ricordare i fatti attraverso la voce di Pertini? Sono entusiasta di questa formula. Credo che sia un programma dovuto dalla Rai alla radio.

 

Come nascono le puntate di “Successo”?

Ci riuniamo il lunedì con Patrizia Cavalieri, mio autore storico, e le altre due colleghe della redazione, Roberta Genuini e Stefania Livoli. Con noi il regista Luca Bernardini. Portiamo il menabò degli avvenimenti e partiamo proprio dal calendario, da quello che è accaduto giorno dopo giorno. Attorno alle pagine di storia, ne mettiamo alcune più “leggere”, insomma la scaletta della puntata si dipana facendola. Al centro ci sono le voci, le testimonianze, sarà quindi la mia bravura, posto che ci sia, suffragata dalle ricerche di Patrizia, a raccontare quello che accadeva.  Dall’evento, dall’accaduto, arriviamo al successo della persona. Altra maestria incredibile è quella del regista Bernardini, che confeziona il programma legando le scelte musicali, vuoi per i sottofondi, vuoi per le uscite dalle citazioni, dall’ultima parola detta, legando i brani al contesto di quel momento storico. Apriamo delle finestre sulla storia del nostro Paese e del mondo. In una delle prime puntate, essendo nel clima dell’insediamento del presidente americano Donald Trump, abbiamo preso i discorsi di John Fitzgerald Kennedy e di Ronald Reagan in occasione dei loro insediamenti, avvenuti rispettivamente nel 1961 e nel 1981. Racconteremo il presidente democratico e quello repubblicano. Siamo nella storia del mondo. Le nostre puntate nascono dalla traccia storica, la magia si raggiunge quando Bernardini monta le puntate con le musiche.

 

Cosa rende un evento o un personaggio capaci di resistere al tempo?

A dominare sono gli eventi. Se parliamo di Ronald Reagan non ricordiamo tanto l’attentato che subì a tre mesi dal suo insediamento, ma il fatto che sia stato il protagonista del disgelo tra i blocchi di Unione Sovietica e Stati Uniti d’America. Tutto si misura sui risultati.

 

Quali sono gli ingredienti del successo?

Il primo presupposto è lo studio, perché a monte ci deve essere una preparazione profonda. Insieme a questo ci sono la dedizione, la ricerca, la credibilità, la curiosità. Passo la mia vita divertendomi nello studio, credo che il vero nemico di oggi siano superficialità e approssimazione. Spero che si superi questo momento, il mondo esisteva prima dei social media (sorride).

 

Nella sua carriera di autore e conduttore sono tanti i successi, molti dei quali televisivi, ma lei non ha mai abbandonato la radio…

La radio continua a essere una zona franca di qualità. Davanti al microfono non ti devi truccare, ma devi fare vedere delle “immagini” con le parole. Non puoi bleffare. Sono davvero soddisfatto di potermi dedicare a questa trasmissione che mi hanno affidato il direttore di Rai Radio 1 Francesco Pionati e il vicedirettore vicario Ivano Liberati.

A un extraterrestre che le chiedesse di ascoltare alcune voci tratte dalle nostre Teche per capire chi siamo e chi siamo stati, cosa farebbe ascoltare?

Non potrebbe mancare il primo annuncio radiofonico, nel 1924, di Ines Viviani Donarelli, che è bene ricordare che nel momento in cui andò in onda in diretta non venne registrato, e che l’Eiar, per consegnarlo agli archivi e alla storia, fece ripetere e registrare successivamente. Poi Corrado, che l’8 maggio del 1945 annunciava la fine della Seconda guerra mondiale. Passerei quindi al 1948, trasmettendo la voce gioiosa di Gino Bartali per la vittoria al Tour de France, trionfo commentato sempre alla radio da Palmiro Togliatti, che in ospedale perché ferito in un attentato, cercava di rassicurare l’opinione pubblica e distendere gli animi intervenendo sull’impresa sportiva. Non potrebbero mancare l’allunaggio del 1969, commentato da Tito Stagno e Ruggero Orlando in televisione e da Luca Liguori alla radio, così come i grandissimi radiocronisti sportivi di “Tutto il calcio minuto per minuto”, il cui esame consisteva nel descrivere, con i toni della telecronaca, un muro bianco (sorride). Metterei infine un nome, meno conosciuto ma non per questo meno importante, quello di Cesare Palandri, che il 16 marzo 1978 annunciò alla radio il rapimento di Aldo Moro.

 

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MINA SETTEMBRE 3

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Travolti dall’anima di Napoli

Terza volta per Serena Rossi e Giuseppe Zeno, protagonisti assoluti della nuova stagione di una serie amatissima dal pubblico, diretta da Tiziana Aristarco, in onda la domenica in prima serata su Rai 1

A questo punto della vostra frequentazione con Mina e Domenico, cosa rende questi due personaggi così speciali per il pubblico e per voi?

SERENA ROSSI: Io voglio molto bene a Mina, mi piacerebbe averla come amica. È una donna così aperta, solare, accogliente ed empatica, sempre pronta ad ascoltare e a dare consigli. Credo che tutti, in fondo, ci meriteremmo una Mina Settembre nella nostra vita. Penso che questa grande umanità che traspare dalla serie sia uno degli elementi che l’hanno resa così amata, sia dal pubblico che da noi interpreti.

GIUSEPPE ZENO: Domenico è un “essere umano” che vorrei come amico anche io. Mi dà l’impressione di essere una persona che non si arrabbia mai, sempre conciliante. È un personaggio buono, mi ispira una grande tenerezza. Non credo che, nel corso delle varie stagioni, lo abbiamo mai visto davvero arrabbiato…

SERENA ROSSI: Beh, una volta ha fatto a botte con Giorgio Pasotti (ride)… che lusso vedere due uomini lottare per me!

GIUSEPPE ZENO: (sorride) In generale, però, Domenico è un uomo accogliente. Sono davvero molto felice di avergli prestato il mio corpo, la mia voce e, spero, anche un po’ di anima.

In scena personaggi che devono trovare un equilibrio tra un’empatia umana piuttosto spiccata e l’esigenza di mantenere un distacco professionale per non essere travolti dalle situazioni. Ci riusciranno?

SERENA ROSSI: Mina ha ormai una notevole esperienza professionale e, quest’anno più che mai, la vedremo più pacata ed equilibrata, meno impulsiva e istintiva rispetto al passato. Nel corso di queste stagioni abbiamo assistito alla sua crescita. In questo terzo capitolo sarà affiancata da una giovane assistente, che invece somiglia alla Mina delle origini: irruenta, un po’ goffa, decisamente incasinata. Mina cercherà di insegnarle come mantenere il giusto distacco nel lavoro, e in parte ci riuscirà. Tuttavia, la vera natura di Mina – la sua empatia, il suo cuore – continuerà sempre a emergere, ed è proprio questa la sua forza, anche sul lavoro. È il motore che le permette di stare accanto alla gente e aiutarla, senza mai temere di fallire. Una persona così non si può che amare.

GIUSEPPE ZENO: Mentre Mina cresce, Domenico invecchia e matura. Anche se negli episodi non lo vediamo interagire troppo con i suoi pazienti, il suo ambito professionale rimane sullo sfondo, ma è chiaro che è un medico affermato. E sappiamo bene quanto le sue pazienti lo adorino, grazie al suo modo di essere e di comportarsi. Questo contribuisce a strappare un sorriso in un contesto dove spesso si affrontano drammi e situazioni complesse. Domenico, insieme a Mina, e contando sull’aiuto degli amici e degli assistenti, cerca di risolvere questi problemi con umanità e delicatezza.

E ovviamente c’è Napoli con la sua personalità…

SERENA ROSSI: Napoli è un po’ la nostra mamma, le nostre radici. Attraverso l’occhio di una regista milanese, quindi esterno, viene raccontata una città a 360 gradi, con i suoi mille colori – come diceva Pino Daniele – le sue ombre, il suo sole, la sua luce, le difficoltà e il mare. Napoli è una città costruita sul magma di un vulcano, un luogo che ribolle di umanità e che sa sempre sorprendere. Quest’anno, più che mai, mentre giravamo, ho avuto la conferma di quanto Napoli sia un luogo emotivamente profondo, caldo, capace di accoglierti e abbracciarti. Siamo stati davvero amati, coccolati, stimati, e questo calore mi ha commosso in tante occasioni. La generosità che questa città dona senza chiedere nulla in cambio è qualcosa di raro.

GIUSEPPE ZENO: Napoli l’ho riscoperta nel tempo. Sono andato via quando ero molto piccolo, ma ne conservavo un ricordo bellissimo. La fortuna di questa serie, iniziata più di quattro anni fa, è stata darci l’opportunità di osservare il processo di trasformazione della città. Oggi Napoli è un punto di riferimento culturale, non solo italiano ma europeo, e noi ne siamo stati testimoni. Come dice Serena, la generosità della città ci ha travolto. È una generosità che può accadere ovunque in Italia, ma a Napoli si esprime in un modo unico. È una città che vuole essere protagonista, e ogni piccolo gesto ne è la prova.

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Il Conte di Montecristo

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Una storia senza tempo

«Il romanzo di Dumas diventa una serie tv, con il doppio cuore italiano e francese, un progetto ambizioso che unisce due grandi broadcaster: France Television e Rai. Questo lavoro nasce da lontano, una serie imponente, che tratta temi universali» afferma Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, sul kolossal in onda da lunedì 13 gennaio su Rai 1

 

SAM CLAFLIN

Ho passato gli ultimi 15 anni in prigione per un crimine che non ho commesso… ho intenzione di scoprirne il motivo e quando lo farò,
punirò tutte le persone responsabili. Non chiamarmi mai più Edmond,
d’ora in poi io sono “Il Conte di Montecristo”

Mi sento profondamente fortunato ad aver avuto l’opportunità di interpretare un ruolo così affascinante e complesso come quello di Edmond Dantès ne “Il Conte di Montecristo”. Questo personaggio è ricco di sfumature, intenso e profondo, e per me è stata un’occasione unica nella vita. Sarò eternamente grato anche per tutte le ore di trucco a cui mi sono sottoposto: un sacrificio che valeva ogni secondo. Edmond Dantès mi ha lasciato un segno indelebile. Interpretarlo è stata un’esperienza che mi ha aiutato a guardare la mia stessa vita da una prospettiva diversa. Certo, la vendetta è un sentimento distruttivo e sbagliato, ma non ho potuto fare a meno di ammirare la straordinaria dedizione e concentrazione del personaggio, la sua capacità di lottare con tutte le sue forze per ciò in cui crede. Nessuno può davvero immaginare cosa significhi mettersi nei panni di un uomo rinchiuso per oltre dieci anni in un carcere da innocente. Quando si affronta un ruolo come questo, è necessario capirlo profondamente, amarlo e, in qualche modo, entrare in sintonia con lui. Io, personalmente, non sono una persona vendicativa e non potrei mai spingermi ai suoi estremi. Tuttavia, ho ammirato immensamente la sua determinazione e la sua capacità di trasformare il dolore in forza. Edmond Dantès non è solo un personaggio: è una lezione di resistenza, fede e trasformazione.

 

BILLE AUGUST, regista

Una produzione internazionale da kolossal…

Grazie alla quale ho avuto la possibilità di scegliere in tutto il mondo gli attori migliori per ogni ruolo, interpreti straordinari che hanno messo tutta la loro anima, tutto il loro cuore nel dare vita a questa storia.

Una serie che ha il fascino del cinema qual è stata l’ambizione più grande nel misurarsi con il capolavoro di Dumas?

Il Conte di Montecristo è la storia più affascinante, più interessante, più complessa di vendetta mai raccontata nella storia. La premessa è che, se mi avessero proposto di realizzare un film, un lungometraggio al posto di una serie di otto ore, sicuramente non avrei accettato perché non sarebbe stato possibile rendere al meglio la completezza di questa storia.  Il punto di interesse maggiore di questa storia è la vicenda di Edmond Dantès, un giovane uomo che viene ingiustamente imprigionato per quindici anni, un periodo lunghissimo durante il quale la sua unica ossessione è quella di vendicarsi. Quando finalmente esce di prigione è pieno di odio, pieno di desiderio di vendetta, che riuscirà a portare a termine, rendendosi però conto, alla fine, di non essere comunque un uomo felice. Quella sete, quell’odio lo hanno divorato dall’interno.

Una storia universale…

Ogni volta che si decide di adattare un film per il cinema o per piccolo schermo basato su un romanzo si è consapevoli del fatto che per essere fedeli bisogna prendersi delle libertà, a volte anche essere leggermente infedeli a quella che è la storia originale. Vista la complessità narrativa e il modo in cui la storia viene presentata, abbiamo necessariamente apportato qualche cambiamento, condensato, per esempio, in un personaggio più personaggi, ma senza mai allontanarsi dal focus, ovvero questa sete di vendetta. Quello che mi interessava era costruire una rete profonda di relazioni personali fra i vari personaggi, la vera impalcatura su cui regge il film. Funziona così bene che il pubblico riesce a identificarsi con loro, a stare dalla loro parte, a seguirli. L’obiettivo per me era creare un ambiente in cui potesse nascere la magia e, con gioia posso dire che, a volte, su queste scene è avvenuto davvero qualcosa di magico.

 

Gabriella Pession

Hermine, una donna che brilla per i suoi gioielli, ma cosa nasconde nel suo animo?
È vero: Hermine è una donna che trova luce nei suoi gioielli, ma dentro di sé cela un inferno. Nel contesto sociale e nell’epoca in cui vive, è costretta a negare la cosa più preziosa che possa capitare a una donna: aver dato alla luce un figlio legittimo, un figlio che per ragioni oscure doveva sparire. Dopo il parto, le fanno credere che il bambino sia morto, strappandoglielo dal seno per poi seppellirlo. Solo anni dopo scoprirà che, in realtà, quel figlio è sopravvissuto. Quella che vediamo è una donna di mondo, sofisticata, perfettamente a suo agio nelle dinamiche della società, capace di presenziare a ogni evento e di gestire abilmente denaro e investimenti. Una figura moderna per il suo tempo, ma che porta dentro di sé un dramma inconfessabile, un trauma che, lentamente, la divorerà dall’interno. Se Edmond è consumato dalla vendetta, Hermine è lacerata dal dubbio e dal senso di colpa: suo figlio è vivo o morto?

Tra vendetta e perdono: dove si posiziona questa donna?

Perdonare è un atto di volontà e coraggio, ma Hermine non intraprende questa strada. Non è un personaggio che si allinea con il perdono: il mistero che la circonda, il dolore represso e la rabbia scatenata dalla violenza che ha subito – un figlio strappato via – la portano gradualmente a perdere il controllo. Il suo percorso culmina nella follia, una dimensione che non è presente nel romanzo di Dumas, ma che abbiamo scelto di esplorare. Dopo aver letto la sceneggiatura, insieme al regista abbiamo deciso di introdurre questo cambiamento. Abbiamo girato una scena cruciale a Malta, in un carcere, dove Hermine si trova in completo isolamento. In quella cella, sotto il peso insostenibile di una realtà distorta, crolla definitivamente nella follia. È stato un “tradimento” necessario per approfondire i sentimenti di una donna che non riusciva più a sopportare il peso del non detto.

Cos’ha rappresentato per lei questa occasione?

Questa è stata per me un’occasione straordinaria per tornare su Rai 1, dopo tanti anni lontana dalla televisione che amo profondamente. Voglio ringraziare la Rai per questa opportunità e Palomar, in particolare Carlo Degli Esposti, il mio primo produttore quando avevo solo diciassette anni. Per me lui è come un buon padre, e lavorare insieme a lui è stato come tornare a casa, questa volta con un bagaglio arricchito dal mio percorso internazionale. Sono molto felice di ritornare sul piccolo schermo con un progetto così importante, diretto da un grande maestro. Dopo la scomparsa di Lina Wertmüller, che è stata la mia guida all’inizio del mio cammino artistico, ho incontrato dopo vent’anni un altro maestro, Bille August. Spero che non passino altre vent’anni prima di incrociare di nuovo una figura di questa statura. Il mio ringraziamento va a tutti i membri della produzione, del cast e della troupe. E un plauso speciale a Sam, che è stato un Montecristo straordinario.

Nicolas Maupas

Il suo personaggio incarna più di altri la colpa dei padri che ricade sui figli. Cosa le è rimasto addosso di Albert?

È vero, Albert è profondamente vittima del contesto e della società in cui vive, ma dimostra una straordinaria capacità di evolversi. Alla fine della storia, riesce a fare la scelta giusta: non scende a compromessi con la corruzione morale e si allontana da tutto ciò a cui inizialmente aspirava. La lezione più preziosa che ho imparato da Albert è la sua integrità, la sua capacità di restare saldo sui propri valori anche di fronte alle pressioni più forti. È un esempio di forza morale che mi ha accompagnato durante tutto il periodo delle riprese. Credo che, al suo posto, anch’io avrei fatto la stessa scelta. Albert è stato una guida, un modello di coerenza e rettitudine che porterò sempre con me.

Nella tela intessuta da Dantes, come si muove Albert verso il perdono?

Inizialmente Albert rimane affascinato dal Conte di Montecristo, attratto dalla sua misteriosa figura. Tuttavia, quando inizia a comprendere le ragioni profonde che muovono quest’uomo, emerge la sua vera personalità. Albert è dotato di una sensibilità e di un’intelligenza che gli permettono di riconoscere un’importante verità: la vendetta è una promessa non mantenuta. Nonostante l’apparente soddisfazione che può derivare dal vendicarsi, Albert ha il coraggio e la lucidità di capire che il perdono è una scelta più potente e, in ultima analisi, più appagante. È un giovane che osserva attentamente ciò che accade intorno a lui: vede il declino morale del padre, il disfacimento della sua famiglia sotto il peso della corruzione, e trae una conclusione netta e inequivocabile. Albert comprende che l’unica strada possibile è quella del perdono, e questa consapevolezza lo distingue come un personaggio profondamente umano e ispiratore.

 

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BLACKOUT 2

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Le verità nascoste

Da martedì 14 gennaio su Rai 1 in quattro serate la seconda stagione di “BlackOut” con Alessandro Preziosi, Rike Schmid, Marco Rossetti, Aurora Ruffino, diretta da Fabio Resinaro e Nico Marzano

Dopo aver tenuto col fiato sospeso i telespettatori di Rai 1 per un’intera stagione, “BlackOut” torna nella bellissima e innevata Valle del Vanoi e al Cima Paradisi, l’hotel al centro della vicenda. La storia riprende esattamente da dove il racconto è stato interrotto. Un omicidio commesso sotto gli occhi degli spettatori da Umberto, il padre amorevole e accudente di Lara, che continua a nascondere la verità agli altri. Ma perché Umberto ha ucciso un altro ospite dell’albergo, mentre era in sala radio? Cosa stava per scoprire? Cosa non doveva essere rivelato? Mille nuove domande e il dubbio che fuori dalla Valle potrebbe essere successo qualcosa di terribile. A rendere ancora più intensa la vicenda, l’arrivo di nuovi misteriosi personaggi a bordo di un elicottero. “Ripartiamo esattamente dal momento in cui sembra tutto perduto: il nostro protagonista, considerato inspiegabilmente il responsabile di tutto e l’incedere di queste situazioni atmosferiche che creano terrore, in quanto non sai cosa sta accadendo fuori – dice Alessandro Preziosi, nei panni del protagonista Giovanni –. Ma ecco che arrivano nella valle del Vanoi i primi soccorsi che portano speranza e informazioni che vengono dilazionate, misteriosamente fornite ai protagonisti. Quello che in apparenza sembra essere un aiuto, una speranza di sopravvivenza, si trasforma. Tutto quello su cui lo spettatore era rimasto in misteriosa sospensione viene a essere spiegato: il mondo sta finendo, sta per avere un turning point sotto i nostri occhi”. I protagonisti sono ancora loro, a partire da Giovanni (Alessandro Preziosi), broker di successo profondamente cambiato dall’esperienza accanto a sua figlia Elena (Giulia Patrignani) in coma, innamorato di Claudia (Rike Schmid), la dottoressa che le ha salvato la vita e che Giovanni aveva ricevuto l’ordine imperativo di uccidere, in quanto testimone chiave nel processo contro suo fratello, boss di un clan. Claudia, dal canto suo, ha appena scoperto che Giovanni, al quale si è avvicinata mentre si prendeva cura di Elena, ha tentato di toglierle la vita per ben due volte. Il tema della serie e dei suoi personaggi è ancora una volta il destino. Nel cast, accanto ad Alessandro Preziosi e Rike Schmid, ci sono Marco Rossetti, Aurora Ruffino, Caterina Shulha, Federico Russo, Giulia Patrignani, Juju Di Domenico, Mickaël Lumière, Riccardo Manera, Maria Roveran, Magdalena Grochowska, Eugenio Franceschini. “Questa storia vuole portare all’attenzione dello spettatore tutte le conseguenze del rapporto che l’uomo ha con la natura. Con la natura ci si può confrontare, ma con regole che non sono più quelle dell’uomo” prosegue Preziosi, che sul successo della prima stagione afferma: “Credo che l’ambientazione e l’aspetto giovanile della serie siano stati molto importanti. È interessante vedere il differente modo in cui ci si approccia alla fine del mondo: i giovani continuano ad amarsi, scoprono sentimenti nuovi, crescono emotivamente più velocemente, mentre gli adulti si dimostrano molto più vigliacchi e impavidi. La serie queste mette l’una di fronte all’altra due generazioni che si ritrovano ad armi pari davanti a uno stato di urgenza e di incertezza”. Nuovi arrivati nel cast Adele Dezi, Fiorenza Tessari, Alessio Vassallo, Marina Delmonde, Federico Tolardo. Una nuova stagione piena di colpi di scena per questo mistery-drama ambientato sulle magnifiche montagne del Trentino; una seconda stagione diretta da due giovani registi, Fabio Resinaro e Nico Marzano: “La seconda stagione di BlackOut 2 – Le verità nascoste” rappresenta un’immersione ancora più profonda nei temi universali dell’isolamento, della resilienza e del senso di comunità – affermano – La valle imbiancata dalla neve diventa uno spazio sospeso nel tempo, dove ogni scelta, ogni relazione, e ogni sguardo nasconde una lotta per la sopravvivenza. L’idea alla base della regia è stata quella di amplificare questa sensazione di stallo e incertezza, creando un dialogo costante tra lo spazio intimo dei personaggi e la vastità del paesaggio circostante, quasi a riflettere il contrasto tra le paure interiori e le forze implacabili della natura”. A comporre la colonna sonora della serie i musicisti Paolo Vivaldi e Andrea Bonini per le Edizioni Musicali Rai Com. Le immagini in 4K restituiscono i meravigliosi scenari di location come San Martino di Castrozza, della Valle del Vanoi, di Sagron Mis di Val Canali, del Lago di Calaita, Forte Buso e Paneveggio.

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RENZO ARBORE

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Sorrisi senza tempo

Le risate che hanno fatto la storia della Tv. “Come ridevamo” è il nuovo programma di Rai Cultura ideato da Renzo Arbore e Gegé Telesforo insieme a Ugo Porcelli, in onda il giovedì in seconda serata su Rai 2. I due conduttori che hanno selezionato 120 tra scenette e brani, sketch iconici da far conoscere anche alle nuove generazioni. Renzo Arbore racconta questo viaggio di venti puntate

 

È partito con un nuovo emozionante viaggio televisivo, questa volta nel tempo. Com’è nato?

Avevo il rammarico che certi momenti di televisione venissero visti soltanto di sfuggita, magari tra una cosa e l’altra, tagliati a pezzettini senza essere valorizzati come meritano. Con il mio gruppo di lavoro, con cui ho fatto anche altre trasmissioni, siamo andati a ricercare tutto il materiale.

Risate che ancora oggi resistono al passare del tempo, com’è possibile?

Noi abbiamo scelto proprio i sorrisi che resistono ai cambiamenti. Non abbiamo, ahimè, preso la satira, le imitazioni di D’Alema ad esempio, o di altri, quella roba che purtroppo decade. Abbiamo scelto quegli sketch che fanno ridere sempre, perché sono sorrisi nati dalla fantasia più che dall’attualità dell’epoca, ma anche dalle invenzioni. La generazione del dopoguerra ci ha insegnato a sorridere: Sordi, Manfredi, Tognazzi e poi Dario Fo, e tutti noi che siamo stati discepoli, la mia generazione insomma.

Quanto è importante la leggerezza?

È fondamentale, perché con la leggerezza ci si deve convivere. L’importanza è straordinaria. Grazie a Dio ci sono città dove la leggerezza è un dovere dal mattino, penso a Napoli, dove si nasce con una propensione al sorriso, che in questo momento è un po’ dimenticata.

E in televisione?

L’intrattenimento televisivo non ha più contemplato i varietà. Certo, ci sono dei talk show divertenti o dedicati al ballo o alle meditazioni, ma proprio dei programmi dove ci sia una comitiva allegra che deve far ridere non mi pare che ci siano.

Gli sketch saranno riprodotti in maniera integrale…

Sì, li abbiamo lasciati come sono nati. A volte tagliarli toglie il gusto della scenetta. E poi, al tempo, le cose che facevano ridere esigevano una certa calma, non si rideva freneticamente, si rideva piano piano, montava la risata.

Qual è la potenza della tv che lei ha fatto?

Devo dire che, non per vanità, ma “Quelli della Notte” fu il primo programma che faceva ridere nato dopo gli anni di piombo che finirono ufficialmente proprio con questo programma.

Dopo il successo di un programma lei si è sempre reinventato…

Eh già, di questo invece mi vanto un po’, perché ho sempre cercato di inventare altri format. Alla lunga ne ho fatti 21, uno diverso dall’altro. Dopo il covid ne ho ideati alcuni più economici, anche da casa mia, anche per ragioni di età.

“Con gli amici faccio lo show” diceva in una sua canzone. Quanto è stata importante l’amicizia nella sua vita e quanto lo è oggi?

Determinante. Ho lavorato con tutti quelli che sono miei amici, sono rimasti amici e grati. Il rapporto era quello, un po’ come il rapporto che si crea tra un regista e gli interpreti di un film. Non si può girare un film se odi il tuo attore. Insomma, più o meno è un rapporto sempre di affettuosità e di sintonia, molta sintonia naturalmente.

Torniamo a “Come ridevamo”: è pensato anche per far scoprire alle nuove generazioni come si divertivano i loro genitori e nonni. Lei cosa pensa del linguaggio dei giovani di oggi?

Lo approvo, ma non è lo stesso mio. Oggi si fa ridere con un umorismo “contro” che io chiamo hard. Niente di male, per carità, alcuni fanno ridere, sono molto intelligenti, ma lo stand up o il monologo satirico è così e non è in sintonia con me, anche se riconosco che molti giovani sono bravi e sono efficaci.

Il volume “Renzo Arbore Bontà Vostra” di Gianni Garrucciu, edito Rai Libri, raccoglie gli interventi di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, dell’arte, che danno una lettura a tutto tondo della sua persona. Ci si è ritrovato?

Molto, da Fiorello a Mariangela Melato, da Benigni ai registi, tutti quelli che sono stati interpellati sono stati molto generosi con me. Poi naturalmente il libro non è solo quello, ma una biografia molto accurata della mia carriera. Questo mi ha stupito, perché c’erano cose che io stesso ho dimenticato o ho sottovalutato come quelle che vengono chiamate ospitate televisive. Finalmente viene riconosciuta l’importanza della mia orchestra, che è stata una grande invenzione fatta nel ‘91 e che è durata fino al 2021 con più di  60 concerti all’anno in tutto il mondo, dall’Australia alla Russia, dal Nord America a Francia, Spagna e altri paesi, Cina e Giappone compresi. Viene riconosciuto che l’Orchestra italiana ha rilanciato le canzoni napoletane classiche, che venivano  ritenute canzonette d’epoca superate e che invece io ho dimostrato essere canzoni eterne, evergreen, sempreverdi.

Sappiamo che lei è un collezionista. In questo caso anche di risate?

Eh sì! In “Come ridevamo” abbiamo collezionato risate di tutti i tipi. Quelle di Paolo Villaggio e di Benigni, di Corrado Guzzanti, quelle con Lino Banfi. Insomma, un grande assortimento. La nostra scelta, di fronte ai tanti sketch visionati, avveniva a seconda delle risate che ci facevamo guardando. Sono risate senza tempo!

 

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L’uomo, la natura e la ricerca dell’amore reciproco

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L’ottava stagione di “Un passo dal cielo” torna in un presente sempre più attento ai cambiamenti climatici e alla salvaguardia del pianeta, il tutto con uno sguardo di speranza. Da giovedì 9 gennaio prima serata su Rai 1

I fratelli Nappi sono ormai una coppia perfettamente consolidata nelle indagini. Vincenzo rimane lo stesso vicequestore, generoso, scaltro e ligio al dovere, Manuela, invece, l’abbiamo vista crescere e affinare anche le sue abilità nello studio della prossemica, diventando una risorsa sempre più importante per la squadra. Un talento, il suo, che potrebbe offrirle nuove opportunità anche lontano da San Vito, se non fosse che Manuela tra quelle montagne sta bene. Lì c’è la sua famiglia, c’è Vincenzo che ha finalmente imparato a fidarsi di lei e del suo intuito. E poi, c’è Nathan, di cui conosciamo ancora troppo poco. Sappiamo che è stato trovato nel bosco da una coppia di antropologi, che lo ha adottato, lui ricorda solo che un’orsa si è presa cura di lui. Crescendo ha provato a vivere in società, ma a diciott’anni, non sentendosi capito, ha deciso di tornare nella natura, unico luogo a cui ha sempre sentito di appartenere. Solo dopo aver conosciuto Manuela e Vincenzo ha scoperto che gli esseri umani non sono tutti uguali, di alcuni ci si può fidare, con alcuni si può collaborare e, di qualcuno, a volte, ci si può anche innamorare. O almeno, questo è quello che spera Manuela. Dopo mesi da quella promessa d’amore silenziosa che i due si sono fatti al cospetto delle Cinque Torri alla fine della scorsa stagione, la nostra poliziotta spera che Nathan le dica di non lasciare San Vito e di rimanere con lui. Ma lui sarà pronto per questo? Forse, prima di legarsi a qualcuno, ha bisogno di fare chiarezza sul suo passato. Scoprire chi è davvero, quale sia la sua storia e come ha fatto a ritrovarsi nel bosco, da solo, così piccolo.  Ad aiutarlo a far luce sulle sue origini, potrebbe essere un nuovo personaggio: Stephen Anderssen. Un ricercatore affasciante e idealista che arriva a San Vito di Cadore con la sua squadra e si stabilisce alle pendici di un ghiacciaio con un sogno: salvarlo. Stephen, infatti, sa che se scoprisse un modo per impedire lo scioglimento di un solo ghiacciaio, potrebbe salvare anche tutti gli altri. E in questo modo, forse, salvare l’intero pianeta. Questo esperimento affascina Manuela e sarà lei, grazie al suo sguardo sensibile e acuto, a scoprire che la fragilità di quell’imponente ghiacciaio nasconde un segreto. Della squadra di Stephen fanno parte diversi scienziati, tra cui Gabriele, un ragazzo molto ambizioso e pronto a tutto per la salvaguardia del pianeta, Laura, storico braccio destro di Stephen che aiuta anche con la parte burocratica dell’associazione. E poi c’è Anna, un’orfana che Stephen ha preso sotto la sua ala protettiva. Anna è una ragazza con uno spirito selvaggio, che si batte per quello in cui crede e che sembra comprendere perfettamente il modo di vivere di Nathan. Il loro incontro metterà in crisi l’uomo degli orsi, che si troverà tra due personalità completamente differenti: Anna, così simile a lui e Manuela, che ha rivoluzionato il suo mondo. A vedere il proprio mondo rivoluzionato sarà anche la famiglia di Vincenzo. Lui e Carolina verranno messi alla prova e ci dimostreranno come, grazie alla persona amata, si possa trovare la forza di rialzarsi in tutte le prove a cui la vita ci può sottoporre. E le prove quest’anno saranno tante: dalla gestione di una famiglia sempre più grande, con l’arrivo della terzogenita Nina, ai colpi di testa di Paolino che, sempre innamorato perso di Lisa, mostrerà ai nostri di essere cresciuto molto più in fretta di quanto Carolina stessa sia pronta ad ammettere. Infine, la vita di Vincenzo sarà stravolta da un evento inaspettato, diverso da tutti quelli che ha dovuto affrontare nella sua carriera in polizia. E così, per la prima volta, dopo tanti anni da napoletano sradicato, Vincenzo, insieme a Huber, Carolina e tutta la famiglia di Un passo dal cielo, dovrà imparare ad amare davvero la montagna, perché per la prima volta si troverà ad osservarla da un punto di vista completamente nuovo.

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NEK

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Liberi nell’arte

«L’arte è ascolto, è condivisione, crea unione e rappresenta un universo sconfinato dove non esiste il male» racconta l’artista impegnato per la quarta volta nella conduzione di “Dalla strada al palco”. Al suo fianco, in prima serata su Rai 1 da venerdì 10 gennaio, Bianca Guaccero

 

Nuovo anno, nuova edizione di “Dalla strada al palco”. Tante novità…

Con grande emozione mi sento pronto… o quasi (ride). Siamo giunti alla quarta edizione, un traguardo importante che dimostra quanto l’attenzione del pubblico e della Rai sia cresciuta nel tempo. Quest’anno il programma fa un salto di qualità: siamo stati promossi su Rai 1. È un passo significativo, che ci permette di “indossare il vestito da sera”, quello delle grandi occasioni. Di fronte a sfide così importanti non ci si sente mai del tutto preparati, ma sia io che Bianca faremo del nostro meglio per regalare al pubblico qualche ora di spensieratezza e leggerezza.

Non è la sua prima esperienza come conduttore. Come vive questo ruolo?

Lo considero un piacevole percorso “parallelo” alla mia carriera musicale, che risponde al mio continuo desiderio di imparare e di mettermi alla prova. Sono sempre aperto alle novità, e questa curiosità mi accompagna da oltre trent’anni, anche nella musica. La creatività, per fortuna, è un mondo senza confini: non si smette mai di fare nuove scoperte, di affinare il proprio talento e di svelare lati inaspettati di sé, sia a livello personale che professionale. Questo ruolo, infatti, mi permette di esplorare e crescere, offrendo sempre qualcosa di nuovo al pubblico e a me stesso.

Al suo fianco Bianca Guaccero… che coppia sarete?

Bianca, come me, si metterà completamente al servizio del programma, un po’ come fa un musicista quando si dedica a una canzone: usa il proprio talento e le proprie competenze per arricchire il brano, senza cercare di rubare la scena. Diversamente, chi punta solo a mettersi in mostra finisce per essere un virtuoso fine a se stesso, che non lascia davvero il segno. Io e Bianca cercheremo di accogliere il pubblico con calore e di essere il ponte ideale tra gli artisti di strada – che sono i veri protagonisti dello show – e le persone che hanno deciso di trascorrere il loro tempo in nostra compagnia. Il nostro obiettivo è valorizzare al massimo le performance e creare un’atmosfera autentica e coinvolgente per tutti.

Cosa avete in serbo per noi?

A parte la doppia conduzione, che rappresenta un valore aggiunto, accanto ai “passanti” – diversi in ogni puntata e provenienti dal mondo dello spettacolo – che, per la prima volta, saranno chiamati a esprimere, ogni puntata, il loro voto e giudizio sulle performance degli artisti in gara, proprio come il pubblico in studio che voterà con il proprio telecomando. Una bella novità sarà la presenza dei nostri osservatori speciali: i bambini. Saranno lì, tra gli spettatori-giudici, a esprimere la loro meraviglia di fronte a un’esibizione artistica, proprio come accade per strada quando un performer cattura la loro attenzione. Con questa nuova edizione di “Dalla strada al palco”, vogliamo creare un vero e proprio varietà d’arte, con ospiti “speciali” che affiancheranno gli artisti di strada, raccontando insieme i loro sogni nel cassetto; ci saranno artisti internazionali fuori gara che impreziosiranno lo spettacolo con performance straordinarie. Ma, soprattutto, ci saranno le storie. Le storie degli artisti che decidono di mettersi in gioco, con il loro talento e la loro passione, su questa grande piazza di Rai 1.

Che storie ascolteremo?

Ascolteremo storie di riscatto nei confronti di una vita che ha segnato pesantemente la vita di questi talenti, e che hanno trovato nell’arte una splendida via di salvezza. Durante le tre edizioni precedenti, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con tanti artisti che sono stati letteralmente “salvati” dall’arte, riscoprendo una libertà autentica proprio in un angolo di piazza o lungo il lato di una strada. Devo ammettere che, inizialmente, anche io appartenevo a quel gruppo di spettatori un po’ superficiali che, osservando le loro esibizioni, pensava: “Non avranno avuto altra scelta nella vita, purtroppo”. Ma mi sbagliavo. La maggior parte di loro ha scelto consapevolmente quel palco: una scelta di libertà, per sfuggire alle scomodità e ai compromessi di una vita artistica legata ai meccanismi rigidi dello show business. Sono storie di coraggio, di passione e di amore per l’arte, che meritano di essere ascoltate e celebrate.

Se il mondo fosse un grande teatro a cielo aperto…

… sarebbe un luogo meraviglioso perché attraversato dalla creatività. Dove c’è poesia e musica c’è bellezza. L’arte è ascolto, è condivisione, crea unione e rappresenta un universo sconfinato dove non esiste il male.

Artisti tra improvvisazione, passione e talento. Che significato attribuisce a queste parole?

Ogni percorso artistico contiene una buona dose di improvvisazione. È quel lampo inatteso, quel momento fugace che afferri al volo e trasformi in arte. Alcune canzoni nascono da incontri strutturati, da progetti pensati a tavolino; altre, spesso le più belle, sono il frutto di un’idea improvvisa che devi catturare e fissare in parole e melodia. L’improvvisazione è una compagna di viaggio per ogni artista, ma anche per un conduttore televisivo, specialmente in diretta, quando bisogna essere pronti a colmare un vuoto o gestire l’imprevisto. Accade anche nella vita di tutti noi: per quanto si possa pianificare, le variabili sono sempre pronte a stravolgere ogni scaletta. Il talento, invece, è un dono innato, qualcosa che si percepisce subito e che affascina perché rende straordinario ciò che una persona fa con apparente semplicità. Il talentuoso ha un dono che è mille volte più potente di qualsiasi tecnica appresa, è fondamentale, senza si va poco lontano, soprattutto oggi. Il pubblico non si lascia ingannare facilmente, ha bisogno di talenti capaci di resistere al tempo, di mettersi o sempre in discussione, costantemente in discussione e di accettare consigli per affinare il proprio dono. È ciò che ho sempre fatto nella mia carriera: ho imparato a nutrire il mio talento con umiltà e dedizione. Ma il talento da solo non basta, senza la passione per il proprio mestiere si rischia di diventare semplici mercenari. Se io avessi scelto questo mestiere solo per guadagnare denaro o per vivere comodamente, sarei finito molto tempo fa, professionalmente e forse anche fisicamente. La passione è il motore di tutto: senza di essa, noi artisti ed entertainer saremmo schiacciati dalla pressione psicologica, dallo stress di una vita precaria. È l’amore per ciò che facciamo a renderci capaci di sopportare tutto e a farci andare avanti, sempre.

Dalla sua posizione privilegiata di “osservatore” dell’arte di strada, cosa ha scoperto?

Ho scoperto il desiderio profondo di ritrovare empatia, quel piacere unico che nasce da uno sguardo, da un sorriso, dall’attenzione genuina delle persone. È quel “like” reale che, purtroppo, molti oggi cercano solo sui social. Chi ha tra le mani l’arte – che sia un giocoliere, un musicista o qualsiasi altro artista –, vive sempre in rapporto con il giudizio e l’attenzione degli altri, e sente il bisogno di conquistarla e condividerla. Gli artisti di strada che ho incontrato in questi anni, pur essendo perfettamente inseriti nel mondo contemporaneo e spesso attivi anche sui social, hanno una caratteristica in comune: vogliono mantenere vivo il contatto umano. Quando si esibiscono in una piazza o all’angolo di una via, il loro obiettivo è catturare l’attenzione di un passante distratto, che certamente non pensa a fermarsi ad ascoltare una canzone o ammirare un numero di giocoleria. Quando questo accade, quando un passante si ferma e si lascia coinvolgere, è una vittoria immensa, sia artistica che umana. Alla fine, tutti noi che viviamo di arte puntiamo a questo: a un incontro autentico, a un incrocio di sguardi e sentimenti. Senza questo, tutto rischia di diventare finto e artificiale, perdendo il senso più profondo dell’arte.

Anche lei con la sua carriera ha attraversato tante strade e piazze…

Anche il mio ultimo giorno dell’anno ero in piazza a Ladispoli, tra la gente. Io me lo ricordo bene quando, nei primi anni Novanta, all’inizio della mia carriera, mi esibivo per strada, facendo un percorso molto simile agli artisti che ritroviamo nel nostro spettacolo. Ed è proprio questa la ragione per cui si crea un’empatia profonda con gli artisti che presentiamo, perché abbiamo esperienze simili sulla pelle.

Il programma terminerà proprio a ridosso di Sanremo… chiudiamo con una dedica e un in bocca al lupo a Carlo Conti (che è anche ideatore del programma)?

A Carlo Conti voglio molto bene. Nel 2015 mi chiamò per il suo primo Festival di Sanremo, dopo 18 anni dalla mia ultima partecipazione. Da quel momento, il nostro rapporto si è intensificato e mi ha portato fino a qui, in prima serata su Rai 1 alla conduzione di uno show che amo moltissimo. Non lo ringrazierò mai abbastanza, mi ha offerto un modo bellissimo per iniziare questa mia avventura televisiva. Gli auguro prima di tutto di divertirsi, perché in un progetto così grande, con una pressione enorme, dopo i vari Sanremo condotti da Amadeus, che hanno avuto un grande riscontro mediatico, il divertimento è fondamentale. Gli auguro di fare un grande Festival, che, tra l’altro, è il più grande reality show della storia della musica, il re dei talent. In quei tre minuti (che prima erano quattro, poi accorciati di un minuto) un artista deve essere efficace, sia se è la prima volta che sali sul palco dell’Ariston, sia se partecipi per cercare una conferma. Il Festival di Sanremo è un momento culturale importante per l’Italia che va difeso e Carlo ha fatto un importante lavoro a cominciare dal cast.

Anche Sanremo è una immensa piazza di talento…

Proprio così, lo è da sempre e per questo il mondo ce lo invidia. Dobbiamo esserne fieri e, anche se a volte ha sofferto un po’, grazie allo straordinario lavoro artistico dei direttori artistici, negli ultimi anni è stato riportato davvero in alto. Oggi tutti vogliono partecipare al Festival, perché la visibilità che offre non si trova in nessun altro evento promozionale.

 

 

L’edizione di quest’anno, che vede Nek affiancato da Bianca Guaccero, reduce dal grande successo di “Ballando con le Stelle”, è ancora più coinvolgente grazie a una serie di novità pensate per stupire e appassionare il pubblico. Ogni puntata si apre con numeri spettacolari che coinvolgono i conduttori, l’orchestra e il corpo di ballo, dando il via a un inizio scoppiettante. Ancora più protagonisti i “passanti importanti”: le stelle del mondo dello spettacolo diventano parte integrante dello show, interagendo direttamente con gli artisti e contribuendo a creare momenti di varietà memorabili. Anche questa seconda serata sarà una grande festa, ricca di sorprese, con interventi musicali inaspettati di artisti affermati che duetteranno con i talenti in gara, regalando loro momenti da sogno e partecipando a numeri unici creati appositamente per l’occasione. Lo studio, completamente rinnovato, e il grande palco esterno ospiteranno anche le coreografie del corpo di ballo, che arricchiranno ogni esibizione, e i numeri spettacolari di artisti di fama internazionale. A supportarli, la band del Maestro Luca Chiaravalli. Rimangono intatte le caratteristiche che hanno reso Dalla Strada al Palco una celebrazione universale dell’arte e della libertà di espressione: al centro dello show ci sono gli artisti e le loro storie. Performer di ogni genere, provenienti da tutta Italia e dal mondo, porteranno sul palco la loro passione, il loro straordinario talento e il loro rapporto unico con il pubblico. Le performance saranno giudicate dal pubblico e dagli ospiti in studio, che, insieme, alla fine di ogni puntata decreteranno i migliori. Questi si sfideranno durante la puntata finale per aggiudicarsi il premio di miglior artista di strada d’Italia.

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Tutta la forza di una passione

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Le emozioni della musica, l’applauso del pubblico, la sfida di otto cantanti-concorrenti, protagonisti in un passato più o meno recente di una stagione di successo, oggi pronti a ripartire. Al loro fianco otto big della musica. A pochi giorni dal debutto di “Ora o mai più” il RadiocorriereTv incontra il popolare conduttore della terza stagione del fortunato talent: «A unirli è la voglia di ritrovare il grande pubblico: sono emozionatissimi, non vedono l’ora di esibirsi». Da sabato 11 gennaio in prima serata su Rai 1

 

Sedici artisti che condividono la passione per la musica e l’amore per il palco.  Tra loro otto “allievi” che sognano di ritrovare il consenso del grande pubblico. A che sfida assisteremo?

Ci sono tanti ingredienti e la musica è al centro. Protagonisti di “Ora o mai più” sono sedici artisti, otto maestri e altrettanti “allievi”: tra questi ultimi c’è chi ha avuto un successo più grande e chi meno, chi più duraturo e chi è da tempo lontano dalle ribalte più prestigiose, ma sono tutte persone che vivono di musica. Grazie a loro, nel corso delle puntate, riascolteremo alcune delle canzoni più belle della nostra storia. E poi ci sono la gara, l’aspetto agonistico: quando l’essere umano entra in competizione per sua natura lo fa sempre cercando di dare il meglio di sé. Ad avere un ruolo fondamentale sarà anche il pubblico, che attraverso un software legato ai social network potrà votare su varie piattaforme determinando una quota importante della classifica.

 

Storie artistiche e di vita tra loro molto diverse…

In questi giorni in redazione abbiamo ripercorso le storie degli otto concorrenti per capire come mai il loro percorso artistico sia entrato in una zona d’ombra o si sia interrotto. C’è chi fa ancora concerti nei locali, chi insegna, chi scrive. Spesso a essere cambiato non è il loro rapporto con la musica ma con il successo, con i numeri, che a volte dipendono da tanti fattori, dalla fortuna come da aspetti caratteriali, da incidenti della vita o da incidenti veri e propri, come nel caso di Loredana Errore. Sono tante le componenti che condizionano il percorso di un artista dal punto di vista commerciale.

 

Cosa li spinge a rimettersi in gioco?

La voglia di ritrovare il grande pubblico: sono emozionatissimi, non vedono l’ora di esibirsi. Qualcuno è più disincantato, lo fa come esperienza senza farsi illusioni. Sicuramente fare due mesi in prima serata su Rai 1 significa anche potere riaccedere al circuito delle serate, delle piazze, dei locali. Per loro è vita. Adesso sono curiosi di sapere con quale maestro saranno abbinati.

 

Quale criterio avete utilizzato per creare le coppie?

Abbiamo incontrato i concorrenti e chiesto loro chi avrebbero preferito, lo stesso abbiamo fatto con i maestri, cercando di incrociare il più possibile i desideri di tutti.

 

Che consiglio si sente di dare agli artisti in gara?

Non appartengo a quel mondo ma ho una certa età (sorride), e ne ho sentite e vissute tante, il mio consiglio è dunque quello di viversi il momento. In “Ora o mai più” conta l’“ora” più che il “mai più”. Non è mai “mai più” perché il giorno dopo puoi trovare la tua occasione. Quindi li invito a godersi l’esperienza, a essere sereni e a esprimersi nel modo migliore. Poi, certo, ci sono la gara, il giudizio. Ma penso che quando uno dà tutto se stesso è sereno, e anche il giudizio lo accoglie diversamente.

 

Nel corso della sua carriera c’è stato un momento in cui si è detto “ora o mai più”?

C’è stato un momento preciso, era il novembre del 2010. Avevo lasciato il “Grande Fratello” da quattro anni e nonostante avessi proposto programmi ai vari direttori non era successo nulla. A un certo punto pensai anche di non cercare più. Ma fu in quei giorni che grazie a Pasquale Romano (autore televisivo) venne fuori la proposta di una serata unica per Rai 1. Il format si chiamava “Perfetti innamorati”, un programma pilota che andò in onda la sera in cui esplose il bunga bunga. Su Rai 3 Giovanni Floris fece grandi ascolti e a noi andò un po’ meno bene. Ma quell’esperienza aprì la strada ad altri programmi, di lì a poco feci “L’estate in diretta” e “La vita in diretta” e arrivò la ripresa.

 

Come vive il cambiamento e le novità?

Mi piacciono tanto, ho sempre voglia di nuove sfide. In Formula 1 ci sono i collaudatori, ecco, a me piace collaudare generi diversi. A parte il mestiere che faccio sono appassionato del mezzo, della televisione.

 

Nei giorni scorsi il suo battesimo alla conduzione de “L’anno che verrà”, cosa le ha lasciato la piazza di Reggio Calabria?

Quello che più rimane è l’entusiasmo del pubblico insieme all’atmosfera della grande festa. Siamo arrivati a Reggio Calabria alcuni giorni prima della diretta di Capodanno e il calore era già fortissimo. Un’euforia dilagante e trascinante. Abbiamo finito la diretta alle 2, ma la gente continuava a stare lì, non voleva andare via. Il corso è rimasto straripante di persone fino al mattino alle 5. C’era una grande voglia di condivisione.

 

Quanta musica c’è nella sua vita?

Tanta. Ascolto molto la classica, la lirica, questa mattina ascoltavo la “Turandot” di Giacomo Puccini. A Lucca ho visitato la casa museo del maestro, ho visto il pianoforte su cui componeva. A lui si devono anche le premesse della struttura della canzone italiana moderna: il ritornello, le strofe.

 

Che cosa c’è nella playlist di Marco Liorni?

Molti brani dei Beatles, che sono capolavori assoluti, nel loro lavoro ci trovo tutto. Molte canzoni sono legate a miei momenti di vita, riascoltandole provo anche un po’ di malinconia. Poi ci sono gli U2, ma ascolto tutta la musica, ultimamente anche il death metal. La musica ti dà ciò che a volte non riesci a esprimere. L’arte ti consente di farlo. Dico sempre ai miei tre figli che non ho tanti consigli da dare loro, la vita cambia, ognuno deve fare le proprie esperienze, ma li spingo a vivere l’arte, di tutti i tempi. Lì c’è quel qualcosa in cui il pensiero non riesce a portarti, ti conduce nel profondo di te stesso, nella condivisione, in una saggezza emotiva che percorre millenni. Può aiutarti a vivere più profondamente la vita, a ritrovare emozioni che diversamente è difficile esprimere.

 

Quasi trent’anni di carriera e di affetto del pubblico. Quando ha cominciato immaginava di raggiungere traguardi tanto importanti?

Non lo immaginavo ma lo sognavo. Fare la televisione era il gioco a cui mi dedicavo da ragazzetto, anche quando andavo in vacanza a Scauri con i miei cugini. Era la mia passione, tanto che a tredici-quattordici anni, quando marinavo la scuola, provavo a intrufolarmi nelle televisioni private, negli studi televisivi (sorride). Disegnavo anche le telecamere e mi piaceva vedere le luci delle consolle delle regie. C’era una spinta naturale verso questo mondo.

 

Il suo augurio alla televisione…

Il mio è un augurio rivolto a chi la televisione la fa, a partire dai tecnici, dalle maestranze, ed è che ci siano sempre tanta passione e tanto amore nel farla. Quando ci sono non possono che esserci programmi migliori. Al di là di tutte le piattaforme penso che questa società, sempre più frammentata, abbia bisogno di una televisione che sia punto di riferimento, pieno di libertà e luogo di confronto, che sappia unire. Della vera televisione, quella dei programmi, per me ne abbiamo sempre più bisogno. L’augurio è che la Tv sia fatta sempre meglio, con passione e competenza.

 

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Il Poeta dell’Infinito

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“Leopardi – Il poeta dell’infinito” di Sergio Rubini è la miniserie evento Rai sulla vicenda umana e storica del grande poeta Giacomo Leopardi, in onda il 7 e l’8 gennaio in prima serata su Rai 1: «Genio visionario dietro cui palpita il cuore di un eterno ragazzo, incompreso dai suoi contemporanei, Leopardi è più interessato a rivolgersi alle generazioni del futuro mettendo in ballo spunti di riflessione più che mai attuali in una società come quella di oggi spesso afflitta dalla mancanza di maestri e di saldi punti di riferimento» racconta il regista

Una grande produzione in costume, ambientata e girata tra la natìa Recanati, le Marche, Bari e la Puglia, Mantova, Torino, Roma, Napoli e Bologna – che restituisce alle nuove generazioni un ritratto inedito pur storicamente coerente di Giacomo Leopardi. Un formidabile genio, in grado di incendiare con i suoi versi non soltanto passioni amorose ma anche ideali politici. Poeta libero e avverso al compromesso che ha sfidato il suo tempo, l’invasore austriaco, la Chiesa e gli stessi fondatori del nascente stato italiano.  Protagonista, nei panni di Giacomo Leopardi, Leonardo Maltese (“Rapito” di Marco Bellocchio, “Il Signore delle Formiche” di Gianni Amelio, per i quali ha vinto il Premio Guglielmo Biraghi ai Nastri D’Argento 2023). Con lui, Alessio Boni nel ruolo dell’austero padre, il Conte Monaldo Leopardi, Valentina Cervi nei panni della madre Adelaide Antici, Giusy Buscemi che interpreta l’amata Fanny Targioni Tozzetti, emblema dell’amore irraggiungibile magnificato nei suoi versi. E infine Cristiano Caccamo, nelle vesti dell’amico Antonio Ranieri, e Alessandro Preziosi nel ruolo di Don Carmine.

 

Bambino prodigio paragonabile a Mozart. Adolescente ostile ai genitori come un moderno teenager. Poeta romantico, filosofo e pensatore politico. Giacomo Leopardi è stato il primo esistenzialista della modernità, riferimento dei tumultuosi anni del Risorgimento italiano, ha scritto versi eterni e dato forma a pensieri che oggi, nel nuovo millennio, sono verità granitiche. Ha amato, Leopardi, e lo ha fatto come un astuto Cyrano de Bergerac, con la sua penna usata per accoppiare l’affascinante amico Ranieri alla figura che è l’emblema dell’amore inarrivabile, la bellissima e sensuale Fanny. Leopardi è un “maledetto” che ha abusato della sua arte e del suo genio fino a venirne annientato. Un autore pari a Goethe, William Blake, Baudelaire, da scoprire e finalmente ammirare attraverso una miniserie che punta a stupire il pubblico tracciando il percorso biografico di una figura accattivante, controcorrente, amata e osteggiata dai suoi contemporanei ma estremamente attuale, in grado di scuotere ed emozionare le sensibilità.

 

La storia

PRIMA PARTE

Napoli, 1837. Giacomo Leopardi, l’ateo miscredente, è morto. Il suo fraterno amico, Antonio Ranieri, cerca di convincere Don Carmine a dargli degna sepoltura, ripercorrendo la vita del poeta. Recanati, 1809. Seguito da un precettore, il piccolo Giacomo dimostra un’intelligenza prodigiosa e uno spirito ribelle. Vorrebbe uscire di casa, vedere il mondo ma il rigido padre, Monaldo, glielo vieta. Sfoga quindi la sua rabbia sui libri, trascorrendo intere giornate nella biblioteca di famiglia. Nel 1817, la visita della bellissima cugina Geltrude scuote e sconvolge Giacomo, che ormai intrattiene fitti rapporti epistolari con i maggiori intellettuali dell’epoca. La sua frustrazione viene riversata nella stesura di All’Italia, che si diffonde come un inno carbonaro tra i patrioti che combattono per il nascente Stato italiano. Sempre costretto in casa, Giacomo compone la più importante lirica dai tempi di Dante Alighieri: L’infinito. Finalmente, suo zio Carlo Antici riesce a strapparlo all’attaccamento morboso del padre e portarlo a Roma, dove Giacomo rifiuta la carriera ecclesiastica: lui sogna l’amore e la libertà, ma si scontra con una città mondana e superficiale, per cui si trasferisce a Milano, dove consegna alle stampe la prima edizione ufficiale delle Operette morali, caposaldo della filosofia italiana. A causa della natura dei suoi scritti, Giacomo si ritrova in gravi ristrettezze economiche. Per questa ragione decide di spostarsi a Firenze, dove conosce Vieusseux, figura di spicco dei patrioti italiani. È in questo periodo che stringe il suo sodalizio con il fascinoso patriota napoletano Antonio Ranieri, che si offre di fargli da agente, e conosce Fanny Targioni Tozzetti, la donna più bella e sensuale di Firenze, di cui si innamora. Ranieri gli promette che lo aiuterà a conquistarla. Di nuovo nel 1837, Ranieri ha convinto Don Carmine a seppellire Leopardi in chiesa. Nel salutarlo un’ultima volta, Ranieri trova nel taschino del suo frac la lettera d’amore che Fanny gli ha scritto. Antonio ricorda quella lettera e capisce che Leopardi ha risposto a Fanny spacciandosi per lui.

 

SECONDA PARTE

Napoli, 1838. All’arrivo di Fanny, Antonio non riesce a nascondere il piacere di rivederla. Finalmente soli, i due si abbandonano all’amore trattenuto per anni per non ferire Giacomo. Dopo quella rinnovata passione, Ranieri ripercorre con l’amata Fanny il legame con Leopardi. Firenze, 1830. Giacomo e Antonio fanno spesso visita a Fanny nel suo salotto letterario. Antonio fa di tutto affinché lei si avvicini a Giacomo ma lei, che adora il suo genio, lo considera solo un buon amico, mentre è innamorata di Antonio, che però si rifiuta di tradire la promessa fatta a Giacomo. Gli austriaci sono ovunque, anche tra gli amici, e la rivista satirica ideata da Giacomo, Le Flȃneur, subisce il divieto di pubblicazione. Nel frattempo, Bologna è insorta e Giacomo è stato nominato delegato all’Assemblea nazionale del nuovo Stato italiano. Giacomo, però, non ammette compromessi e si scontra con i patrioti. Antonio passa sempre più tempo con la sua amante, la famosa attrice Lenina Pelzet. Con lei va a Roma, lasciando Giacomo in balìa del suo amore per Fanny, mai dichiarato e mai ricambiato. Giacomo capisce che Fanny è innamorata di Antonio. È affranto, eppure accetta il suo sentimento e all’oscuro dei due cerca di farli incontrare. Antonio finisce per cedere all’affetto di Fanny, pentendosene subito. Decide quindi di convincere Giacomo, sempre più malato, ad andare a Napoli, dove sua sorella Paolina si prenderà cura di lui. La filosofia e le idee visionarie di Giacomo sono difficili da comprendere in un’epoca che crede ciecamente nel progresso. Per questo Leopardi fatica a farsi accettare anche a Napoli. Scoppia il colera. Giacomo vorrebbe scappare a Parigi ma è ormai troppo malato. Come suo ultimo desiderio si fa mettere da Paolina la lettera d’amore di Fanny per Antonio nel taschino del suo frac, vicina al cuore.

 

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