Bruno Vespa
Venticinque anni di storia italiana
Dal 1996 su Rai1 racconta gli eventi della politica, dell’economia e del costume e porta nelle case degli italiani i fatti della cronaca e dell’attualità. Il programma di Bruno Vespa spegne le candeline con una puntata speciale. «La longevità e la fortuna di una trasmissione non sono fatte di scoop, ma di una fedeltà che in qualche modo si perpetua» dichiara il giornalista al RadiocorriereTv: «Le nozze d’argento con il pubblico sono qualcosa di importante»

In 25 anni sono cambiati il mondo e il Paese, com’è stato raccontare tutto questo al grande pubblico televisivo?
Andando giorno per giorno a fare la spesa al mercato a vedere dove c’era la merce fresca. “Porta a Porta” è cambiata impercettibilmente, giorno dopo giorno, senza che nessuno se ne accorgesse, nemmeno noi, perché tutte le variazioni che sono state fatte sono avvenute senza grandi strategie o riunioni, siamo andati avanti passo dopo passo e abbiamo modificato pian piano la formula, affiancando alla politica altri argomenti. È stata una crescita continua e costante, che ci ha premiato e continua a premiarci.
Quando iniziò la grande avventura di “Porta a Porta” pensava che il programma avrebbe avuto un successo tanto grande?
Per la verità tutti pensavano che la trasmissione sarebbe partita a gennaio e che avremmo chiuso ragionevolmente a giugno. Era impossibile, allora, immaginare di potere fare un programma di politica garbata su Rai1, rete che si era tenuta sempre lontana dalla politica e, soprattutto, negli anni in cui dominavano “Samarcanda”, la politica sanguinosa, la grande rissa. Entrammo in punta di piedi in seconda serata, quando tutti andavano in prima, dopodiché siamo stati molto fortunati e abbiamo dato anche opportunità nuove alla comunicazione politica.
Dal suo osservatorio, come sono cambiati gli italiani?
Dipende molto dai momenti. Dal 1996 in poi abbiamo visto soprattutto crisi, sono vent’anni che non cresciamo, momenti buoni non è che ne abbiamo veramente avuti. Il compito di “Porta a Porta” è stato quello di raccontare soprattutto le crisi, i momenti di difficoltà, e di mettersi sempre nello stato d’animo degli italiani. Io parto dal presupposto che un giornalista e una trasmissione televisiva non devono mai dare ragione all’opinione pubblica per principio, perché non è detto che l’opinione pubblica abbia sempre ragione, anzi, qualche volta sbaglia, bisogna rispettarla e farla riflettere sulla possibilità che esistano anche altre opzioni, altri atteggiamenti. Ad esempio, l’opinione pubblica è tradizionalmente antipolitica, ma siccome noi crediamo che la democrazia non possa fare a meno della politica, il nostro compito è stato anche quello, criticando la politica, di aiutare la gente a capirla e a rispettarla.