LUDOVICA CIASCHETTI

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La mia Olly ci sorprenderà

Lunghi mesi sul set per girare l’ottava stagione della popolare serie di Rai 1, oggi il successo e il calore della platea televisiva. Il RadiocorriereTv incontra la giovane attrice abruzzese, new entry in “Che Dio ci aiuti 8”

 

Come è stato il suo incontro con il mondo di “Che Dio ci aiuti”?

È stato innanzitutto una sorpresa. Ho saputo che avrei interpretato Olly solo due settimane prima che si cominciasse a girare. Quando mi è stato detto di essere stata presa ero felicissima e ho provato grande gratitudine verso chi aveva pensato a me per interpretare un personaggio tanto interessante, destinato a crescere nel corso delle puntate. Ero anche un po’ in ansia perché è stato il mio primo ruolo con i toni della commedia, un lato di me che sapevo di avere ma con il quale fino ad allora avevo giocato poco.

Chi è la sua Olly?

Una ragazza dal passato non semplice. La vediamo precisa, meticolosa, puntuale, anche un po’ bacchettona. È arrivata da bambina nella casa-famiglia, e quella realtà è la cosa più simile a una famiglia tra quelle che ha conosciuto, è un luogo del quale è anche un po’ gelosa e vive come un’intrusione l’ingresso di altre persone. Grazie all’arrivo di Suor Azzurra, Melody e Cristina imparerà a riscoprire il suo passato e a capire che questo non è un’etichetta sulla sua persona. La vedremo aprirsi, conosceremo tante altre sue sfaccettature.

Se dovesse attribuire a Olly un aggettivo quale utilizzerebbe?

Con uno solo non è semplice. Gliene attribuirei almeno tre e direi: meticolosa, un po’ cinica e anche un’ottima ascoltatrice. Proprio grazie alle parole degli altri riuscirà a metabolizzare meglio la sua storia, il suo passato.

 

Dalla scrittura al set, cosa ha dato, di Ludovica, al suo personaggio?

Quando abbiamo fatto le prove di lettura temevo che Olly potesse risultare un po’ antipatica, per questo ho dovuto cercare delle forme che la rendessero un pochino più umana. Attraverso la sua ironia ho cercato di mostrare come certi suoi atteggiamenti non sono altro che una corazza che la aiuta a proteggersi.

Ludovica a cena con Olly, dove la porterebbe e di che cosa parlereste?

La porterei sicuramente in un ristorante vegano per farla sentire accolta, compresa, in quanto lei è molto attenta ai temi dell’ambiente. Le direi di ascoltarsi di più e di lasciarsi andare con l’altro, perché l’altro può aiutarci a crescere, a evolvere. Le consiglierei di essere un po’ più paziente con se stessa.

Come è stato il suo primo incontro con Francesca Chillemi e Giovanni Scifoni?

Ho avuto suggestioni positive sin dalle prove lettura. Trasmettono una super energia, super positività, con entrambi ho subito “cliccato”. Giovanni è un po’ più caotico e casinista anche sul set (sorride), Francesca è più concentrata. Due poli opposti ma essenziali, si sono compensati e hanno fatto sì che il lavoro fosse equilibrato. Sono stati incontri molto speciali.

Cosa l’ha spinta verso la carriera dell’attrice?

Non era nei miei piani, da piccola volevo fare la veterinaria. Ma negli anni del liceo a Chieti, facendo anche attività sportiva agonistica (atletica) mi infortunai, fu allora che una compagna di classe mi consigliò un corso di recitazione. Iniziai e conobbi quello che poi sarebbe stato il mio agente. Da quel momento non ho più smesso, mi trasferii poi a Roma ed entrai all’Accademia Silvio D’Amico.

Che cosa impara da un personaggio, sia questo reale o di fantasia?

È diverso da progetto a progetto. Quello che porti a casa da un’esperienza non è sempre relativo al tuo personaggio o a quel set, ma può essere anche un’attitudine lavorativa. Da “Che Dio ci aiuti” ho imparato tantissimo proprio rispetto alla mia attitudine al lavoro. Sono stati otto mesi intensissimi, non avevo mai lavorato per così tanti giorni di fila, per tante ore, senza pause. E sempre dovendo rendere al massimo. Sono stata abituata per otto mesi a trottare. Questo set mi ha insegnato anche ciò che la stessa Olly doveva imparare: ad aprirsi un pochino, a non avere paura dell’incontro con l’altro, a non temere di cambiare prospettiva sulle cose. La serie sul caso Claps (“Per Elisa”), ad esempio, mi ha lasciato una forte scia umana. Per riprendermi, dopo il set, ci ho messo molto tempo, emotivamente è stato difficile, sentivamo una responsabilità immensa per quello che stavamo portando in scena.

Si pensi nel futuro, cosa augura a Ludovica?

Di sentirsi radicata nella sua quotidianità. È una cosa che sto iniziando a scoprire adesso, nella mia vita sto provando tanta gioia per le cose che mi circondano, che mi sono costruita: i miei rapporti, le mie relazioni, la mia famiglia, mi auguro tra tanti anni, insieme al mio lavoro e alle cose in cui credo, di sentirmi ancora salda a terra, con i miei valori.

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Il Sogno di Roberto Benigni

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Mercoledì 19 marzo il premio Oscar® Roberto Benigni torna con un nuovo spettacolo in diretta su Rai 1

A dieci anni di distanza dal successo de “I dieci comandamenti”, l’artista toscano, noto per la sua capacità di unire comicità, poesia e profondità, torna con uno spettacolo inedito ricco di emozioni e spunti di riflessioni. Il premio Oscar® Roberto Benigni torna in prima serata con un nuovo spettacolo dal titolo “Il Sogno”, che andrà in onda in diretta su Rai 1 mercoledì 19 marzo alle ore 21.30. “Stupore, sorpresa, verità, bellezza: ci metterò tutta la mia gioia e il mio sentimento – ha dichiarato Roberto Benigni – Nel corso dello spettacolo si parlerà di noi, dell’Europa, del mondo, della nostra vita. Si parlerà delle nostre aspirazioni e soprattutto dei nostri sogni. E io sono un grande sognatore. E siccome, come dice il Poeta, i grandi sognatori non sognano mai da soli, sogneremo tutti insieme”. L’appuntamento sarà trasmesso in Eurovisione e in contemporanea su Rai Radio 2 e in streaming su RaiPlay. Per favorire una maggiore inclusione Rai Pubblica Utilità sottotitolerà il programma in diretta su Rai 1 e RaiPlay a partire dal giorno seguente; “Il Sogno”, realizzato dalla Direzione Intrattenimento Prime Time e da Melampo Cinematografica, sarà integralmente tradotto in LIS, sottotitolato su un canale dedicato di RaiPlay, audiodescritto su Rai 1 e in streaming su RaiPlay. I testi sono di Roberto Benigni e Michele Ballerin, le musiche di Nicola Piovani, la scenografia di Chiara Castelli, la regia di Stefano Vicario.

 

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VALERIA SOLARINO

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Io e Marco, quante risate

Nella serie tratta dai romanzi di Antonio Manzini è la giornalista Sandra Buccellato. L’attrice al RadiocorriereTv: «il rapporto con Marco è la cosa che più mi piace di questa serie. Giallini incarna totalmente il personaggio di Rocco Schiavone e questo è il valore aggiunto». Il mercoledì in prima serata su Rai 2

 

Sandra Buccellato e Rocco Schiavone, un rapporto professionale e sentimentale contraddittorio, a volte tormentato…

Sandra continua a fare inchieste per il suo giornale cercando di ottenere da Rocco informazioni in anteprima su ciò che accade nella Valle. Tra loro ci sono stima e attrazione, è ancora una volta lei a dargli l’opportunità di cambiare vita, anche se alla fine c’è sempre qualcosa che non funziona, non riescono ad avere una relazione sentimentale e nemmeno a essere buoni amici. È un tira e molla continuo…

… che attrae lo spettatore…

… Antonio Manzini dà un’occasione a Rocco. Non che Sandra debba essere necessariamente la donna della sua vita, ma è certamente una possibilità per prendere consapevolezza che il suo passato drammatico è, appunto, passato. Lui non può continuare a tenersi dentro il dolore della perdita della moglie, deve andare avanti. Della donna che ha amato deve rimanere solo il pensiero della bellezza.

Come è stato ritrovare sul set Marco Giallini?

Con lui è sempre tutto molto divertente, il rapporto con Marco è la cosa che più mi piace di questa serie. Giallini incarna totalmente il personaggio di Schiavone e questo è il valore aggiunto. Sono onorata di lavorare con lui che è una persona molto carina.

Com’è stato tornare a girare ad Aosta?

Quello di Aosta è un set particolare, in città ci ero stata solo da turista. Per me oggi pensare alla Valle d’Aosta è pensare a Rocco Schiavone.

Quali aspetti di Sandra le appartengono?

Forse la grande passione che lei ha per il suo lavoro e la serietà con cui lo affronta. Sandra ha caratteristiche anche molto diverse dalle mie, ma lei mi affascina soprattutto per la missione che si è data, quella di poter salvare Rocco.

Cosa ama dare di sé alla sua Sandra?

Noi attori rispettiamo fedelmente la scrittura, ma al tempo stesso, girando la serie, avvengono personalizzazioni, attraverso sguardi, pause, sorrisi, e tante altre situazioni che si creano. Marco Giallini è un attore molto generoso, molto presente durante la scena. Ci sono attori che invece la vivono con distacco. Marco ti permette di far vivere il tuo personaggio insieme al suo e di fare accadere delle cose lì per lì. Questo avviene anche grazie all’aiuto di Simone Spada, il regista, che è molto delicato, non impone ma ci ascolta, una cosa molto bella.

Quali sono gli elementi che fanno di “Rocco Schiavone” una serie di successo?

È senza dubbio un genere che piace. Punto di forza è certamente la scrittura, una narrazione tratta da libri in cui c’è tanta azione. Elemento fondamentale è anche Marco Giallini, che incarna perfettamente il personaggio protagonista e lo fa vivere in un modo carismatico. Sono entrata in questa serie che era già iniziata, prima di avere il mio ruolo ne ero spettatrice e fan.

Tv, teatro, cinema. Quale aspetto della recitazione le manca da esplorare ancora?

Della recitazione ho esplorato tutto. Ho fatto Tv, teatro, cinema. Forse mi manca la direzione, cioè stare dall’altra parte. Ma non so ancora dire se sia una cosa che mi interessi davvero.

 

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CARMINE RECANO

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La scuola e l’arte per cambiare le cose

Un incontro, quello con la recitazione, avvenuto quasi per caso accompagnando un amico a un corso di teatro. Nella carriera dell’attore napoletano, da fine anni Novanta a oggi, si sono alternati i set di cinema e televisione ai palcoscenici dei teatri, il genere drammatico alla commedia. Una popolarità crescente fino alla consacrazione con “Mare Fuori” e oggi con “Belcanto”, fiction di successo in onda il lunedì su Rai 1

 

“Belcanto” su Rai 1, il ritorno di “Mare Fuori” su RaiPlay e presto su Rai 2, come vive questo momento lavorativo così intenso?

Dopo nove mesi consecutivi di set siamo stati impegnati nella promozione di entrambe le serie: “Belcanto”, il cui riscontro di pubblico è importante, e “Mare Fuori”, che partirà a breve. Sono stanco, provato ma davvero molto contento (sorride).

Come è stato l’incontro con il personaggio di Carlo Bernasca in “Belcanto”?

Particolare. Ho cercato di portare in scena il suo dolore. Bernasca è segnato dal proprio passato, con la morte del figlio si è chiuso in se stesso, in una zona grigia, e ha iniziato a trafficare armi. Quando incontra Maria e le figlie avviene il cambiamento. Lui non giudica, il dolore gli ha insegnato ad accogliere. Per questo motivo apre la propria casa alle tre donne ed empatizza con loro. Da attore ho messo Carlo in ascolto.

Dietro la macchina da presa ha ritrovato Carmine Elia, regista che già la diresse nella prima stagione di “Mare Fuori”…

Carmine arriva sul set e stravolge qualsiasi cosa, lo fa ogni giorno, con lui anche studiare a memoria la parte non serve (sorride), è un allenamento continuo. Ti leva le strutture, le sicurezze, e così esce la tua parte vera, sincera.

È il 1848, le regioni del Nord Italia vogliono l’indipendenza dall’Austria, le tre protagoniste lottano per un futuro diverso…

In “Belcanto” ci sono i fatti della storia ma ci sono soprattutto i temi del riscatto sociale e dell’emancipazione femminile, che si realizzano anche attraverso il canto, la lirica. Lo sfondo storico, il sentimento rivoluzionario diffuso, vanno di pari passo con la storia di tre donne in cerca di una vita nuova…

Le è capitato o le capita di sentirsi in qualche modo “rivoluzionario”?

Ho sempre lottato per la mia indipendenza e la mia libertà interiore, pur avendo avuto una famiglia che mi ha trasmesso valori importanti e ha sempre rispettato le mie scelte osservandomi da lontano. Nel costruire la mia carriera mi è capitato di dover lottare, di mettermi in gioco. Come uomo sono stato motore di me stesso.

“Belcanto” come “Mare Fuori”, dietro al successo di una serie ci sono sempre le persone…

Persone con cui lavoro da tempo, persone che scelgono di lavorare di volta in volta insieme, e che per me sono famiglia. Il successo di un progetto passa anche attraverso il valore umano di chi ne fa parte. Quando c’è un gruppo di lavoro che si stima, si rispetta e si vuole bene, fa la differenza. Tutto questo arriva allo spettatore.

In “Mare Fuori” ritrova Massimo Esposito, il comandante, come è cambiato, nel corso delle stagioni, il suo personaggio?

Massimo sa creare una connessione umana con gli altri. Ha questo legame paterno con i ragazzi, abbraccia le loro storie e cerca di creare un rapporto di fiducia, che gli permette di andare oltre le apparenze. In questi anni Massimo mi ha dato la possibilità di vivere emozioni diverse, prima con il rapporto paterno con Carmine, poi la sua vicenda familiare. Oggi ritroveremo un comandante più solo nella sfera privata ma molto più partecipe all’interno del carcere. Ci saranno i nuovi ingressi che porteranno scompiglio nell’IPM, motivo per il quale il suo rapporto con la direttrice sarà più conflittuale. Avranno una visione diversa. Altro elemento centrale della narrazione è il rapporto con Rosa Ricci. Nella serie precedente Massimo promise a Carmine di salvarla, farà quindi di tutto per riportarla sulla retta via.

Cosa dà l’essere napoletano al mestiere dell’attore?

Potrei dire la tradizione della commedia dell’arte, che influisce sul nostro percorso formativo, o il fatto che Napoli è sinonimo di arte e bellezza, ma credo che a fare la differenza sia soprattutto il potenziale umano delle persone. Se vivi ogni giorno questa città ti rendi conto di questo e lo fai tuo.

Cosa ha capito di più dei giovani grazie a “Mare Fuori”?

Vengo da un contesto popolare, molte delle storie narrate da “Mare Fuori” non le ho vissute direttamente ma tramite le esperienze degli altri. Ho imparato che purtroppo nella vita non tutti hanno la possibilità di scegliere con consapevolezza, perché a volte mancano gli strumenti. E quando non hai gli strumenti giusti per affrontare momenti difficili è molto più semplice sbagliare. Per questo motivo, da adulto, penso che si debbano rimettere al centro della nostra società la scuola, l’arte e lo sport, gli unici strumenti che abbiamo per cambiare le cose. La scuola e la famiglia ti trasmettono i valori, l’arte ti dà consapevolezza, sono le basi della vita. Se non hai la fortuna di studiare fai fatica ad affrontarla.

Come vive il raggiunto successo?

Ho un’età nella quale vivo in modo sereno ciò che mi accade oggi, consapevole del fatto che questo lavoro è fatto di alti e di bassi. Detto questo, sono stato anche fortunato, perché iniziai per caso. Accompagnai a un corso in teatro un amico che aveva problemi a socializzare. Fecero dei provini, mi notarono e dopo quindici giorni arrivò la telefonata a casa. In questi anni ho avuto una mia continuità lavorativa. Certo, mi sono sacrificato, ho lavorato molto tra film, serie e teatro, fino ad arrivare a oggi.

Un attore si abitua ad ascoltare e ad accettare il giudizio degli altri?

Facendo l’attore ti esponi inevitabilmente al giudizio altrui. Certo, fa piacere quando hai un riscontro affettuoso da parte del pubblico (sorride). Nella vita in generale, invece, il giudizio degli altri non mi ha mai toccato.

Se apre il cassetto dei sogni, cosa vede?

Non sono un sognatore, sono una persona realistica, molto pratica. Ogni tanto guardo indietro, do un occhio al passato, ma vivo molto il presente.

Cosa le dà felicità?

Tutto quello che ho fatto nella vita, la famiglia che ho costruito, il lavoro che faccio. Questo mi rende sereno, ecco, credo che la serenità sia una cosa ancora più alta rispetto alla felicità.

 

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PIERO CHIAMBRETTI

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Fin che la barca va… controcorrente

Non un conduttore ma un marinaio, non ospiti ma passeggeri.  Venti minuti in navigazione sul Tevere nel cuore di Roma, per riflettere con ironia sul senso delle cose e sui fatti della vita. Dal 10 marzo alle 20.15 su Rai 3

La navigazione sta per avere inizio, dove ci porterà con la sua barca dal prossimo lunedì?

Le parole che viaggiano sull’acqua sono un po’ la piccola novità di questa trasmissione che mi porta nuovamente ad abbandonare gli studi televisivi, questa volta per navigare su un fiume, il Tevere, che fa parte della storia di Roma stessa. La barca in navigazione ha anche un significato simbolico: il famoso “panta rei” di Eraclito ci permette anche di essere più intelligenti, perché noi scorriamo, insieme alla nostra barca, nella famosa metafora per cui “tutto scorre, tutto cambia”. E cambiamo anche noi dando un sapore, metafisico o filosofico, a questo viaggio. Con i nostri ospiti-passeggeri parleremo di tante cose, facendo una valutazione più profonda del senso della vita. Questo non vuol dire che il programma sia intimista. “Fin che la barca va”, ponte ideale tra “Blob” e “Il Cavallo e la Torre”, è un programma brillante, che si occupa di fare un approfondimento di notizie, titoli di giornali, o anche di cose che riguardano gli stessi passeggeri che salgono a bordo.

Un bravo marinaio, prima di prendere il largo, guarda il cielo, l’orizzonte, cosa vede lei in questo momento storico?

Tanta precarietà, la consuetudine di vivere alla giornata. Nessuno dice più “ho un progetto a cinque anni”. Oggi i progetti sono a cinque minuti, e questo mentre imperversano guerre e pestilenze. Il programma sarà una riflessione su fatti che dimostrano che tutto è relativo. Cercheremo di andare controcorrente, perché la barca va controcorrente, risaliamo il fiume dall’Isola Tiberina a Castel Sant’Angelo.

È cresciuto a Torino e ha quasi sempre lavorato a Milano. Che rapporto ha con la Capitale?

Di Roma ho bellissimi ricordi, i miei natali professionali, a parte un inizio torinese-napoletano e anche all’Antoniano di Bologna, sono legati a questa città. Credo di potermi fregiare di essere stato uno dei fondatori della Rai 3 di Angelo Guglielmi insieme a tanti altri protagonisti, da Andrea Barbato a Enrico Ghezzi e Marco Giusti, da Michele Santoro a Serena Dandini. Eravamo un gruppo molto forte di professionisti e di amici. Un programma come “Il portalettere”, realizzato a Roma, ti rimane nel cuore, ogni volta che torno non mancano i flashback. Non posso non ricordare anche un altro programma andato in onda da questa città, ed è “Chiambretti c’è”, fatto con Gianni Boncompagni, uno dei più grandi della Tv, un eclettico di altissimo profilo.  Fu un’esperienza molto interessante, che mi fece anche considerare un nuovo modo di utilizzare gli ospiti, a partire da quelli femminili, nei miei programmi. Prima di Gianni pensavo di dover ospitare solo preti, suore, alpini, personaggi della strada, o grandi star di periodi precedenti come Sandro Paternostro, Nanni Loy, Gianluigi Marianini o Helenio Herrera, figure recuperate dalla memoria televisiva che ogni tanto si perde qualche colpo.

In navigazione sul Tevere, ma è sicuro di non soffrire di mal di mare, o meglio, di mal di fiume?

Da ragazzo ho lavorato come animatore sulle navi da crociera. Le navi le conosco, ricordo che nel Golfo del Leone (tratto di Mediterraneo tra Marsiglia e Barcellona) il mare arrivava fino a forza nove. So cosa significhi il mare in tempesta (sorride). E pure devo dire che con un po’ di pane secco e sdraiandomi sul mio lettino a castello nelle cabine dell’equipaggio, superavo le difficoltà che altri nemmeno con la pastiglia riuscivano a risolvere.

C’è una “regola aurea” che applica alle sue interviste?

Penso che le interviste siano sempre e solo un pretesto per creare un dialogo che permetta una circolazione di parole, di schermaglie dialettiche, di battute, come si può fare anche in una commedia, con la differenza che in un’intervista i riferimenti sono sull’attualità.  Solitamente le commedie vengono scritte per allontanarsi dalla realtà o usando stereotipi dell’attualità, e non per scoprire le verità altrui. Al tempo stesso sono dell’avviso che le verità siano mille e non una, e meno che mai quelle che vengono sparate in televisione (sorride).

Esiste un ospite ideale?

Lo sono tutti, purché partecipino al programma con l’intenzione di farne parte, nel bene e nel male. Può funzionare molto di più un ospite che non apre mai la bocca, ma che diventa magari uno spettacolo per il suo vero o presunto imbarazzo, di uno che parla sempre di cose che annoiano. Non è tanto chi viene o chi non viene, ma come si comporta.

Quanto pesa il grande personaggio sulla riuscita di un’intervista?

Di recente ho intervistato Jannik Sinner e Matteo Berrettini nel corso di una premiazione della Federazione Italiana Tennis e quell’intervista è stata molto cliccata in tutto il mondo perché i due ragazzi sono emersi in modo inatteso: è chiaro il loro personale rapporto di amici, ma anche di complicità e di competizione su come giocano e come conquistano trofei e anche qualche meravigliosa presenza femminile. È diventata una schermaglia dialettica divertentissima che ha dato all’intervista una luce superiore: quanto è più alto il protagonista tanto più l’intervistatore prende luce dall’intervistato. Ma visto che non sempre si possono avere personaggi di così alto profilo, credo si possa fare un lavoro, molto più difficile, con personaggi che questa luce non la trasmettono: sono semplicemente delle belle figure che non hanno grandissima risonanza. Si può fare bene lo stesso anche con i numeri due, che potrebbero anche essere numeri uno inconsapevoli.

Lei è maestro di ironia, ma c’è qualcosa che la mette in imbarazzo?

La superficialità con la quale spesso si affrontano gli argomenti e si danno giudizi. Tutti parlano di tutto, la categoria degli opinionisti televisivi ormai dovrebbe avere un sindacato. Per parlare di qualunque cosa si chiama chiunque puntando su persone che abbiano notorietà, non tanto autorevolezza su un certo argomento. Credo di essere tutto e il contrario di tutto, ma mai superficiale.

Nella vita come in barca prevede sempre il salvagente?

Sulla nostra barca ce ne sono otto, così almeno siamo scaramantici (sorride).

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BIANCA PANCONI

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Con Melody amore a prima vista

Nella Casa del sorriso di “Che Dio ci aiuti” veste i panni della giovane in fuga da una vita di violenze e alla ricerca di un nuovo inizio. Il RadiocorriereTv incontra la talentuosa attrice fiorentina, già protagonista di amate fiction Rai. L’appuntamento con la serie diretta da Francesco Vicario è per ogni giovedì in prima serata su Rai 1

 

Come è stato l’incontro con il mondo di “Che Dio ci aiuti”?

Entrare in un set avviato mi incuteva all’inizio un po’ di timore, a rasserenarmi è stato però il fatto che noi ragazzi fossimo sulla stessa barca essendo tutti nuovi. Abbiamo stretto amicizia ed è stato molto bello. Ci siamo dati una mano per lunghi mesi, da giugno dello scorso anno a fine gennaio.

E con la sua Melody?

Melody mi è piaciuta sin dalla prima lettura del copione, l’ho sentita immediatamente nelle mie corde, al provino l’ho fatta in modo spontaneo. Da attrice e da donna è stato interessante entrare nei panni di una persona che, senza rendersene nemmeno conto, è vittima di una manipolazione. Melody è un personaggio un po’ naïf, ma nel corso delle settimane scopriremo anche il suo lato comico (sorride).

Dalla scrittura al set, cosa ha aggiunto, di Bianca, al suo personaggio?

Per alcuni versi siamo un po’ simili: anche io vivo nel mio mondo, a volta fatico a rendermi conto di chi ho davanti. Una sorta di ingenuità che si affianca a un grande entusiasmo nei confronti della vita. Melody riuscirà a integrarsi bene nella Casa del sorriso, a diventare amica di tutte, a creare dei legami. In questo è molto simile a me. Lei mi ricorda un po’ Biancaneve nel suo mondo. Capita anche a me di sentirmi un po’ così.

In comune avete anche la passione per il canto…

Mi piace molto cantare e sono appassionata di musical. La voce è collegata alle emozioni e, come dice la mia insegnante di canto, è la prima cosa che facciamo sentire agli altri. Racconta chi siamo. Sono state proprio alcune mie cover postate sui social a spingere prima la casting director, poi il regista, a pensare a me per il personaggio di Melody.

Che ricordi ha del suo primo giorno di set?

Fu travolgente, girammo sul set della casa-famiglia, eravamo sedute a tavola. Purtroppo, avevo perso da poco mia mamma e avevo paura di deludere, di non riuscire a essere concentrata. Il lavoro, invece, mi ha aiutata tanto, è stato una valvola di sfogo.

Una sera a cena con la sua Melody, dove la porterebbe?

A un ristorante vegano, un luogo pieno di colore.

Di che cosa parlereste?

Penso di musica, le consiglierei di dedicarsi all’arte, sarebbe per lei un’importante valvola di sfogo.

Come è stato invece il suo incontro con l’arte?

Mia madre era ballerina e insegnava danza, mio padre suona e ama cantare. Il mio desiderio di recitare è nato da un sentimento di unione che ho percepito durante i corsi di teatro. All’inizio ero molto scettica, quando mi contattò la mia attuale agente pensai che fosse uno scam (truffa), facevo fatica a credere che senza conoscere persone dell’ambiente potessero arrivare proposte di lavoro. Cado un po’ sempre dal pero (sorride).

Nel suo cassetto dei sogni che cosa c’è?

Una bella carriera stabilizzata, perché odio la precarietà di questo lavoro (sorride). Al tempo stesso spero di avere sempre accanto le persone che amo, una famiglia, non riuscirei mai a non avere i miei affetti vicino. La vita è molto di più di questo lavoro. Molti artisti vedono nel solo successo e nella sola carriera la loro soddisfazione, in realtà quello che ci rende artisti è essere umani. Se perdi l’umanità non puoi trasmettere nulla.

Cosa ha provato rivedendosi in Tv?

All’inizio avevo paura, sono molto critica. Ma sono anche molto curiosa. Dai commenti mi sembra che la gente stia empatizzando con Melody e questo mi rende contenta.

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CARTOONS ON THE BAY 2025

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Quentin Blake firma il manifesto dell’edizione 2025

Al disegnatore britannico il Festival assegnerà il Pulcinella Career Award

l Pulcinella di Quentin Blake nel mare di Pescara è il protagonista del manifesto di Cartoons On The Bay 2025, in programma nella città abruzzese dal 29 maggio al 1° giugno. Il celebre disegnatore, illustratore e scrittore britannico, pilastro della narrativa per l’infanzia di numerose generazioni, riceverà il Pulcinella Career Award. Nato a Londra nel 1932, ha pubblicato i suoi primi disegni sulla rivista satirica Punch quando aveva 16 anni. Nel corso della sua lunga carriera ha illustrato libri classici, sia per bambini che per adulti, e ha creato personaggi iconici come Mister Magnolia e la signora Armitage. I suoi libri hanno ricevuto premi e riconoscimenti in tutto il mondo vendendo oltre 45 milioni di copie. “Cartoons On The Bay”, diretto da Roberto Genovesi, è promosso da Rai e organizzato da Rai Com.

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Somewhere Out There

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La mia vita a cartoni animati

Dal 12 marzo nelle librerie e negli store digitali l’autobiografia di uno degli ultimi maestri dell’età d’oro dell’animazione

Il nome di Don Bluth è legato a film d’animazione indimenticabili, premiati e acclamati dalla critica, che hanno segnato intere generazioni, come “Brisby e il segreto” di NIMH, “Fievel sbarca in America”, “Alla ricerca della Valle Incantata”, nonché al rivoluzionario videogioco “Dragon’s Lair”. In “Somewhere Out There” Bluth racconta in prima persona la sua vita e la sua brillante carriera nel mondo dell’intrattenimento. L’infanzia nel Texas rurale e nello Utah, la fede in Dio che lo avrebbe spinto ad accettare la chiamata e partire come missionario, fino all’ingresso, a soli diciott’anni, negli Studios di Hollywood al fianco del suo idolo, Walt Disney. Dopo aver contribuito ai classici “La bella addormentata nel bosco”, “La spada nella roccia”, “Robin Hood”, “Le avventure di Winnie the Pooh”, “Le avventure di Bianca e Bernie” ed “Elliott, il drago invisibile”, Don sceglie di rischiare tutto e di fondare la propria casa di produzione. Ed è così che nascono alcuni dei film e dei videogame più amati di sempre. Il dietro le quinte di una vita dedicata a seguire la vocazione artistica e a coltivare la creatività nella maniera più libera possibile: la storia unica di un’icona che ha divertito, affascinato e ispirato milioni di persone in tutto il mondo.

“Somewhere Out There” è disponibile dal 12 marzo nelle librerie e negli store digitali. Il volume è inserito in Digital Loop, la collana di Rai Libri dedicata alla crossmedialità e alla transmedialità, agli universi contigui a quello della televisione e alla loro influenza sull’evoluzione del linguaggio e del prodotto radiotelevisivo.

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HERBERT BALLERINA

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I miei personaggi, surrogati di me stesso

L’attore è uno dei protagonisti di “Stasera tutto è possibile” ogni martedì alle ore 21.20 su Rai2 e RaiPlay con la conduzione di Stefano De Martino, programma realizzato dalla Direzione Intrattenimento Prime Time in collaborazione con Endemol Shine Italy. La carriera dell’artista, l’origine del nome, il successo con il comedy show in prima serata, nell’intervista al RadiocorriereTv

 “Stasera tutto è possibile” si conferma sempre più un successo…

Ci troviamo sempre meglio e credo che il successo provenga anche dal fatto che c’è un gruppo ben affiatato di amici. A me sembra sempre di andare a una festa. È un po’ faticoso perché noi, praticamente, facciamo lo spettacolo anche prima di registrare, dato che arriviamo molto presto.

Cosa succede dietro le quinte?

Di tutto, perché siamo dieci comici insieme. Ognuno cerca di fare la battuta più divertente e non solo in trasmissione. C’è ad esempio chi finisce in un carrello della spesa e ci resta per tutta la puntata, cosa accaduta per davvero all’amico Paolantoni.  C’è poi l’abitudine di chiamare una pizzeria o un ristorante di Napoli per poter mangiare tutti insieme alla fine della trasmissione, una cosa che in televisione non capita spesso.

Dà vita a molti momenti esilaranti del programma. Come ci si prepara all’improvvisazione?

L’improvvisazione purtroppo non si può imparare, non si può neanche studiare ma si può allenare. Bisogna avere la fortuna di stare con persone che riescono a recepire quello che si può dare in quel momento e avere un condottiero, che in questo caso è Stefano De Martino, che riesce a fare gruppo in una maniera incredibile. E siccome ci conosce bene, riesce anche a tirare fuori da ognuno di noi il massimo. Stefano è un altro ingrediente fondamentale del successo e con lui siamo totalmente liberi.

C’è un momento di “Stasera tutto e possibile” che non dimenticherà per quanto si è divertito?

Mi diverto sempre molto e sudo anche molto. Lo scorso anno mi sono fatto la radiografia alle costole perché ero caduto dalla stanza inclinata. Quella è stata una cosa indimenticabile, perché sono finito addirittura fuori dalla stanza e credo sia stata la prima volta.

La sua carriera è iniziata grazie a finti trailer. Come le venne quell’idea?

Iniziò tutto con la volontà di prendere in giro i film americani.

Quando ha capito che il suo modo di proporsi al pubblico diverte?

Fin da piccolo ho attratto la risata degli altri. Mi sento schiavo dell’umorismo, anche perché crescendo mi rendevo conto che la gente intorno a me rideva. Ma la vera storia è iniziata quando mi sono proposto cameraman pur di prendere un lavoro. Non ne ero affatto capace, tanto che registrai tutto storto, ma andò bene lo stesso. Iniziai poi a fare l’autore sempre all’interno della casa di produzione in tutti i ruoli possibili immaginabili.

Si sente quindi un comico involontario?

In effetti sì. Dato che non funzionavo dietro la camera, si sono accorti che funzionavo davanti.

È vero che Checco Zalone la cercava per un suo film e che, non trovando un suo agente, le scrisse sui social?

Tutto verissimo. Non avevamo agenti perché si trattava di una factory nostra dove facevamo tutto noi, dal produttore al consumatore. Zalone vedendo quei trailer mi ha scritto sui social e mi ha proposto un film.

Qualche curiosità sul suo nome d’arte? Lei in realtà si chiama Luigi Luciano…

Il nome è nato per i trailer e poi è rimasto. Ci servivano dei nomi buffi da mettere e al posto di Brad Pitt abbiamo creato Herbert Ballerina e ad esempio al posto di Catherine Zeta Jones c’era Catherine J Junior. Nomi nati per scimmiottare quelli altisonanti. E poi ce li hanno appioppati per sempre.

Come definirebbe il suo modo di fare satira e parodia?

In realtà non so bene cosa faccio. Si tratta di personaggi surrogati di me stesso. Iniziamo a inserire anche un po’ degli elementi di satira di costume anche se poi io non faccio satira a livello puro. Mi piace prendere in giro delle cose che ci succedono tutti i giorni.

Come vive la città di Napoli nel tempo libero dal programma?

Ormai sono 4-5 anni che vivo metà a Milano e metà a Napoli dove sto benissimo perché è una città perfetta in cui lavorare, specialmente se devi fare roba comica. Il clima è giusto, la gente ti vuole bene quindi c’è anche questo altro ingrediente. Anche il pubblico in studio è molto caldo e cosa che crea una maggiore energia in noi.

Oltre la sua carriera, quali sono le sue passioni?

Tolto il cinema che è stata sempre la mia grande passione mi piace molto il calcio, mi piacciono gli sport in generale, e poi stare a casa con la mia fidanzata. Insomma, cose normali.

C’è qualcosa nella quotidianità che la fa proprio ridere?

Sarà anche banale, ma la realtà mi fa sempre più ridere. Ci sono momenti che non ti aspetti e a Napoli accadono spessissimo.

 

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GIACOMO GIORGIO

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Coerenza (e sfide) d’attore

Dal suo debutto nei panni di Ciro in “Mare fuori” sono trascorsi meno di cinque anni e oggi l’interprete napoletano è uno dei più amati della nostra serialità. Dopo il teen drama, è stato protagonista in numerose serie di successo, da “Sopravvissuti”, a “Per Elisa – Il caso Claps”, da “Doc – Nelle tue mani” a “Belcanto”, in onda il lunedì in prima serata su Rai 1. Tra pubblico e privato si racconta al RadiocorriereTv

“Belcanto” sta appassionando il pubblico di Rai 1 e di RaiPlay, come è stato il suo incontro con questo progetto?

Ho amato “Belcanto” sin dalla prima lettura della sceneggiatura. Me la mandò il regista Carmine Elia mentre stavo girando “Doc”, la lessi tutta d’un fiato in piena notte e verso le 4 del mattino lo chiamai dicendogli che l’avrei fatta. Me ne sono innamorato subito, ne ho visto le potenzialità.

A partire dalla forza dei temi trattati…

In “Belcanto” succedono davvero tante cose, ma i temi dominanti sono l’emancipazione femminile e la scena politica di metà Ottocento. È il 1848, i milanesi vogliono cacciare gli austro-ungarici e anche tra i giovanissimi è forte il desiderio di cambiamento. Sono molti gli spunti di riflessione e di contatto con i nostri giorni. Sul fronte della parità tra uomo e donna c’è purtroppo ancora molto da fare, penso ad esempio al mondo del cinema in cui sono maggiori le occasioni e i compensi per gli uomini. Su quello politico, contrariamente a quanto accadeva quasi duecento anni fa, e senza volere generalizzare, tra i giovani d’oggi avverto una sonnolenza generale e un’attenzione all’individualismo.

Chi è il suo Enrico De Marchi?

Un giovane letterato, un idealista e un sognatore. Vive nel mondo della poesia e pensa che la rivoluzione si debba fare attraverso le parole.  Non vuole la guerra e la violenza, si esprime scrivendo articoli per i giornali, facendo il librettista d’opera. Enrico crede nell’amore e nei sentimenti. Da attore mi ha affascinato il suo incontro con Carolina, vedere crescere il loro amore. Lui che scrive poesie, lei così istintiva e selvaggia. Due mondi lontani che si fondono.

Che cosa le ha lasciato questo tuffo nella storia?

Recitare in costume è sempre molto divertente. Nella finzione puoi essere amico di Giuseppe Verdi, sparare con il fucile, indossare costumi di epoche lontane. “Belcanto” mi ha portato a conoscere più da vicino l’Ottocento così come il mondo della lirica, che avevo già avuto modo di avvicinare grazie ai miei nonni. Girare la serie, scoprire quel momento storico, mi ha fatto anche riflettere sul senso del collettivo, su quanto le rivoluzioni si facciano insieme, sulla forza della parola e come l’odio non porti altro che odio.

C’è un gesto “rivoluzionario” che ha compiuto nella sua vita?

Seppur piccoli mi capita spesso di farne (sorride), penso ad esempio al rifiuto di prendere parte a progetti in cui non credo. Non ho mai ceduto alla paura di non lavorare, al fatto che un no pregiudicasse opportunità future. Ho sempre cercato di essere coerente con il mio percorso, con i miei ideali. Faccio parte di un’associazione che combatte la violenza sulle donne, perché penso che anche piccoli gesti, come il non temere di esprimere la propria opinione, possano portare al cambiamento. Il silenzio non porta mai a qualcosa di buono.

In “Belcanto” alcune delle arie musicali più popolari di sempre sono il filo della narrazione. Con questa esperienza la lirica è entrata anche nella sua playlist?

Ho una playlist dedicata a questa serie, così come a ognuno dei progetti a cui ho preso parte. In quella di “Belcanto” ci sono “Una furtiva lagrima” di Gaetano Donizetti, l’“Intermezzo” della “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni, “Casta Diva” dalla “Norma” di Vincenzo Bellini e soprattutto il “Va, pensiero” del “Nabucco” di Giuseppe Verdi, che amo profondamente…

… suoni che le parlano di famiglia, di casa…

Il “Va, pensiero” era il brano corale più amato dai nonni Carlo e Melina. Lo ascoltavamo insieme. Nonno mi fece promettere che glielo avrei fatto ascoltare poco prima che giungesse la sua fine. Lo promisi e lo feci. Quando seppi che stava per lasciarci corsi a Napoli e riuscii ad arrivare agli sgoccioli della sua vita. Nella serie c’è anche un piccolo omaggio a lui. Nella scena in cui Enrico accompagna Carolina per la prima volta a teatro a vedere l’opera lirica, ringrazio l’amico dal quale ho ricevuto i posti con un estemporaneo “grazie Carlo”. Una battuta di pochissimi istanti, non prevista dal copione, uscita di getto. “Belcanto” è per me la chiusura di un cerchio importante.

Come è cambiato il suo vivere il mestiere dell’attore da Ciro a oggi?

Lo vivo con la stessa umiltà, consapevole del fatto che ogni nuovo personaggio, ogni nuovo progetto, hanno in sé una ripartenza, una sfida. Come ho interpretato Ciro ho interpretato Enrico, e così sarà con i personaggi che incontrerò. Sono convinto che sia il giusto modo anche per rimanere con i piedi per terra.

Guardando al futuro, c’è un ruolo che vorrebbe esplorare?

Il ruolo della mia vita credo debba ancora arrivare (sorride), sono in ascolto. Mi piacerebbe interpretare un personaggio storico realmente esistito, o personaggi già portati sullo schermo da grandi attori del passato, ma anche un cantautore…

… ha già un’idea?

Penso a Luigi Tenco, mi piacerebbe moltissimo.

Le chiedo di guardarsi allo specchio, che cosa dice a Giacomo?

Continua così (sorride), rimani sempre te stesso.

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