Una storia eccezionale

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LEONARDO PIERACCIONI

Tre fratelli si ritrovano attorno al sogno di un padre non più vedente: il “viaggio”, il sogno, lo scoprirsi finalmente vicini. Il regista di “Pare parecchio Parigi” nell’intervista realizzata da 01 Distribution

Come e quando è entrato in contatto con questa incredibile storia vera che ha ispirato il suo quindicesimo film?

Circa 12 anni fa me la raccontò un amico. Mi parve subito eccezionale. Erano due fratelli che rimproverati dal padre morente, di non essere stati mai una famiglia affiatata, decise improvvisamente di partire per un viaggio Parigino che da tanto avevano programmato ma che non avevano mai fatto. Però i due capirono da subito che il padre, molto malato e quasi non più vedente, non avrebbe retto tutti quei chilometri e allora, lo misero comunque steso sul letto della roulotte e iniziarono a girare per il loro podere dicendogli che erano in viaggio. Il povero padre stordito dai suoi malanni ci credette, dopo cinque ore lo portarono su una collina, gli fecero vedere le lucine in lontananza di Pisa e gli dissero che quella era Parigi. Il padre finalmente soddisfatto di quel viaggio sussurrò “Parigi è bellissima”. I due fratelli non capirono mai se il padre si fosse reso conto di quel tenero viaggio immaginario o davvero credeva di essere arrivato davanti alla Ville Lumiere! Una radio locale raccontò in diretta quell’avventura che si stava consumando e un gruppetto di una ventina di romantici sognatori si precipitò ai bordi del podere per fare il tifo a quel viaggio fatto solo di fantasia.

Quali elementi della storia originale sono stati preservati e cosa c’è di inventato?

Ho lasciato l’annuncio di questo viaggio da parte del TG locale che scatena la fantasia della gente. Poi ho lasciato i rapporti dei fratelli che durante il “viaggio” si raccontarono tutte quelle cose che non si erano mai raccontati in tutta la loro vita. Quel viaggio non viaggio diventò una “zona franca” nella quale si potesse finalmente avere una resa dei conti in modo pacifico.

Come hai scelto le attrici per interpretare le tue sorelle sullo schermo, Chiara Francini e Giulia Bevilacqua?

Sono perfette per i due caratteri quasi opposti dei personaggi del film, e anche nella vita mi sono accorto “strada facendo” che sono caratterialmente molto diverse. Il problema della Francini è riuscire a spegnerla tra un ciak e l’altro in quanto è sempre un vulcano di racconti personali, di proposte, di plateali entusiasmi. Giulia Bevilacqua, è più riflessiva, più pacata, più come me e così per tutte le riprese ci siamo scambiati occhiate di benevola sopportazione per la “nostra sorella” invece sempre carica a pallettoni.

Nino Frassica è un’icona della commedia italiana: lo aveva già in mente mentre scriveva la sceneggiatura insieme a Alessandro Riccio?

Un classico dei comici puri come Frassica è che nel loro corredo hanno tutte le sfumature serie se non addirittura tragiche. Gli ho proposto un professore burbero, tosto, severo e lui ce l’aveva. L’unica cosa che non ho potuto non fare è non montare nel film certe sue battute esilaranti che da buon commediante improvvisava durante le riprese e che divertivano tutti.

Il personaggio invece interpretato da Massimo Ceccherini chi è?

È la cattiveria fatta persona! In ogni favola c’è un personaggio così che mette, in questo caso letteralmente il bastone tra le ruote. Lui è l’altrettanto cattivissima madre (Gianna Giachetti) vivono ai bordi del maneggio e guardano questo camper che passa loro davanti come un elemento di disturbo. Sono una coppia che rappresenta il veleno contrapposto alla dolcezza di quel viaggio.

La Toscana è sempre al centro dei tuoi film: come la racconti in questo e come si è svolta la lavorazione?

Mi sono accorto che quasi tutti i maneggi in campagna si assomigliano e questa volta, per comodità abbiamo girato tutto alla periferia di Roma, insomma “Pare Parecchio Toscana” ma siamo parecchio sulla Cassia a Roma nord.

Com’è stato girare una storia che si svolge per gran parte all’interno di un camper che gira in tondo all’interno di un maneggio?

Abbiamo trovato un maneggio che aveva anche delle strade asfaltate lì vicino. Dopo un’ora che si girava sempre nel solito posto siamo stati anche noi vittime della “teoria del criceto podista”. L’animaletto dopo due minuti che corre nella ruotina non sa più dov’è di preciso. E così dopo tutti quei giorni della stessa strada per otto ore al giorno avessimo visto davvero Parigi non ci saremmo meravigliati! Se fai il solito identico giro per ore e ore perdi assolutamente il senso dell’orientamento.

Questo film è una commedia che racconta però una storia vera; c’è più tenerezza?

Nei tanti film che ho fatto c’è sempre stato un momento più acceso di tenerezza, ma subito spento dalla parte comica. In questo film, sotto questo punto di vista, mi sono lasciato molto più andare. Era importante raccontare bene i rapporti di questi tre fratelli con questo padre che avevano perso di vista da anni. Ovvio che quando si raccontano queste dinamiche familiari prende il sopravvento la parte emozionale. In ogni famiglia ci sono dei non detti, delle acredini mai sopite, la mia famiglia Cannistraci non vuole vivere di rimpianti, che è come guidare una macchina che si muove solo all’indietro. I nostri quattro sentono che hanno l’ultima occasione se non per recuperare il loro rapporto, per mettere almeno qualche importante tassello a posto. Insomma, in questo viaggio è anche arrivato il momento per i nostri tre fratelli di recuperare immediatamente un Natale non passato insieme anche se siamo a Giugno e anche se siamo in un’aiuola di servizio vicino a “Parigi”.

Intervista fornita da 01 Distribution.

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Mare Fuori 4

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Su RaiPlay dal 1° febbraio e su Rai 2 dal 14 febbraio, torna una delle serie più amate di sempre.  L’Istituto Penitenziario Minorile di Napoli vede ancora una volta i giovani detenuti confrontarsi con la scelta più importante: decidere da quale parte stare e che cosa fare della propria vita. Nella quarta stagione, diretta da Ivan Silvestrini, ritroviamo molti dei personaggi che il pubblico ha imparato a conoscere, stagione dopo stagione, e altri al debutto, da Rosa a Carmine, da Pino a Edoardo, e ancora Cardiotrap, Giulia, Silvia, Mimmo, Kubra, Dobermann, Cucciolo e Micciarella

È un mare aperto quello che i protagonisti di “Mare fuori” dovranno affrontare nella quarta stagione. Il pubblico ritroverà Rosa, Carmine, Mimmo, Kubra, Dobermann, Cucciolo e Micciarella costretti a rinunciare all’amore incondizionato della famiglia, messi faccia a faccia con le loro più intime paure e con l’unico sostegno degli amici con cui scelgono di navigare. Non sarà ancora una volta così per Pino, Edoardo, Cardiotrap, Giulia e Silvia che vivono ancora, nel bene e nel male, il peso di legami familiari capaci di condizionare la loro vita. Per tutti, però, è il momento di crescere e di capire chi e cosa si voglia essere. Ormai la maggior parte dei detenuti è maggiorenne. Il cambiamento è inevitabile, ma la crescita personale è una scelta che richiede coraggio. Bisogna decidere in che modo e verso dove orientare la propria vita e chi non sceglie, permette ad altri di farlo per lei o per lui. La durezza della nuova direttrice forza i ragazzi a una scelta necessaria: ribellarsi per la propria autodeterminazione. Lo scontro fra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi diventa inevitabile. “Dirigere la quarta stagione di ‘Mare Fuori’ è stata una sfida con me stesso, sentivo di aver dato molto nella stagione precedente e non volevo abbassare il tiro – afferma Ivan Silvestrini – volevo continuare nel percorso emotivo che tanto aveva appassionato me, prima ancora che il pubblico. Con la terza stagione si erano chiusi alcuni cicli fondativi, ma forse i più importanti dovevano ancora raggiungere il loro climax. Non sta a me dire se questa nuova stagione sarà amata come le altre, io l’ho amata con tutto me stesso e credo rappresenterà il giusto seguito di quanto raccontato in precedenza. Chi nella vita ha ascoltato musica in vinile o in cassetta ricorda che gli album erano divisi in lato A e lato B, spesso se il primo lato conteneva i brani più orecchiabili e d’impatto, il secondo lato portava l’album verso momenti più profondi, introspettivi. È così che vedo questa quarta stagione, come il lato B pi intenso ed emotivo di un grande racconto cominciato con l’arrivo di Rosa Ricci e il suo incontro fatale con Carmine Di Salvo”. Lo stile visivo della serie segue lo stesso principio, “cercando ulteriore profondità nei chiaroscuri e nell’uso del colore – prosegue il regista – con una macchina da presa alla continua ricerca della distanza perfetta da ciò che raccontiamo, una danza visiva costante (al ritmo di una nuova straordinaria colonna sonora) in cui ho chiesto agli attori e alla troupe di seguire complesse coreografie per rendere l’esperienza immersiva, ipnotica, mai noiosa anche quando il ritmo si dilata, prima di contrarsi, accelerare o esplodere. Anche quest’anno molti passaggi della sceneggiatura, eseguiti con maestria da un cast sempre più eccezionale, mi hanno commosso profondamente, e ora è finalmente giunto il momento di condividere questo viaggio con voi che tanto affetto ci avete dato in questi anni”. Nel cast Carmine Recano, Lucrezia Guidone, Massimiliano Caiazzo, Maria Esposito, Matteo Paolillo, Artem, Domenico Cuomo, e ancora Francesco Panarella, Giuseppe Pirozzi.“Mare Fuori 4” sarà in onda su Rai 2 in prima serata dal 14 febbraio con l’anteprima dei primi 6 episodi disponibile dal 1° febbraio su RaiPlay e l’intero box set dal 14 febbraio.

Personaggi e interpreti: i ragazzi e le ragazze

Carmine Di Salvo (Massimiliano Caiazzo): con tenacia persegue l’obiettivo di allontanare Rosa dal destino di sangue delle loro famiglie. Ma sarà sufficiente il suo amore a convincerla Rosa ad abbandonare le lusinghe del male?

Edoardo Conte (Matteo Paolillo): diviso tra Carmela, la madre di suo figlio, e Teresa, il suo amore proibito, ha l’illusione di poter cambiare vita. Ma il richiamo del potere sarà irresistibile e lo renderà ossessionato dal desiderio di diventare un vero boss.

Pino ‘o Pazzo (Artem): l’amore può essere salvifico e trasformare un ragazzo instabile e pieno di rabbia in una persona capace di assumersi le proprie responsabilità e guardare con fiducia ed ottimismo al suo futuro. L’amore in questo caso ha un nome, Kubra, ma la ragazza sembra sensibile al corteggiamento di Dobermann e questo porta a mettere alla prova la solidità del suo cambiamento.

Gianni Cardiotrap (Domenico Cuomo): dalla delusione per il furto del brano da parte di Crazy J, nasce una splendida amicizia con la nuova arrivata Alina, che solo la sensibilità di Cardiotrap riesce ad avvicinare e che darà nuova linfa alla creatività del ragazzo.

Luigi Di Meo detto Cucciolo (Francesco Panarella): gli eventi lo spingono a sperare di poter affiancare Rosa nel clan Ricci. Ma la relazione segreta con Milos rischia di mandare i suoi piani in fumo anche per l’ostilità che il fratello, che ha scoperto tutto, non perde occasione di dimostrare.

Raffaele Di Meo detto Micciarella (Giuseppe Pirozzi): dopo la scoperta dell’omosessualità del fratello prende le distanze da lui avvicinandosi a Edoardo. Ma, cercando di convincerlo a portarlo con sé nella sua scalata al potere, commette un terribile errore che lo tormenterà per sempre.

Diego detto Dobermann (Salahudin Tijani Imrana): è molto meno interessato al crimine e molto di più a Kubra che lentamente è entrata nel suo cuore. La ragazza sta con Pino ma Dobermann è disposto a tutto per conquistarla anche a rimettersi a studiare pur di starle vicino.

Milos (Antonio D’Aquino): ha trovato finalmente in Cucciolo l’amore della sua vita ma non ha il coraggio di rivelare a tutti la propria omosessualità. E questa incapacità rischia di mettere a repentaglio la sua stessa felicità.

Mimmo (Alessandro Orrei): solo ora il ragazzo si rende conto di essere stato coinvolto in un gioco più grande: quello di Donna Wanda che lo spinge a essere complice in un crimine innominabile. Il senso di colpa lo porta ad affrontare le proprie responsabilità cercando di imboccare una volta per tutte la strada della legalità.

Angelo (Luca Varone): è un ragazzo di buona famiglia che entra nel carcere con un segreto difficile da mantenere anche perché Silvia sostiene di averlo già incontrato ma con una identità diversa. Potrebbe cambiare la vita alla ragazza ma apparentemente non è disposto a farlo.

Ciro Ricci (Giacomo Giorgio): a lui il compito di raccontare, dal passato, lo spaccato familiare della famiglia Ricci, la sua l’ascesa al potere e la scomparsa di sua mamma, per lui un legame fortissimo e un dolore mai dimenticato.

Rosa Ricci (Maria Esposito): deve affrontare le conseguenze di quanto accaduto nel finale della scorsa stagione e sembra trovare rifugio e risposte nell’amore di Carmine. Mai come adesso, però, è scissa tra il bene e il male, indecisa se imboccare o meno la strada che la può portare alla felicità.

Silvia (Clotilde Esposito): torna in istituto convinta, stavolta, di poter dominare l’amore come la madre le ha sempre insegnato e trarne dei vantaggi. Ma ancora una volta le scelte che compie si rivelano sbagliate e le conseguenze rischieranno di condizionarle la vita una volta per tutte.

Kubra (Kyshan Wilson): il suo odio verso Beppe a cui rimprovera il fatto di essere cresciuta senza un padre non le impedisce di trovare con il sostegno dell’educatore la voglia di guardare al futuro riprendendo in mano i suoi studi. Ma, inaspettatamente, il suo cuore comincerà a dubitare dell’affetto che prova per Pino mettendola in una situazione di grande sofferenza.

Alina (Yeva Sai): la misteriosa ragazza senza nome e diffidente di tutto e tutti, chiusa in un mondo inaccessibile, grazie a Cardiotrap riesce ad aprirsi al mondo e a intraprendere un difficile percorso alla ricerca di quanto ha lasciato fuori dell’Ipm.

Crazy J (Clara Soccini): si gode senza alcuna remora il successo del pezzo che ha rubato a Cardiotrap ma il male fatto a volte ritorna. Cercherà la sua vendetta e, paradossalmente, sarà proprio a Cardiotrap che chiederà aiuto per un’impresa impossibile e scriteriata di cui pagherà severe conseguenze.

Personaggi e interpreti: gli adulti

Massimo Valenti (Carmine Recano): un terribile evento cambia all’improvviso il suo rapporto con i giovani detenuti. È un comandante sconosciuto quello che si manifesta in questa stagione, che ha perso le sue convinzioni e la sua incrollabile fiducia nel concedere la possibilità di redenzione ai suoi ragazzi.

Sofia Durante (Lucrezia Guidone): un’inaspettata relazione la induce a ripensare il suo atteggiamento severo e punitivo con i ragazzi e provoca un avvicinamento con Rosa. Le due donne, così diverse e distanti, trovano un punto di contatto e la direttrice sostiene Rosa nella sua storia d’amore.

Beppe (Vincenzo Ferrera): è l’educatore che conosciamo, sempre pronto a proteggere i ragazzi e a sferzarli quanto c’è bisogno. Ha difficoltà a gestire il rapporto con Kubra dopo la scoperta della paternità, ma a dargli una mano c’è Pino: una volta tanto sembra che i ruoli si siano invertiti.

Lino (Antonio De Matteo): è sinceramente dispiaciuto del ritorno in carcere di Silvia ma si farà carico dei problemi della ragazza. E lentamente l’attrazione per lei sarà sempre più difficile da controllare. Gennaro (Agostino Chiummariello): il tempo passa e il veterano dell’Ipm continua ad essere l’agente che con la sua simpatia e la sua capacità di sdrammatizzare le situazioni riesce a ristabilire la calma nei momenti di maggiore tensione.

Nunzia (Carmen Pommella): il suo ritorno rende felici tutti le ragazze dell’Ipm che sanno di poter trovare in lei umanità e comprensione ma non sempre queste doti vengono ricompensate.
Don Salvatore (Gennaro Della Volpe/Raiz): il boss si ritrova a gestire le conseguenze di quanto accaduto con Carmine e Rosa ma dovrà fare i conti con la legge del crimine che lui stesso ha sempre seguito. Maria Ricci (Antonia Truppo): è la madre di Rosa e la moglie di Don Salvatore. Appare nei ricordi della ragazza che rimpiange la sua perdita. Un dramma misterioso cela la sua scomparsa.

Loredana (Tea Falco): è la madre di Micciarella e Cucciolo con un passato di tossicodipendenza che ha pregiudicato il rapporto con i figli. Ora si è rimessa ed è decisa a rigare dritto per riconquistare la fiducia e l’affetto dei ragazzi.

Consuelo (Desirée Popper): la moglie del comandante entra nelle mire di Donna Wanda, che per punire Massimo manda alcuni ragazzi a spaventarla. Ma il gruppo perde il controllo della situazione e le conseguenze saranno devastanti.

Avvocato Alfredo D’Angelo (Giuseppe Tantillo): con il suo fascino e il suo potere riesce a convincere Silvia a partecipare a una azione criminosa promettendole amore e soldi. Ben presto la ragazza capirà che la situazione non è così semplice e soprattutto che Alfredo custodisce un segreto.

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Storie della Shoah in Italia. I Giusti

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Prodotto da Rai Documentari e dalla Fondazione Museo della Shoah e con il sostegno dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma e dell’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane). Venerdì 26 gennaio in seconda serata su Rai 3 con la regia di Alessandro Arangio Ruiz

Il documentario viene proposto come seguito di un primo progetto realizzato dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma, andato in onda su Rai2: “Storie della Shoah in Italia. I complici”. Il progetto di taglio storico-divulgativo, basato sulle più recenti acquisizioni della storiografia italiana e internazionale, prosegue con il racconto delle vicende di coloro che hanno aiutato gli ebrei durante il periodo dell’occupazione nazista dell’Italia. I “Giusti fra le Nazioni” sono coloro che hanno aiutato, a rischio della vita, gli ebrei. Nascondendoli, fornendo cibo, medicine e documenti falsi o organizzando vere e proprie reti di solidarietà, allo scopo di metterli al sicuro dalla persecuzione nazi-fascista. Il titolo di Giusto viene conferito dallo Stato di Israele dopo una rigorosa indagine storico-scientifica che accerta l’effettiva realtà dei fatti. Le vicende di alcuni Giusti sono già state raccontate in film e sceneggiati di successo in tutto il mondo, tuttavia, mancava un documentario che divulgasse in maniera ampia e rigorosa storie meno conosciute ma altrettanto importanti. Il documentario racconta infatti storie di persone comuni, per far conoscere la banalità del bene di tanti italiani che rischiarono, senza chiedere nulla in cambio, le loro vite per aiutare i perseguitati ebrei. Attraverso l’intervista alla storica Chiara Dogliotti si ricostruisce la storia del cardinale Pietro Boetto e del suo segretario Don Francesco Repetto, che a Genova, operarono assieme a una organizzazione ebraica creando una rete di aiuto e solidarietà che permise la salvezza di centinaia di perseguitati, alcuni dei quali riuscirono, grazie a questa stessa rete, a fuggire in Svizzera. La testimonianza di Nicoletta Teglio, figlia di Massimo Teglio, aviatore genovese di religione ebraica che collaborò con la Chiesa cattolica nel creare la rete di solidarietà, racconta con grande lucidità gli eventi che l’hanno visto protagonista. Il commendatore Alberto Zapponini editore della “Guida Monaci”, a Roma, nascose negli uffici della sua società la famiglia Fiorentini per tutto il periodo dell’occupazione nazista della Capitale. Grazie alla testimonianza di Mirella Fiorentini, che ha concesso una emozionante intervista, nel 2021 Alberto Zapponini è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni.  Mario Martella era un tipografo romano che riuscì ad avvertire in tempo la famiglia Sabbadini, proprietari di una tipografia, della razzia del 16 ottobre, e successivamente salvò gli anziani della stessa famiglia, prelevandoli con la sua auto e nascondendoli nella sua abitazione di campagna. Martella rileva la tipografia dei Sabbadini, la mantiene efficiente e nel dopoguerra la restituisce ai legittimi proprietari. Nel 2008 Mario Martella viene nominato Giusto tra le Nazioni. La vicenda viene ricostruita attraverso i ricordi della figlia Carla, di Paolo Sabbadini e con una intervista allo stesso Mario Martella registrata pochi anni prima della sua morte ed inedita in televisione. Bruno Fantera, all’epoca ventiduenne, salvò la famiglia di Gino Moscati allora Shammash (custode) della Sinagoga di Roma. Questa vicenda viene raccontata attraverso le testimonianze inedite dei protagonisti: Bruno Fantera intervistato dal nipote Francesco e Giacomo (Mino) Moscati, all’epoca quattordicenne, intervistato nel 2015, pochi anni prima della morte.  Il documentario si sviluppa attraverso gli interventi della storica Isabella Insolvibile. “Storie della shoah in Italia. I Giusti” con la regia di Alessandro Arangio Ruiz, contiene le musiche originali di Leonardo Svidercoschi, filmati di repertorio provenienti da archivi storici dell’Istituto Luce e del CCentro di Documentazione Ebraica Contemporanea), documenti originali e fotografie provenienti da archivi storici pubblici e privati.

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Il nostro lungo viaggio con Doc

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Il RadiocorriereTv incontra tre dei protagonisti presenti nella fiction fin dalla prima stagione, tra ricordi, aneddoti e amore incondizionato per una “favola” moderna amata dal pubblico

SARA LAZZARO

Bentornata Agnese…

Siamo ripartiti alla grande, Andrea Fanti riprende il suo posto come primario, dando così inizio a un nuovo ordine delle cose che, inevitabilmente, riguarda anche la mia Agnese. È una donna che, come già alla fine della seconda stagione abbiamo capito, ha fatto la sua scelta. È ripartita dal suo presente, da Davide e Manuel, la sua famiglia, e ora con l’uomo che in passato ha amato tantissimo, percorre la via del compromesso.

Nessun compromesso per il pubblico che ama “DOC”…

La storia, vera, di Pierdante Piccioni è stata fondamentale per il successo della serie, sicuramente il trampolino di lancio. Ricordo che gli stessi sceneggiatori commentavano questa vicenda come qualcosa di incredibile, capace di superare ogni espediente narrativo. È quasi fantascientifica, qualcosa che offriva una possibilità di racconto e di sviluppo senza uguali, è estremamente stimolante, in particolare se pensiamo al momento storico che stiamo vivendo. Oggi ci rendiamo meglio conto, per fortuna, che la medicina, i medici e gli operatori sanitari sono gli eroi della nostra contemporaneità in tutti i paesi del mondo. Penso a quel che sta accadendo in Medio Oriente o a Gaza, luoghi nei quali i medici, con il loro “eroismo” sul campo, ricordano dell’umanità che manca.

Di questo bellissimo viaggio, cosa le rimane?

È la prima volta che faccio una lunga serialità che mi occupa tanto tempo. Con i miei compagni di viaggio, davanti e dietro la macchina da presa, siamo partiti nel 2019, condividendo momenti storici molto intensi e importanti. Portare un medical drama in prima serata Rai 1 ai tempi della pandemia è stato un rischio, ma ora possiamo dire anche, una sfida vinta.

Cosa le lascia il suo personaggio?

Sono cresciuta molto con Agnese, sono diventata sempre più donna, ho conosciuto nuovi aspetti della mia personalità, riuscendo a sviluppare una più profonda sensibilità verso la categoria che raccontiamo e, soprattutto, verso il ruolo delle donne, delle madri.

PIERPAOLO SPOLLON

Qual è la sfida di questo terzo capitolo della serie?

Tra gli addetti ai lavori si discute spesso se sia più difficile la prima o le successive, perché con un debutto c’è l’effetto novità, la seconda volta conosciamo qualcosa in più e si può puntare su qualche novità, nella terza, come nel nostro caso, si deve ricostruire, ricominciare da capo. All’inizio di questa avventura ricordo che dicevo a tutti, con estrema sicurezza, che questa serie sarebbe stata “una bomba” e avrebbe avuto un grande successo. Non vi dico gli scongiuri… (ride) Ora ne sono ancora più convinto, c’è stato un reset, siamo ripartiti da zero, ma con la memoria del passato. Abbiamo fatto veramente un gran bel lavoro.

Come sta Riccardo?

Lo avevamo lasciato emotivamente annullato, costretto a metabolizzare la morte della sua compagna con la quale era riuscito finalmente a trovare una stabilità emotiva dopo un duro periodo di confronto. Quando le cose sembravano sistemate, la vita ci ha messo lo zampino e il castello è crollato, costringendo questo ragazzo a trovare nuove soluzioni per sopravvivere a così tanto dolore. Questa volta Riccardo deve assolutamente riappropriarsi di una condizione umana ed emotiva stabile, per occuparsi dei suoi pazienti e di se stesso.

Come è cresciuto il suo rapporto con Doc-Argentero?

Il rapporto con Argentero cresce e diventa sempre più stretto, Luca e Pier Paolo sono come Riccardo e DOC. C’è della magia.

GIOVANNI SCIFONI

Terzo capitolo di “DOC”, com’è andata con il suo psichiatra?

Enrico è un personaggio che ha a cuore le persone, a partire dalla sua compagna Teresa, la caposala di “DOC” interpretata da Elisa Di Eusanio, e dal suo caro amico Andrea Fanti. A volte, però, per il troppo amore si possono commettere degli errori, anche in buona fede, che, come nel suo caso, possono avere delle conseguenze impegnative.

Quali i temi su cui batte la nuova stagione?

Al primo posto c’è quello della memoria che torna, tema molto attuale… Con l’avvento dell’intelligenza artificiale la domanda che tutti ci facciamo oggi è quanto sia davvero importante la memoria umana e quanto sia, al contrario, insostituibile.

Perché secondo lei questa serie è stata accolta così bene dal pubblico?

Un elemento potente della stagione in onda è vedere come i protagonisti, prima ancora di dimostrare di sapersi prendere cura di qualcuno, sanno che devono curare se stessi. Medici e pazienti, alla fine, si trovano sullo stesso identico livello e possono creare legami empatici più forti. Con Doc mettiamo in atto un grande desiderio, quello di essere accolti, prima ancora di essere curati. A volte quando si entra in un ospedale si avverte un forte senso di smarrimento, di ansia, sapere, di entrare in un luogo dove ti ascoltano e provano a comprenderti, è una bellissima favola. 

Ci racconta un momento che negli anni di “DOC” le è rimasto impresso nella memoria?

Natale 2022 passato sul set. Eravamo impegnati a girare la scena struggente della morte di Alba, meravigliosa. Abbiamo pianto come bambini, era un momento così potente, lo ricorderò per tutta la vita.

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Il mio programma in dieci parole

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VALERIO LUNDINI

Tra reale e surreale è arrivato su RaiPlay “Faccende complicate”. «Mi diverte molto l’interazione con la naturalezza delle persone» dice il conduttore-regista, che confida: «La cosa più divertente? Immergersi in contesti di cui si sa poco o nulla»

Partiamo con una prova di sintesi, ci descriverebbe il programma in dieci parole?

Ok. Dieci puntate di 25 minuti dove vado in posti normali.

Complimenti per la precisione…

Aggiungo qualche altra parola che lei potrà abilmente riassumere: reportage su persone, posti, situazioni, o a volte su di me che faccio delle cose. Come accadeva per “Una pezza di Lundini” era difficile spiegare le puntate, perché sono un po’ diverse tra loro. Alcune hanno un taglio più documentaristico, in altre tutto ciò che succede è completamente assurdo.

Con “Faccende complicate” è uscito da uno studio e ha incontrato l’Italia vera, come è andata?

Mi trovo sempre bene a relazionarmi con persone che non siano addetti ai lavori. Mi sento più dalla parte loro. Ho scelto la strada anche per non fare un programma simile a quello di prima, dove usavo lo studio come base poi c’erano follie che cambiavano ogni volta. C’è anche il format estetico che rende diverso il programma. Mi diverte molto l’interazione con la naturalezza delle persone, ho cercato anche di andare in contesti in cui il pubblico non mi riconoscesse.

Per affrontare cose complesse serve metodo, qual è il metodo dell’indagatore Lundini?

Sono andato a vedere contesti di cui sapevo poco, ad esempio ho incontrato gente che da morta si farà ibernare. Sarà forse poco educativo dirlo, ma secondo me meno so di una cosa meglio mi viene parlarne. E se c’è una cosa che mi interessa ma della quale non so niente, mi diverte molto di più. Molte domande, che fanno parte di una sorta di personaggio, sono proprio mie curiosità piuttosto naif (sorride). Immergersi in contesti di cui si sa superficialmente qualcosa è più divertente.

Quando una faccenda complicata si presenta nella sua vita come la affronta?

I gran fastidi mi spaventano meno dei piccoli fastidi. Di fronte ad analisi cliniche che danno risultati spiacevoli sono molto più filosofico, mi dico “vediamo che ho”. Quando la macchina si ferma per strada diventa invece un vero fastidio. Quando scopro che mi hanno annullato un treno o un aereo impazzisco.

“Una pezza di Lundini” le ha dato grande popolarità. È cambiata la sua quotidianità?

Indubbiamente. “Una pezza di Lundini” è coincisa anche con il lockdown e con la mia crescita anagrafica. C’è un prima e un dopo la pezza (sorride). Se un tempo inciampavo per strada ero semplicemente uno che era inciampato. Se accade oggi sono quello della Tv che è cascato per terra, “che stupido”. Ti senti sempre un po’ gli occhi addosso, ma ci si fa l’abitudine.

Cosa la diverte nella vita di tutti i giorni?

Mi divertono tante cose, alcune nate per divertire nei film, nell’arte, a teatro, ma mi diverte soprattutto il cazzeggio puro con gli amici. Quelle cose che mi hanno portato a farne un mestiere. Tra i miei amici di vecchia data anche altri avrebbero potuto fare il mio lavoro, semplicemente ne hanno trovato uno più serio prima. Dalle chiacchiere, anche puerili, nascono idee che mi divertono.

Cosa invece la fa arrabbiare?

Leggere su Internet che ogni cosa, ogni fatto personale di personaggi pubblici, debba diventare un dibattito e motivo di polarizzazione, un tema su cui ognuno possa dire la sua, anche in maniera aggressiva. Anche perché può capitare a tutti, non mi permetto mai di criticare i fatti degli altri.

Lei è anche musicista, a breve ci sarà Sanremo, che rapporto ha con il Festival?

Prima ero spettatore saltuario. Poi, poco prima del covid, partecipai al “Dopofestival” con Nicola Savino e fu molto divertente. Un anno andai con Fulminacci a fare l’ospite sul palco, lo scorso anno ho condotto un programma radiofonico dal glass di fronte all’Ariston. Quest’anno non ci vado, ma so già che nei giorni del Festival dirò che mi sarebbe piaciuto essere lì. Nel bene o nel male, belle o brutte che saranno le canzoni, Sanremo è un momento di grande ritrovo. Quando sono lì mi piacciono ancora di più i brani. Sono contento che ci sia Sanremo.

A proposito di Festival sogniamo in grande, preferirebbe essere in gara o presentare sul palco?

Assolutamente il presentatore. In gara non sarei in grado di colpire in quattro minuti, il tempo di una canzone, io sono per i tempi dilazionati. Sarebbe divertente, ma immagino ci sia una grande dose di stress. Mi chiedo sempre come fanno i grandi della Tv, Amadeus. Io a volte non ho tempo di scrivere, di finire di fare una cosa, e c’è sempre Amadeus. Come fa lui se il vicino di casa ha un’infiltrazione e gli dice di dover fare dei lavori alla doccia e che deve scendere per vedere il soffitto crepato. Quando ha tempo Amadeus? Questa è la domanda che gli farò.

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Con noi dentro le storie

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MATILDE GIOLI

«“Doc – Nelle tue mani” racconta il mondo reale, la medicina, l’importanza dell’empatia nel rapporto medico-paziente» dice l’attrice che nella serie di Rai 1 interpreta il ruolo della dottoressa Giulia Giordano

La serie non si è mai sottratta al racconto della contemporaneità. Come è stata affrontata questa volta?

Siamo sempre rimasti molto agganciati a ciò che succedeva nel mondo reale, l’abbiamo visto bene la scorsa stagione con il racconto della pandemia. È il bello di questa serie, il fatto che le persone si sono viste dentro le nostre storie. Quest’anno raccontiamo altri fatti aderenti alla contemporaneità, come per esempio i Big Data e l’intelligenza artificiale, che sta arrivando ovunque, anche nel mondo della medicina, temi che si aggiungono agli intrecci narrativi sui sentimenti, un evergreen con cui sicuramente empatizzerà il nostro pubblico fedele, che ringrazio sempre per il supporto.

Prendersi cura dell’animo, prima ancora del corpo…

Questa serie ha un fil rouge che, nonostante i temi di puntata, accomuna tutti gli episodi: l’empatia, l’importanza del mettersi nei panni dell’altro per capirlo. In “Doc” i pazienti non sono numeri o clienti, ma persone e come tali vanno trattati, un tema importantissimo, soprattutto al giorno d’oggi, caratterizzato da una grossa crisi di valori. Spero che questo tema dell’empatia faccia riflettere tutti su quanto sia la ricchezza più grande da cercare.

Quella è la vera ricchezza.

Il mio personaggio arriva da una serie di vicissitudini davvero impegnative. Abbiamo visto Giulia interfacciarsi con un uomo di cui è innamorata ma che non si ricorda più di lei. Nella seconda stagione prova a ripartire con un altro affetto, un altro amore, ma Lorenzo muore e lei perde il bambino. In questa stagione vuole ampliare i propri orizzonti, ripartire, anche in campo medico. La vedrete agguerrita.

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Finalmente il camice

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GIACOMO GIORGIO

«Il rapporto oltre la macchina da presa, il volersi bene, il capire che si sta facendo qualcosa di importante, tutti questi elementi messi insieme probabilmente sono, per me, la chiave del successo di “Doc”» racconta l’attore napoletano, new entry nella terza stagione di “Doc. Nelle tue mani”, il giovedì su Rai 1

Una nuova sfida. Com’è andata?

È andata molto bene, sono contento, mi sono divertito tanto. Questo è uno di quei ruoli che un attore, almeno una volta nella vita, vuole fare. Fin da piccolo, quando ho iniziato a entrare nel mondo della recitazione, alla domanda “cosa ti piacerebbe interpretare”, insieme al supercattivo, al supereroe, c’era ovviamente il medico. Mi sono rimesso in gioco con un ruolo totalmente agli antipodi rispetto a quelli fatti finora.

Chi è Federico Lentini?

È uno dei tre nuovi specializzandi della terza stagione, un ragazzo milanese figlio di papà, apparentemente viziato, piuttosto svogliato che, a un certo punto, scopre di avere delle capacità e comincia a osservare la medicina con uno sguardo diverso. Spesso si ha a che fare con personaggi bidimensionali, in questo caso il personaggio è stato scritto talmente bene che le dimensioni di Federico le abbiamo esplorate tutte.  

Quale rapporto si crea tra lo specializzando e Doc?

La figura centrale di Federico è sicuramente suo padre, molto presente nella sua vita. Doc, invece, rappresenta la figura paterna, ma al Policlinico Ambrosiano, in una veste totalmente opposta, ma fondamentale. Se all’inizio questo ragazzo vive la sua presenza in ospedale come una punizione inflitta dal padre, grazie a Fanti comprende il senso profondo dell’essere medico, comincia a vivere la professione non come una condanna, ma come una possibilità per il futuro. Vedremo se alla fine Federico ne sarà realmente consapevole o no, ma diciamo che Doc è un punto di riferimento per tutti, anche per lui.

E Luca Argentero?

Un capitano della nave importante, un esempio di professionalità, che sento di dover ringraziare per la serietà. La presenza di attori di questo calibro, tra l’altro i primi nomi della serie, è una delle chiavi per la riuscita di un progetto.

Quale secondo lei l’elemento vincente di questa terza stagione?

Il cast certamente, lo è per tutte le serie di successo, una tra tutte “Mare Fuori”. Quando gli attori funzionano, si trascorre molto tempo insieme, si creano legami forti e la giusta confidenza anche fuori dalla scena, tutto funziona anche sullo schermo, trapassa la cinepresa e arriva dritto al pubblico. A volte capita che devi girare delle scene, magari d’amore o di violenza, e il “partner” lo hai conosciuto solo un attimo prima, e tutto diventa più complicato, perché la recitazione è uno scambio emotivo. Il rapporto oltre la macchina da presa, il volersi bene, il capire che si sta facendo qualcosa di importante, tutti questi elementi messi insieme probabilmente sono, per me, la chiave del successo di Doc.

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Con il sorriso e la leggerezza di Nino

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FRANCESCO ZENGA

Il giovane attore campano, al debutto cinematografico, è tra i protagonisti della serie di Rai 1 diretta da Francesca Archibugi. Al RadiocorriereTv confida: «È accaduto tutto in pochi mesi. I provini, il mio arrivo a Roma, il set. Sono stato buttato in una lavatrice (sorride). È stata la mia prima volta, era surreale»

La Storia (History: A Novel), director Francesca Archibugi, cinematography Luca Bigazzi. A series based on the ‘History: A Novel’ of Elsa Morante, in Rome during the war and after the war.

Com’è stato l’incontro con “La Storia”?

Entusiasmante. È accaduto tutto in modo veloce, a partire dai provini. Il primo è stato a febbraio del 2022, ad aprile hanno deciso di darmi il ruolo e il mese successivo sono iniziate le riprese, che si sono concluse a novembre. Sono stato buttato in una lavatrice (sorride). Essendo stata la mia prima volta era tutto surreale.

Cosa l’ha colpita della sceneggiatura, del suo personaggio?

La preparazione del personaggio è avvenuta sulla sceneggiatura di Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo e Francesca Archibugi. Il mio intento era quello di interpretare il loro Nino. Approcciarsi a un personaggio di quel periodo storico, per un ragazzo del XXI secolo, non è facile, nonostante il nostro presente ci sputi in faccia l’orrore della guerra, in Ucraina come in Palestina. Sono fatti che ci fanno capire quanto sia importante godersi anche i piccoli momenti di vita, che possono essere spazzati via da un secondo all’altro. Ed è quello che sostanzialmente fa Nino, vive la vita con sorriso e leggerezza.

Cosa pensa abbia visto in lei chi l’ha scelta per il ruolo di Nino?

I miei genitori, dopo le prime puntate, hanno detto di avere visto nel personaggio di Nino quello che io sono nella quotidianità, a casa. Ad accomunarmi a lui penso siano proprio il sorriso, la leggerezza, l’atteggiamento, caratteristiche che penso abbiano colpito Francesca (Archibugi, regista), come Dario Cerruti ed Elisabetta Boni, l’aiuto regista e il casting director.

Nino è “ultimo tra gli ultimi”. Cosa l’ha colpita di quel giovane e di quel periodo storico?

All’inizio del racconto Nino è fascista per gioco, poi assume coscienza di quello che sta facendo. Lui, come molti dei suoi coetanei, credeva nella patria, per la quale era disposto a lottare.

Cosa le ha lasciato quel set?

Tanti ricordi ed emozioni, potrei scriverci un libro (sorride). All’inizio era tutto nuovo, mi chiedevo dove mi trovassi: lasciavo casa a Nocera in provincia di Salerno, gli amici, le mie abitudini, e iniziavo una nuova vita a Roma. Sono stato aiutato dagli attori del cast e dalla troupe e giorno dopo giorno siamo diventati una grande famiglia.

Quali consigli ha chiesto alla regista e ai colleghi?

A ogni scena chiedevo loro come potessi fare meglio, come gestire il personaggio e la mia ansia da set. C’è stato un vero e proprio confronto, mi hanno sostenuto e per me è stata una grande fortuna. Ho trovato persone trasparenti, pulite, da Francesca ai colleghi del cast.

Com’è andata con il romanesco?

Francesca è rimasta colpita da come passassi facilmente dal napoletano al romano (sorride), per questo devo ringraziare anche mio padre che, originario di Napoli, ha vissuto per molto tempo a Roma. La sua cadenza mi ha aiutato molto.

Si parla di lei come di una nuova promessa del cinema, questo la emoziona o le fa un po’ “paura”?

Spero innanzitutto di poter dare una buona impressione di me a chi sta seguendo “La Storia”. Certo, un po’ di paura c’è. Sto cercando di rimediare frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, dove spero di potere affinare la tecnica. Il Centro ti dà anche gli strumenti per conoscerti meglio, per scoprire nuovi aspetti di ciò che sei.

Cosa l’ha colpita della Roma raccontata da “La Storia”?    

È stato un tuffo nel tempo, incredibile.  L’ambientazione, i luoghi, i costumi, mi hanno aiutato ad entrare meglio nel personaggio. Ci sono luoghi che mi hanno colpito moltissimo, penso al Parco degli Acquedotti, all’Appia Antica, ma ho amato anche vedere con i miei occhi come la gente viveva in quegli anni difficili, dove si rifugiava, quali erano le difficoltà.

Come ha assistito alla messa in onda della prima puntata?

Nel mio paese in famiglia, con gli amici. È stata una grande soddisfazione.

Il ghiaccio ormai è rotto, cosa vede nel suo futuro professionale?

Mi piacerebbe tornare a lavorare con la grande famiglia che si è creata con “La Storia”, per ritrovare compagni di viaggio speciali.

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Pensare a un mondo senza violenza

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ELIO GERMANO

«Interpreto Eppetondo, un animo puro rimasto sola durante i bombardamenti che perde tutto e decide di dedicare la sua vita alla guerra di Liberazione per mandare via i nazifascisti e restituire dignità al nostro Paese» commenta l’attore romano tra i protagonisti de “La Storia” di Francesca Archibugi, il lunedì su Rai 1

La Storia (History: A Novel), director Francesca Archibugi, cinematography Luca Bigazzi. A series based on the ‘History: A Novel’ of Elsa Morante, in Rome during the war and after the war.

“La Storia” è un romanzo che ha segnato la formazione di tanti giovani…

È certamente uno dei più importanti, anche se è sbagliato parlare di primati di bellezza nell’arte, che non è mai una competizione. È un testo che riguarda tutti noi, la nostra storia, da rimanere inevitabilmente nel sangue di chi ha la fortuna di leggerlo. Spero che la serie crei nuove occasioni per recuperare le parole della Morante che, nonostante l’approfondimento di un lungo racconto per immagini, è evidentemente pieno di altre cose che non sono entrate nel film. È interessante vedere come “La Storia” sia fatta di tante storie individuali, di esseri umani fallibili, non sempre pronti a fare la cosa giusta al momento giusto, che subiscono la storia con tutte le sue contraddizioni. Il mondo di oggi è troppo spesso raccontato dai buoni o dai cattivi, sono tutti supereroi che sanno cosa fare o cattivi mosse dal male. Ma gli esseri umani, non dimentichiamo, sono creature complesse e la storia è fatta dalle vite di ciascuno di noi, dalle decisioni che prendiamo, ma anche dalla nostra volontà di non scegliere, di non schierarsi o non partecipare.

Ci racconta il suo personaggio?

Interpreto Eppetondo, un animo puro rimasto sola durante i bombardamenti che perde tutto, anche gli animali e per questo, commettendo tantissimi errori, dedica la sua vita alla guerra di Liberazione contro i nazifascisti, provando a riconquistare la dignità per il Paese, sognando un mondo migliore fatto di regole giuste. La Morante nel libro, così come la serie raccontano di un’epoca storica animata da gente che lottava per le proprie idee e aveva voglia di costruire un diverso modo di stare insieme, di un cambiamento di rotta. Il risultato è stato la nostra splendida Costituzione, il faro che traccia la strada per uno stare insieme inclusivo, senza competizioni o privilegi e che, purtroppo, ancora oggi non siamo riusciti a onorare fino in fondo, mettendola talvolta anche in discussione. La strada ancora è lunga, molto di quello che è stato scritto nella Carta è rimasto solo un’ambizione che non siamo riusciti a trasformare in legge o, quando lo abbiamo fatto, queste leggi non le abbiamo rispettate. “La Storia” ha anche questa funzione, ricordare quelle che sono le ambizioni da realizzare.

Nella grande miseria umana e sociale raccontata dal libro e dalla serie, c’è posto per la speranza?

È un racconto che parte dalle bombe, dalla guerra, la peggiore creazione dell’uomo di cui non riesce a liberarsi ancora oggi e che, se è vero che è uscita da casa nostra, rimane ancora molto vicina a noi, nei racconti, anche propagandistici alla tv o peggio, viene dimenticata perché nessuno ne parla. Tutte le guerre creano distanza tra le persone, tra i civili che le subiscono e che certamente non ritengono un conflitto “giusto”. La guerra è giusta solo per chi è lontano da questa e vive al riparo, traendone profitto, per tutti gli altri non esiste alcun vantaggio, ma solo una condanna. Ricordiamo quello che è successo nel nostro Paese e, come ben è scritto nella Costituzione, cominciamo a pensare a un mondo che possa fare a meno della violenza della guerra.

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Quante emozioni in un applauso

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VIRGINIA RAFFAELE

La protagonista di “Colpo di luna” si racconta al RadiocorriereTv: «Ci siamo ispirati ai grandi varietà del passato, con l’attore al centro della scena. All’epoca la televisione era perfetta. Mi sarebbe solo piaciuto esserci, magari essere Mina o Alberto Sordi». Il venerdì in prima serata su Rai 1

Il luna park è gioco ed è sogno, per lei è stato anche casa. Qual è l’impronta di questo mondo sulla sua vita?

Totale, per una serie di fattori. Uno su tutti lo sguardo che mi ha insegnato ad avere nei confronti del prossimo, della gente, che è poi il pubblico. Sin da quando ero bambina sentivo mia mamma dire “stiamo al pubblico”. Noi eravamo già sul palcoscenico, come lo sono i ristoratori, come lo sono le persone che lavorano con la gente. In più, nel luna park, c’era l’esibizione, una affabulazione per cercare di attrarre il pubblico e farlo divertire. Il luna park mi ha fatto anche capire l’importanza del lavoro, dei sacrifici. Era un’attività fisicamente faticosa, stare ore al bancone, al freddo dell’inverno, al caldo dell’estate, durante le festività. La dedizione al lavoro è ciò che mi hanno insegnato i miei genitori ed è ciò che mi porto dietro.

Che cosa prova di fronte all’applauso del pubblico?

Gli applausi e le risate sono abbracci che non si possono descrivere, sono la cosa più bella, ti accorgi di essere entrata nel cuore di chi ti sta guardando, gli applausi sono vibrazioni, la colonna sonora della vita dell’attore…

Il varietà nella Tv di oggi ha assunto declinazioni diverse: il talent, gli stand-up comedy. Cosa l’ha spinta a portare in scena un programma che si ispira invece alla nostra più alta tradizione televisiva?

L’onestà intellettuale. Chi sono io per inventarmi un altro varietà? Se devi fare il varietà lo riproponi guardando i primi. Non ne abbiamo fatto una copia, impossibile copiarlo. C’è solo un’ispirazione, soprattutto per quanto riguarda la scena, pensata con Marco Calzavara, Duccio Forzano, che ricorda “Teatro 10”, questo spazio grande, largo, quasi teatrale, dove non c’è scenografia se non l’attore e il suo ospite.

Come si costruiscono una narrazione, una battuta, che facciano sorridere il pubblico?

Con l’ascolto di quello che si ha intorno, con il proprio gusto, è tutto molto personale. Non c’è un segreto, è una costruzione che si affina nel tempo. Sono vent’anni che faccio questo lavoro, già… mi sono distratta un attimo e sono passati vent’anni (sorride).

Cosa deve avere un personaggio perché lei decida di crearne una maschera?

Deve avere qualcosa che mi attragga, che può essere il modo di parlare, un tic, la sua storia. Ci sono diverse sfaccettature di un personaggio che possono colpirti e spingerti a farne una maschera. Le chiamo maschere rifacendomi alla tradizione teatrale. Balanzone, Pantalone, Mirandolina erano semplicemente virtù e vizi umani tramutati in maschere. Quello che cerco di fare è esattamente un lavoro teatrale e attoriale.

A quali delle sue maschere si sente più legata?

Per affezione ci sono la Fracci, Ornella, le faccio entrambe da tanti anni (sorride). Ma sono i personaggi inventati, di fantasia, quelli che più mi appartengono, penso alla poetessa transessuale Paula Gilberto, a lei sono molto affezionata.

La nostra televisione compie 70 anni, in quale programma del passato avrebbe visto bene le sue maschere?

Non lo so. All’epoca la televisione era perfetta. Mi sarebbe solo piaciuto esserci, magari essere Mina, Alberto Sordi, proprio perché sostengo non ci sia sessualità o diversità di genere in questo mestiere, ma solo gente brava e gente non brava.

Quale significato dà alla parola leggerezza?

La leggerezza, diceva Calvino, non è superficialità ma planare dall’alto sulle cose. Credo sia una delle cose più vere. Una visione leggera di tutto porta dietro un respiro diverso.

Cosa la fa sorridere per davvero nella quotidianità?

Gli animali sono molto buffi (sorride). Quando li osservi la natura ti parla…

Lei ne ha?

No, perché pur amandoli non avrei il tempo di occuparmene. Sarebbe egoistico prendere un cane e tenerlo in camerino. Quando mi dicono “lui è felice di star con te”, rispondo “che ne sai, glielo hai mai chiesto?”. Credo che un cane sia molto più contento di correre al parco.

Oltre agli animali?

I cartoni animati.

Preferiti?

“La spada nella roccia”, lo rivedo spesso, sono fan del gufo Anacleto. I cartoni animati sono la scuola perfetta della comicità, pensi a Willy il Coyote e a Beep Beep, i loro tempi comici non sono riproducibili. 

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