La grande festa della musica sta per avere inizio. Dal 6 al 10 febbraio su Rai 1 Amadeus conduce il Festival della Canzone italiana. Con lui sul palco, sera dopo sera, Marco Mengoni, Giorgia, Teresa Mannino, Lorella Cuccarini e Rosario Fiorello
Poche ore ancora e il sipario del Teatro Ariston si alzerà su Sanremo 2024. Ad accogliere il grande pubblico di Rai 1, il conduttore e direttore artistico Amadeus, che calcherà per primo la scenografia creata da Gaetano e Chiara Castelli. Le luci di Mario Catapano, l’orchestra diretta da Leonardo De Amicis, l’applauso del teatro, ci porteranno in pochi istanti nel clima, magico, del 74° Festival della Canzone Italiana. Protagonisti assoluti le canzoni, gli interpreti, le emozioni per un appuntamento capace sempre più di rappresentare la contemporaneità del panorama musicale nazionale. Ad accompagnare Amadeus nel corso delle serate saranno Marco Mengoni, vincitore della scorsa edizione, Giorgia, prima al Festival nel 1995, l’attrice Teresa Mannino, Lorella Cuccarini, più volte sul palco dell’Ariston. A salire sul palco per la finale sarà invece, immancabile, Fiorello. Trenta artisti in gara, altrettanti brani che diverranno le hit che ci porteranno all’estate (e oltre). Tra i superospiti attesi nella Città dei fiori Giovanni Allevi (mercoledì 7 febbraio), Russel Crowe ed Eros Ramazzotti (giovedì 8), Roberto Bolle (venerdì 9). La serata del venerdì, dedicata ai duetti vedrà impegnati, tra gli altri, artisti del calibro di Roberto Vecchioni, Ivana Spagna, Jack Savoretti, Francesco Gabbani, Gigi D’Alessio, Riccardo Cocciante, Ricchi e Poveri, Gianna Nannini, Skin e Umberto Tozzi. Un grande spettacolo realizzato dalla Rai con tecnologie 4K, per trasferire al telespettatore tutte le emozioni del Festival. Dietro le telecamere il regista Stefano Vicario, che dirige il suo nono Festival. Teatro Ariston e non solo, Sanremo vivrà ancora una volta sul palco Suzuki di Piazza Colombo, che ospiterà l’esibizione di Lazza, Rosa Chemical, Paola & Chiara, Arisa e Tananai, e su quello della nave da crociera Costa Smeralda, ancorata al largo di Sanremo dove si esibiranno Tedua, Bob Sinclar, Bresh e Gigi D’Agostino. Ad aprire la serata su Rai 1, il “Prima Festival” condotto da Paola & Chiara, mentre a notte fonda sarà Fiorello , con “Viva Rai 2… Viva Sanremo” a commentare ironicamente quanto accaduto durante lo show. A trasmettere il Festival e a raccontarne i retroscena sarà anche Rai Radio2, radio ufficiale di Sanremo 2024.
Dal lunedì al venerdì, alle 20.20, su Rai 3 “Caro marziano” ci racconta senza filtri tra vizi e virtù. Il conduttore: «Ai miei intervistati ho sempre chiesto tutto, ma se devo toccare qualcosa di intimo, di privato, devo percepire che si fidino di me»
La promessa al nostro marziano si è rinnovata, lei è tornato a raccontargli come vanno le cose da noi sulla Terra, chi siamo… come prosegue questo viaggio?
Il format è quello che conosciamo, a cambiare è la realtà, è il Paese, sono io che cresco, invecchio. L’idea è quella di attaccarmi alla realtà e vedere dove mi porta.
Come è cambiato, nel tempo, il suo modo di raccontare noi terrestri?
È una domanda da fare a chi mi segue, non è che te ne rendi conto. Il mio privato collima con il pubblico del “Marziano”. Crescendo vedi le cose in maniera diversa, credo di essermi un po’ imborghesito. Prima ero un po’ più fuori dagli schemi. Faccio sempre le domande imbarazzanti, ma con un po’ più di timore, mentre prima ero un po’ più disinvolto. L’importante è continuare a farle, percepisco un imbarazzo che prima non avevo, o gestivo meglio. Ero più folle.
C’è qualcosa che, o per pudore o per rispetto, non chiederebbe mai a un suo intervistato?
Ho sempre chiesto tutto, ma se devo toccare qualcosa di intimo, di privato, devo percepire che lui si fidi di me. Se non sono sicuro di avere conquistato la sua fiducia, tendenzialmente faccio un passo indietro. Monto sempre le puntate in maniera cronologica, in modo che si percepisca che, domanda dopo domanda, l’ospite abbia preso confidenza. Io busso sempre, se mi apri entro molto volentieri. Se non mi apri, per indole, non forzo mai la porta. Sono sempre grato nei confronti di chi ha fiducia in me.
Come sceglie le storie che racconta?
Se una cosa mi incuriosisce vado, altrimenti no. Lo spunto può venire dai social, che aiutano tantissimo, mentre una volta le idee venivano più dagli articoli di giornale, da un sentito dire. La base, il motore di tutto, anche nella vita, è la curiosità. Se una cosa non mi incuriosisce la mia pigrizia non mi fa scendere dal letto (sorride).
Cosa deve avere una storia per colpirla?
Mi appassionano le persone che credono in ciò che fanno, anche a costo di sacrificarsi enormemente. E poi, a quel punto, l’argomento può essere la cosa più seria o la cosa più stupida. Dallo chef allo stilista, mi piace lo sforzo che viene fatto nel fare un mestiere.
Quanto si sente un “marziano” della Tv?
Mi piace quando mi etichettano come “altro”, come una cosa diversa. Non succede sempre, ma quando accade sono contento. È bello essere marziano rispetto agli altri, e che gli altri lo siano nei tuoi confronti. Poi essere diverso dagli altri ha molti aspetti positivi, in questo periodo storico lo trovo un complimento.
Quali sono le sue passioni?
A parte gli affetti famigliari, il lavoro. Credo che il giorno in cui non mi faranno più lavorare sarà un giorno durissimo. Dentro il lavoro ci metto tutto, la mia indignazione, la mia protesta, il mio cazzeggio.
Il suo lavoro la racconta in pieno…
Non faccio cose che non mi appartengano. Tento di non farle e fino a ora ci sono riuscito.
L’Italia si fermerà nei prossimi giorni per Sanremo. Lei sarà tra i milioni di persone che assisteranno al Festival, almeno per qualche minuto?
Di solito per lavoro, e anche quest’anno andrà così, non lo farò. Però ho una grossissima stima nei confronti di Sanremo. Da cittadino mi piace perché è l’unica festa che unisce l’Italia. Ogni dichiarazione del conduttore di Sanremo pesa come quelle del presidente del Consiglio. È poi incredibile come dal giorno dopo la fine del Festival nessuno si ricordi più di niente. Sanremo non è solo un festival di canzoni ma molto di più, interessa il povero e il ricco. Anche sparare contro Sanremo è tradizione (sorride). Il solo fatto che ci sia mi conforta, un po’ come il Natale. Puoi anche non festeggiarlo ma non puoi rimanere immune.
Se dovesse raccontare Sanremo a un marziano, quali parole utilizzerebbe?
È complesso, è un po’ come parlare della mamma. E la mamma è la mamma. Però se dovessi raccontare l’Italia al marziano partirei proprio da Sanremo. Quel palco diventa importante quanto Palazzo Chigi, e non so in quanti altri paesi del mondo accada una cosa simile.
Oltre 166 mila visitatori nel solo 2023: il Museo della Radio e della Televisione di Torino ci racconta, mettendoci in contatto con le nostre origini e con il futuro. Il direttore al RadiocorriereTv: «È il museo del si può. Non ci sono le teche, le persone possono percepire l’energia degli oggetti e spesso interagire con loro. Un’esperienza di accoglienza e di inclusività». La mostra itinerante al Forte Santa Tecla di Sanremo nei giorni del Festival
Il 2024 è un anno importante
per il Servizio Pubblico, il settantesimo anniversario della televisione, il
centesimo della radio. Come vi preparate a festeggiarli?
Con un allestimento nuovo,
sperimentale, che chiamiamo museo itinerante. Portiamo fuori dal luogo fisico
del Museo della Radio e della Televisione, che ha sede nel Centro di Produzione
della Rai di Torino, il museo stesso. Dato che la nostra è una realtà
interattiva ed esperienziale, dove gli oggetti funzionano, e c’è una relazione
viva tra il pubblico, gli apparati e il contenuto, abbiamo preparato due
postazioni da portare in giro per l’Italia. Saremo presenti alla mostra che la
Rai sta organizzando a Sanremo al Forte Santa Tecla, che sarà aperta al
pubblico. Abbiamo identificato insieme ai curatori della mostra contenuti
originali dell’epoca degli apparecchi radiofonici esposti, che verranno fruiti
dal visitatore girando un pulsante. Ci saranno anche contenuti a sorpresa
dedicati al Festival. Oltre alle radio avremo i televisori (degli anni ’60,
’70, ’80, Duemila e di ultimissima generazione). Ci sarà una consolle
multimediale che comanderà gli apparati televisivi, per potere ripercorrere la
storia di Sanremo sui diversi teleschermi. Chi ci verrà a trovare, oltre al
museo itinerante, sperimenterà un’area esperienziale. Porteremo un microfono
anni Quaranta, funzionante, un modello come quelli usati da Elivis Presley e
Frank Sinatra. Il visitatore lo potrà provare mentre sarà ripreso da una
telecamera. La nostra idea è quella di un museo dell’emozione, della
leggerezza, della gioia, aperto a tutti i gusti del pubblico, se fosse un
programma sarebbe di intrattenimento.
Il Museo crea un link tra le
origini e il presente…
Avvicinandosi alle origini, che
siano tecniche, degli apparati o della narrazione, anche un giovane si pone
delle domande. Dal presente (e dal futuro), vediamo spesso come gli studenti
cominciano a interessarsi delle origini, proprio per capire da dove veniamo.
Numeri sempre più importanti
per il Museo, come è andata nel 2023?
Il 2023 è stato per noi un
anno straordinario. Abbiamo chiuso con oltre 166 mila visitatori, ma consideriamo
che nel 2022 erano stati circa 77 mila. Abbiamo più che raddoppiato. I dati
migliori in assoluto li abbiamo avuti nel mese di dicembre, con 25 mila
visitatori e con il record storico giornaliero di 3.511. E il 2024 è partito
ancora meglio. Nei primi quindici giorni di gennaio ci sono venute a trovare
quasi 16 mila persone. Abbiamo avuto un incremento anche per i visitatori del
nostro sito, che è la vetrina del Museo. Sono numeri che ci posizionano
nell’ambito dei primi 20-30 spazi museali italiani.
Un museo-non museo…
È il museo del si può. Non
ci sono le teche, puoi percepire l’energia degli oggetti e spesso interagire
con loro. La visione è molto aperta, vogliamo evitare l’effetto “non toccare”.
Cerchiamo di fare in modo che il visitatore viva un’esperienza di accoglienza e
di inclusività.
Se dovesse scegliere cinque
pezzi del museo per raccontare la radio e la tv a un extraterrestre, quali
sceglierebbe?
Partirei da Radio Caterina, una
delle radio della speranza realizzate con mezzi di fortuna da ufficiali
deportati nel lager. Queste semplici radio intercettavano il segnale di Radio
Londra, permettendo ai prigionieri di avere informazioni sullo sbarco degli
Alleati. La prima cosa che direi al nostro amico extraterrestre è che noi umani
siamo ingegnosi e che a volte abbiamo bisogno di arrivare all’estremo per
tirare fuori la nostra genialità, e che la capacità e la creatività dell’essere
umano superano qualsiasi intelligenza artificiale. Il secondo oggetto che
vorrei condividere è un registratore a nastro elettromagnetico del 1936, con 3
km di nastro d’acciaio che gira su due bobine. Ce ne sono solo due in Europa.
Al nostro ospite farei ascoltare con questo apparecchio “O Sole Mio”: la
sintesi della potenza della tecnologia del passato rappresentata con l’energia
del Sole. Gli mostrerei poi gli abiti di Raffaella Carrà, di Canzonissima ’71 e
’74 perché esprimono il femminile raccontato con forza e gentilezza, con grazia
e coraggio. Sono abiti che possono
aiutare a capire che non solo nell’uomo ci sono ingegneria e tecnologia, ma
anche bellezza, la bellezza dell’amore espressa in modo impeccabile da
Raffaella. Come quarto oggetto sceglierei l’Albero azzurro, che la Rai si
inventò trent’anni fa. Direi agli extraterrestri che li abbiamo un po’ copiati,
per sognare, per connetterci con una visione immaginifica. Sarebbe un nostro
segnale di apertura, di gratitudine nei loro confronti. Il quinto è il
programma galattico, una parete in cui tutti questi oggetti sono inseriti in un
portale, in una spirale di energia femminile nella parte dal centro in giù, e
maschile nella parte sopra, qui chiediamo al pubblico di raccontare il mondo
che vorrebbe. Un modo molto facile per entrare in un altro pianeta, in un’altra
dimensione.
Come vede il museo del
futuro…
Penso a uno spazio gentile, a
una Rai che esprima bellezza. Una femminilità non gridata che si manifesti nelle
scelte, nelle modalità e nella condivisione della grazia. Mi piacerebbe che nel
museo del futuro si accompagnasse alla facilità, anche per attrarre nuovo
pubblico. Grazia e facilità non possono che generare gioia: ogni scelta per il
Museo andrà in questa direzione.
Da lunedì 29 gennaio in prima serata su Rai 2, Gigi e Ross ed Elisabetta Gregoraci, con la band diretta dal maestro Stefano Palatresi, conducono uno show comico per divertirsi e divertire
9 gennaio 2023
MADE IN ITALY
Elisabetta Gregoraci, Gigi e Ross
Gigi e Ross ed Elisabetta Gregoraci sono i padroni di casa di
“Mad in Italy”, il nuovo show comico della prima serata di Rai 2, in onda
dall’Auditorium degli studi Rai di Napoli da lunedì 29 gennaio. Sei puntate
durante le quali il meglio della comicità italiana garantirà leggerezza e
risate, in un programma al sapor di Varietà, in cui la band diretta dal maestro Stefano Palatresi sarà in connessione
continua con i protagonisti della puntata e con i conduttori. Un cast di oltre 40 artisti si alterneranno sul palco per
divertirsi e divertire.
Lo show porterà il pubblico al centro di uno
spettacolo ricco di ospiti, sketch, musica, personaggi e monologhi proprio
perché i protagonisti saranno proprio i comici, con una alternanza sia di
quelli già amati dal grande pubblico, come Vincenzo Albano, Mago Paris, Pablo e
Pedro, Arteteca, Ciro Giustiniani, Mino Abbacuccio, Mariano Bruno, Quartetto
Cera e Laura Magni sia di quelli nuovi, tutti da scoprire come: Luce Pellicani,
Omar Pirovano, Max Gallicani, Max Sammaritani e Marco Turano. Uno show, attuale, attento ai cambiamenti e alle mille
sfumature dei tempi, dei trend e delle mode che cambiano di continuo.
La scenografia con i suoi colori caldi dove
dominano i toni del rosso e del fucsia, illuminata dai led, conferisce
suggestioni e rievocazioni creando un’atmosfera magica, a seconda delle
emozioni che saranno raccontate nei vari momenti della trasmissione. “Mad in Italy” è una produzione Direzione
Intrattenimento Prime Time in collaborazione con Tunnel Produzioni. È un
programma di Antonio Azzalini, Federico Andreotti, Dario Baudini, Antonio De
Luca, Massimo Dimunno, Nando Mormone, Alessio Tagliento. La regia è di Andrea
Fantonelli.
Giacomo Campiotti narra le tre settimane precedenti l’ultima riunione, tra il 24 e il 25 luglio 1943, del Gran Consiglio, organo supremo presieduto da Benito Mussolini, che segnò la fine del regime fascista. Nel cast Alessio Boni, Duccio Camerini, Marco Foschi, Aurora Ruffino, Martina Stella e Lucrezia Guidone. Da lunedì 29 a mercoledì 31 gennaio su Rai 1
Sceneggiata da Franco
Bernini e Bernardo Pellegrini, con la consulenza storica di Pasquale Chessa,
“La Lunga Notte. La caduta del Duce” narra le tre settimane precedenti la notte
tra il 24 e il 25 luglio 1943. Ripercorrendo i fatti che condussero a quel momento
cruciale, che vide il Gran Consiglio presieduto da Benito Mussolini decretare
la fine del regime fascista, la serie racconta la Storia italiana con la S
maiuscola, insieme alle storie di uomini e donne che agirono da protagonisti e
misero in gioco il loro destino personale, oltre a quello del Paese. Un grande
cast, che vede in scena Alessio Boni (Dino Grandi), Duccio Camerini (Benito
Mussolini), Marco Foschi (Galeazzo Ciano), Lucrezia Guidone (Edda Ciano), e
ancora Ana Caterina Morariu (Antonietta Grandi), Flavio Parenti (Umberto di
Savoia), Aurora Ruffino (Maria Josè del Belgio), Martina Stella (Clara Petacci)
e dietro la macchina da presa il regista Giacomo Campiotti.
La vicenda ci riporta al
luglio del 1943, quando le truppe angloamericane sbarcano in Sicilia, e gli
aerei americani bombardano Roma. Hitler, scontento dell’alleanza con un’Italia
incapace di fermare l’avanzata delle truppe nemiche, mortifica il Duce accusandolo
di non saper punire i traditori, intendendo per traditori, anche il Re e
l’esercito. In questo terremoto di incertezza, Dino Grandi, Presidente della
Camera dei fasci, è l’uomo che intuisce che il baratro è vicino, che bisogna
destituire Mussolini in maniera legittima, convocando il Gran Consiglio, per
poi rimettere il Paese nelle mani della famiglia Reale, riallacciando i
rapporti con l’Inghilterra e il Vaticano. Il Re Vittorio Emanuele III non
prende una posizione e cerca di mantenere il potere, mentre la principessa
Maria Josè trama con il Vaticano e gli Inglesi per rimuovere Mussolini allo
scopo di liberare l’Italia dalla dittatura, ma anche per vedere suo marito
Umberto di Savoia, figlio del regnante, ascendere al trono. Edda Ciano, figlia
di Mussolini, è combattuta tra l’amore intenso per il padre e quello per il
marito Galeazzo desideroso di prenderne il posto. E poi ci sono le due donne
del Duce, la moglie Rachele e l’amante Claretta Petacci, tutte e due
preoccupate per l’esito tragico che comincia a profilarsi. Entrambe valide
strateghe e consigliere, in questo frangente rimangono inascoltate. In questo
passaggio d’epoca, paura e ambizione al potere sono le protagoniste. Agguati,
pestaggi, omicidi, alleanze segrete, imboscate, tradimenti, inganni sembrano
non risparmiare nessuno.
E quando finalmente, la notte del 24 luglio, Mussolini convoca il Gran
Consiglio a Palazzo Venezia, la trama segreta è ordita. Dino Grandi si reca
all’incontro con due bombe a mano nelle tasche, pronto a tutto. È difficile
reggere la sicumera di Mussolini che millanta forze armate e unità del Paese
mentre gli altri gerarchi urlano ‘al traditore’. Ma Grandi non trema e porta
avanti il suo piano. «Tutti
i personaggi di questo film hanno evidentemente un preciso valore storico,
frutto delle scelte e delle azioni, in gran parte scellerate, da loro compiute
– afferma Giacomo Campiotti – Piuttosto che rappresentarli come icone di un
saggio storico, ho provato ad indagare il punto di vista di ognuno di loro: le
personalità, il carattere, le debolezze, i fantasmi del loro privato che sono
l’altra faccia della medaglia. Mi sembra che via via, in questa serie, prenda
forma un disegno interessante e forse originale, dove un potere corrotto è
arrivato all’ultimo atto e dove i potenti – chiusi nei loro palazzi o nelle
loro ville – si trovano alla fine annientati dai propri errori, gli stessi
errori con cui hanno già schiacciato milioni di persone. Il male, prima o poi,
colpisce anche chi lo fa. Dino Grandi è certamente coinvolto a molti livelli
nelle responsabilità fasciste. Ad ogni modo, quando molto, troppo tardi, si
rende conto che la situazione sta precipitando, decide di intervenire, sapendo
di correre dei rischi, mettendo a repentaglio la propria vita».
Alessio Boni è Dino Grandi
«‘La lunga notte’ parla delle tre settimane
che precedettero il Gran Consiglio indetto sull’ordine del giorno di Dino Grandi,
che prevedeva che i poteri civile e militare tornassero al Re per fermare il
delirio di Mussolini, che accettò che il Gran Consiglio si tenesse, per capire
chi fossero i traditori tra i suoi fedelissimi. Dino Grandi fu talmente bravo, era
un avvocato e trasmetteva una sorta di coraggio negli altri, da convincere
anche Ciano, genero di Mussolini. Riuscì ad avere 19 voti a favore, 7 contrari
e un astenuto, quindi vincendo l’ordine del giorno. Mussolini, alle otto del
mattino si recò subito dal Re, Vittorio Emanuele III, chiedendo di fare
fucilare i traditori. Ma il Re prese questo appiglio costituzionale, e non
vedeva l’ora, così non fidandosi fece incarcerare Mussolini e mise al potere
Badoglio. Questa è la storia. Dino Grandi riuscì a creare un’incrinatura, la
prima del fascismo, che verrà poi debellato dagli angloamericani insieme ai
partigiani».
Duccio Camerini è Benito
Mussolini
«Un compito difficile, un personaggio scomodo,
il grande convitato di pietra della storia italiana. Era un periodo molto
particolare, non c’erano più le adunate oceaniche, ormai Mussolini non usciva
più da Palazzo Venezia, c’era pericolo di attentati, si percepiva una fase
discendente. Si aveva un’immagine di questo ‘sovrano’ in caduta, più fragile.
Lui non ha voluto dare voce a quella sua fragilità perché ha continuato a
pensare caparbiamente di avere una via d’uscita. La serie parla di un argomento
storico pochissimo conosciuto, la lunga notte del Gran Consiglio. Il Gran
Consiglio è qualcosa di cui sappiamo per reminiscenze scolastiche, ma non più
di questo. All’interno di quella stanza le strategie, i pesi, i contrappesi
sono stati determinanti per la storia del nostro Paese. Ad avermi colpito è
stata la divisione in comparti del cervello di Mussolini: il suo essere
timoroso e contemporaneamente essere certo di avere una via d’uscita. Mi hanno
colpito la sua violenza e le sue fragilità, che sono tutte contemporanee. La
sfida di questo personaggio è stata proprio quella di renderle
contemporaneamente. Speriamo di esserci avvicinati».
Aurora Ruffino è Maria José
del Belgio
«Interpreto Maria José, che è stata
principessa d’Italia, un personaggio femminile non molto conosciuto, che non si
studia quasi mai a scuola. Sono felice di avere avuto l’opportunità di scoprire
la sua incredibile storia. Si diceva di lei che fosse l’unico uomo di casa
Savoia, è stata la sola ad avere avuto la forza, il coraggio, di provare a fare
qualcosa per gli italiani. Sapeva che Mussolini avrebbe portato l’Italia al
disastro, era contro il fascismo, ed era una donna che nonostante la paura,
perché sapeva di essere spiata dalla polizia segreta, ha sempre tentato di
mettere in sicurezza la sua gente. Ha avuto il coraggio di rimanere legata alle
sue idee di libertà e di rispetto per il suo Paese».
Martina Stella è Clara
Petacci
«Clara Petacci è un personaggio emotivamente
molto complesso, oscuro, carico di ombre. Una donna che nasce e viene cresciuta
nel mito del Duce. Si ritrova a essere la sua amante in un rapporto
totalizzante. Abbiamo cercato di raccontare le ombre e la complessità di questo
rapporto. Ho cercato di avvicinarmi a lei con un lavoro psicologico intenso».
Una piccola vicenda che diventa una storia universale, quella di chi ha dovuto e deve abbandonare la propria terra per un domani incerto, ritrovandosi nell’incubo dell’emarginazione. Il dramma dell’esule nel film diretto da Tiziana Aristarco, ispirato al racconto di Graziella Fiorentin “Chi ha paura dell’uomo nero?”, in onda su Rai 1 il 5 febbraio in occasione de “Il giorno del ricordo” celebrato il 10 febbraio
Canfanaro, Istria. Maddalena Braico (Gracjela Kicaj) ha
diciotto anni e sogna di diventare una pittrice, ma la Seconda Guerra Mondiale
sconvolge i suoi piani e quelli della sua famiglia. I partigiani titini
arrivano in paese e la famiglia Braico deve fuggire. Durante la fuga si trovano
coinvolti in uno scontro a fuoco e il fratello di Maddalena, Niccolò
(Costantino Seghi), viene colpito. La famiglia Braico, distrutta, trova riparo
a Cividale del Friuli dallo zio Giorgio (Fausto Maria Sciarappa). Qui provano a
ricominciare, ma non è facile. Antonio (Andrea Pennacchi), il papà di
Maddalena, è un medico, ma per sfamare la famiglia comincia a lavorare come
semplice operaio. A scuola Maddalena è presa di mira dai nuovi compagni per le
sue origini istriane. Un giorno arrivano perfino a strattonarla, ma Leo
(Eugenio Franceschini), che è lì di passaggio, riesce a mandarli via. Leo è un
ragazzo affascinante e, come Maddalena, ama l’arte e la pittura. I due
diventano subito amici e Leo spinge Maddalena a seguire il sogno di diventare
un’artista, mentre Antonio vuole che sua figlia pensi alla scuola e a un futuro
sicuro. Il legame di Maddalena con Leo diventa così forte che, all’amore per
l’arte, si unisce presto quello sentimentale, messo a rischio dagli eventi.
Antonio, infatti, trova finalmente lavoro come medico condotto e dovrà
nuovamente trasferirsi. Maddalena, invece, non vuole lasciare Leo e, disperata,
corre da lui, scoprendo però che il ragazzo è sparito. Delusa, Maddalena
abbandona quindi i suoi dipinti e parte con la famiglia. Le disavventure,
tuttavia, non sono finite per i Braico che dovranno sopportare altri momenti
difficili e anche perdite dolorose. Il tempo intanto passa e i sogni di
Maddalena sembrano essere ormai un lontano ricordo. E, mentre l’Italia
festeggia la fine del conflitto, Leo ritorna: non ha mai dimenticato Maddalena.
I due ragazzi decidono quindi di trasferirsi a Padova, dove finalmente potranno
vivere della loro arte. L’allontanamento di Maddalena, però, spezza il cuore di
Antonio, che continua a non accettare la vocazione di sua figlia. Ma sarà
proprio inseguendo il suo sogno che Maddalena scoprirà la verità su Niccolò,
suo fratello. Le storie degli esuli istriani e dalmati, quelle dei dimenticati,
saranno il tema al quale Maddalena consacrerà la sua arte, riunendo così tutta
la famiglia Braico non solo nel ricordo, ma anche nella speranza di un domani
migliore.
Spettacolo nello spettacolo. Gaetano e Maria Chiara Castelli firmano la scenografia: il palco del Teatro Ariston prende le forme di un’orchidea
Un fiore sbocciato sul palco dell’Ariston, tra
giochi di specchi e trasparenze: è la suggestione che, abbandonando la
dimensione puramente orizzontale/verticale, ha accompagnato Gaetano e Maria
Chiara Castelli nell’ideare la scenografia del Festival di Sanremo 2024, che
tornano a firmare lui per la ventiduesima volta e lei per la decima. «Quest’anno – affermano – abbiamo voluto
affidarci a forme organiche, prendendo spunto da un fiore come l’orchidea e dai
suoi petali, esasperandone le forme, per disegnare in modo morbido anche le due
scale laterali, volute da Amadeus, dalle quali scenderanno gli artisti in gara.
La parte centrale, invece, sarà automatizzata e si potrà alzare per diventare
la “porta” di conduttori e ospiti verso il palco, sotto il quale trova spazio
l’orchestra». Il tutto
“illuminato” da un gioco di materiali scenografici semitrasparenti che possono
dare alternativamente l’effetto di vetri o specchi: «E’ stato un lavoro molto impegnativo e
complesso – aggiungono – che ha direttamente coinvolto il direttore della
fotografia, Mario Catapano, e il gruppo che si occupa della grafica, proprio
perché si tratta di un’illuminazione che ha abbandonato i tradizionali
proiettori su americane e che è fortemente integrata alla scenografia, con
effetti sorprendenti per le ‘trasformazioni’ che può creare sul palco
dell’Ariston. E non solo, perché anche la platea entrerà nella scenografia con
un elemento specchiato sospeso». Un lavoro che è cominciato già a marzo del 2023, poco dopo la fine del
Festival, e che si è concretizzato con l’inizio della costruzione della
scenografia al Teatro Ariston, ai primi di dicembre. «Un lavoro davvero non semplice, ma che ci
auguriamo possa essere degna e suggestiva cornice televisiva e teatrale per il
quinto Festival di Amadeus. E ci teniamo a ringraziare il nostro collaboratore
Manuel Bellucci e tutti i professionisti Rai della scenografia, delle luci e
della grafica che hanno contribuito a questa nuova creazione».
È la direttrice dell’IPM Sofia Durante in “Mare Fuori”, è Edda Ciano ne “La lunga notte. Il RadiocorriereTv intervista l’attrice, in onda con le serie di Rai 2, Rai 1 e RaiPlay
Seconda volta nel “Mare
Fuori”. Che “navigazione” umana e professionale è stata?
È stata un’esperienza
pazzesca, inaspettata. Umanamente ho incontrato persone speciali, sia tra gli
adulti sia tra i ragazzi più giovani. Si sono creati dei bei rapporti, per
alcuni dei ragazzi mi rendo conto di essere diventata anche un po’ un
riferimento per consigli e sfoghi… cerco di essere sempre presente.
Professionalmente non ci aspettavamo un successo del genere, era inimmaginabile
pensare ai numeri che sono stati fatti o al tipo di fenomeno che si è creato.
Il set, poi, è un bellissimo momento, complesso ma arricchente. Le storie sono
tante, è un set numeroso… rumoroso… ma molto caldo. La cosa che più di tutte
scalda, è sapere che ci sono dei fan fuori dai cancelli che ci aspettano.
Come è evoluto il suo
personaggio?
In maniera inaspettata,
anche qui. Quando ho letto le sceneggiature mi sono sorpresa sia dei rapporti sia
delle modalità di evoluzione. Mi ha fatto commuovere. Quando riguardavo le
scene mi faceva tenerezza per la sua difficoltà a cedere, insieme al suo disperato
bisogno di farlo.
Come interpreta Sofia Durante
la missione educativa dei ragazzi? E per lei, qual è il valore dell’educazione?
Per me è un valore
fondamentale. Sia in famiglia sia a scuola, nelle istituzioni. È la chiave, e
troppo spesso ci dimentichiamo di quanto sia importante. Sofia fa fatica a
credere in un messaggio morbido di rieducazione, non si fida, ma piano piano
imparerà anche lei.
Cosa rappresenta nella sua
carriera “Mare Fuori”?
Una bellissima parte di
cammino, dei temi forti da raccontare. “Mare Fuori” mi ha dato anche la
possibilità di farmi conoscere da un pubblico nuovo e molto ampio… sono molto
grata a questo progetto per tante ragioni.
Cambiamo capitolo, la
vediamo tra i protagonisti de “La lunga notte”. Com’è andata nei panni di Edda
Ciano?
È stata un’avventura,
sicuramente. Non abbiamo fatto un lavoro di ricalco minuzioso del personaggio
dal punto di vista fisico… il regista era più interessato a prendere e
raccontare solo determinate parti della personalità di Edda Ciano in relazione
alla porzione di storia che raccontava.
Un racconto storico
complesso, cosa l’ha affascinata?
Un tuffo dentro un universo
completamente diverso dal mio, che mi ha affascinato proprio perché molto
distante. Io sono molto attratta dai film ambientati in epoche diverse dalla
mia, mi piace sospendermi dentro un tempo diverso e spero mi capiti sempre più
spesso.
Abbiamo parlato di due donne
diverse in mondi distanti… cosa cerca in un personaggio?
Cerco sempre qualcosa di
forte, che mi scuota. Delle sfide magari, o degli universi che mi affascinino…
una buona scrittura. Non è sempre facile capire, bisogna anche fare degli
errori per rendersi conto delle direzioni che si vogliono intraprendere e delle
trappole dove non ricadere assolutamente.
È in tournée teatrale,
quanto il teatro ha contribuito a renderla l’attrice che conosciamo?
Il teatro è la mia casa, mi
tiene in piedi e mi fa confrontare con delle sfide molto grandi. Adesso sono in
prova con “The City”, un testo del drammaturgo contemporaneo Martin Crimp e
saremo in tour fino a inizi aprile. Un testo veramente molto complesso,
sicuramente mi spinge ad uscire dalla mia comfort zone.
Quanto la rende felice il
suo mestiere?
Molto, è una grande passione
e sicuramente contribuisce a rendermi felice, insieme però a tante altre cose…
non deve esserci solo il lavoro. Mi piace viaggiare ad esempio, incontrare
culture diverse dalla mia ed espormi a nuove esperienze. Quando si fa un lavoro
che appassiona a volte ci si dimentica che ci sono altre parti che invece
bisogna continuare a coltivare.
«Mi pongo sempre nuove sfide, nuovi obiettivi, spesso inarrivabili per impegnarmi di più e non correre il rischio di accontentarmi» racconta il giovane attore romano tra i protagonisti de “La Storia” di Francesca Archibugi, lunedì 22 e martedì 23 gennaio in prima serata su Rai 1
Si aspettava questo successo,
l’affetto del pubblico?
Me l’aspettavo, ma non così tanto. Sul
set si avvertiva la consapevolezza che stavamo facendo una cosa bella, mi sono
sempre sentito bene in questo progetto, supportato perfettamente da Francesca (Archibugi,
regista) e da un cast da sogno. Per me è stato un onore confrontarmi con
questi professionisti, dalla regista a Jasmine Trinca, Elio Germano, Valerio Mastandrea,
Asia Argento. Tutto ha funzionato alla perfezione, siamo stati un dream team a
cui tutti hanno partecipato, attori, maestranze…
Cosa vi ha legato veramente?
Tutti avevamo chiara l’importanza del
libro di Elsa Morante e il senso di responsabilità che deriva dal raccontare
una storia di questa portata. Ci siamo presentati con la massima umiltà,
mantenendo un approccio di rispetto e totale fedeltà, e in questo è stata
fondamentale la guida della Archibugi che, essendo anche una sceneggiatrice, ha
avuto la sensibilità di trovare le parole più giuste per immergere un attore
dentro la giusta emotività. Un’esperienza bellissima.
Tra le pagine di Elsa Morante c’è
veramente tanto, un libro che parla ancora oggi di noi, di quello che siamo
stati, di quello che potremmo essere in futuro. Cosa le è rimasto di queste
parole?
Del libro avevo sentito parlare
molto, ma prima della serie non lo avevo letto. Quando ho saputo dei provini,
ovviamente è stato la base della mia preparazione, il punto fondamentale da cui
partire per entrare dentro il progetto. Sono rimasto scioccato dalla bellezza,
dalla profondità, dalle emozioni che questo testo è riuscito a suscitare in me.
Ho, in qualche modo, avvertito quello che fino ad allora erano stati solo
racconti dei miei nonni, che la guerra l’hanno vissuta veramente, l’angoscia e
le notti insonni durante i bombardamenti. Per me è qualcosa di inimmaginabile,
ma per Davide Segre, il personaggio che interpreto ne “La Storia”, è devastante.
Interpreta un ragazzo della sua età,
un ebreo, anarchico che ripudia la violenza. Cosa le è rimasto?
Mi ha colpito la fragilità di questo
ragazzo, costretto a fronteggiare qualcosa di molto più grande, una guerra alla
quale non voleva assolutamente prendere parte. Si è però trovato ad assistere
allo sterminio e alla deportazione della propria famiglia e qualcosa cambia
anche in lui. Per me è stata una sfida grande, ho cercato di rendergli giustizia,
e Francesca Archibugi è stata fondamentale.
Ci racconta com’è iniziato questo
viaggio ne “La Storia”?
Ho lavorato subito con la regista e
ho cercato di dare il massimo, ho letto con estrema attenzione il libro e credo
che la mia voglia di prendere parte al progetto sia venuta fuori con forza.
Per quali ragioni i giovani di oggi
dovrebbero immedesimarsi in una storia così lontana dalla nostra
contemporaneità, almeno in apparenza?
Una delle cose che mi ha colpito, nel
romanzo e nei racconti della guerra, la grande solidarietà tra le persone che,
nell’estrema difficoltà, provavano a sopravvivere insieme. È una caratteristica
dell’essere umano che, quando si trova costretto ad affrontare dei momenti
buoi, cerca sostegno nell’altro per farsi forza. È successo anche durante la
pandemia, figuriamoci durante la guerra. Sarebbe bello manifestare questo tipo
di atteggiamento sempre, non solo nei momenti brutti.
La recitazione è oggi la sua strada,
ma quand’è entrata nella sua vita?
Molto presto, a sette anni con una
pubblicità con Francesco Totti, un sogno per me che sono romanista. All’inizio
non mi rendevo conto di nulla, era tutto un gioco che mi faceva saltare scuola
ogni tanto, ero la mascotte dei set… A dodici anni partecipai al film “Una
famiglia perfetta” di Paolo Genovese, dove ho conosciuto due insegnanti di
teatro che mi hanno un po’ cambiato la prospettiva. Mi sono reso conto che volevo
essere un attore, stare dentro questo mondo.
Un passaggio quasi naturale…
Sono cresciuto sui set, quasi non mi
sono reso conto di quel che accadeva, ora non ne posso fare a meno. Il set è il
posto dove sto meglio in assoluto, a mio agio, e se passa troppo tempo da un
lavoro a un altro mi manca terribilmente.
A un certo punto è esploso come
attore, raggiungendo molta notorietà… come vive tutto questo?
Sono una persona molto riservata,
spinta però dalla passione per il mestiere. L’affetto della gente mi fa
piacere, riesco a gestire bene la mia vita al di fuori, non sono neanche uno
che condivide molto di sé sui social, quindi la normalità non viene meno.
Qualche volta per strada vengo fermato per una foto, per esempio, ed è anche
bello. C’è di peggio nella vita (ride).
Quando si raggiunge la notorietà così
giovani come cambiano obiettivi e sogni?
Mi pongo sempre nuove sfide, nuovi obiettivi,
spesso inarrivabili per impegnarmi di più e non correre il rischio di
accontentarmi.
Dove la vedremo prossimamente?
Ci sono un po’ di cose in uscita, “M.
Il figlio del secolo” di Joe Wright (tratto dal romanzo di Antonio Scurati) per
rimanere in tema Seconda guerra mondiale, ho preso parte con un piccolo ruolo
nel film di Julian Schnabel (“In the hand of Dante”). E poi sento ancora
l’emozione per “EO” di Jerzy Skolimowski (pellicola candidata agli Oscar come
miglior film straniero) un’esperienza che, per quanto ami lavorare in Italia,
mi spinge a sognare in grande, a pormi obiettivi sempre più difficili. Sono
pronto, quindi, ad accogliere molto volentieri le sfide che mi possano portare
a lavorare anche fuori dal mio Paese.
Le scelte migliori per affrontare le sfide della vita. Il RadiocorriereTv incontra la conduttrice di “Skillz”, il programma che porta i giovani a conoscere le competenze digitali necessarie per il lavoro del futuro. Il programma è deato e prodotto dalla Direzione Contenuti Digitali e Transmediali della Rai ed è disponibile su RaiPlay
Qual è l’obiettivo che si è posta di fronte alla sfida di
parlare di lavoro, di professioni del futuro, ai giovani, molti dei quali la
seguono da tempo su Tik Tok?
L’obiettivo, condiviso con gli autori, era ed è quello di
arrivare a tutti i giovani in maniera semplice e diretta, intrattenendo. Il
nostro fine è quello di dare degli strumenti in più ai giovani, perché possano
orientarsi tra quelle che sono le loro risorse, le loro attitudini, per quelli
che sono i lavori del futuro. Partiamo dai dati concreti, dalla richiesta del
mercato, in modo da indirizzare i ragazzi.
Trovare il proprio posto nelle “professioni del futuro”. Da
dove si parte?
La cosa più importante, se si vuole avere successo ed essere
felici nel mondo del lavoro, è individuare e conoscere il proprio talento. E
ognuno ha il proprio. È certamente importante studiare, ma
anche dedicarsi ad attività extracurriculari, che possano aiutarti a scoprire
bene te stesso. Non è una cosa scontata, soprattutto in un mondo, come quello
dei giovani, che è molto veloce, in cui spesso ci dimentichiamo un po’ di noi
stessi.
Si ha talvolta l’impressione che i giovanissimi non abbiano
piena consapevolezza di come a fare le differenze siano le competenze. È davvero così?
C’è la percezione che oggi si possa avere tutto ciò che si
vuole, a livello di fruizione di contenuti, di possibilità di viaggiare low
cost, rispetto a quanto accadeva anni fa. Abbiamo tante possibilità davanti, perché
la velocità è una grande risorsa, un’opportunità, ciò non toglie che per
raggiungere un obiettivo servano sforzi. La percezione di “è tutto dovuto, è
tutto semplice”, c’è nei confronti delle cose che non si conoscono. Puoi anche
pensare, inizialmente, che basti poco per ottenere risultati, ma quando ci
provi davvero arriva il momento in cui ti rendi conto che per raggiungere un
obiettivo serve impegno. Le persone che hanno talento e determinazione possono
farcela.
Quanto contano il metodo, l’approccio al lavoro?
Sono tutto. Bisogna avere bene in mente
l’obiettivo e lavorare di conseguenza, essere organizzati, pensare a ogni mossa
e non fare niente a caso, mantenendo la propria spontaneità. È molto importante avere rispetto del lavoro. C’è
chi pensa che il lavoro di content creator sia un hobby, in realtà è un lavoro
a tempo pieno che richiede organizzazione, pianificazione. Dietro a qualsiasi
video, anche di 30-40 secondi, c’è un lunghissimo scambio di mail. Devi pensare
a tutto e devi agire con grande serietà. Se non lavori seriamente non duri
tanto, soprattutto in un mondo come quello di oggi che ha aspettative
altissime.
Parlare ai giovani e al tempo stesso agli adulti, come si fa?
Il programma è pensato per aiutare i giovani ma penso possa
arrivare a tutti. La chiave per farlo è rendere le cose interessanti, senza
annoiare, partendo dal presupposto che l’emozione facilita l’apprendimento. In
ogni puntata non ci fermiamo a descrivere la skill, ma cerchiamo di
incuriosire, le puntate sono dinamiche. L’obiettivo è che alla fine di ogni appuntamento
chi ci segue abbia imparato qualcosa.
Da alcuni anni si rivolge ai suoi coetanei attraverso la
rete, cosa ha fatto per essere credibile ai loro occhi?
Sono sempre stata coerente perché la coerenza, essere se
stessi, spontanei, è fondamentale. I miei valori sono sempre stati
riconoscibili in ciò che ho fatto. E questo porta la gente ad avere stima e
fiducia. Al tempo stesso è fondamentale la cura dei contenuti, che devono
essere interessanti, che devono insegnare qualcosa divertendo. Su questi
presupposti è nato “Skillz”.
Cosa le ha insegnato, in questi anni, il suo lavoro?
Quando iniziai mi divertivo talmente tanto da non sentire ciò
che stavo facendo un lavoro. Poi ho capito, anche grazie a mio padre, alla mia
agenzia.
Ho imparato che il lavoro è una cosa seria e anche che i
rapporti umani sono importantissimi. Parlo del rapporto con la mia community,
con le persone con cui lavoro.
Che cosa le ha insegnato invece “Skillz”?
“Skillz” mi ha fatto avere nuove skill, sono cresciuta. Una
cosa è fare i contenuti da sola, girarli, montarli, altro è rapportarsi con una
troupe, con un gruppo di lavoro. Mi sono impegnata a essere spontanea davanti
alla telecamera, a non dovere ripetere, per non fare perdere tempo agli altri.
Ho lavorato sul mio self control e sulla gestione del tempo.
Il sito Rai Com utilizza cookie tecnici o assimilati e cookie di profilazione di terze parti in forma aggregata, per rendere più agevole la navigazione e garantire la fruizione dei servizi. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie.Leggi di piùOk