È in onda la domenica a mezzanotte e 45 su Rai 1 (disponibile su RaiPlay) il nuovo settimanale di Rai Vaticano “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza” condotto da Stefano Ziantoni
Per la prima volta un’intera trasmissione della Rai è stata realizzata di fronte alla Porta Santa della Basilica di San Pietro. Un evento che ha segnato l’avvio di “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza”, il nuovo programma di Rai Vaticano che vede la collaborazione della Santa Sede – Dicastero per la Comunicazione. In onda da domenica scorsa a mezzanotte e 45 su Rai 1 (e sempre disponibile su RaiPlay), sarà un viaggio lungo e appassionante che condurrà i telespettatori al Giubileo del 2025. “Come pellegrini scopriremo tanti luoghi sconosciuti e meravigliosi dell’Italia – afferma Stefano Ziantoni, responsabile di Rai Vaticano e conduttore del programma – conosceremo tante particolarità dal mondo, ma soprattutto sarà un pellegrinaggio in preparazione all’apertura della Porta Santa. Un programma di tutti, non solo di una parte, perché Il pellegrino non è solo un cattolico, un cristiano, un credente, il pellegrino può anche essere un turista. Ci siamo posti l’obiettivo di raccontare un cammino attraverso l’interiorità di ognuno, non escludendo nessuno. Attingendo alle storie, ai racconti, ai personaggi, riusciamo ad abbracciare tutte queste persone, sia in Italia che all’estero”. Alla presentazione alla stampa di “Giubileo 2025 Pellegrini di Speranza”, monsignore Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero dell’Evangelizzazione, delegato da Papa Francesco all’organizzazione dell’Anno Santo 2025. Per Fisichella il Giubileo “deve consentire al pellegrino di scoprire anche le bellezze del nostro Paese”, proprio come accade a un turista, e “consentire al turista che vede un pellegrino in processione, di riflettere, di chiedersi chi sia e cosa stia facendo. Poi c’è anche un Giubileo che vuole parlare con la città di Roma e recuperare quei luoghi, soprattutto quelle piazze, che sono luogo dell’incontro, dello scambio, luoghi in cui le persone possono conoscersi e creare amicizie che durano un’intera vita”. Le parole “Pellegrini” e “speranza”, sono state scelte da Papa Francesco come motto dell’Anno Santo. Il programma va in onda dal nuovo studio di Rai Vaticano.
Un viaggio, umano e artistico, lungo ben cinquanta anni, le sue canzoni incise come capolavori della musica italiana. Alle sue spalle i grandi maestri, e uno sguardo attento alle nuove leve che hanno “acceso una fiamma bellissima” nell’ultimo Sanremo targato Amadeus. “Premio alla carriera” nell’ultima edizione del “Premio Tenco”, il cantautore regala a tutti noi una magistrale rilettura di “Lontano Lontano” di Luigi Tenco, disponibile in radio e in streaming. Il tour teatrale parte da Vercelli martedì 27 febbraio
In cammino da alcuni decenni per raggiungere il centro esatto della musica. Che viaggio è stato?
Sono stati anni straordinari, in cui siamo passati in mezzo a momenti unici e gratificanti, non sempre semplice. Questo viaggio è stato l’inizio di qualcosa di bello, di unico, proprio perché quello che facevamo era tutto vero, non c’erano sotterfugi, non c’era qualcosa di nascosto, tutto avveniva alla luce del sole. Chi ce la faceva, ed erano davvero in tanti, compreso me, aveva dietro le spalle qualcosa di straordinario. Insomma, è stato un viaggio meraviglioso.
Come è cambiato, nel tempo, il rapporto con il suo pubblico?
Il mio pubblico è fatto di miei coetanei che mi seguono dagli inizi, persone che mi hanno sempre seguito nei concerti, creando sempre un’atmosfera magica. È sempre stato un grande pubblico, soprattutto onesto che ha sempre avuto voglia, ogni volta che mi incontrava per strada, di dire esattamente quello che pensava di me, di un disco appena uscito.
La sua musica ha sempre raccontato la contemporaneità senza mai perdere contatto con ciò che siamo stati. Cosa significa essere un cantautore oggi?
I tempi sono cambiati… “ieri” essere un cantautore voleva significare molto. Avevamo dei maestri, da Lucio Dalla a Fabrizio De André o Pino Daniele, grandi nomi, montagne straordinarie che hanno trascinato altri autori, tra i quali c’ero anche io. Esserlo oggi non so quanto conti, c’è una nuova realtà fatta di ragazzi molto giovani, legati al mondo del rap, alcuni, tra l’altro, molto bravi. Lazza, Mahmood e Ghali, per esempio, mi piacciono tantissimo. Non sono solo cantautori, hanno già alle spalle una gran bella esperienza. Negli anni ’70 e ’80 chi faceva questo mestiere aveva davvero molto da dire, c’era voglia di stare insieme, anche molti giorni di seguito, per creare qualcosa, per condividere la musica.
La musica sta cambiando, cosa le piace delle nuove leve? Cosa le è piaciuto dell’ultimo Sanremo?
Sono rimasto molto colpito quest’anno dal Festival, in particolare della serata dedicata alle cover, un momento musicale e di spettacolo veramente importante, di grande qualità che ha acceso una fiamma bellissima. Gli artisti presenti sul palco hanno lavorato anche su un repertorio non loro con un’attenzione immensa alla musica, a quello che c’è dietro, hanno provato e fatto provare emozioni altissime. Mi sono ritrovato in un mondo molto lontano dal classico Sanremo. Amadeus ha lavorato molto bene per quella giornata, che sono certo rimarrà nella memoria.
Cosa le piace raccontare con le sue canzoni?
Cerco di raccontare me stesso, senza farlo pesare, magari anche con storie inventate, d’amore… Ho sempre cercato di avere come riferimento me stesso e, con grande meraviglia, mi sono anche reso conto che le tematiche che affrontavo con la mia musica erano comunque vicine alla gente. Per me una soddisfazione enorme, perché mi sono reso conto di raccontare qualcosa che, alla fine, appartiene a tutti.
Il conduttore di “Dalla strada al palco” su Rai 2 parla della terza edizione del programma del martedì sera: «Gli artisti vengono da noi per liberare la loro energia, per darsi al pubblico con generosità. Dico loro di divertirsi e di vivere intensamente l’esperienza»
Dal palco dell’Ariston a “Dalla strada al palco” su Rai 2 nel giro di pochi giorni. Filippo, un febbraio a dir poco intenso…
Poco prima di Sanremo ho saputo che il programma sarebbe ripartito a fine febbraio e così ci siamo messi subito all’opera. Il tanto lavoro non mi spaventa, più cose faccio più sono contento (sorride). Fare “Dalla strada al palco” mi dà soddisfazione e in più mi consente di imparare una nuova professione, quella del conduttore. Fare cose nuove continua a essere per me molto affascinante.
Come è stato ritrovare la sua piazza televisiva?
È bello ritrovare gli autori, le persone che lavorano con me sin dalla prima edizione. Nonostante il programma sia abbastanza rodato bisogna fare comunque grande attenzione, perché dietro l’angolo può esserci sempre una sorpresa. Accade in uno studio televisivo così come può accadere sul palco di un concerto. Registriamo solo perché lo richiedono i cambi di palco e scenografia tra un’esibizione e l’altra, ma il programma si svolge come se fosse in diretta. Fare televisione mi consente di mettermi alla prova, di studiare un linguaggio diverso.
Cosa consiglia agli artisti in gara prima che si esibiscano?
Li invito solo a divertirsi, a vivere con il sorriso un’esperienza importante che può lasciare loro un bel ricordo. Quando riesco a entrare un po’ più in confidenza li invito a pensare che la Tv è solo una piazza più grande, con un numero maggiore di persone che guarda. Certo, ci può essere un po’ più di emozione, è comprensibile. La maggior parte degli artisti che prende parte al programma torna volentieri a esibirsi nelle piazze e nelle strade dove sono stati selezionati dalla redazione.
Che cos’hanno in comune un artista che calca le tavole di un teatro o che si esibisce in uno studio Tv e uno che per esibirsi sceglie la strada?
La passione, l’amore per ciò che fanno. C’è chi lascia il Teatro alla Scala, l’opera di Vienna, per stare sulla strada. Perché magari è proprio questa a farlo sentire meglio. Spesso sono loro stessi a dirlo mentre si raccontano. Un artista vuole comunicare un’emozione, se lavori per strada cerchi di catalizzare l’attenzione dei passanti, se fai televisione fai tutto il possibile affinché la gente non cambi canale. Il principio è lo stesso.
Si è mai esibito per strada?
All’inizio della mia carriera mi esibivo sempre nelle piazze, e come accade quando lo fai per strada, devi tenere il pubblico stretto a te, catturare lo sguardo delle persone. Se il pubblico non è interessato si distrae, se non gli piaci ti fischia anche. Devi essere efficace il più possibile.
Cosa significa essere un artista oggi?
Oggi come sempre significa riuscire a trasmettere quello che hai dentro, trasferendolo agli altri nel modo migliore. Oggi ci si scontra con nuove difficoltà, con un mondo più frenetico, dove la musica non la compri con un disco, ma la prendi per così dire in prestito. Anche la concezione dell’artista stesso è a breve e non a lungo termine. Molto è cambiato da quando ho cominciato io, quando c’erano ancora i dischi, i vinili, che oggi sono diventati oggetti di culto. Pensi che mia figlia quando li ha visti per la prima volta non sapeva neanche cosa fossero. Ha 14 anni e utilizza le piattaforme…
Lo dice con un po’ di nostalgia…
Compravamo il disco che rimaneva nelle nostre mani. Oggi la musica non esiste, è come se fosse polvere nell’aria, non è niente di noi.
Hai partecipato a Sanremo, palco che raccoglie esperienze musicali diverse, che fotografa scatta della contemporaneità musicale. Cosa le piace della musica di oggi?
Vedo una involuzione. Penso alla musica che ascolta mia figlia, trap ma non solo. Da musicista sono molto attento alla costruzione della canzone, anche quando il genere è molto lontano dal mio mondo, e vedo un ritorno al passato, in molti utilizzando ad esempio gli strumenti come avveniva in passato.
Il pubblico televisivo sta dimostrando di volerle bene anche nelle vesti di conduttore… se lo aspettava?
Mi fa sicuramente felice ma non me lo aspettavo. Cerco di trovare empatia con gli ospiti, con il pubblico. Oggi la televisione offre tanto di tutto, non è facile essere attrattivi. Detto questo faccio sempre del mio meglio, pur cercando di non essere schiacciato dai dati d’ascolto, dalle classifiche. Cerco di crescere, di migliorare a ogni stagione. Se ciò che faccio piace alla gente significa che sto facendo un buon lavoro e che quindi la strada è giusta. Mi auguro che sempre più persone si affezionino a un programma che già riceve tanto affetto. “Dalla strada al palco” è una scommessa vinta anche dagli stessi autori, Carlo Conti che ha ideato il programma in testo.
Un viaggio di ricordi e di emozioni nei settant’anni della televisione italiana. Mercoledì 28 febbraio in prima serata su Rai 1 dall’Auditorium del Foro Italico di Roma
La Tv fa 70, sei pronto a festeggiarla?
Siamo pronti a vivere questo lungo viaggio. Raccontare settant’anni è un evento vero, che porta a riavvolgere il nastro della storia del nostro Paese. Ricorderemo attraverso gli occhi dei grandi nomi che avremo in studio che cosa è stata e che cos’era la Tv, scopriremo per esempio che Maria De Filippi la usava come un mero elettrodomestico senza pensarci, come compagnia mentre studiava al liceo o all’università, o che quella acquistata dalla mamma di Piero Chiambretti nel 1966 era un richiamo per tutto il condominio. È un passo indietro che ripercorrere veramente la storia dell’Italia.
Il racconto di una storia intensa ed emozionante. Da dove si comincia?
I compagni di viaggio sono i padri costituenti della televisione, non si capisce se siano loro stessi la televisione, parlo di Pippo Baudo e di Renzo Arbore, punti di riferimento di questa grande serata. Attorno a loro ruoteranno tutti i numeri uno della tv, da Paolo Bonolis a Carlo Conti, da Amadeus ad Alberto Angela, da Enrico Mentana a Bruno Vespa, da Simona Ventura ad Antonella Clerici. Un racconto inframezzato dalle voci di alcune protagoniste, ne cito una su tutte, Serena Rossi, che canterà una delle canzoni emotivamente più importanti di Raffaella Carrà.
Cosa ti colpisce di più nel passare in rassegna tanti anni di storia?
Mi incuriosisce il fatto che forse aveva ragione il linguista Giacomo Devoto, quando disse “fra trent’anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione”. Una specie di avvertimento. Oggi ci sono anche i social, siamo andati oltre, pur avendo la Tv ha ancora un suo ruolo. La stessa politica passa solo attraverso la televisione con le varie forme di Talk show.
Qual è il tuo primo ricordo da telespettatore?
Ho due ricordi di quando ero ragazzino. Mi piaceva da morire una cantante francese, Sylvie Vartan, che cantava un brano che faceva “buonasera, buonasera, che piacere che mi fa incontrarmi di nuovo con te…”. Il sogno erotico di Massimo Giletti bambino era proprio Sylvie Vartan (sorride). Ricordo anche la mia prima trasgressione, che mi riporta a Italia-Germania 4-3, ai Mondiali di calcio del 1970. Ero bambino, allora si andava a letto dopo “Carosello”, ma quella volta mi nascosi dietro ad alcune poltrone. Quando segnò Gigi Riva uscii urlando. Fu una violazione delle regole, ma rimasi fino alla fine.
Prendi la macchina del tempo e scegli tre momenti della storia della Tv nei quali materializzarti…
Mi sarebbe piaciuto conoscere l’ingegner Alessandro Banfi, protagonista, a Torino negli anni Trenta, delle prime sperimentazioni su quella che sarebbe stata la televisione negli anni Cinquanta. Mi sarebbe piaciuto anche conoscere meglio Sergio Zavoli, che trovavo molto interessante da un punto di vista giornalistico. Chiederei, infine, alla macchina del tempo di portarmi a Berlino alla finale dei Mondiali di calcio del 2006. Mi sarebbe piaciuto vivere da telecronista quella partita.
La Tv ha 70 anni, e tu la frequenti da oltre 30. Che ricordi hai dell’esordio in Rai?
Ne ho fatti due. Il primo ai tempi di “Mixer” sotto casa di Giulio Andreotti. Fu il mio primissimo esordio televisivo nella notte drammatica in cui arrivò l’avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Alle 4.30 ero lì sotto casa, unica telecamera della Rai. Raccolsi il passaggio di Andreotti, andata e ritorno verso la chiesa. E poi l’esordio, nel 1994, in una mattina di ottobre, a “Mattina in famiglia”, la mia prima diretta nazionale. Mi è capitato di riguardarmi e fui sciolto, come se quel Giletti lì avesse fatto la televisione da sempre.
Da spettatore che rapporto hai con la Tv?
Un rapporto frenetico perché cerco di vedere più cose contemporaneamente. È un po’ un rapporto di odio e amore, anche perché per lavoro devo vederla anche quando vorrei fare altro (sorride).
Il tuo augurio alla Rai…
Maria De Filippi mi ha confidato un giorno che mai nessun dirigente le ha chiesto di venire a lavorare in Rai. L’augurio che faccio all’Azienda è di aprirsi a nuovi orizzonti, di guardare al futuro con una grande forza.
I viaggi intensi e appassionati della squadra di Riccardo Iacona tornano per gli appuntamenti col giornalismo di approfondimento del lunedì sera, su Rai 3
“Presadiretta”, edizione numero quindici, il lunedì in prima serata Rai 3: “Un programma che è uno dei fiori all’occhiello della Direzione Approfondimento” afferma Paolo Corsini, direttore dell’Approfondimento Rai. Otto imperdibili serate dedicate all’attualità in Italia e nel mondo: “Abbiamo fatto un enorme lavoro di reportage per capire cosa ci sta succedendo. L’attacco alla democrazia, le guerre, il mondo del lavoro, le questioni di genere al centro della nuova stagione, tutte declinate con viaggi in cui l’Italia è solo una parte del racconto” spiega Riccardo Iacona. Il filo rosso che attraversa tutte le puntate è la crisi della democrazia, non solo perché ovunque aumentano i regimi autoritari, ma perché arretrano i principi democratici, su più di un terreno. Nel mondo del lavoro, tra crisi, licenziamenti e deindustrializzazione; nella lotta contro il cambiamento climatico, esposta agli attacchi dei negazionisti; nell’eterno stato di emergenza della sanità pubblica; nella questione femminile, ferma al palo della disuguaglianza; negli scenari di guerra che si moltiplicano. Cosa rende unita una squadra dopo tutto questo tempo? “L’entusiasmo, l’amore, il rapporto con il pubblico, la passione del racconto, la passione civile, l’affetto che ci circonda” risponde Iacona che, anno dopo anno, ha cercato di tenere sempre alta l’asticella della qualità e dell’approfondimento complesso, senza cadere mai nel racconto facile. La prima puntata – “Democrazia sotto attacco” – è un racconto che parte in Ungheria, una delle democrazie perdute dell’Europa, e passa per la Polonia, “dove c’è stata una battaglia elettorale “pazzesca”, un colpo di coda democratico che spiega come è facile perdere la democrazia quando si attacca l’informazione, l’indipendenza della magistratura, i diritti”. E ancora, una grande attenzione al caso di Assange – l’unico giornalista in Europa in carcere senza avere commesso alcun reato in attesa di estradizione -, a poche ore dalla decisione della giustizia britannica sull’estradizione negli USA “dove dovrebbe essere processato con una legge per le spie. “Se viene estradato Julian si ucciderà. È una questione di vita o di morte” dice Riccardo Iacona.
Tanti i territori attraversati da PresaDiretta:
Il racconto del valore e del significato della democrazia che è sempre più fragile: tra crisi della rappresentanza, astensionismo e cittadini che si allontanano dalla politica. Perfino in Europa avanzano gli Stati autoritari come l’Ungheria, mentre la Polonia, osservato speciale dalle istituzioni comunitarie, ha scelto di cambiare rotta. E da noi? Qual è lo stato di salute dei diritti civili e dei nostri presidi democratici?
Gli scenari di guerra, con il loro carico di dolore e di conseguenze economiche. Gaza, Israele, Libano e Ucraina ci ricordano che la pace è un bene che è stato dato per scontato, ma non lo è più.
La questione salariale delle donne raccontata dalle operaie, dalle libere professioniste, dalle imprenditrici, dalle pensionate. La disparità di genere inizia dallo stipendio e si rafforza con la carenza di strutture a disposizione delle lavoratrici. La mancanza di una politica di sostegno adeguata fa sì che le donne vengano considerate ancora oggi cittadine di serie B.
La sanità pubblica è allo stremo, tra mancanza di medici, di infermieri e di finanziamenti pubblici, mentre la medicina privata gode di ottima salute, assieme a chi se la può permettere. Ma c’è anche la sanità che resiste, tra passione e resilienza.
I territori più inquinati del pianeta, quelli che l’Onu ha definito “zone di sacrificio”, che compromettono la salute di chi ci abita. E che esistono anche in Italia.
Il mondo del lavoro, tra vertenze, licenziamenti, delocalizzazioni e tanta voglia di resistere. Che ne sarà della Fiat-Stellantis? Quale futuro possibile per i dipendenti de La Perla, fiore all’occhiello, una volta tutto italiano, della produzione di biancheria intima di lusso?
Il farmaco per diventare magri sta conquistando il mondo. Il grande successo del medicinale creato in Danimarca non solo sta travolgendo l’economia danese, ma sta trasformando i sistemi di cura dell’obesità negli Stati Uniti e non solo. È la soluzione definitiva al problema del sovrappeso?
Le ultime scoperte legate all’idrogeno potrebbero davvero rappresentare una rivoluzione in fatto di approvvigionamento energetico? Per ora andiamo avanti a tutto gas, a dar retta alle scelte fatte in Italia negli ultimi anni in questo settore.
Un documentario che racconta la storia del Festival della canzone italiana e dei grandi artisti che lo hanno reso unico. in onda mercoledì 21 febbraio in prima serata su Rai 1
Da più di settant’anni, il Festival della canzone italiana invade le cronache, il costume e il panorama musicale del nostro Paese. Un caso unico al mondo, non solo per la sua longevità, ma per il suo enorme impatto. Il Festival di Sanremo, con i suoi pregi e i suoi difetti, rappresenta in qualche modo l’Italia, la nostra storia e il nostro carattere nazionale. Ogni anno, l’Italia intera si ferma di fronte ad un evento così popolare da esser diventato un fenomeno mediatico. “Perché Sanremo è Sanremo”, in onda mercoledì 21 febbraio in prima serata su Rai 1, racconta una storia fatta di grandi sorprese, di forti scandali, di enormi successi, di un evento drammatico, di pesanti polemiche, di grandissimi ospiti noti in tutto il mondo, di bellissime canzoni e di messaggi alla Nazione. Il documentario racconterà gli eventi politici e di cronaca che hanno attraversato l’Italia in quegli anni, e i personaggi, cantanti, autori e produttori che hanno animato la storia musicale del Festival. Un caleidoscopio di storie ed eventi, canzoni e canzonette, personaggi e comparse, raggruppate in un unico grande racconto popolare che ci racconterà “perché Sanremo è Sanremo”. Rai Documentari rende omaggio alla storia del Festival della canzone italiana e ai grandi artisti che lo hanno reso unico. Un viaggio all’insegna della musica, alla scoperta delle storie, le emozioni e la magia del palco dell’Ariston. Una serata speciale dedicata al Festival che da settant’anni rappresenta l’Italia e la sua eccellenza musicale.
I fatti e i loro protagonisti di gente comune e non. Il sabato in seconda serata su Rai 2 c’è “Tg2 Storie”, il RadiocorriereTv incontra la curatrice
Un appuntamento amato dal pubblico che si rinnova, il sabato sera c’è Tg2 Storie…
Raccontiamo storie di personaggi conosciuti e di persone comuni, per capire di che colore siano le loro vite. Per farlo ho ritenuto che fosse utili unire alla parte di reportage in esterna, interviste in studio, il programma ha adottato così una formula mista. Il nuovo Tg2 Storie propone anche la personalità di chi lo conduce e lo cura, perché ognuno di noi ha una propria biografia, una storia personale e professionale, un approccio. Io porto anche il mio essere cronista, le tematiche che ho approfondito nel corso degli anni. Nella puntata in onda sabato 24 febbraio ospiterò in studio Santo Versace, ci occuperemo anche degli orfani di femminicidio, tema di drammatica attualità, con una conversazione tra Carmelo Calì, l’uomo che alcuni anni fa adottò i figli della cugina uccisa, e uno di questi ragazzi. Il tema non è creare scalpore, emozione, bensì affrontare una problematica da più punti di vista, attraverso le testimonianze dei protagonisti.
Cosa significa raccontare la contemporaneità utilizzando lo strumento dell’intervista…
Mi permetto di citare l’esperienza accumulata negli anni trascorsi a “Tv7” e a “Speciale Tg1”, dove ho sempre raccontato la vita delle persone, la loro quotidianità. Siamo spesso portati a vedere la vita della gente comune come ordinaria, ma non è così. Sono proprio loro, molto spesso, ad avere delle risorse da offrire agli altri, e a fornire alla narrazione spunti interessanti. Lo straordinario è ben presente anche nell’apparente ordinario. In questa nuova versione di “Tg2 Storie” puntiamo a una cura ulteriore nello stile narrativo a partire dalla grande attenzione all’immagine. Il nostro racconto deve mettere sempre più al centro la storia delle persone.
C’è una storia che ti piacerebbe raccontare più delle altre?
Sono molto curiosa e questo mi porta sempre ad ascoltare con attenzione gli altri. A cogliere tanti spunti interessanti. Se penso a un personaggio pubblico dico Patty Pravo, vorrei che mi parlasse a cuore aperto. L’abbiamo sempre vista nelle sue performance, vorrei incontrare Nicoletta, i suoi pensieri, le sue emozioni. Vorrei incontrare nuovamente Giovanni Allevi, vederlo sul palco di Sanremo è stato un tuffo al cuore. Vorrei anche raccontare le persone che scelgono la solitudine, che vivono da eremita. Anche la solitudine, l’isolamento, hanno un grande fascino. Mi pongo sempre la domanda “cosa c’è dietro al silenzio”?
Raccontare storie in Tv, cosa può ancora dare, nell’era della rete, il piccolo schermo?
Se un tempo la televisione era il focolare di fronte al quale si riunivano le famiglie, oggi la Tv è sempre più una scelta. Nell’era di Internet molto è cambiato, ma sono certa che la qualità continui a pagare. I programmi di approfondimento, la divulgazione, ma anche l’intrattenimento intelligente, possono ancora offrire chiavi di lettura della realtà, possono raccontare chi siamo e indicarci dove stiamo andando.
Obiettivo è quello di attrarre anche un pubblico giovane…
La Tv è vista per lo più da persone adulte, ma può dare molto anche ai più giovani, esempio ne sono quanto fatto da Amadeus con il Festival di Sanremo e la grande offerta della piattaforma della Rai.
Promessa del cinema e della Tv è tra i protagonisti di “Mare Fuori” nei panni di Micciarella, ruolo che ricopre anche a teatro. L’attore napoletano al RadiocorriereTv: «Sono grato al pubblico. Spero di continuare a fare questo lavoro ma senza perdere il contatto con la vita reale». Su Rai 2 il mercoledì in prima serata e su RaiPlay
Come ritroviamo e dove va Micciarella in questa quarta stagione?
È un Micciarella diverso da quello della teza stagione. Il primo affrontava le situazioni in maniera giocosa, a lui piaceva scherzare con gli altri ragazzi dell’IPM, voleva sempre fare festa e divertirsi. Nella quarta stagione invece il suo comportamento cambia, diventa cupo, scontroso, arrabbiato, e non riesce a vedere con lucidità le vicende che gli girano attorno. Vuole sentirsi indispensabile e inizia per lui un cammino diverso.
Giovanissimo ma con una carriera importante alle spalle, cosa rappresenta per te “Mare Fuori”?
Ho iniziato all’età di tre anni per gioco grazie a mio padre Vincenzo Pirozzi, attore, sceneggiatore e regista. Lui fu chiamato da una nota casting che gli chiese di portarmi al provino per un film perché cercavano un bambino della mia età. I miei genitori decisero di farmi provare, ero piccolissimo quindi senza pretese, mi presero… Venni scelto per Benvenuti al Nord il film di Luca Miniero. Poi ho avuto la fortuna di continuare e lavorare in tanti altri progetti importanti e dall’iniziare come un gioco, è diventato oggi il mio lavoro, ed è ciò che vorrei continuare a fare nel mio futuro. “Mare Fuori” mi ha dato in poco tempo notorietà e successo e gliene sono grato.
Cosa ti sta insegnando questa esperienza in Tv e a teatro?
La TV, e in particolare “Mare Fuori”, mi hanno reso quasi subito popolare e mi stanno insegnando molto, prima di tutto che bisogna essere riconoscenti al pubblico che ci segue e che ci ama, e che non bisogna perdere di vista la nostra vita reale: io sono un ragazzo di 16 anni, vado a scuola, frequento i miei amici di sempre e vivo con i piedi per terra. Ho avuto la fortuna di vivere i palchi teatrali da quando ero molto piccolo, sempre grazie a mio padre che gestiva il teatro del mio quartiere, la Sanità. Ho imparato molto da queste esperienze, ho ricevuto i miei primi applausi, delle emozioni incredibili. Con “Mare Fuori” il musical, torno a teatro dopo un anno. Mi sentivo arrugginito ma poi il palco, l’amore del pubblico mi hanno completamente travolto, sono felice. Lavoro sodo e con determinazione per qualsiasi progetto mi ritrovo a vivere.
Che cosa rappresenta per te la libertà?
Per me una persona libera è una persona che vive, dobbiamo essere capaci di non farci imprigionare dai nostri demoni. Per quanto strano possa sembrare, “Mare Fuori” mi dà l’idea di libertà, perché dà ai ragazzi l’opportunità di sperare: la vita è un dono prezioso e solo noi possiamo fare in modo che sia unica e libera.
Se potessi dare un consiglio al tuo personaggio, quale sarebbe?
Se Giuseppe potesse dare un consiglio a Micciarella sarebbe sicuramente “Micciare’ fa o brav!, rifletti di più prima di agire. Vivi la tua età in maniera più spensierata e felice godendoti le piccole e le grandi cose”.
Un pensiero a tuo “fratello” Cucciolo e a Francesco Panarella…
Francesco per me è un fratello, da quando ci siamo conosciuti abbiamo avuto da subito una grande sintonia. Abbiamo un legame stabile e fortissimo, ci aiutiamo, ci consigliamo sul set e fuori dal set, gli voglio un bene dell’anima. Cucciolo per Micciarella è il fratello maggiore a cui non rinuncerebbe mai. Cucciolo è la sua vita.
Il RadiocorriereTv incontra gli interpreti degli amatissimi Saverio Lamanna e Peppe Piccionello
Saverio e Peppe, un’amicizia che non teme niente e nessuno…
CENTAMORE: Il nostro rapporto si fortifica, si rafforza ancora di più. In questa terza stagione Saverio Lamanna si mette a dura prova con questioni sentimentali. Arrivano due nuovi personaggi, interpretati da Serena Iansiti ed Eugenio Franceschini, che entrano a fra parte della vita sentimentale di Saverio e di Suleima. Piccionello è nel mezzo, viene messo a dura prova.
GIOÈ: Si consolida questa amicizia e Saverio Lamanna non può fare a meno del suo amico.
CENTAMORE: Piccionello è molto più presente anche nelle investigazioni.
Una sintonia piena, dove finiscono i due personaggi e dove iniziano invece Claudio e Domenico?
CENTAMORE: Non sappiamo mai quali siano i confini. Quando giriamo in Sicilia non è chiaro dove finisca il lavoro, io e lui siamo sempre Lamanna e Piccionello (sorride).
GIOÈ: I confini sono molto labili (sorride).
Qual è il filo conduttore che lega tra loro le puntate e tutta la vicenda?
GIOÈ: È sempre la ricerca della verità in tutta la realtà che circonda il mondo creato da Gaetano Savatteri. A fare la bussola è ancora una volta il ritorno al passato, alla memoria, alle tradizioni più intime. La terza serie propone quattro nuovi casi. Lamanna inizialmente vuole tenersi lontano dai gialli, dal poliziesco, vuole dedicarsi a un romanzo distopico ambientato in Sicilia, un po’ di fantascienza, un po’ apocalittico, ma il richiamo all’indagine sarà molto forte e giocoforza Lamanna tornerà alla sua vecchia passione.
Qual è lo strumento che consente ai vostri personaggi di affrontare e vincere le loro sfide?
GIOÈ: Per affrontare le sfide del contemporaneo dobbiamo guardare sia al passato che al presente, sempre con l’ansia di verità. Senza non avremmo modo di evolvere.
CENTAMORE: Peppe Piccionello tiene alla tradizione, alla memoria. Il passato è per lui modello. Di Saverio Lamanna apprezza prima di tutto la correttezza.
La Sicilia ancora una volta protagonista della serie…
GIOÈ: Abbiamo attraversato posti diversi dalle scorse stagioni, siamo stati a Favignana, a Mazara del Vallo, a Gibellina. Luoghi tutti da scoprire. La regia di Monica Vullo e di Riccardo Mosca ha saputo valorizzare al massimo questi scenari, rendendoli protagonisti della storia, non lasciandoli solo come sfondo. La Sicilia risuona nella vita e nell’animo dei nostri personaggi.
«Gloria è piena di passione, energia, spesso ingombrante e attraversa le vite degli altri con forza, prepotenza ma immenso amore. Ci si scorda difficilmente di una donna così» racconta l’attrice romana che ritorna sulla rete ammiraglia con un progetto ambizioso e irriverente. “Gloria” di Fausto Brizzi arriva su Rai 1 lunedì 19 febbraio e poi 26 e 27 febbraio
Chi è Gloria Grandi?
Per me una grande sorpresa. È un personaggio inusuale, non convenzionale, a tratti bizzarro, molto diverso da quelli che ho interpretato fino a oggi. È una donna con molte sfaccettature, sicuramente non inserita nei soliti cliché femminili, può risultare sorprendente, a volte discutibile, direi politicamente scorretta, un po’ come me. Gloria è piena di passione, energia, spesso ingombrante, attraversa le vite degli altri con forza, prepotenza ma immenso amore. Ci si scorda difficilmente di una donna così!
Cosa l’ha colpita di più di questa donna?
Non sempre si ha l’opportunità di interpretare ruoli di questo genere, mai scontati, audaci. L’ho capito fin dalla lettura della sceneggiatura, un personaggio così ben delineato, una donna “scomoda”, a tratti poco accogliente, che vive la vita in una maniera talmente bizzarra da risultare spesso incomprensibile. Una diva sulla via del tramonto che fa di tutto per non essere dimenticata e tornare alla ribalta, senza però pensare alle conseguenze delle sue scelte. Interpretarla è stata una sfida molto divertente.
Ritrovare sullo stesso set Massimo Ghini…
Lavorare con Massimo è come stare a casa, tra noi c’è feeling, affetto, stima, siamo legati da una bellissima amicizia. Manlio, il personaggio che interpreta, è il fido consigliere e complice di Gloria, era fondamentale avere accanto un attore con il quale questo tipo di rapporto venisse spontaneo per essere credibile. Ghini poi è perfetto per interpretare un personaggio cinico, divertente, istrionico come Manlio.
Qual è il rapporto tra Gloria e il suo manager?
C’è una forte intesa, sono come il gatto e la volpe, ma legati da un grande affetto. Lui conosce tutti i punti deboli di questa donna, la rappresenta anche professionalmente perché probabilmente è l’unico in grado di gestire il suo carattere ingombrante, il solo, forse, che in qualche modo ascolta. Manlio regge le fila del racconto con Gloria, costruiscono e distruggono insieme, è in tutto e per tutto il complice in tutte le follie…
Ogni diva ha però bisogno di un assistente…
Ho avuto l’onore di avere al mio fianco un’attrice bravissima in un ruolo assolutamente inusuale. Con Emanuela Grimalda abbiamo avuto la possibilità di sperimentare un rapporto bizzarro e strano tra i nostri due personaggi: lei è un po’ la mia la mia badante tuttofare, ma anche il mio “grillo parlante”.
Ci racconta la famiglia di Gloria?
Disfunzionale, caciarona ma piena di amore e passione, che vive le emozioni al cento per cento, anche gli scontri. Non è certamente tradizionale, ma c’è unità e, ovviamente, gira tutto intorno a Gloria che sottoporrà tutti i componenti della sua famiglia, figlia e fratello in particolare.
E il rapporto con la figlia?
Gloria ha una figlia meravigliosa che ama profondamente, ma Gloria è Gloria e si rapporta con tutti nella stessa maniera. Cerca supporto, comprensione e adorazione, si appoggia a Emma come se fosse lei la madre, con un ribaltamento dei ruoli che crea tensioni e incomprensioni. La figlia conosce la fragilità della madre, ma vorrebbe essere ascoltata, accolta e incoraggiata, qualcosa che questa donna fatica a fare, perché pretende amore, ma difficilmente lo sa restituire. O almeno così sembra…
Non dobbiamo però dimenticare un ex marito…
Alex è la figura romantica e malinconica della storia, un personaggio che dona umanità a questa donna. È passionale, caldo, ha un temperamento forte, proprio come Sergio Assisi che lo interpreta. Un guerriero romantico che ama la sua famiglia in maniera incondizionata e resta accanto a Gloria anche quando lei tratta male. In realtà questa donna ha un rapporto curioso con tutti gli uomini che, con ruoli e modi diversi, le ruotano intorno e sono affascinati da questa donna dai mille colori.
Quanta aderenza alla verità c’è nella serie sul dietro le quinte della vita degli artisti?
Direi abbastanza. Il nostro è un mestiere nel quale non ci si può nascondere, nel quale il consenso o la bocciatura la si vivono sempre in prima persona e, a volte, minano la serenità, la fiducia, la stima che tu hai di te stesso. Quando non ci sono successi, quando gli attacchi sono molto forti, nonostante le radici ben piantate per terra, ci sono grandi scossoni. È un mestiere faticoso sotto quest’aspetto. In America, dove c’è uno star system molto più forte che da noi, se qualcuno ha delle fragilità, il malessere viene fuori in maniera evidente. È un mestiere che mette parecchio a repentaglio la tua salute mentale, fortunatamente in Europa sentiamo meno questa problematica, perché non abbiamo quel tipo di consenso mondiale.
Cosa rende un artista un’icona senza tempo?
Credo la possibilità di interpretare un ruolo, staccandosi da se stesso, consegnando all’eternità il personaggio.
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