Ridere che passione

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Jacopo Cullin

Nei panni di Lello Esposito per la terza volta in “Lolita Lobosco”, l’attore cagliaritano si racconta al RadiocorriereTv: «Un profondo senso di gratitudine per aver avuto la possibilità di interpretare un personaggio bello, divertente, capace di far ridere le persone»

Buona, anzi, buonissima la prima…

Ci siamo ritrovati tutti con lo stesso entusiasmo con cui ci siamo lasciati alla fine della seconda stagione, solo un po’ cambiati, cresciuti e con delle nuove, bellissime storie da raccontare. C’è chi diventa padre come me, chi avrà uno sconvolgimento totale della propria vita. Nuovi intrecci da non perdere. Per quel che mi riguarda, sono molto contento di approfondire alcune sfumature del mio personaggio che non conoscevo, Lello ci stupirà con la sua tenerezza e fragilità.

Come evolve il suo personaggio in questa terza stagione de “Le indagini di Lolita Lobosco”?

Diventa padre di due gemelli, è costretto a maturare per affrontare al meglio questo nuovo capitolo della sua vita. Il lavoro va bene, è riuscito a conquistare la fiducia di Lolita, che lo coinvolge sempre di più nelle indagini, affidandogli compiti importanti. La paternità lo rende felicissimo, le normali preoccupazioni di quando si hanno dei figli lo costringono a fare i conti con il suo lato più fragile.

Un sardo nei panni di un pugliese doc…

Sono veramente innamorato della Puglia, Lello è profondamente barese, la sua cultura, il suo background viene fuori in continuazione… creando anche molte situazioni comiche.

… e Lolita?

Questo vicequestore è sempre pronto a bacchettarlo, ma è ormai diventata una persona fondamentale nella sua vita. Si vogliono bene e alla fine arrivano anche i complimenti (ride).

Arrivati alla terza stagione, cosa le lascia questa esperienza?

Un profondo senso di gratitudine per aver avuto la possibilità di interpretare un personaggio bello, divertente, capace di far ridere le persone.

Che rapporto ha quindi con il senso di “responsabilità”?

Esposito è sempre stato un personaggio molto responsabile, a maggior ragione ora che ha la responsabilità di due nuove vite. Farà un ulteriore step nella sua crescita personale.


L’arte della risata. Dal teatro al piccolo schermo, come è arrivato a farne una professione?

Non me ne sono nemmeno accorto. Ho iniziato a sedici anni e da quando ne ho diciotto son sempre riuscito a mantenermi con questo lavoro. All’inizio, facendo l’animatore turistico, stavo sui palchi dei villaggi, poi a teatro con i miei spettacoli comici e successivamente sul set. Un passaggio naturale che non ha una data o un momento preciso.


Come e quando nasce il suo sogno di attore?

Nasce dal desiderio di far ridere ed emozionare le persone, un desiderio che si è poi trasformato in sogno e adesso mi permette di vivere una splendida realtà.


Leggendo la bio nel suo sito, in questa sequenza di numeri a un certo punto arriva il ritorno in Sardegna. Qual è legame con la sua terra?

Fortissimo, sia con la terra che con i sardi. Siamo una grande famiglia, e anche se gli spagnoli ci definivano “Pocos, locos y male unidos”, io sento invece una grande spinta dai Sardi. Come se fossi un loro parente, un cugino, un nipote, qualcuno per cui fare il tifo e di cui essere orgogliosi. E qui il senso di responsabilità si manifesta anche nel voler rendere orgogliose le persone.


Cosa sogna per il suo futuro Jacopo Cullin?

Di riuscire a essere sempre pronto ad accettare qualsiasi sfida con uno sguardo verso il futuro e tanta gratitudine verso il passato, per le opportunità che ho ricevuto.

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ARIANE DIAKITE

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Con Luca e Fiore… ho colto l’attimo

La sua voce ha fatto il giro del mondo, il suo sguardo, la sua arte e la sua simpatia hanno già conquistato il pubblico di “Viva Rai 2!”. Nata in Sicilia, romagnola d’adozione, per anni corista di Laura Pausini, è oggi tra i protagonisti dello show di Fiorello. Al RadiocorriereTv l’artista confida: «Grazie a Rosario e Tommassini mi sono messa completamente in gioco. Ora sono aperta al mondo»

Come nasce la sua passione per la musica?

Ero piccolina, ho sempre ascoltato e amato la musica. Poi, alle scuole elementari, ho incontrato una suora meravigliosa, Suor Filena, che capì che avevo un talento. Iniziai a cantare in chiesa e nel tempo decisi di studiare canto, anche grazie al sostegno dei miei genitori. Cominciai con il musical, poi capii che l’afro, il funky e il soul erano il mio mondo.

Un giorno, sulla sua strada, l’incontro che le ha cambiato la vita…

Ho iniziato a 18 anni quando Laura Pausini mi scoprì. Iniziai a fare il suo tour mondiale, un sogno, anche perché il massimo che avessi fatto sino ad allora era andare a Cesenatico (sorride), dove cantavo negli stabilimenti balneari. Fu meraviglioso trovarmi, da un giorno all’altro, sul palco di Laura. Da lì ho continuato a cantare, a fare musica, e con tantissima fatica ho cercato di rendere questo il mio lavoro.

Che cos’è il talento?

Qualcosa che qualcuno, dall’alto, che non definisco, ti ha dato. Un dono che devi riuscire a condividere con gli altri, e questo viene naturale. Ma il talento da solo non basta, è necessario studiare molto.

Il suo viaggio verso “Viva Rai2!” è passato dal palco di Laura Pausini…

Lo scorso anno, nel corso dell’anteprima del tour mondiale di Laura, ho incontrato un personaggio meraviglioso, Luca Tommassini, che conoscevo solo attraverso la televisione. Abbiamo subito avuto grande sintonia e dopo un po’, senza che me lo aspettassi, mi chiese se mi andasse di fare “Viva Rai2!”…

Quale fu la sua risposta?

Ma tu sei fuori! (ride). Gli dissi di non essere una ballerina ma una cantante. Lui rispose che invece ce l’avrei fatta.

Quindi accettò…

Grazie anche all’aiuto, alla spinta della Pausini, decisi di fare questa esperienza. Ho provato, e mi sono trovata a ballare con nove ballerini professionisti, è davvero un’esperienza indimenticabile. Lo vedo dal mio corpo e dal mio modo di essere, è stata una palestra di adattamento.

Come la sta cambiando questa esperienza?

Ero consapevole di saper cantare, di essere una performer sul palco. Ma qui sono venuta al buio. I mesi passavano e io cercavo di trovare una mia dimensione nel programma. “Viva Rai2!” mi ha cambiato come donna, ho cominciato ad avere consapevolezza del mio corpo, della mia presenza, delle mie qualità che non erano solo quelle canore. Devo dire grazie a Fiorello, che ha visto qualcosa in me, grazie a Luca Tommassini che ha visto in me molto di più rispetto a quello pensavo di saper fare. Per fortuna nella mia vita ho sempre incontrato persone che hanno visto prima di me.

Abituata a palchi importanti, come è stato l’incontro con quello televisivo?

Completamente è un altro mondo, ma sempre molto interessante. All’inizio ho cercato di capire come dovessi stare davanti alla telecamera, il pubblico non ce l’hai di fronte, ma è a casa e lo devi immaginare. Al tempo stesso, è stato bello vedere tutto quello che c’è dietro alla Tv, che è un mondo. Per fare 45 minuti di diretta, serve tantissima energia.

A “Viva Rai 2!” è ballerina e cantante. Come va con le sue colleghe Beatrice DeDo e Serena Ionta?

Con loro c’è un bellissimo rapporto, i nostri generi sono tra loro molto diversi e lavorare insieme è un completarsi. Mi piace fare musica con loro e con il maestro Cremonesi. Sto imparando anche molto da loro…

Parliamo di Fiorello…

È energia e improvvisazione ai massimi livelli. Credo di non avere mai visto un artista tanto poliedrico. Mi ha insegnato a stare sempre sul pezzo, a non adagiarmi, a saper fare tutto. Fiorello ti spinge a dare sempre il cento per cento.

Quanta ironia c’è nella sua vita?

Tantissima. Lavoro seriamente, ma senza mai prendermi sul serio. L’ironia è l’energia che mi spinge ad andare avanti, senza però mai smettere di guardarmi intorno, proprio come fa Fiore. Nella vita ci sono il sorriso e anche amare verità, bisogna andare avanti sorridendo.

Che cosa si dice di questo successo a casa sua a Forlì?

Che ho avuto grande coraggio, nessuno si aspettava questo risultato, nemmeno io del resto. Sono tutti molto contenti, erano abituati ad ascoltarmi nelle vesti serie di cantante (sorride)… adesso mi vedono tutte le mattine in Tv. Ancor più contenta è la mia bambina di cinque anni, Marianne.

Cosa dice di mamma?

È molto contenta, mi vede in modo diverso. Adesso abbiamo l’interesse comune per la danza, le piace vedermi ballare. Mi ha insegnato anche i passi di alcune coreografie di brani in voga, come “Tuta Gold” di Mahmood (sorride).

Le propongo un gioco, che brano dedicherebbe a Fiorello, Biggio e Casciari?

A Fiorello sicuramente “I will always love you” di Whitney Houston, perché lui si commosse la prima volta in cui mi sentì cantarla. (Arianne inizia a cantare)

And I will always love you
I will always love you
You
My darling, you, mm, mm

Vedo ogni giorno quanto Fiore ama il suo lavoro, spero di avere anche io sempre la stessa sua passione, anche in futuro.

Passiamo a Biggio…

A lui dedico “Sei nell’anima” di Gianna Nannini…

Sei nell’anima 
E lì ti lascio per sempre 
Sei in ogni parte di me 
Ti sento scendere 
Fra respiro e battito

Scelgo questa canzone perché dopo San Marino (conduzione del programma “Una voce per San Marino”) io ce l’ho nel cuore (sorride). Servono professionalità e coraggio per fare una serata meravigliosa come l’ha fatta lui. E poi perché Fabrizio è una bellissima persona.

Infine, c’è Casciari…

Mi piace tantissimo, è puro, è così come lo vedete. Mi ispira sincerità, felicità… propongo un bis di canzoni, “Sincerità” di Arisa e “Felicità” di Albano e Romina.

Felicità
È un bicchiere di vino con un panino, la felicità

Guardi in direzione futuro, che cosa vede?

Dopo questa esperienza non so cosa farò. So solo di avere gli strumenti per affrontare qualsiasi cosa e per questo sono aperta al mondo. Qualsiasi cosa arriverà vorrà dire che dovrò farla. Proprio come è accaduto con “Viva Rai2!”.

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70 x 70

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LO SAPEVATE CHE…

Settanta pillole, tra storie e aneddoti, per ripercorrere e celebrare i 70 anni della televisione italiana. Su RaiPlay a cura di Rai Contenuti Digitali e Transmediali e Rai Teche. La conduttrice Francesca Barolini al RadiocorriereTv: «Quello della Rai è un archivio vivo e noi siamo un po’ dei cercatori di pepite d’oro». E ancora «Leggere il passato, anche attraverso i documenti delle Teche proposti dalla piattaforma della Rai, fornisce gli strumenti per interpretare al meglio la contemporaneità»

Come nasce “70 x 70 Lo sapevate che…”

“Lo sapevate che…” è una formula reiterata con cui inizia ciascuna pillola che racconta una curiosità, un aneddoto, un fuorionda, un esordio che fa parte della storia della televisione italiana. Sono 70 pillole per i 70 anni della televisione pubblica italiana, compiuti il 3 gennaio. Sono storie che giacevano pressoché dimenticate nell’archivio e in cui ci siamo imbattuti in tutti questi anni di ricerca.

Un grande lavoro di squadra…

Con la squadra del Supporto Editoriale di Rai Teche e con la regia di Luca Rea, che è parte integrante del Supporto Editoriale ed è anche lui un grandissimo esperto di archivio. Molte delle pillole sono anche frutto delle sue scorribande nell’archivio Rai.

Quanto è complesso muoversi all’interno di milioni e milioni di ore di trasmissione?

È sempre una bellissima sfida, a partire dal fatto che si tratta di un archivio che ha una sua caratteristica precipua, quella di essere continuamente nutrito dalla messa in onda. Si tratta quindi di un archivio vivo, in cui i livelli di ricerca possono essere molteplici. Ci può essere una ricerca essenziale, superficiale, ma quello che cerchiamo noi è sfidarci continuamente. Siamo un po’ dei cercatori di pepite d’oro. Non ti nascondo, e non lo dico per piaggeria, che uno dei nostri strumenti di ricerca fondamentali è il RadiocorriereTv, fonte di informazioni sulla programmazione del passato che integra quelle reperibili sul catalogo multimediale della Rai, che per noi è molto importante. Abbiamo poi dei nostri segreti. Qualcuno lo posso dire, altro no (sorride). Posso dirvi che una risorsa importante è il modo di far riversare le cose. Quando fai riversare un supporto, puoi far digitalizzare il programma di tuo interesse oppure poi decidere di riversare tutto il nastro, dall’inizio alla fine, annunci e promo compresi. Non ti nascondo che tante volte questo regala delle sorprese. A volte si trovano addirittura dei fuorionda, alcuni di questi sono parte delle nostre pillole. In questo momento è in corso la digitalizzazione massiva delle pellicole dei telegiornali a partire dal 1954 e alcune non erano mai state riversate, quindi non sono proprio mai state riviste.

70 clip che vivono in rete e sui social…

Volevamo che fosse un racconto breve e dinamico, che dichiarasse fin dall’inizio l’argomento della pillola e che fosse adatto anche a una fruizione digitale e sui social media. “70 x 70. Lo sapevate che…” è un programma realizzato da Rai Teche e da Rai Contenuti Digitali e Transmediali, che da qualcosa di appartenente al passato per definizione, come i programmi contenuti nell’archivio della Rai, vuole parlare a tutte le generazioni. Le puntate raccontano i volti della televisione, il Festival di Sanremo, la grande musica, i grandi programmi, da “Domenica In” a “Lascia o raddoppia?”, gli show di Pippo Baudo, una panoramica il più possibile completa della storia dell’archivio Rai.

Tra le sequenze che avete riportato alla luce, ce n’è una che ti ha colpito in modo particolare?

Durante le nostre ricerche ci siamo imbattuti nella prima hit parade televisiva in assoluto, che si intitolava “Motivi in Borsa” trasmessa un tempo all’interno del telegiornale. Nei sacri studi del Tg si recavano Mina, Raffaella Carrà e addirittura Lucio Battisti, del quale abbiamo ritrovato immagini inedite.

Che risposta state ricevendo da parte del pubblico?

C’è grande attenzione. Ti posso dire, ad esempio, che la pillola dedicata a una delle prime apparizioni di Madonna in una discoteca di Garlasco alla fine del 1983 sta facendo impazzire le persone.

Che cos’è per te la televisione?

Un’arte, l’ottava arte. Sono sempre stata appassionata di comunicazione, di linguaggio. Ritengo che quello televisivo sia stato un po’ ingiustamente bistrattato. La televisione, i programmi di ieri e di oggi, ci fotografano per quello che siamo. Vedere tanti filmati più o meno recenti, nel fare ricerca o anche come fruitori di RaiPlay, non significa solo studiare il passato, bensì viverlo. Penso che le nostre pillole siano un’opportunità per capire intanto che la Rai è orgoglio nazionale, con una storia veramente ricchissima alle spalle, e che ha ancora molto da insegnare. Leggere il passato, anche attraverso i documenti delle Teche proposti dalla piattaforma della Rai, ci fornisce gli strumenti per interpretare al meglio la contemporaneità.

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Siamo quello che conosciamo

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DUILIO GIAMMARIA

«Più siamo informati, motivati e consapevoli, meglio riusciamo a compiere le nostre scelte» afferma il giornalista alla guida del programma da oltre dieci anni. Il martedì in prima serata su Rai 3 tornano le inchieste, gli approfondimenti, le testimonianze di “Petrolio”, con il respiro internazionale che caratterizza la trasmissione, perché «quello che succede altrove ci riguarda in ogni caso»

ROMA 26 FEBBRAIO 2024 PUNTATA DI “PETROLIO” IN ONDA SU RAIDUE DA MARTEDI 27 FEBBRAIO ALLE ORE 21 20 SU RAITRE NELLA FOTO DUILIO GIAMMARIA

“Petrolio” è tornato, il martedì su Rai 3. Quali sono gli obiettivi di questa nuova stagione?

“Petrolio” continua ad affrontare argomenti complessi, difficilmente trattati in prima serata, con l’obiettivo di renderli comprensibili. Lo facciamo rivolgendoci a tutti, proprio perché quelle che affrontiamo sono tematiche che influenzano la vita di ognuno di noi. Più siamo informati, motivati e consapevoli, meglio riusciamo a compiere le nostre scelte.

Documenti e inchieste esclusivi e prestigiose testimonianze in studio in pieno stile “Petrolio” e, novità, la presenza in voce di una “intelligenza artificiale”…

L’intelligenza artificiale è un modo per familiarizzare con l’utilizzo delle tecnologie, che al di là dei rischi che possono implicare, sono delle grandi opportunità per radunare dati, per raccogliere informazioni, fare verifiche. Abbiamo creato la nostra intelligenza artificiale che è in grado di restituirci i dati essenziali su un determinato argomento, anche con un approccio un po’ giocoso, l’abbiamo chiamata “Ia” come se fosse un’amica.

Cosa fare per non essere schiacciati dalla tecnologia?

Conoscerla, frequentarla e riflettere sull’uso che se ne può fare. Non c’è niente di peggio di una tecnologia non compresa e non sfruttata. Il dibattito sulle tecnologie fa parte dell’umanità da almeno due secoli, dall’introduzione dei primi telai tessili meccanici, dall’uso del vapore. Nel corso della storia non sono mai mancati teorici del catastrofismo. Io invece sono positivo, sapendo che mai come in questo momento più il know-how è condiviso, meglio è. Se è vero che ogni innovazione tecnologica implica il rischio di una disparità di conoscenze, è necessario fare un salto in avanti tutti quanti insieme.

Uno sguardo che va sempre oltre i confini nazionali, quanto è utile una visione d’insieme per capire dove stiamo andando?

Se pensiamo di essere al centro del mondo abbiamo un effetto distorsivo della visione sulla realtà. Certo, rimaniamo un paese centrale, ben conosciuto nel mondo, ma è anche il mondo che deve entrare nelle nostre case. Quello che succede altrove ci riguarda in ogni caso.

Una buona reputazione, credibilità, fiducia da parte del pubblico. “Petrolio” ha costruito tutto questo in oltre dieci anni di programmazione, che cosa pensi voltandoti indietro e al tempo stesso volgendo lo sguardo al futuro?

L’intuizione di “Petrolio” fu, sin dall’inizio, quella di raggiungere il pubblico in modo coinvolgente. Il format si è evoluto, ma ha mantenuto intatte le caratteristiche identitarie: temi originali, controllo maniacale delle fonti per un’informazione accurata, ospiti che non sono dei semplici parlatori seriali, ma informati protagonisti. In questo modo lo studio è in piena continuità con quanto raccontato nei documentari, nelle inchieste. Ma prima di tutto mi sta a cuore la motivazione di un programma di servizio pubblico: tutto ciò che è possibile fare per dare ai telespettatori, passo dopo passo, tasselli di conoscenza, che gli consentano di formarsi una propria informata opinione.

Avrete ospiti del mondo politico?

Non siamo un programma politico in senso stretto, ma lo siamo in modo sostanziale. Tutti gli argomenti che trattiamo hanno un forte impatto con la politica, che verrà interpellata spesso e quando necessario. La politica è la stanza dei bottoni in cui si prendono le decisioni, è giusto pertanto che ci sia una connessione tra le questioni che solleviamo e le decisioni prese.

Una carriera importante alle spalle. Cosa ti emoziona, ancora oggi, della professione del giornalista?

Scoprire qualcosa che prima non era visibile, o che non era stata capita. Il miglior riconoscimento è sapere che quello che raccontiamo è utile a chi ci segue.

Quali temi affronterete nella prossima puntata?

Continueremo a parlare di energia: dalla geopolitica alle case. Quando accendiamo un fornello siamo in contatto diretto con il gas algerino, con quello russo, con quello che arriva dagli Stati Uniti o dal Qatar. Non lo faremo solo in termini geopolitici ma anche di salute. Avremo un’inchiesta approfondita, scientificamente provata, dei rischi connessi alle polveri sottili, ai veleni emessi dalle nostre cucine. Un buon ragù, la cui cottura è prolungata nel tempo di un paio d’ore, rilascia in casa nostra una quantità di polveri notevole, al punto che, probabilmente, sarà necessario arrivare presto a una riconsiderazione del gas in cucina da sostituirsi con l’elettricità. Sarà il nostro punto di partenza. Poi parleremo di pillole: i farmaci, i tranquillanti, gli integratori. Cose che sono entrate nelle nostre abitudini anche grazie a un marketing onnipresente e di cui a volte abusiamo.

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MARGHERITA DELLE STELLE

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«Un viaggio emozionante, lo studio delle stelle di Margherita Hack è una metafora della nostra vita: puntare alla stella giusta, dirigerci verso i nostri sogni. La sua non è stata complessa, ma semplice, perché felice» afferma la protagonista del film “Margherita delle stelle”, in onda martedì 5 marzo in prima serata Rai 1

Un ritratto intimo ed emozionante della grande astrofisica italiana Margherita Hack, modello di emancipazione, curiosità, eccezionale autenticità. Il film diretto da Giulio Base e interpretato da Cristiana Capotondi, è la storia di una donna che non si è mai piegata a compromessi e che ha scelto sempre per se stessa costruendosi una realtà che la rappresentasse davvero: a partire dal modo di vestire così lontano dalle regole del tempo, fino ad arrivare alla costruzione di un matrimonio tanto felice quanto non convenzionale.

Liberamente ispirata al libro “Nove vite come i gatti” di Margherita Hack e Federico Taddia, la sceneggiatura di Monica Zapelli è un coming of age che si concentra sugli anni meno noti della vita della scienziata, dalla sua infanzia e adolescenza con dei genitori straordinariamente anticonformisti che le hanno insegnato la libertà di scegliere e l’hanno portata a rompere gli schemi imposti dalla società, primi fra tutti quelli dell’ideologia fascista. Questa prima serata della rete ammiraglia è certamente un tributo a una figura nota in tutto il mondo per il suo enorme apporto alla scienza, ma soprattutto una storia di empowerment femminile perseguito con tenacia da una donna che in fondo non si è mai posta come obiettivo di andare controcorrente, ma ha sempre fatto tutto con profonda leggerezza e libertà.

Il film racconta la storia di una bambina come tante altre che però ha avuto la fortuna di avere due genitori che – con qualche generazione d’anticipo – le hanno insegnato i valori della libertà, della parità, del contatto con la natura e della curiosità. Margherita gira per le campagne fiorentine in bicicletta, coi capelli sciolti, i vestiti comodi e una naturale predisposizione all’autonomia. Quella bambina si trasforma poi in una liceale che, durante il ventennio fascista decide di seguire l’istinto, rischiando di farsi espellere dai licei italiani perché non crede sia giusto che la sua insegnante ebrea venga cacciata per le sue origini. È anche la ragazza che se ne frega delle mode, di quello che pensano gli altri e che preferisce lo sport e le gite in bicicletta alle serate mondane.

Con Aldo, prima amico d’infanzia e poi compagno di tutta una vita, costruisce un matrimonio su misura, al di là di ogni usanza e tradizione, tra lunghe chiacchierate sotto le stelle e la scelta condivisa di prediligere la libertà alla famiglia. L’adolescente diventa infine la giovane donna che si innamora del mondo delle stelle e, a dispetto di tutte le convenzioni e del ruolo della donna in uso all’epoca, riesce a emergere in un mondo fatto e governato da soli uomini grazie alla sua passione e dedizione.

Ancora una volta la sua eccezionalità nasce da uno spontaneo istinto, una libertà autentica e da una curiosità inesauribile: qualità che la rendono una ricercatrice fenomenale. Tanto che, dopo dieci anni al centro Astronomico di Merate, dove si è scontrata con le dinamiche baronali del mondo accademico italiano, Margherita Hack diventa finalmente la prima direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Trieste. E da lì proseguirà il suo viaggio pluridecennale tra i meandri del cosmo, con gli occhi sempre puntati in alto.

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Lolita, il mio portafortuna

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LUISA RANIERI

L’attrice, alla terza stagione della serie, parla al RadiocorriereTV dell’affetto per la vicequestore a cui dà voce e volto: «È forte perché non ha paura di mostrare le sue fragilità»

Ritrovarsi da dove ci si era lasciati. Che tipo di ripartenza è stata?

Quando sono tornata a Bari per girare ho provato la voglia di ritrovare i compagni, le storie di Lolita, le sue fragilità, le sue tenerezze, le sue nostalgie, il rapporto con la città. In questa terza stagione vedremo una Lolita indaffarata a superare un passato che non è passato, e al tempo stesso spinta verso qualcosa di nuovo, che cerca di andare avanti. Ritroveremo anche tutti gli altri personaggi, interpretati da Bianca Nappi, Giovanni Ludeno, Jacopo Cullin, alle prese con un rapporto di coppia in cui si devono mettere in gioco veramente, perché sono cambiati gli equilibri.

Lolita affonda i suoi tacchi nella sabbia, è un po’ la metafora della vita, si sprofonda e servono maniglie per rimanere saldi. Quali sono gli appoggi di Lolita per andare avanti?

Sicuramente le sue amicizie, la sua famiglia, il suo lavoro: sono qiesti i punti fermi. Marietta è un suo punto fermo, insieme ad Antonio Forte. Sono la piattaforma su cui lei si appoggia.

Lolita è un personaggio sfuggito allo stereotipo, si mostra per quello che è, una donna che vuole affermarsi nel lavoro, che non rinuncia a nulla nella sua vita…

La cosa che mi piace di lei è che non ha paura di mostrare la sua fragilità. È forte per quello. Si concede anche le malinconie, a volte dei momenti di tristezza, di solitudine, però con un fare quasi di coccola. Sono dei sentimenti umani: non esistono solo la forza, il determinarsi, l’essere autonomi, ma anche tanti altri sentimenti e conflitti interni. Lolita i suoi conflitti se li vive, con i suoi bicchieri di vino, la sua solitudine, i suoi pensieri, le sue riflessioni. Trovo questo molto attinente alla realtà.

Essere una persona libera comporta sempre delle responsabilità. In che modo Lolita le ha accettate?

Credo che questa sua libertà, questo suo essere intransigente li abbia anche pagati. L’abbiamo vista ad esempio combattere contro il cliché della madre, che nella prima stagione le diceva che una donna alla sua età si sarebbe dovuta sistemare, in realtà lei è portatrice di un femminile diverso, tanto da fare emancipare anche la madre e la sorella dalla figura maschile. Le sprona a diventare imprenditrici, a seguire il sogno e a non averne paura, a non temere di incontrare l’amore, di andare oltre al giudizio altrui. In questo la trovo un personaggio di un femminile a tutto tondo, solidale.

Qual è la soddisfazione che le ha dato questo lavoro?

Sicuramente l’affetto del pubblico, impagabile. Sono grata a questo personaggio che ho molto amato, molto cercato, è un femminile che mi piaceva rappresentare. Per me Lolita è un portafortuna che mi è stato donato, insieme a lei sono arrivate nella mia vita bellissime occasioni. Quest’anno il secondo film con Sorrentino e la partecipazione a un film di Jonny Deep. E poi la cittadinanza barese. Devo dire che non è andata male. (sorride)

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Quello che le donne dicono

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ILLUMINATE

Martina Stella, Anna Ferzetti ed Euridice Axen sono tre delle protagoniste della nuova stagione della docu-serie in onda su Rai 3 e disponibile su RaiPlay. Alla vigilia dell’8 marzo abbiamo incontrato le attrici impegnate a raccontare rispettivamente Nilla Pizzi, Suso Cecchi D’Amico e le sorelle Fontana

MARTINA STELLA

Donne che raccontano altre donne, cosa le ha lasciato questa esperienza?

È stato un progetto bellissimo, di grande qualità, e sono stata felice e onorata di farne parte. Sono sempre stata una grande spettatrice del programma, e quando dopo una serie di incastri con altri progetti lavorativi sono riuscita a registrare l’episodio, ho percepito una sensazione di magia. Credo che ripercorrere la vita, la carriera, il percorso artistico e umano di Nilla Pizzi, di questa grande artista, regina della canzone italiana, sia stato interessante e molto emozionante.

Come la vita di una persona può “illuminare” quella di un’altra?

Credo che il cinema, la musica, l’arte in generale, illuminino ed emozionino gli altri. In particolare, ripercorrere la vita professionale e umana di artisti meravigliosi, di donne straordinarie dalle vite straordinarie, è sicuramente qualcosa che non può lasciarti indifferente, qualcosa che ti illumina, ti ispira, ti colpisce profondamente.

Cosa l’ha colpita della personalità di Nilla Pizzi?

Conoscevo Nilla Pizzi come cantante, attraverso le sue canzoni e la sua voce inconfondibile ovviamente, ma non conoscevo la sua vita nel profondo, il suo percorso umano e psicologico, grazie a questo programma ho avuto l’opportunità di farlo e sono rimasta affascinata, oltre che dall’inconfondibile talento, anche dalla modernità, dalla determinazione di questa giovane donna che partendo dalla provincia riesce a girare tutto il mondo grazie al suo lavoro, alla sua grande passione, da sola, senza un marito o un uomo che la guidino. Una giovane donna che, in maniera sensibile e intelligente, è riuscita ad abbattere regole e schemi sociali dell’epoca. Una grandissima artista e una grandissima donna.

Pochi giorni e sarà l’8 marzo, cosa rappresenta questo giorno per lei?

È una giornata importante, la giornata internazionale della donna, dei diritti di tutte le donne per ricordare le conquiste sociali e l’importanza delle lotte che tante donne prima di noi hanno affrontato in passato. Sembra una banalità ma l’8 marzo dovrebbe essere celebrato tutti i giorni perché c è ancora tanta strada da fare per contrastare la violenza, gli stereotipi, per educare anche le nuove generazioni alla parità e al rispetto.

ANNA FERZETTI

Donne che raccontano altre donne, cosa le ha lasciato questa esperienza?

Io sono una fan delle donne e non solo perché lo sono, ma perché amo lavorare tra donne, credo che ci possa essere un’alchimia importante e che un gruppo di donne possa fare molto insieme. È stata un’esperienza bellissima e importante, soprattutto poter raccontare una donna come Suso Cecchi D’Amico.

Come la vita di una persona può “illuminare” quella di un’altra?

In tanti modi, secondo me rendere felice qualcuno è uno dei più gratificanti.  Per farlo bisogna essere aperti e disposti a impegnarsi, a mettersi in discussione e, in certi casi, da parte. Bisogna supportare emotivamente amici, familiari, o la persona con cui si condivide la vita, incoraggiarli, ascoltarli prima di tutto, ma anche riconoscere le qualità degli altri e illuminarle, valorizzarle, sostenerle, incoraggiarle. Riconoscere le qualità altrui equivale anche a riconoscere se stessi.

Cosa l’ha colpita della personalità di Suso Cecchi D’Amico?

Non ho cercato di rifare Suso Cecchi D’amico, perché è difficilissimo poter essere qualcun altro, ho dato una mia visione ma non era questa la richiesta. Ho cercato di darle una voce più che altro e un volto, ma non somigliante. Però molti aspetti di lei mi hanno colpito: è stata una donna autonoma, con un grandissimo senso dell’umorismo, una donna semplice, diretta, coltissima e anche molto elegante. Ha avuto una carriera straordinaria in un periodo anche difficile, dove il cinema era maschilista, e ha avuto modo di lavorare con tante persone importanti come Rossellini, Zeffirelli, Monicelli, Antonioni, firmando a sua volta de grandissimi capolavori come “Il Gattopardo”, “I Soliti Ignoti”, “Ladri di biciclette”. Credeva nel lavoro di gruppo, che per lei aveva un grande significato e che condivido anche io moltissimo. Credo che questo mestiere, e tanti altri, si debbano fare in gruppo, dove ci si ascolta, dove c’è uno scambio continuo di pareri, dove ci si compensa. È stata una donna che ha amato tantissimo il compagno, nelle tante lettere che gli scriveva emergeva un carattere divertente e un senso dell’umorismo che si percepiva sempre. Ha mandato avanti la casa, i figli, è stata molto presente come madre, riuscendo comunque a lavorare e a prendersi il suo spazio. Sono felice e onoratissima di aver avuto modo di raccontarla. Suso diceva: “Lo sceneggiatore non è uno scrittore, è un cineasta, e come tale non deve rincorrere le parole bensì le immagini, deve scrivere con gli occhi”, ed è così, mi trovo pienamente d’accordo e ho sempre apprezzato questo suo pensiero.

Pochi giorni e sarà l’8 marzo, cosa rappresenta questo giorno per lei?

Da ragazzina consideravo la festa della donna una giornata in cui uscire con le amiche, stare un po’ da sole tra noi, un giorno di svago e divertimento. Poi, naturalmente si cresce, si legge, si cerca di capire perché esiste questa festa, che rappresenta un giorno importante per vari accadimenti. Credo però che ogni giorno sia un giorno buono per festeggiare la donna. Certo, sono molto amareggiata per quello che accade, ho iniziato ad avere paura a stare da sola in giro per le strade, c’è diffidenza. Per me l’8 marzo è più un pretesto che una vera e propria festa. Un pretesto anche per riflettere sulle conquiste politiche, sociali, economiche: bisogna continuare a lottare per tutto questo e per i diritti delle donne.

EURIDICE AXEN

Donne che raccontano altre donne, cosa le ha lasciato questa esperienza?

Di questa esperienza rimane l’incontro, sicuramente, con tutte le donne meravigliose dell’atelier Fontana che mi hanno stupita per la loro apertura e simpatia.

Come la vita di una persona può “illuminare” quella di un’altra?

In tanti modi, ma tutti hanno a che fare con l’amore.

Cosa l’ha colpita della personalità delle sorelle Fontana che ha raccontato nel programma?

La forza di volontà, il coraggio e quel pizzico (anche più di un pizzico) di follia… Se pensiamo al fatto che per tentare la fortuna hanno preso il primo treno che è passato (letteralmente) senza decidere la destinazione… Questa cosa mi è rimasta particolarmente impressa.

Pochi giorni e sarà l’8 marzo, cosa rappresenta questo giorno per lei?

Un’ipocrisia.

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L’inizio di una bella storia

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CLARA

Da Sanremo Giovani (vinto) a quello dei Big dove ha conquistato tutti per la sua voce, interpretazione e raffinatezza, la cantante e attrice per la serie cult “Mare Fuori” è pronta a spiccare il volo. Fuori il suo “Primo”, l’inizio di una nuova straordinaria avventura in musica che proseguirà da maggio in un tour live per l’Italia

Poche settimane fa si sono spente le luci di Sanremo, cosa le rimane di questo viaggio?

Emozioni profonde, energia, affetto delle persone. È stata un’esperienza bellissima, sarebbe stato bello se non fosse finita (ride).

Questi “diamanti grezzi” sono pronti a spiccare il volo?

Anche se rimarranno sempre “diamanti grezzi”, il bello è proprio questo.

A Sanremo ha vinto il “Premio Enzo Jannacci Nuovo Imaie” sottolineando nella motivazione la sua splendida voce, un’interpretazione raffinata, simbolo di una nuova generazione musicale…

La lettura del commento che accompagnava la premiazione è stata un momento per me molto emozionante, ricevere un Premio che porta il nome di Enzo Jannacci è stato proprio bello. Ero a Sanremo per la prima volta e sapere che la mia canzone era arrivata al pubblico è stato importante. Io rappresento una delle tante voci di questi tempi, quando penso o scrivo una canzone non ho come riferimento i miei coetanei, spero sempre di raggiungere più persone possibili. Quello che ho potuto captare dalla mia esperienza sanremese è che ho un pubblico molto eterogeneo, che va dai bimbi ai ragazzi, ma anche adulti. Ho ricevuto apprezzamenti anche da persone più anziane… questo è bello. Alla fine, una persona può sentirsi “diamante grezzo” a ogni età.

Con quale consapevolezza affronta oggi il suo viaggio nella musica?

C’è sempre un po’ di paura, non sai mai quello che può succedere. La cosa bella del futuro è proprio questo, c’è tutto da creare. C’è quindi un po’ d’ansia, ma sono carichissima, quest’anno è stato speciale, mi ha cambiato la vita e anche io sono maturata come persona e come artista. Il carico di responsabilità è tanto, ma sono solo all’inizio della storia.

“Primo” è il suo album di esordio, a maggio un tour live che la porterà in tutta Italia sui live…

In questo anno speciale era arrivato il momento di condividere con il pubblico una raccolta delle mie canzoni, raccontare un po’ più di me. L’ho voluto chiamare così non solo perché è il mio primo album, ma perché sono successe tante cose per la prima volta… sono certa che anche il tour, nel quale canterò live con una band, sarà un’esperienza magica. Rispetto alla scorsa estate, per esempio, nella quale facevo molti dj set, con il tour porto nuove consapevolezze, una Clara con un bagaglio umano e professionale più pesante.

Cosa troviamo in questo album?

Dentro l’album c’è molto di me, si va da tracce più melanconiche a quelle più up, c’è anche una canzone di cui sono interprete, e per questa è un’altra prima volta. Normalmente sono un po’ restia, fare l’interprete è molto complicato, ci vuole veramente molto talento. Quando scrivi sei tu che fai le tue linee melodiche, la canzone è immediatamente tua, quando sei un’interprete il lavoro è molto più lungo e complesso… questa volta, però, è stato diverso, perché è stata scritta da un ragazzo che mi conosce molto bene.

Delle sue canzoni è spesso anche autrice. Come avviene il flusso creativo?

Non c’è uno schema, a volte entro in studio senza alcuna idea, mi lascio semplicemente trasportare, altre volte ho già in mente le linee melodiche, so già quale argomento mi interesserebbe musicare. Con “Diamanti grezzi”, per esempio, non avevo la canzone, ma sapevo già quale fosse il titolo.

Esiste qualcuno, o qualcosa, che ha determinato le sue scelte musicali?

Non proprio, ho dovuto sbattere la testa per capire cosa fare. Ho avuto un periodo in cui ero molto “zarra” … per mantenermi a un certo punto ho iniziato a fare la modella, mi veniva quindi richiesto un certo stile. A un certo punto è come se mi fosse un po’ ribellata a tutto questo, mi sono persa… credo però che siano proprio gli sbagli ad aiutarci, nel mio caso ad abbandonare una direzione artistica che non mi rappresentava. 

Come sono cambiati oggi i suoi obiettivi?

Spero che la mia carriera musicale vada avanti a lungo, c’è sempre molta ansia, i numeri, purtroppo, contano sempre troppo in questa società che corre così veloce e che pretende il massimo. Si richiede di essere sempre sul pezzo, non ci si può fermare un attimo, sembra che se manchi per un giorno, ci si dimentichi di te. Nella realtà non è proprio così, ma nella mia testa sì, ecco perché ora cerco di godere degli attimi che capitano, fare un passo alla volta, fermarmi quando è necessario e apprezzare quel che mi accade, quello che ho.

Che effetto le hanno fatto le parole di Sangiovanni?

Conosco molto bene Sangiovanni, gli ho anche scritto… mi è dispiaciuto davvero molto. Le sue parole, le sue scelte (prendersi una pausa, del tempo per “stare bene”) mettono in evidenza il fatto che, troppo spesso, non ci soffermiamo su una cosa molto importante: noi stessi. Corriamo da una parte all’altra, inseguendo le richieste della società, quelle di avere prestazioni alte, di essere perfetti, di spaccare sempre. È un po’ come salire su una bici e pedalare pensando di andare avanti, in realtà sei seduto su una cyclette che, per quanto tu possa pedalare, non vai da nessuna parte. Sapere che un ragazzo, un amico non sta bene mi ha fatto molto dispiacere, dall’altra parte ho apprezzato il suo coraggio, nelle parole e nelle azioni, di fermarsi e dedicare il tempo giusto a sé. Quello della salute mentale è un argomento importantissimo, ci riguarda tutti.

Parliamo della tua avventura da attrice…

Che non può prescindere dalla musica, è questa che mette tutto in equilibrio. Con “Mare Fuori” è stata un’esperienza bellissima, un palcoscenico enorme per me e per la mia musica, recitare mi ha divertito molto e interpretare Crazy Jay mi ha fatto venire in mente la me degli inizi. Quando ho iniziato a registrare la serie era un periodo in cui mi sentivo un po’ persa, guardando quella che sono oggi, i traguardi che ho raggiunto con la musica e con il lavoro, mi sento proprio felice.

È così giovane e così piena di arte nella sua vita…

L’arte è un modo per esprimersi, fare quello che si desidera, sempre rispettando la libertà degli altri. Ognuno sceglie la strada che più di altre gli appartiene, nel mio caso la musica mi ha trainato nella vita fin da piccola. Quello che mi ha, però, insegnato il mio percorso – la musica che incontra la recitazione, prima la moda – è che un’arte non intralcia l’altra. Ivan Silvestrini, il regista di “Mare Fuori”, ascoltava per esempio la mia musica e mi ha proposto un provino. Nella mia vita non voglio chiudere nessuna strada per esprimermi.

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QUANTE VITE IN UN ATTORE

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MASSIMO GHINI

Nella serie diretta da Fausto Brizzi il popolare attore romano è Manlio De Vitis, temutissimo agente delle dive e manager di Gloria. Il RadiocorriereTv incontra l’artista che insieme a Sabrina Ferilli ricrea una delle coppie cinematografiche più amate dal pubblico. Lunedì 26 e martedì 27 febbraio in prima serata su Rai 1

Cosa ha pensato dopo avere letto il copione di “Gloria”?

Sono subito rimasto colpito dal racconto, da una narrazione nuova rispetto a tutto quello a cui eravamo abituati nella serialità. E poi c’era la possibilità di tornare finalmente a lavorare con Sabrina Ferilli. Siamo stati sempre una coppia positiva, non voglio dire vincente per scaramanzia sportiva. All’inizio ho pensato a uno scherzo, ma fortunatamente non lo è stato. Lavoro con l’attrice con la quale ho recitato di più nella mia carriera mentre il regista Fausto Brizzi è come se fosse un fratello.

Con “Gloria” si ride e si riflette. Con quale spirito affrontate vizi e virtù del “dietro le quinte” del mondo dello spettacolo?

Entriamo un po’ a gamba tesa ed è tutto molto politicamente scorretto. E io dico, vivaddio che è politicamente scorretto (sorride). Facciamoci due risate con le battute di Gloria, con il suo cinismo. Sono felice della scelta della Rai di realizzare questa serie, c’è un coraggio che porta ad aumentare una sorta di provocazione costruttiva. Parliamo dell’ambiente del cinema, spesso conosciuto male, spero che “Gloria” porti attenzione verso problematiche che sono universali.

Quanta verità c’è in questa storia?

Non è che nel nostro ambiente avvenga esattamente questo (sorride). Però c’è certamente qualcosa che riporta a una realtà che è legata, più in generale, all’idea del successo. Quali sono i mezzi per raggiungerlo? Cosa accade quando viene meno? È una riflessione più in generale su un meccanismo che vale sia nel mondo dell’arte che in quello della politica, della medicina, per qualunque tipo di attività.

Che cosa deve fare un attore per sfondare e resistere nel tempo?

Studiare ed essere determinato. A 19 anni venni bocciato all’esame d’ammissione all’Accademia nazionale d’arte drammatica e per me fu un grande dolore. Sono cresciuto autodidatta, la mia scuola è stata il lavoro. Debuttai a Parigi al teatro Odéon con il “Re Lear” di Shakespeare e la regia di Giorgio Strehler. Alla fine dello spettacolo telefonai a mia madre e le dissi: qui qualcuno si è sbagliato. O l’Accademia o Strehler (sorride). Se vuoi durare nel tempo ti devi applicare come un medico, un chirurgo, un professore. Servono una totale dedizione e spirito di sacrificio.

All’Accademia si è invece diplomato suo figlio Leonardo…

Un bel giorno ho scoperto che era passato da Totti a Čechov. Leonardo mi ha fatto un bel regalo, mi ha dato una grande soddisfazione. Spesso tra i giovani che vogliono intraprendere la carriera d’attore c’è confusione, si pensa al risultato facile. Ma per diventare attori serve altro.

Sono oltre cento i film e le serie a cui ha preso parte…

Ma se devo dire la verità non sono mai stato molto amato dalla critica. Per molti anni mi è dispiaciuto, mi facevano sembrare uno che aveva sbagliato le proprie scelte. Quando iniziai, secondo una mentalità sbagliatissima, tutta italiana, ero considerato fisicamente non adatto. Venivo da Strehler, Gassmann, Zeffirelli, dal teatro. I critici dicevano che avrei dovuto fare i b-movie, i film d’azione, ma io vedevo la mia anima che era tutt’altro. Sono arrivato alla commedia che ero un attore maturo, con molte decine di film alle spalle, e non parliamo di cinepanettoni. Una giornalista, in televisione, mi disse che non riusciva a capire come facessi a passare da Strehler a Pietro Garinei al Sistina, da Francesco Rosi a Neri Parenti. Risposi che evidentemente, se mi chiamavano a fare Shakespeare, a fare la commedia musicale, mi consideravano all’altezza. Credo proprio che sia importante per tutti gli attori non essere monotematici. Ho questa carriera molto lunga perché ho avuto dalla mia parte il pubblico.

Che la seguì anche quando si aprì alla televisione…

Dopo anni di cinema fui uno dei primi a fare la Tv, nonostante le critiche di chi vedeva la televisione come un mondo di serie “b”. Accadde con la miniserie “Come l’America” con Sabrina Ferilli, che fece 11 milioni di telespettatori.

Tante maschere e tanti personaggi nella sua valigia, ha mai avuto timore di mettersi in gioco?

Ho sempre amato l’idea di trasformarmi, di non fare ogni volta me stesso. Amo dovermi cambiare, che sia un trucco, un vestito, una parrucca, ma anche cambiare interpretazione, personaggi. Non farlo, per un attore, significa rinunciare a molto. Anche nei cinepanettoni io e Christian (De Sica) abbiamo dato vita a tanti duetti, scegliendo di essere personaggi e non maschere, era un po’ come fare un doppio al tennis.

Teatro, televisione, il suo inverno è pieno di lavoro…

Ho girato tre film ed è ricominciata la tournée di “Quasi Amici” con Paolo Ruffini, che stiamo portando in giro con un successo devo dire pazzesco, in tutta Italia. Io sono il tetraplegico che sta sulla sedia a rotelle, colto e ricco, lui è il politicamente scorrettissimo, maleducato e ignorante: i due si incontrano e si scambiano in qualche maniera le loro storie. Il sold out dei teatri mi conforta tantissimo, in sala c’è un pubblico trasversale, con giovani e adulti.

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Se l’arte salva l’anima

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YEVA SAI

La misteriosa ragazza senza nome e diffidente di tutto e tutti, chiusa in un mondo inaccessibile, grazie a Cardiotrap riesce ad aprirsi al mondo, a intraprendere un difficile percorso alla ricerca di quanto ha lasciato fuori dell’Ipm. Il RadiocorriereTv incontra la giovane attrice ucraina, tra i protagonisti della quarta stagione di “Mare Fuori” in onda il mercoledì in prima serata su Rai 2: «La bellezza, l’arte mi ha aiutata a trovare un modo per vivere, per godere delle cose belle e superare quelle difficili»

Il suo personaggio, Alina, è tra i protagonisti della serie. Ce la presenta?

Alina è una ragazza molto riservata, reagisce immediatamente se qualcosa non le piace, la sua vita è avvolta dal mistero. È chiusa nel suo silenzio, parla raramente, ma ha un cuore molto buono e di questo se ne accorge Cardiotrap, l’unico con il quale riesce a trovare dei momenti di pace. Tra loro c’è una bella amicizia, tra silenzi e voglia di mettersi in ascolto, è un rapporto nel quale si sentono entrambi liberi di essere loro stessi.

L’amicizia, la condivisione, anche del dolore… come ha costruito il legame professionale con Domenico Cuomo?

È andato tutto in maniera naturale tra noi. Domenico è un attore molto bravo, ma soprattutto una persona di cuore, ogni volta che mi trovavo in difficoltà lui era sempre pronto a darmi una mano e a tranquillizzarmi. È stato bello lavorare con lui, a ogni scena ci sentivamo sempre più connessi e liberi.

Cosa nasconde Alina nel suo silenzio?

Un dolore grandissimo. È una ragazza straniera, completamente sola e profondamente insicura. Nonostante tutto, però, cerca di essere forte per difendersi dai pericoli, come il tentativo di violenza da parte di un uomo che poi, nel suo drammatico tentativo di evitare uno stupro, perde la vita. Quando si subisce una violenza non si sa mai quale potrebbe essere la reazione, lei smette più o meno da questo momento di parlare. 

Quanta Alina ha dentro di sé e quanto della sua vita ha concesso a questa ragazza?

Siamo due persone molto diverse, il suo silenzio, il suo modo di scegliere le persone mi affascina molto. Se fossi veramente Alina, anche io sceglierei Cardiotrap (ride). Nella vita reale, come nel lavoro, non amo mai giudicare le persone, con i personaggi che devo interpretare mi chiedo quale siano le loro difficoltà, i desideri. In questo lavoro un attore deve provare a scendere nella propria oscurità e, anche se fa paura, conoscerla aiuta ad andare avanti. È stata un’esperienza davvero molto bella, piena, in alcuni momenti emotivamente difficile perché, pur avendo molto chiaro quale fosse il confine tra me e lei, ho vissuto la storia di Alina intensamente.

Che occasione è stata per lei “Mare Fuori”?

Questo è il lavoro che voglio fare e “Mare Fuori” mi ha dato l’opportunità di recitare in una grande produzione, una grandissima fortuna. È una serie che mi ha dato visibilità, una voce alla mia storia personale e a quella del mio Paese in guerra. Di questo sono molto grata, così come aver avuto la possibilità di nuove amicizie, di incontrare persone carinissime, di entrare veramente nel mondo della recitazione.

Cosa significa recitare per lei?

È una domanda che mi faccio spesso anche io (ride). Credo che l’essere umano sia una creatura giocosa, ognuno di noi trova il proprio modo di giocare. Quando ero piccola facevo teatro a casa con i miei cugini, organizzavo dei piccoli spettacoli per i miei genitori. Mi piace creare, adoro le storie, raccontare ad altri. A teatro il rapporto con il pubblico è molto stretto, non ci sono pareti di separazione, ma sogno spesso il cinema. Voglio tenere aperte tutte le porte…

L’arte e la bellezza salvano le anime delle persone. In che modo ha salvato la sua?
L’arte è magia, credo tantissimo nel suo potere. Litigo con mio padre perché pensa che l’arte sia solo per pochi privilegiati, che per vivere serve altro. Circondarmi di bellezza e di creatività mi ha aiutata a trovare un modo per vivere, per godere delle cose belle e superare quelle difficili. Se hai dentro di te tantissimo dolore, se ti senti solo, puoi alleggerire la tua anima con il canto, il disegno, la recitazione. Quando sono stata a Napoli per lavoro, nei momenti di solitudine cantavo sempre. Mi liberavo da ogni peso. L’arte ci aiuta a guardarci meglio dentro di noi, come se fossimo davanti a uno specchio, ad accettare o gestire quello che di noi non non ci piace.

Cosa l’ha colpita dell’Italia?

L’Italia mi ha sorpreso per la grande morbidezza nell’accoglienza. Venivo da una situazione difficile, sono stata compresa e ho ricevuto tutto l’aiuto di cui avevo bisogno. Stata molto fortunata, in questo Paese ho incontrato persone belle, che sono diventate un po’ la mia famiglia. E poi è una terra super gioiosa, una gioia che sapete dimostrare agli altri, e questo è bellissimo, mi ha spinto a ritrovare la forza di vivere.

Cosa si aspetta dal suo domani professionale e dalla vita?

Spero di continuare a lavorare nel mondo del cinema, magari con i registi che amo e, chissà, un giorno, anche mettermi alla prova dietro la telecamera, sperimentare altre opportunità creative. Mi piace l’idea di mischiare diverse direzioni dell’arte. In generale però faccio fatica a pensare al futuro, ci sono stati momenti in cui pensavo di non averlo. Ho cercato di lavorare su di me, di trovare un modo più sereno per affrontare la vita, ma ora mi concentro sull’oggi, senza immaginare come potrebbero andare le cose. Per il momento vivo il mio bellissimo presente.

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