Il Servizio Pubblico al fianco del Fondo per l’Ambiente Italiano. La presidente della Rai, Marinella Soldi: «Un evento che parla al cuore degli italiani». La 34esima edizione in programma dal 18 al 24 marzo
Da oltre dieci anni Rai è in prima linea al fianco del Fai, il Fondo per l’Ambiente Italiano, con i canali tv, la radiofonia, RaiPlay e con l’offerta online, per contribuire a creare un racconto corale che abbia al centro la bellezza e la sostenibilità del patrimonio artistico e paesaggistico italiano. Dal 18 al 24 marzo torna la Settimana per i Beni Culturali promossa da Rai e Fai, che si concluderà con le Giornate Fai di Primavera del 23 e del 24 marzo. Oltre 750 i luoghi visitabili. “Le Giornate Fai – dichiara la presidente della Rai Marinella Soldi – sono un evento molto speciale perché parla al cuore degli italiani. Una celebrazione e una possibilità per la Rai di comunicare e divulgare un patrimonio pazzesco, che forse a volte diamo un po’ per scontato”. In prima fila tutta l’azienda Rai, che nel corso dei programmi di intrattenimento e di informazione (da “Unomattina” a “L’eredità”, da “Domenica In” a “Geo”, a “Radio anch’io”, ai telegiornali e ai giornali radio) descriverà l’ampia proposta dei siti visitabili. “L’altro aspetto che unisce Rai e Fai – prosegue Soldi – è rendere il patrimonio accessibile a tutti. Sono parole che ci accomunano, la Rai come Servizio Pubblico e il Fai nel suo ruolo”. La Rai supporta le Giornate FAI di Primavera 2024 anche attraverso la raccolta fondi solidale autorizzata da Rai per la Sostenibilità – ESG e promossa sulle reti del servizio pubblico. “Raccontare il patrimonio culturale per educare la collettività a proteggerlo e a prendersene cura: da questa necessità nacquero nel 1992 le Giornate Fai di Primavera dando vita, e poi corpo, e poi forza ad una impressionante struttura di volontariato – dichiara il presidente Fai Marco Magnifico – che con entusiasmo e pervicacia eccezionali in questi trentadue anni hanno aperto al pubblico 15.540 luoghi dimenticati o difficilmente visitabili raccontandoli, appunto, con semplicità e passione a ben 12 milioni e 515.000 cittadini”.
«Il teatro è per me quel luogo magico pieno di mistero, in cui uno inizia a fare i primi giochi con la rappresentazione, con l’amore che ha per le storie e per i personaggi» racconta l’attore napoletano, tra i protagonisti fin dalla prima stagione de “Le indagini di Lolita Lobosco”. Il lunedì in prima serata su Rai 1
Un grande successo che si rinnova. Cos’ha di speciale questo progetto?
Sono storie molto appassionate, la serie non si limita al poliziesco, non è solo un giallo ma, con il pretesto del crime, approfondisce il mondo dei suoi personaggi. È una cosa che mi ha colpito subito, la presenza di una grande famiglia che si ritrova attorno al mondo della protagonista, una vicequestore che si trascina dietro tantissime piccole ferite. Ciascuno dei personaggi è, dunque, intento a risolvere le piccole imperfezioni della propria struttura umana e sentimentale.
È un po’ come se Lolita, una donna così empatica, costringesse tutti allo step successivo…
Forte e Lobosco sono speculari, sono legati fin da ragazzi e si ritrovano con il ritorno di Lolita a Bari. I due sono stati compagni di scuola, alle elementari e alle scuole medie, c’è stata poi la formazione adolescenziale, l’università, fino a quando poi, nel passaggio alla vita adulta, lei ha fatto scelte diverse e si sono allontanati…
Il vantaggio della serialità è quello di approfondire meglio i personaggi. Com’è cresciuto il suo?
Il ringraziamento più grande va ovviamente a Gabriella Genisi e ai suoi romanzi sui quali sono intervenuti con maestria e amore gli sceneggiatori che da quelle pagine hanno tirato fuori i personaggi, rendendo ancora più appassionanti le loro vite. A fare tutto il resto c’è il passaggio alla regia, al direttore artistico, fino ad arrivare alla recita con noi attori che abbiamo dato carne, nervi, sentimenti, emozioni. C’è una famosa intervista della tv americana a Sophia Loren e Marcello Mastroianni in cui i due artisti non seppero rispondere alla domanda sul perché facessero tutti i film insieme. Non ci sono parole per spiegare questo, è “solo” una questione di chimica. È lo stesso che è successo ai personaggi di Antonio e Lolita, al mondo che questa donna porta con sé, a quei legami che, di anno in anno, sono cresciuti sempre di più. Una chimica che parte dal set e che di stagione in stagione si è amplificata.
E quando questa chimica dovesse venire a mancare?
Subentra il mestiere. Credo, però, che il successo della serie sia da ritrovare in quel qualcosa in più che il pubblico percepisce. C’è poi la protagonista, Luisa Ranieri, oltre a essere una grande attrice, e non lo scopriamo certamente con “Le indagini di Lolita Lobosco”, è in uno stato di grazia totale. Questa ultima stagione lo conferma. Uno stato di grazia incosciente, ovviamente, perché la grazia non è qualcosa che si decide, arriva e basta. Mi viene in mente il Dolce stil novo con l’immagine della donna che illuminava tutto quello che incontrava: “Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand’ella altrui saluta”. Il rischio di una terza stagione poteva essere la fiacca, non era scontato che quello che aveva funzionato prima potesse riuscire anche nel nuovo capitolo. La chimica è, invece, raddoppiata, tutti abbiamo dato il massimo, passando sempre la palla al nostro Maradona.
Napoletano come Luisa Ranieri, calati però in una Bari piena di luce… …e però appena chiamavano lo stop ritornavamo immediatamente due napoletani (ride). Abbiamo dovuto tenere a bada la nostra natura, ma era anche una sorta di deterrente. I nostri personaggi sappiamo che hanno dei precedenti di conoscenza, non c’è un prequel che lo racconta, io e Lolita abbiamo così trovato il nostro minimo comune denominatore nella lingua napoletana. Una musicalità, una identità partenopea, una base comune che ci ha aiutato a trovare subito un’intesa.
Essere napoletano è come “nascere” attore nella recita della vita?
Diciamo che si è un po’ condannati da questa spada di Damocle: o rubi i portafogli o fai l’attore. Da bambino frequentavo le colonie dei ferrovieri, il pregiudizio sui napoletani era evidente. Quando si è piccoli, si cresce con i luoghi comuni, credi a quello che ti viene raccontato, diventa la tua verità. Noi bimbi partenopei ispiravamo anche molta simpatia, a me costringevano a recitare, anche se io ero molto timido. Era un po’ scritto quello che avrei fatto nella vita.
Con il successo di “Lolita Lobosco” cresce anche la fama. Che rapporto ha con la gente, con i fan?
Ci sono il bello e il brutto, come tutte le cose. A volte ti considerano come un loro parente, uno di casa, ma tu non le conosci queste persone, potrebbe crearsi qualche imbarazzo, mai fastidio però. Di contro, sapere che la gente prova affetto per te, per quello che fai, è molto carino. Non ce la passiamo molto bene di questi tempi, le persone necessitano di leggerezza, e la trovano anche nelle nostre storie, trovano conforto nel fatto che i nostri personaggi non rappresentano modelli di perfezione, sono incompleti, hanno mille problemi come tutti. Oggi sentirsi completi, a posto, è faticosissimo, le generazioni precedenti basavano la loro identità, la loro ricchezza morale, su dei principi culturali, politici ed economici molto più stabili e solidi dei nostri. Il lavoro lo trovavi quasi subito, riuscivi a creare una famiglia, ad accedere al mutuo, compravi gli elettrodomestici… c’era una maggiore sicurezza. Oggi per noi è tutto più traballante. In “Lolita Lobosco” pur mantenendo solarità e un forte senso dell’humor, i protagonisti vivono la difficoltà, si mettono costantemente in discussione.
E questo favorisce il gioco dell’immedesimazione…
Il pubblico vorrebbe compiere le azioni del personaggio, essere quel personaggio e magari arrivare alla famosa catarsi per purificarsi, per sentirsi liberi. È il grande insegnamento del teatro greco, il pubblico si immedesimava nelle storie, anche abbastanza cruente, per trovare pace. È quello che accade anche ora, con queste piccole storie che si raccontano la sera in televisione. Il processo è il medesimo.
Nel suo curriculum c’è tanto teatro. Cosa rappresenta per lei?
È qualcosa di molto viscerale, un cordone ombelicale mai tagliato. Mi sono formato a teatro, è vero, ma non amo definirmi un attore di teatro, un attore lo è sempre, a prescindere dal palco su cui ti esibisci. Ma questa è una questione molto italiana. Il teatro è per me è quel luogo magico pieno di mistero, in cui uno inizia a fare i primi giochi con la rappresentazione, con l’amore che ha per le storie e per i personaggi. Questo sentimento lo provi e poi lo liberi nell’incontro con il pubblico, nelle serate dal vivo.
Molti attori, in particolare chi ha cominciato molto giovane e “per caso”, al teatro ritorna…
Diciamo che in questo mestiere c’è una percentuale di caso, quando la casualità non rappresenta qualcosa di buono non aiuta a mettere bene a fuoco anche il proprio talento. Io non so se sono veramente contrario al caso, quello che ti catapulta in questo mondo e, all’improvviso, ti fa diventare una star. “Sarà la storia a giudicare”, disse Fidel Castro all’Onu. Va bene anche per un attore. Quello che, alla fine, conta nel nostro mestiere è la resistenza, la pazienza, quanto sei disposto a mettere in gioco di te stesso. È un lavoro faticoso nel quale si è sempre in ballo, non è mai concesso staccare la spina. Ma questo è anche la sua bellezza, ogni volta sei trascinato dentro nella totalità del tuo essere. Ci sono certamente tecniche che aiutano ad arrivare prima agli obiettivi, più le tecniche, prima riesci a sfondare altre porte.
Come sono cambiate nel tempo le sue ambizioni da attore?
Io sono un uomo totalmente privo di ambizione, mi manca anche quella positiva, che stimola, faccio più che altro affidamento a quella tensione continua che mi spinge a migliorarmi, nella vita e nel lavoro. È una ricerca al vivere meglio, non da solo però, perché la condizione imprescindibile dell’essere umano, e quindi anche dell’artista, è il confrontarsi con una comunità, con il mondo. Un solipsista non avrebbe senso. Tutta l’ispirazione, tutta l’arte, il film che si sceglie di fare, il romanzo che si sceglie di scrivere, il personaggio che si sceglie di interpretare, in un modo piuttosto che un altro… la recitazione è un grande mistero. Potrei dire che l’ambizione vive nello scegliere ogni volta quale strada voglio percorrere, non certo per portare a casa trofei, non mi è mai interessato. Alla fine, le cose vengono, il pubblico, se fai bene, ti segue. Essere amati è magico, soprattutto in questi tempi in cui se ti esponi, qualunque mestiere tu faccia, vieni fatto a pezzi. Si è sempre soggetti al giudizio altrui, da artista devi avere la forza a non farti logorare dalle critiche, anche quelle feroci e amplificate dai social media, dove chiunque si sente autorizzato a sentenziare.
Come reagisce alle critiche?
Non mi possono arrivare, perché il peggiore critico di me stesso sono io, sono molto più “criminale” dell’ultimo hater nascosto nei social. Ho una cattiveria molto profonda verso me stesso, per questo pago fior fiore di analisti (ride). Non mi ferisce se qualcuno prova a insultarmi dicendomi che sono troppo calvo.
Prossimi step del suo lavoro?
Si è da poco conclusa la mia partecipazione nella seconda stagione di “Vincenzo Malinconico. Avvocato di insuccesso”, e ora mi dedico al teatro, con degli amici musicisti organizziamo delle serate molto improvvisate tra letteratura e musica. Lo spettacolo, per ora solo a Napoli, si chiama “Che’ succies”, una frase che fa riferimento alla battuta di Amalia che precede quella più famosa pronunciata da Gennaro Jovine in “Napoli milionaria”. Tutti ricordano “Ha da passa’ a nuttata”, un po’ il marchio di Napoli. Se De Filippo avesse chiuso prima la commedia, forse la napoletanità avrebbe fatto tutt’altro corso. È la teoria su cui ci concentriamo durante tutta la serata.
Il sabato in seconda serata su Rai 1, Riccardo Rossi con “I miei vinili”, ospita personaggi famosi che si raccontano attraverso i loro dischi preferiti, tra aneddoti e ricordi. Con l’ironia che lo contraddistingue da sempre, l’attore-conduttore è anche in teatro con “Discorsi amorosi”
È in Tv, su Rai 1, con “I miei vinili”. Con quali emozioni?
Un grande ritorno. Devo ringraziare Maurizio Imbriale (Direttore Rai Contenuti Digitali e Transmediali) che ci ha creduto subito, anche lui è un appassionato di vinili. È accaduto anche che ho informato Amadeus della ripresa del programma e lui, appassionato di vinili, ha partecipato a una delle mie puntate. Stiamo andando in onda su Rai 1 e su RaiPlay e sono felicissimo.
Apre le sue puntate innalzando un 33 giri. Un rituale di consacrazione?
È come se fosse un totem.
Quali sono i suoi ricordi legati ai dischi in vinile?
A casa mia giravano molta musica classica e i 45 giri dei miei genitori. Sono cresciuto con la musica degli anni ’50 e ’60, con quella della Tv. Ero appassionato di sigle televisive di cui acquistavo i dischi. Ho conosciuto la musica dell’altro secolo, è il caso di dire. In seguito, durante un viaggio a Vienna ho sentito tutti i più grandi della musica classica e della lirica. Tornando a Roma, in discoteca, ho scoperto Michael Jackson e Heart Of Fire. A 17 anni e mi sono buttato sulla musica black e sono andato avanti. E comunque, fra la terza media e il quinto ginnasio, ho comprato tutta la discografia dei Beatles.
L’LP è tornato a essere un oggetto di culto, non soltanto per gli amanti del vintage…
La riscoperta è partita come fenomeno vintage. In quel periodo proposi un programma simile a quello che conduco oggi, dove i ricordi erano nascosti in un disco che gli ospiti portavano in trasmissione. Nel corso degli anni il vinile è tornato di moda non tanto per ascoltare la musica di una volta, ma per pubblicare quella nuova. Per i giovani artisti oggi uscire sul vinile è come mettere una sorta di medaglia al petto. Un disco, non è musica liquida, ma resta nella realtà come un libro di carta. I libri dopo averli letti parlano di noi. I nostri genitori mettevano un fiore secco nel libro, un biglietto dell’autobus o una vecchia cartolina. Così come fa il disco, parla di noi.
Cosa pensa di questa seconda vita del vinile?
Le differenze tra l’ascolto di un vinile e quello, ad esempio, di un CD, sono due: una è data dall’attrito della puntina, che genera un suono caldo, l’altra è quel bellissimo stand by che si crea tra l’appoggio della puntina e l’inizio della musica. Un momento di attesa bellissimo. E poi c’è la copertina, un art work che guardi e ti riguardi, che fa girare la testa. Quindi altro che seconda vita, speriamo sia definitiva. Tra l’altro, i CD, non si vendono più. E secondo me torneranno anche gli audio tape, le cassette che io non ho buttato. Dentro c’erano le nostre play list e farle era davvero faticoso.
Le sue puntate sono all’insegna della musica ma anche dei ricordi. I suoi ospiti si lasciano andare anche a ricordi intimi. Una magia del vinile?
Certo. La musica fa da colonna sonora alla vita.
Ascolta musica che non le piace?
È difficile. La musica che non mi piace la fermo subito, la tronco dopo l’intro e qualche battuta.
E invece qual è il suo rapporto con la musica liquida e in streaming?
Un rapporto di lavoro, non c’è passione. Se il pezzo mi piace, di fatto me lo compro. Le colonne sonore, sono le ultime tipologie di dischi che compro in CD, ma li trovo solo on line. Mi fanno da sottofondo per scrivere, per creare. Oggi voglio conoscere sempre meglio quello che ho. Ma ascolto anche Sanremo, mi è piaciuta Loredana Bertè.
Con la sua irresistibile comicità torna anche a teatro con “Discorsi amorosi”. Cosa sopportiamo di più in amore?
Sicuramente dovremmo sopportare le differenze di carattere, ma è molto difficile. Questo spettacolo, come gli altri miei, mette al centro l’intelligenza della donna che è nettamente superiore alla nostra. Di fatto l’uomo non ha pazienza, lei è molto più concentrata. Da sopportare in una coppia c’è sicuramente il carattere, ma anche la condivisione degli spazi. Bisognerebbe fare prima una convivenza per poter condividere una vita con un’altra persona. Anche la casa dovrebbe essere concepita in un certo modo, tutto separato.
Nel suo continuo muoversi fra Tv, teatro, cinema… cos’altro ci possiamo aspettare?
La musica sempre di più. Il 1° maggio farò un concerto con una band, dove parlo della musica e degli incontri che ho avuto con i grandi di tutti i tempi. Racconto da fan e da appassionato, il mio incontro. Se non si è capito, la musica è il mio primo grande amore.
È arrivato il momento della scelta i protagonisti della seconda stagione della fiction diretta da Simone Spada. Un family drama che, attraverso i casi di puntata, riesce a immergersi nella contemporaneità e, in alcuni casi, a suggerire soluzioni. Da martedì 19 marzo in prima serata Rai 1
“Una squadra collaudata, un racconto che, grazie ai casi di puntata, amplia lo spettro di rappresentazione della nostra società. Dalla Milano upper class si passa con questa seconda stagione a un’arena più ampia che rappresenta la società nella sua contemporaneità e varietà. Un family perfetto, dove si ride e si piange, nel quale tutti possiamo riconoscersi nei personaggi che, vedremo, saranno alle prese con decisioni importanti per le loro vite” afferma Luigi Mariniello, Capostruttura Rai Fiction. Le sorelle Anna e Nina e la madre Marina Battaglia tornano a lavorare insieme nel prestigioso Studio Zander, ora Zander Battaglia. I patti erano che Marina sarebbe uscita di scena non appena chiuse le ultime pratiche, ma per Zander liberarsi di lei sarà più arduo del previsto. In questa seconda stagione ritroviamo anche Massimo con cui Anna, nel finale della prima stagione, si era lasciata andare a una travolgente passione. Per lei, sposata con Alberto da cui ha avuto due figli, è arrivata l’ora di chiedersi quale sia la scelta giusta, tra i sentimenti e le emozioni, anche se questo significa rinunciare a una parte della propria felicità. Cuore del racconto sono come sempre le donne Battaglia, tre divorziste e una neo-sposa, la sorella minore Viola. Quattro donne in diverse fasi della vita, ognuna con i propri sogni e turbamenti, unite da un amore profondo e un’invincibile ironia che le ha sempre salvate. Se Viola cerca di emanciparsi dalla famiglia, ma si scontra con le difficoltà della vita adulta e con il costo folle degli affitti milanesi, Nina dovrà mettere in discussione quello che credeva di desiderare, perché a volte crescere significa anche non aver paura di cambiare. Come nella precedente stagione, in ogni episodio si svilupperà un caso legale di cui si dovrà occupare lo Studio Zander Battaglia, andando a trattare alcuni tra i temi più attuali del diritto di famiglia. Inoltre, Anna sarà alle prese con un delicato e doloroso caso di separazione legale, accettando di rappresentare la famosa chef-influencer “Michela in famiglia” contro il marito Corrado, uomo manipolatore che controlla e gestisce il fortunato business che hanno creato.
La parola al regista, Simone Spada La bellezza di essere “sorpreso”
Quando inizi ad affrontare la seconda stagione di una serie che hai in qualche modo creato o definito, immaginato e raccontato nella prima stagione, riscopri un mondo che già conosci e devi essere pronto a rinnovarlo, riscoprirlo e accoglierlo per capire dove sta andando e dove ti può portare. Insieme a Rai, con al mio fianco una squadra già affiatata, dai produttori Carlo Degli Esposti e Nicola Serra fino a una serie di attori ormai diventati “amici” anche fuori dal set e guidati dalle sceneggiature di Lisa Nur Sultan, abbiamo attraversato questa seconda stagione che personalmente mi ha stupito e piacevolmente sorpreso. Non c’è niente di più bello per un regista che essere sorpreso positivamente dal proprio lavoro. Credo che, se ero fortemente convinto delle potenzialità dei temi trattati da “Studio Battaglia” quando accettai di girare la prima stagione, ne sono ancora più convinto in questa seconda. Possiamo definirlo come già detto un Legal Drama con linee di comedy familiare molto raffinate, una serie al femminile che parla di madri, figlie, mogli o compagne, di generazioni diverse, di avvocate divorziste piene di empatia e ricche di ironia, ma quello che più esce fuori, a mio modo di vedere, in questa seconda stagione sono i sentimenti che sono certo riguardano tutti noi. Sono convinto che ogni spettatore si riconoscerà in un modo o nell’altro in molte delle vicende umane che riguardano le nostre e i nostri protagonisti, perché ancora di più in questa seconda stagione la mia personale sensazione è che “Studio Battaglia” parli di tutti noi e a tutti noi. Senza avere la presunzione di lanciare messaggi o moralismi inutili e datati, la serie parla di sentimenti, di amore, di speranze e desideri calandosi in maniera semplice, diretta e umana nel tempo in cui viviamo. Quest’anno ci saranno tante sorprese perché le nostre “donne” sono andate avanti e si confronteranno maggiormente con loro stesse. Non mancheranno i classici casi di puntata molto ironici che ancora una volta trattano tematiche attualissime e che ci hanno anche dato la possibilità di inserire nel cast altri attori di alto livello con sorprese molto interessanti. Mantenendo i punti fermi a livello di costumi, di scenografia, di linguaggio e di messa in scena che avevo scelto per la prima stagione, nella continua ricerca del giusto equilibrio tra la ricchezza della scrittura e il ritmo del racconto visivo, ho sentito la voglia di stare un po’ più vicino ai “miei” personaggi, usando maggiormente il primo piano e la macchina a mano quando ne sentivo la necessità. “Studio Battaglia” ha fatto un passo avanti e noi gli siamo andati dietro.
La parola alla sceneggiatrice, Lisa Nur Sultan Felici di rientrare nello Studio Battaglia
Siamo stati tutte e tutti davvero molto felici di rientrare nello Studio Battaglia, perché queste donne formidabili – argute, solidali, anticonformiste – e gli uomini che dividono la vita con loro sono una grande famiglia in cui è bello tornare. Per vederle cadere, ridere e rialzarsi, nella lotta quotidiana per l’affermazione della propria felicità. In questa seconda stagione c’è meno traccia della serie inglese “The Split” che aveva ispirato la serie, avevo, infatti, voglia di far vivere i personaggi in maniera diversa. Sono donne (e uomini) che sbagliano spesso, che cambiano idea, ma che provano ogni giorno a fare la cosa giusta: e se non per loro stesse, per gli altri. C’è un’etica di fondo molto forte, un senso della giustizia profondamente umano, contemporaneo, che le motiva e le spinge a battersi per il bene dei clienti. Domandandoselo spesso, quale sia il bene – dei clienti, e il proprio. Perché non è automatico saperlo, in una società che viaggia a mille all’ora, ed è onesto riconoscerlo. Servono nuove norme per nuovi diritti, per scenari che cambiano sotto i nostri piedi. Serve farsi nuove domande. Si parlerà di diritto all’oblio, di divorzio breve, di haters online, di adozioni, di figli mantenuti dai genitori, di separazioni in tarda età, di relazioni tossiche e di matrimoni a Las Vegas. Una mia fissazione, il tema della privacy, ritornerà anche quest’anno in bocca a Daria, la figlia di Anna, a proposito dei carteggi e dei diari pubblicati postumi. E soprattutto si parlerà di rapporti tra i sessi, e perché sbagliamo sempre tutto nel provare a farli funzionare. Ribadendo quello che il podcast “Rinascite” non smette di ripetere, e cioè che “Non è mai troppo tardi per cominciare una vita migliore”. Vale per chi scelga di separarsi, come per chi voglia rimettersi in gioco. Ricordandosi sempre che il vecchio amore di qualcuno, prima o poi, diventa il nuovo amore di qualcun altro. E quale sia la fine di una storia, o quale l’inizio, non si può mai dire.
I PERSONAGGI
ANNA BATTAGLIA (Barbora Bobulova)
È la maggiore delle sorelle Battaglia, una donna forte e affidabile, con un gran senso del dovere. Avvocata formidabile ed empatica, dopo aver lasciato lo studio di famiglia per emanciparsi dalla madre Marina, adesso, a causa della fusione tra i due studi, si vede costretta a lavorare di nuovo al suo fianco. Ma Anna ha ben altro per la testa: la vicinanza con Massimo, infatti, rischia di allontanarla da Alberto e dai suoi figli, Daria e Giacomo.
MARINA BATTAGLIA (Lunetta Savino)
Elegante, autorevole e temibile, nei processi è un mastino senza scrupoli. Ha cresciuto tre figlie da sola senza perdere un giorno di lavoro ma, adesso che lo studio di famiglia è stato acquisito e lei ha promesso di uscire di scena, riuscirà a “sposare” pienamente la nuova gestione? Quel che è certo, è che la sua tempra, bilanciata da un cinismo irriverente e da sprazzi di imprevedibilità, la rende irresistibile e forse anche indispensabile.
NINA BATTAGLIA (Miriam Dalmazio)
È la secondogenita di Marina, bella, sarcastica, indipendente e in carriera. Dopo aver lavorato nello studio di famiglia e aver dovuto assecondare il carattere autoritario di Marina, è pronta ad approdare nello “studio Zander Battaglia” dove però la sua ironia e sfrontatezza diventeranno un’arma a doppio taglio. Anche se fatica ad ammetterlo, in fondo al cuore Nina cova una grande sensibilità che presto, per un motivo o per l’altro, verrà fuori.
VIOLA BATTAGLIA (Marina Occhionero)
Solare e quasi sempre sorridente, Viola è per tutti la piccola di casa, anche se la fede che porta all’anulare sinistro le ricorda che ha ormai iniziato un nuovo capitolo della sua vita da adulta. Curiosa e spontanea, è anticonformista in un modo tutto suo: è l’unica Battaglia a non aver studiato giurisprudenza. Babysitter per scelta, vive senza ansie e conflitti ma, adesso che con Alessandro vogliono liberarsi dell’ingombrante presenza di Marina e trovare un nido d’amore, deve necessariamente rimboccarsi le maniche e cercare un lavoro a tempo pieno.
MASSIMO MUNARI (Giorgio Marchesi)
Avvocato di punta dello studio Zander. Ora, a causa della fusione che ha riempito lo studio di avvocate competitive, avrà chi gli darà del filo da torcere. Massimo è un bell’uomo,con il fascino dell’avvocato in carriera e per giunta single che non deve rendere conto a nessuno. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Lui e Anna, infatti, sembrano sempre troppo vicini.
ALBERTO CASORATI (Thomas Trabacchi)
Marito di Anna da vent’anni e padre di Daria e Giacomo, è un uomo solido e ironico. Insegna Bioetica all’università, presta spesso consulenze legali nei casi connessi ai suoi studi. È legato alla famiglia e molto rispettoso del lavoro di Anna e della sua indipendenza, ma da quando è stato investito dallo scandalo “Black Dahlia” – che ha portato alla luce numerose relazioni extraconiugali, tra cui la sua –, si impegna ogni giorno per convincere la moglie di aver fatto la scelta giusta. Essere un buon padre e un buon marito, per lui, ora è la priorità.
GIORGIO BATTAGLIA (Massimo Ghini)
Tornare dopo venticinque anni dalla Costa Azzurra e rientrare nella vita delle donne Battaglia è stata la scelta migliore che abbia mai fatto, nonostante il recente infarto. Lentamente sta riallacciando i rapporti con le figlie, che in modi del tutto diversi lo hanno perdonato. E, inaspettatamente, c’è chi va a fargli visita spesso nella lussuosa clinica dove è ricoverato.
CARLA NOBILI (EX SIGNORA PARMEGIANI) (Carla Signoris)
Volitiva e istrionica, dopo aver divorziato in grande stile, Carla non riesce a stare ferma. E quale sfida migliore dell’aprire un ristorante stellato? Certo, la concorrenza è tanta; gli haters sono agguerriti: ma chi può fermare la Parmegiani, pardon, Carla Nobili?
Un racconto di storie di vita che vede protagonisti donne e uomini, vittime, carnefici e uomini dello Stato. Il programma presenta reportage e testimonianze di chi lotta contro la criminalità organizzata, la mafia e la corruzione. Un viaggio nel nostro Paese attraverso territori di una bellezza struggente ed incontaminata. La conduttrice al RadiocorriereTv: «Saper scegliere la strada da percorrere non è solo questione di coraggio, ma di conoscenza, di comprensione». Da sabato 23 marzo, ore 21.45, Rai 3
Storie drammatiche di chi quotidianamente deve decidere da che parte stare, di chi sconta la propria pena e torna uomo libero e di chi deve convivere per sempre col dolore della perdita.
Come nasce “Todo Modo”?
Dal programma “Cose Nostre”, che faccio da quasi dieci anni, che ha come punto di forza il racconto di storie tragiche, drammatiche, però dal punto di vista emotivo dei protagonisti, andando anche oltre l’inchiesta. Questi sono i temi che abbiamo cercato di non perdere in questo nuovo appuntamento che parlerà di legalità, dello Stato, dell’equità della giustizia. Al centro della narrazione anche le testimonianze dei nostri ospiti in studio, che ci stimoleranno a una riflessione più ampia.
“Todo Modo”, romanzo di Leonardo Sciascia, si interroga sul futuro politico del Paese, in che modo ha ispirato la vostra narrazione?
In realtà il titolo è nato pensando agli “Esercizi spirituali” di Ignazio di Loyola, attraverso i quali i gesuiti tentavano di ingraziarsi la volontà divina: “Todo modo para buscar la voluntad divina”. Sciascia fece suo questo motto, che mi è sembrato la sintesi perfetta per quello che volevo fare io, testimoniare una battaglia, una conquista a fin di bene. E poi c’è il romanzo metafisico in cui tutto si mischia, in cui i confini sono sempre labili, attraversabili.
Da dove partirà il vostro viaggio?
Dalla Calabria, per raccontare delle storie al femminile, storie di resistenza. Partiremo dal grandissimo esempio di Maria Chindamo, barbaramente uccisa nel 2016, donna che ha inseguito il suo desiderio di realizzazione e di indipendenza.
La vostra seconda tappa sarà in Sardegna…
… mi è sempre sembrata una terra in cui le contraddizioni più forti, sia delle comunità pastorali sia del post Stato unitario, si siano fatte sentire, anticipando anche le crisi dello Stato unitario. Ci occuperemo di quella che la stampa definiva anonima sarda, struttura modulare e non gerarchica che aveva un rapporto molto stretto con il territorio. Incontreremo Annino Mele, una delle principali figure del banditismo sardo. Ho pensato che potesse essere un paradigma per raccontare anche quel periodo buio dell’Italia, quello del terrorismo politico e dei sequestri di persona. Nella sua storia si mischia tutto, insieme al tentativo delle Br, fortunatamente fallito, di sbarcare in Sardegna sfruttando il movimentismo banditesco. È la storia personale di un uomo intelligente che si fece trascinare in un gorgo di volenza, di faide, sin dall’infanzia. Abbiamo raccolto anche la testimonianza del prefetto Salvatore Mulas, sardo di Macomer, che racconta quegli anni difficili. Nella terza puntata saremo infine in Campania, nel casertano, dove spesso, negli anni passati, i ragazzi non avevano altro esempio se non quello della delinquenza.
Tante storie, tanti microcosmi. Quale chiave di lettura possono darci per interpretare l’Italia di oggi?
Che siamo tutti protagonisti di una lotta quotidiana che ci vede scegliere tra il bene e il male. Saper scegliere non è solo questione di coraggio, ma di conoscenza, di comprensione. In tutto questo un ruolo importante ce l’hanno il tempo e l’esperienza. Altrettanto fondamentale è conoscere le sfide di chi ha lottato, di chi è stato anche sconfitto. Con o senza divisa.
Che rapporto nasce con i suoi intervistati?
Raccontiamo storie spesso dolorose, un dolore che rende tutto più complesso. Il racconto nasce insieme, c’è una condivisione piena e sono storie che ti rimangono addosso nel tempo. Non puoi chiedere fiducia a una persona e dopo la messa in onda del programma far finta di nulla, non risponderle più al telefono. Porto rispetto a chi mi dà fiducia. Sono contenta quando chi intervisto diviene protagonista del proprio racconto. A pagare è l’autenticità, strumento che aiuta a creare ponti. In questo viaggio non sono sola, con me c’è il regista Raffaele Maiolino, poi ci sono gli autori, Federico Lodoli, Beniamino Daniele e Matteo Lena. Il nostro è un racconto corale.
Non un format d’acquisto ma un prodotto realizzato completamente dalla Rai…
“Todo Modo” è una produzione completamente interna, realizzata dal Centro di Produzione della Rai di Napoli per quanto riguarda lo studio, e montato invece a Roma, nel Centro di Produzione di via Teulada. Sono stata abbracciata e sostenuta con grande professionalità da tutte le persone che lavorano con me, che dimostrano grande senso di identità e di appartenenza. L’entusiasmo che c’è intorno al progetto è stimolante e responsabilizzante. Noi ce la mettiamo tutta.
A chi dedichi “Todo Modo”?
Vorrei dirti a un certo tipo di racconto che faceva la Rai nel passato, con il quale sono cresciuta, ma non vorrei sembrare mitomane per avere riferimenti molto alti (sorride). Mi piace anche ritornare a quella parola, desueta, che è reportage. In “Todo Modo” uso molto repertorio che mi aiuta a continuare un percorso iniziato nel passato, negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. La Rai può contare sulla propria storia, sulla propria esperienza. Penso anche a chi mi ha insegnato a lavorare, che mi ha dato l’opportunità di essere libera e fuori dagli schemi. Questo è successo con “Cose nostre”, spero che il viaggio prosegua con la stessa intensità.
Riccardo Scamarcio è Cesare Florio nel film diretto da Stefano Mordini, da giovedì scorso nelle sale italiane. La pellicola racconta l’impresa della Lancia 037 nel mondiale rally del 1983. Nel cast Volker Bruch, Katie Clarkson-Hill, Esther Garrel e Daniel Brühl
Nel mondo del rally, il 1983 è l’anno in cui si fece la storia, l’anno di Davide contro Golia, quello in cui il team Lancia, sfavorito, ma guidato dal carismatico Cesare Fiorio (Riccardo Scamarcio), affronta il potente team Audi in una delle più grandi rivalità della storia dello sport. Nel Campionato del mondo, contro il formidabile rivale Roland Gumpert (Daniel Brühl) e il suo team Audi, tecnologicamente superiore e composto da figure come il campione finlandese, Hannu Mikkola (Gianmaria Martini), Lancia e il suo team manager, Cesare Fiorio, rischiano una sconfitta certa. Ma con cuore, passione e capacità da fuoriclasse, Fiorio riesce a mettere insieme una squadra insolita, convincendo anche il campione Walter Röhrl (Volker Bruch) a guidare per la Lancia. Utilizzando tutti i trucchi a sua disposizione e piegando le regole, Fiorio si addentra in territori pericolosi, dentro e fuori la pista, per una vittoria che sembra essere impossibile. È nelle sale da giovedì scorso “Race for Glory – Audi vs Lancia”, diretto da Stefano Mordini. “Non ero un appassionato di rally… poi ho visto su Internet dei video del campionato del 1983 e ho notato un aspetto – spiega Riccardo Scamarcio che del film è anche coproduttore e cosceneggiatore –, il confronto tra genialità, passione, un briciolo di follia e l’astuzia di un uomo, Cesare Fiorio, che riesce a mettere in crisi l’arroganza della tecnologia e del denaro. Ho trovato fosse anche il riflesso di un modo di essere degli italiani e che potesse rinfrescarci l’idea di chi siamo”. La pellicola presenta Fiorio all’inizio del campionato del 1983, con la Lancia sotto la pressione delle vittorie dell’Audi sotto la guida di Roland Gumpert, con un’auto che sembra imbattibile grazie all’innovazione delle quattro ruote motrici. A capo di un team determinato e desideroso di vincere, il direttore sportivo lancia la sfida: “il rally è come una guerra e io sono il comandante di un’armata”. Una sfida produttiva che ha visto in campo anche Rai Cinema. “L’ambizione e l’originalità di “Race for Glory” è rendere omaggio a uno sport epico come il rally, una prova ai limiti delle capacità umane per rischio, fatica e concentrazione richiesta – dice Stefano Mordini – e per far ciò anche il linguaggio narrativo doveva assumersi dei rischi, allontanarsi dalla pulizia formale e patinata di molti film concepiti per le piattaforme e diventare un po’ ‘sporco’, ritrovare quell’adesione alla realtà, quell’azzardo e quella vitalità di un certo cinema militante degli anni ’70. Abbiamo strutturato insieme al direttore della fotografia, Gigi Martinucci, e al produttore, Riccardo Scamarcio una narrazione visiva che durante le gare sia sempre dentro e insieme agli attori. Voglio poter coinvolgere a pieno lo spettatore, fargli sentire l’adrenalina, la fatica e lo sporco della gara. A mio parere questo è il punto di vista giusto, per poter entrare e far capire gli stati d’animo, la passione, la cura e l’amore che si vive nel mondo del rally”. Centrali, per la realizzazione del film, i racconti di Cesare Florio. “La sua visione ci ha permesso di esprimere nel film tutta la forza, la determinazione e la potenza del team Lancia – conclude il regista –, conditio sine qua non dell’impresa messa in atto: l’artigianato italiano, fatto di braccia e cuore contro la sofisticata tecnologia tedesca, un’impresa sulla quale nessuno avrebbe scommesso”.
L’offerta di Rai 1 e Rai 2 mainstream, Rai 4 tra cinema d’autore e classici, serialità e tv movie, anticipata e commentata dal direttore Adriano De Maio
Adriano De Maio – Direttore Cinema e Serie TV
Da dove nasce la sua grande passione per la televisione?
La televisione per me e per tanti colleghi è una “vocazione”, non si impara a scuola, la competenza si acquisisce sul campo. La televisione è la storia e la Rai fa la storia. Sono molto grato a questa azienda perché ho esaudito un sogno e mi ha dato tutto. Come direttore Cinema e Serie Tv, lavoro ad un settore su cui la Rai punta molto. Il Cinema non passa mai di moda e attraverso la mia squadra e i miei collaboratori esperti nella programmazione, Paola Tucci (Lunga serialità e Tv Movie), Leopoldo Santovincenzo (Film e serie di Genere), Cristina Cavaliere (Film e serie Mainstream), Stefano Francia di Celle (Film Classici e d’Autore), Luca Macciocca (Innovazione Prodotto), puntiamo al cinema italiano e internazionale, raccontando e ricordando. Così come per le serie, stiamo lavorando ad una ricerca che strizza sempre l’occhio al futuro.
70 anni di televisione. Cinema e serie tv come si inseriscono in questo momento storico?
La Rai ha una grande storia di produzione originale anche nel settore della rappresentazione cinematografica e televisiva, con gli sceneggiati e la grande fiction, e anche storicamente con la realizzazione di moltissimi grandi film. Ma c’è una lunga e importante tradizione di cinema di acquisto, che negli anni ha portato nelle case degli italiani il meglio di Hollywood e della produzione nazionale ed europea, con grandi autori e film di cassetta. Una stabile presenza di film sui nostri palinsesti c’è sempre stata, ma ricordo una svolta nel 1987 (io iniziavo in Rai) quando andarono via i grandi personaggi che si spostarono alla concorrenza (per poi tornare quasi tutti a casa). La Rai si trovò senza numeri uno per i varietà e quindi l’allora Direttore di Raiuno Giuseppe Rossini decise di controbattere acquistando, per la prima volta in un colpo solo, un grande pacchetto di cento film importanti per la tv pubblica.
Le serie tv continuano ad essere un fenomeno in crescita?
Il successo c’è e acquistiamo prodotti gradevoli che abbiano dei contenuti. Facciamo un utilizzo tattico e strategico del prodotto cinema che è una pausa di riflessione tra una fiction, un varietà e un approfondimento o una serata culturale, quindi cerchiamo sempre di scegliere film che abbiano un contenuto, una coerenza, che lascino qualcosa al pubblico, un messaggio, un sentimento.
Dalla televisione allo streaming. Qual è il ruolo del digitale?
La maggior parte dei nostri film è sulla piattaforma RaiPlay dove a volte hanno più seguito che sul canale generalista. Il pubblico li va a rivedere ed è per questo che noi organizziamo dei cicli. C’è una grande collaborazione con RaiPlay e la maggior parte dei prodotti è anche lì.
Il futuro del cinema e della tv nelle programmazioni?
Il mio obiettivo è dare più spazio al cinema italiano e ai prodotti di Rai Cinema che sono molto belli. E per le serie televisive ho più volte usato una battuta: meno serie americane. Non ho pregiudizi verso il genere, che anzi va molto bene. Dobbiamo però dare più spazio a serie motivazionali dove chi guarda si riconosca e possa anche prendere ispirazione per la propria vita. Cercheremo di inserire serie anche europee e di altre nazionalità, senza pregiudizio, oltre il perimetro di quelle americane, ad esempio legal e medical con protagonisti giovani medici e avvocati in storie che lasciano un messaggio positivo capace di ispirare e far sognare. La tv è anche uno stimolo per i giovani e l’influenza dei social e della televisione ci richiama ad una grande responsabilità. Quanto ai film stiamo cercando di attualizzare il magazzino e legare le nostre programmazioni ad avvenimenti di attualità e ricorrenze istituzionali in collaborazione con Rai per la Sostenibilità.
La narrazione dunque è un punto di forza anche per le serie tv acquistate?
Dobbiamo contribuire al racconto del nostro Paese e seguire il presente. Non acquisire un prodotto e semplicemente collocarlo.
Offerta per cinema e tv nella primavera Rai
Rai 1 e Rai 2 mainstream: continuità e cambiamento
Rai Uno è alla continua ricerca di equilibrio tra continuità e cambiamento, tradizione e innovazione, portando al centro dell’offerta i valori, il gusto, l’importanza del racconto. L’obiettivo è rivolgersi al pubblico ampio, che in primavera è stimolato da un’offerta molto competitiva e variegata.
Inserendosi sulla scia dell’intrattenimento e della fiction di produzione, il Canale offre il martedì molti film in prima visione rivolti ai target femminili, mentre tra i titoli italiani in prima visione, l’evento “Ennio” di Giuseppe Tornatore il 20/03. Un documentario allo stesso tempo capace di raccontare la vita privata di un genio della musica, premiato in tutto il mondo, e la storia del cinema italiano e internazionale segnate dalle meravigliose ed emozionanti colonne sonore Morricone. Con “La stranezza” di Roberto Andò Rai Uno rende omaggio alla tradizione del teatro italiano; un cast importante – composto da Toni Servillo, Ficarra e Picone – ravviva una commedia italiana dolceamara. Non possiamo non citare la prima visione di “Quasi Orfano” di Umberto Carteni, in cui Scamarcio veste i panni di un personaggio comico, interpretando un designer milanese che ha tagliato i rapporti con la sua famiglia di origini meridionali. Dalla Puglia si ripresentano all’improvviso i suoi parenti, travolgendogli la vita.
Il giorno di Pasqua propone un invito alla riflessione, raccontando la storia vera della celebre apparizione mariana e il peso di un destino in “Fatima” di Marco Pontecorvo con Harvey Keitel. A Pasquetta invece Rai Uno offrirà minuti di pura gioia e di buoni sentimenti con “Qua La zampa 2 – Un Amico è per sempre” in cui il cane Bailey, si reincarna per accompagnare l’amata bambina JC nella sua crescita. Mercoledì 3 aprile, in prima visione assoluta, un film con Vincent Riotta e Maria Grazia Cucinotta “Il meglio di te” di Fabrizio Maria Cortese, che racconta la storia d’amore di un uomo e una donna che si rincontrano dopo una separazione.
Per quel che riguarda i film in prima serata di Rai 2, proseguono in primavera gli appuntamenti dedicati al Grande Cinema Internazionale (il giovedì) e alle migliori Commedie Italiane (il venerdì) in prima visione.
Per immaginare un’offerta in grado di distinguersi nel panorama competitivo generalista, il giovedì punta su titoli dal grande impatto visivo ed emozionale, all’insegna dell’action, dell’avventura e di un alto tasso di adrenalina e che hanno come protagonisti star riconoscibili del grande schermo.
“Jungle Cruise” è un omaggio ai classici Disney in live action, alle avventure incredibili dei viaggi fantastici verso l’ignoto e alle schermaglie comiche e sentimentali delle strane coppie. Trattandosi di una storia ispirata a un’attrazione da parco giochi, è anche uno straordinario caso di operazione disneyana. Interpretato da “The Rock” Dwayne Johnson ed Emily Blunt.
Cambiamo pagina e continente sbarcando in Inghilterra. Con “Wrath Of Man”, il regista Guy Ritchie in ottima forma dirige un Jason Statham che praticamente non sorride mai. Con “L’uomo dei ghiacci” invece è il mostro sacro Liam Neeson a dover mostrare ancora una volta muscoli e invidiabile freddezza in un action senza un attimo di tregua. Due delle più luminose nuove stelle del cinema – Daisy Ridley (Star Wars) e Tom Holland (Spider-Man) – movimentano l’action fantascientifico “Chaos Walking” che racconta di un futuro distopico in cui le donne sembrano essere tutte scomparse e gli uomini sono stati colpiti dal Rumore, una forza che permette loro di ascoltare i pensieri reciproci.
Per il cinema italiano Rai 2 può contare invece su titoli di impatto innovativo, che uniscono la tradizionale commedia a forme espressive più audaci e in continuo mutamento di genere.
Tra questi “Il sesso degli angeli” penultimo fortunato film di e con Leonardo Pieraccioni, con una solare e divertente Sabrina Ferilli. Ma anche proposte produttivamente ambiziose quali “Freaks Out” di Gabriele Mainetti, film che mescola il racconto storico al fantasy e che ha saputo rinnovare profondamente la vena narrativa del nostro cinema. Un film con un grande cast che mette insieme Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto e Giorgio Tirabassi. “Diabolik” dei fratelli Manetti, il primo della trilogia dell’iconico principe del mistero con Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea. E poi “La mia ombra è tua”, storia on the road ad alto tasso di divertimento, con mattatore assoluto l’istrionico Marco Giallini oppure “La donna per me” commedia sentimentale con “sliding doors” che riesce a sorprendere e allo stesso tempo far riflettere soprattutto grazie allo straordinario lavoro di Andrea Arcangeli, Alessandra Mastronardi e di un inedito Francesco Gabbani.
Rai 4: esplorazione e grandi film di culto
Su Rai 4 la Direzione Cinema e Serie Tv prosegue l’esplorazione dei generi di riferimento del canale alternando i blockbuster americani, la produzione action corrente per il pubblico più fidelizzato e infine la scoperta, in prima visione assoluta, di piccoli e grandi film di culto provenienti dalle cinematografie di tutto il mondo, funzionali a fotografare lo stato dell’arte dei rispettivi filoni ma anche il loro futuro.
Per i film una stagione scoppiettante con moltissime prime visioni e prime visioni assolute in programma. Ad aprile sarà la volta di “The menu” di Mark Mylod, scatenato thriller culinario con un cast di prima grandezza, da Ralph Fiennes alle giovani rivelazioni degli ultimi anni Anya Taylor-Joy.
A maggio, in prima visione free, arriva la grande epopea vichinga con “The Northman” del regista di culto Robert Eggers: combattimenti all’arma bianca, magia e grandi scenari naturali per le fosche vicende del vendicatore Amleth. Per la prima volta sarà programmata anche la saga completa di “Predator”, dal classico capostipite all’ultimo spin-off: “Prey”; per gli aficionados si segnala anche il ritorno delle grandi star del cinema d’azione come Liam Neeson, Jason Statham, Denzel Washington, Donnie Yen, Mel Gibson, Dwayne Johnson, Scott Adkins e Sylvester Stallone.
Grande spazio in primavera al dark thriller contemporaneo con il terrificante “Talk to me”, diretto dagli youtuber australiani Danny e Michael Philippou, una piccola produzione che nella scorsa stagione ha conquistato a sorpresa i botteghini di tutto il mondo: in prima visione su Rai 4, a pochi mesi dall’inatteso e folgorante successo registrato anche nelle sale italiane. Dalla Danimarca arriva invece l’inquietante thriller “Speak no evil” di Christian Tafdrup e dalla Lituania, in prima visione assoluta il sorprendente slasher “Pensive” dell’esordiente Jonas Trukanas. Un ripescaggio di valore di un film passato quasi inosservato è infine il divertente “Finché morte non ci separi” (2019) di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett con Samara Weaving.
Tra i cicli della primavera di Rai 4: da mercoledì 20 marzo comincia “Dalla Spagna con orrore”, quattro appuntamenti con il nuovo cinema gotico spagnolo in compagnia di maestri come Jaume Balagueró, Paco Plaza e Alex de la Iglesia; da lunedì 1° aprile, arriva invece Orient Express, vetrina dei recenti e migliori action-thriller coreani e hongkonghesi in prima visione assoluta tra arti marziali, inseguimenti automobilistici e spericolati artificieri all’opera.
Per le serie, prosegue con le stagioni VII e VIII la programmazione del giovedì dell’ormai classica “Hawaii five-o”. Si conclude inoltre, la domenica, la seconda stagione in prima visione assoluta di “I fiumi di porpora-la serie” con le indagini nella provincia francese più dark del commissario Pierre Niemans e della giovane investigatrice Camille Delaunay. La serie riprenderà in autunno con le nuove stagioni 3 e 4.
Cinema d’autore e classici: intrattenimento e grande qualità
La Linea di programmazione della Direzione “Cinema e serie TV”, dedicata ai classici ed ai film d’autore, sta preparando diverse iniziative orientate all’intrattenimento di grande qualità.
Rai 3, la cui offerta generalista si basa sul principio del giusto compromesso tra alta qualità e gradimento del pubblico, è particolarmente attenta ai temi sociali. In prossimità della Festa del Lavoro, il 30 aprile andrà in onda il film “Tra due mondi” diretto da Emmanuel Carrère, con Juliette Binoche nei panni di una scrittrice che, per scrivere un romanzo ambientato nel mondo precario del lavoro e documentarsi, decide di lavorare come “infiltrata” in un’impresa di pulizie di traghetti. Per la “Giornata Internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la transfobia e la bifobia” (17 maggio) verrà trasmesso l’ultimo capolavoro di Gianni Amelio, “Il signore delle formiche”, che racconta le vicende giudiziarie realmente accadute ad Aldo Braibanti, intellettuale perseguitato per il suo orientamento sessuale.
Non mancheranno anche la leggerezza, rappresentata dalla commedia romantica di produzione italiana “Blackout Love” con Anna Foglietta, e la tensione con il thriller d’autore, interpretato da Eric Bana, “Chi è senza peccato – The dry” (15 marzo), programmato in occasione dell’uscita al cinema il 14 marzo del suo sequel (Force of nature – Oltre l’inganno).
Rai Movie, il canale totalmente dedicato al cinema nella sua sempre ricchissima offerta di film classici e film contemporanei, propone diversi cicli interessanti. “Strani Mondi” è l’appuntamento in prima serata del martedì con il cinema di fantascienza che ci porta in viaggio nello spazio fra universi lontani. La prima serata del venerdì è invece dedicata ai grandi film di guerra del cinema con un ciclo di nove titoli con importanti star. Si va dai classici sulla Seconda guerra mondiale a film di avventura ambientati nello stesso periodo, senza dimenticare titoli sui conflitti più recenti, come la guerra in Bosnia. Ci sarà un breve incontro con la più iconica delle dive di Hollywood, entrata nella leggenda anche a causa della morte prematura. Tre titoli molto diversi per mostrare come Marilyn fosse, al di là della bellezza, un’attrice versatile che non avuto il tempo di esprimere tutto il suo potenziale. Si parte con il dramma “Niagara” (17 maggio), che la vede nei panni di una femme fatale destinata a un epilogo tragico, per continuare con l’avventuroso western “La magnifica preda” (24 maggio), reso celebre anche dalla canzone “River of No Return”. Il ciclo si chiude con la commedia romantica “Facciamo l’amore” (31 maggio).
Infine, altre iniziative importanti sono previste sul piano del cinema classico e dei documentari. Rai Storia, a partire dal 2 marzo, tramette il sabato in prima serata (alle 21:10), il ciclo “Roberto Rossellini. I capolavori restaurati”, 13 capolavori di uno dei grandi maestri del cinema per la prima volta in TV nella loro veste restaurata che ridona splendore e bellezza originale alla fotografia e al sonoro. La collezione di 13 titoli è tutta disponibile su RaiPlay. Da un capolavoro assoluto come “Roma città aperta” al documentario-intervista a Salvador Allende, passando per pietre miliari del cinema italiano come “Paisà” o “Germania anno zero”. Prossimamente su Rai 3, in seconda serata, in prima visione assoluta il documentario di Alex Infascelli “Kill me if you can” sull’incredibile storia di Raffaele Minichiello, giovane reduce dal Vietnam protagonista del primo e più lungo dirottamento aereo della storia.
Serialità e TV Movie: le prime visioni assolute
L’obiettivo di Rai 2 è sempre quello di proporre il più possibile titoli in prima visione assoluta, spaziando tra generi diversi (action, poliziesco, medical) per accontentare i vari gusti del pubblico e potersi meglio difendere dalla concorrenza sempre più vasta e competitiva. Questo ha contribuito a creare un pubblico fidelizzato che dimostra di apprezzare e premiare questa scelta.
La domenica le serie previste sono “9-1-1” – stagione 5 e “9-1-1: Lone Star” – stagione 3. Proseguono i salvataggi estremi, le situazioni di pericolo intrecciate alle vicende personali dei soccorritori protagonisti delle due serie. Mercoledì “Delitti in paradiso”- stagione 13 (a partire dal 3 aprile): tornano i casi di una delle serie più amate dal pubblico di Rai 2. A seguire sarà la volta di “The good doctor” stagione 7 (a partire dal 29 maggio). Si tratta del gran finale dell’amata serie “medical”. Da sabato 9 marzo, in prima serata, è in onda “Le indagini di Sister Boniface” stagione 1. Lo spin-off della serie Padre Brown, che mescola commedia e giallo, ha per protagonista un’energica suora cattolica che collabora nelle indagini su omicidi e crimini con la polizia locale. A giugno, in prima visione assoluta, “I casi della giovane miss Fisher” stagione 2, serie poliziesca tutta al femminile, ambientata nella Melbourne degli anni 60’. Dal 16 aprile i nuovi episodi, sempre in prima visione assoluta, delle due serie procedural poliziesche di successo: “FBI stagione 6” e “FBI International” stagione 3. Per le altre fasce orarie, si segnala in prima visione la serie americana “Blacklist”, stagione 10, prevista dal 16 marzo il sabato in fascia preserale.
Viaggio nel mondo della tecnologia con uno stile pop tutto al femminile. Una produzione Rai Contenuti Digitali e Transmediali. Dal 13 marzo su RaiPlay
Suggestivi reportage dall’Italia e dall’estero presentati da una squadra di giovani inviate: “Touch – Impronta Digitale”, dal 13 marzo tutti i mercoledì su RaiPlay, vuole raccontare in chiave “pop” le innovazioni apportate dalla tecnologia nella vita quotidiana. Sedici puntate dedicate ad altrettanti temi di attualità, per capire con il pubblico, come il mondo stia cambiando e quali sono le tendenze future per quel che riguarda viaggi, alimentazione, salute, educazione, sport e moda. “In Touch ci immergiamo nel cuore dell’innovazione, guidati da sette giovani donne, di cui una creata con l’Intelligenza Artificiale, che portano una prospettiva unica nel racconto della tecnologia – dice Maurizio Imbriale Direttore Rai Contenuti Digitali e Transmediali. Con questo programma non solo vogliamo sottolineare l’impegno della Rai verso la produzione interna e l’alfabetizzazione digitale, ma anche verso le pari opportunità nel settore STEM. Attraverso storie dall’ Italia e dall’estero, miriamo a sorprendere e ispirare, senza mai dimenticare la centralità dell’essere umano. Con Touch vogliamo far capire che oggi conoscere la tecnologia non è un’opzione ma una necessità, e vogliamo farlo senza lasciare indietro nessuno”. Alla guida di “Touch- Impronte Digitali” c’è Fjona Cakalli, imprenditrice e divulgatrice di tecnologia tra le più autorevoli in Italia, che accompagna puntata dopo puntata, gli spettatori in giro per il mondo, in visita ai distretti dell’innovazione più all’avanguardia. Insieme a lei, sei reporter, tutte rigorosamente donne: l’influencer Momoka Banana che si cimenta con le intelligenze artificiali e le tecnologie di frontiera; Noemi Marà, che testa in prima persona i più recenti sistemi di realtà virtuale e aumentata; la “creator” Sara Busi e la “cosplayer” Antonella Arpa, in arte Himorta, che parlano di nuovi mestieri in un mercato del lavoro in continua evoluzione; la filosofa Lucrezia Ercoli, ideatrice di PopSophia, il festival del contemporaneo, che fornisce una chiave di lettura ironica e ragionata al tema di puntata. E infine Iaia, inviata virtuale, realizzata dalla redazione di Touch attraverso l’intelligenza artificiale, che racconta tutte le ultime novità dal mondo tech. All’interno del format, infine, in uno spazio dedicato ai più importanti influencer, creator e imprenditori del digitale, il pubblico scoprirà i segreti del loro successo e cosa c’è dietro alla loro immagine pubblica, veicolata attraverso i social.
Francesco Gasparri e Valentina Caruso sono i conduttori dell’appuntamento settimanale con la nostra storia. Il RadiocorriereTv li ha intervistati. Il programma è in onda la domenica alle 15.00 su Rai 2 e il sabato alle 11.25 su Rai 1
Cosa significa raccontare le nostre origini al pubblico televisivo?
VALENTINA: Parlare con un linguaggio vicino alle persone che ci ascoltano. Si tratta principalmente di archeologia, una materia che va spiegata con parole semplici. Non ci piacciono i paroloni accademici (sorride). Significa anche raccontare la nostra storia, conoscere ciò che facevano i nostri antenati, i popoli e le civiltà che hanno vissuto in Italia prima di noi. Ci piace raccontare la vita quotidiana. Nelle scorse puntate, ad esempio, siamo andati a Rimini, alla Casa del chirurgo, a vedere gli strumenti che utilizzava un chirurgo di epoca romana. Faceva già operazioni molto difficili e con una situazione igienica molto diversa dalla nostra: l’anestesia, ad esempio, non esisteva, e venivano utilizzate delle erbe per stordire. Quello di “Origini” è un viaggio nella quotidianità di chi ci ha preceduto nei secoli, nei millenni.
FRANCESCO: Abbiamo cercato semplicità nell’approccio, perché cultura e territorio devono arrivare a tutti. Il tentativo è quello di utilizzare un linguaggio accattivante, al tempo stesso mostrando bellissime immagini, visioni aeree realizzate con i droni. Abbiamo utilizzato anche droni sottoterra per esplorare il sottosuolo, parlo di Roma come di Orvieto sotterranea o delle miniere della Toscana. Il nostro non è un classico programma di territorio, ma di cultura che parla anche di territorio. Partiamo da un’idea, una tradizione di un luogo, e la raccontiamo. Abbiamo raccontato le vie del ferro in Toscana. Siamo partiti dall’Isola d’Elba, ci siamo allargati e siamo arrivati fino alla provincia di Pistoia. Abbiamo seguito una narrazione.
Storia, archeologia, che rapporto avete con questi mondi?
FRANCESCO: Ho un interesse personale nei confrontidella storia, della cultura, dell’arte e dell’archeologia. Mio padre, da grande appassionato, sin da piccolo mi tirava per le orecchie e mi portava per musei e parchi archeologici. Questo sentimento che ho introiettato è rimasto vivo. Ho poi collaborato con il ministero dei Beni culturali, esperienza che mi ha dato occasione di approfondire alcuni temi artistici. E poi posso dire che il territorio sia il mio pane quotidiano, perché per hobby faccio l’agricoltore.
VALENTINA: Sono laureata in archeologia, una passione nata quando ero bambina. I miei genitori mi portavano in giro per i siti archeologici, studiavo sui libri di storia, mi affascinava tutto ciò che era antico, ero appassionatissima di egittologia, scrivevo in geroglifico. A nove anni decisi che l’archeologia sarebbe stata la mia strada. Diventando giornalista ho cominciato a raccontarla insieme ai beni culturali, alla storia.
Valentina, cosa le sta insegnando “Origini”?
VALENTINA: Che abbiamo avuto un passato ricco e importante di cui dobbiamo andare orgogliosi. Ma questo già lo sapevo. Scopri anche quanti esempi possiamo prendere dal nostro passato, per vivere il nostro presente ma anche il futuro. La storia è ciclica, tutto si ripete nel corso del tempo.
Francesco, che valore ha per lei la scoperta?
FRANCESCO: Nasco viaggiatore, continuo a non fare vacanze ma viaggi, sempre alla ricerca di una scoperta. Perché scoprire significa emozionarsi. Ho bisogno che questo accada tutti i giorni in quello che faccio, che si tratti del giardinaggio o della storia, dell’agricoltura o della lettura, di guardare un film. In trasferta approfitto dei momenti di pausa per esplorare i luoghi in cui mi trovo. Ho bisogno di trovare stimoli e per farlo devi essere sempre in movimento, anche mentale.
Da Rimini a Orvieto, dai Campi Flegrei all’area di Venezia. Sono ormai decine le località raggiunte dal programma, quali sono i luoghi e le storie che vi hanno colpito di più?
VALENTINA: Impossibile fare una classifica. Nei Campi Flegrei siamo andati nel Rione Terra, nei sotterranei, visitando l’antica Pozzuoli che oggi si trova sotto i palazzi cinquecenteschi. Siamo stati a Roma, museo a cielo aperto per eccellenza, alla Villa dei Quintili, a Ostia antica, siamo andati nel Tofet di Sant’Antioco in Sardegna, antico cimitero per i bambini nati morti o morti nei primi anni di vita, siamo andati anche al Museo archeologico di Bolzano dove c’è Ötzi, la mummia del Similaun.
FRANCESCO: Ogni esperienza è a sé. In Italia la scoperta e la bellezza sono dietro l’angolo. All’età di vent’anni andai da solo in Messico, con l’obiettivo di raggiungere una piramide, in mezzo alla foresta, ai confini con il Guatemala. Mi ero impuntato (sorride). Fu molto faticoso e una volta arrivato alla meta mi chiesi come mai avessi fatto quello sforzo. Mi torna in mente tutto questo ogni volta che, dietro casa, trovo luoghi meravigliosi, senza togliere nulla a quella piramide. Dalle cave di Carrara al Guerriero di Capestrano, all’entroterra del Molise. Vai al sito archeologico di Sepino in provincia di Campobasso e ti chiedi perché tu debba andare dall’altra parte del mondo. Quell’esperienza in Messico non mi diede la stessa emozione che mi ha dato Sepino.
Valentina, cosa unisce tutti questi mondi?
VALENTINA: Una cultura passata che ci insegna a capire che il mondo antico non era nemmeno così antico (sorride). Se penso a Ötzi, alla sua figura, penso a un uomo che già riusciva a vivere in condizioni terribili di freddo, a tremila metri d’altezza. L’uomo, anticamente, era già avanti. Li definiamo primitivi ma si impegnavano a trovare e a fabbricare ciò che gli serviva. Oggi usiamo tanta tecnologia e ne siamo forse un po’ troppo invasi. Un tempo l’uomo si ingegnava molto di più: non che ora non accada, penso ad esempio a chi crea i computer, ma la massa oggi è forse più pigra.
Francesco, immaginati per un istante cronista nel passato. Se avessi una macchina del tempo dove ti faresti trasportare?
FRANCESCO: Sicuramente nell’antica Roma, ma anche a Gerusalemme ai tempi delle Crociate per vedere la convivenza delle tre religioni abramitiche e godere di quella contaminazione continua. E poi nell’antica Grecia, a Sparta. Sono sempre stato affascinato dalla battaglia delle Termopili. Il nome Leonida è uno di quelli a cui sono più legato e mi piacerebbe, un giorno, dare questo nome a mio figlio.
Le andrebbe di proporre lettori un breve itinerario che ci porti alle origini della sua Isola?
VALENTINA: Parto dal santuario di Monte d’Accoddi, a dieci chilometri da Sassari, che ha una forma di una ziggurat mesopotamica. Un tronco di piramide a gradoni con rampa d’accesso non può che portarci in Mesopotamia. È un sito di 5 mila anni fa. Consiglierei poi di vedere Cagliari sotterranea, con le bellissime cripte che divennero anche rifugio nel periodo di guerra, il Pozzo Sacro di Santa Cristina a Paulilatino, di epoca nuragica, i Giganti di Mont’e Prama, le grandi statue dell’età del ferro. Quindi il villaggio nuragico di Barumini, insieme al Nuraghe di Santu Antine, che rappresenta la perfezione nuragica. Bisogna anche fare un salto alle rovine romane di Nora, un’antica città fenicio-punica, con il doppio porto. Questo per citare solo alcuni luoghi spettacolari.
Cosa vi piacerebbe lasciare al pubblico che vi segue?
FRANCESCO: L’obiettivo dei programmi di territorio non è fine a se stesso, ma come dice il direttore Angelo Mellone (Day Time Rai) è quello di fare in modo che le persone escano di casa e si mettano in viaggio, raggiungano i luoghi personalmente. In 55 minuti dobbiamo dare la spinta a prendere la macchina, la nave, il treno, l’aereo, senza limitare l’esperienza a un singolo sito archeologico, ma a un itinerario. È una sorta di consiglio di viaggio.
VALENTINA: Emozioni. Vorrei anche che le persone fossero invogliate a mettersi in viaggio, alla scoperta di siti che raccontiamo loro.
È stata una delle più grandi poetesse e scrittrici della storia dell’Italia moderna, originale, appassionata, unica. La vita straordinaria di Alda Merini si snoda del film di Roberto Faenza, interpretato da Laura Morante, dal disagio psichico alla maternità, dagli amori impossibili fino all’accesso alla cultura e alla fama. Il ritratto di un’icona contemporanea inedito e appassionante, giovedì 14 marzo in prima serata Rai 1
“Io la vita l’ho goduta tutta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno.
Per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”
A Ripa di Porta Ticinese, sui Navigli, c’è un appartamento la cui porta è sempre aperta. A varcarla sono spesso intellettuali, cantanti, giornalisti, ma anche semplici curiosi. Sono tutti lì per lei, Alda: 70 anni, unghie smaltate, sigaretta sempre accesa, un caos in cui si trova a suo agio. Ma cosa la rende così speciale? La sua poesia, certo, ma forse anche la sua vita senza mezze misure, che è lei stessa a raccontare, con ironia e sagacia, a un giovane intellettuale, Arnoldo. Milano, dopoguerra. Alda è un’adolescente con una sensibilità spiccata e il dono di scrivere poesie, che la madre, donna severa, non comprende, e che il padre forse non incoraggia abbastanza. Il suo desiderio di continuare gli studi viene frustrato quando non viene ammessa al liceo classico: un’umiliazione che trasforma la sua vocazione per la poesia in ossessione. È una sua ex insegnante a darle l’occasione della vita: porta le sue poesie al critico Giacinto Spagnoletti, che ne rimane ammirato e la invita nel suo salotto letterario. Le poesie di Alda vengono lette e apprezzate e ben presto arrivano anche le prime pubblicazioni: il suo talento precoce e inspiegabile ne fa una vera enfant prodige. In quel circolo Alda trova anche il suo primo amore, lo scrittore Giorgio Manganelli. Dieci anni più grande di lei e sposato, ma ad Alda non importa: lo ama con tutta se stessa, con furore totalizzante e quello sarà per sempre il suo modo di amare. Incapace di starle accanto, Giorgio la lascia. Alda è disperata ma riesce a risollevarsi, come sempre farà nella vita. Incontra un altro uomo, diversissimo da lei per interessi e mentalità, ma che diverrà suo marito: Ettore Carniti. Alda prova ad essere moglie e madre secondo tradizione, ma la sua natura è diversa. Litigano spesso. A questo si aggiunge il fatto che l’attenzione del mondo letterario nei suoi confronti sta scemando e Alda non riesce a trovare nessuno che pubblichi le sue nuove raccolte. È così che pian piano precipita nella psicosi, fino al giorno in cui, dopo una grave crisi di nervi, il marito la fa ricoverare. Non immagina che Alda rimarrà in manicomio, tra un ricovero e l’altro, per ben dodici anni.
Anni di buio, sofferenza, cure pesanti e perdita di contatto con il mondo. A salvarla sarà il rapporto con il Dottor Enzo Gabrici, lo psichiatra che l’ha in cura: è lui a spingerla a riprendere l’attività poetica dopo anni di silenzio, regalandole persino una macchina da scrivere. Scrivendo, attraverso le parole che bruciano la pesantezza della vita, Alda riesce a trasfigurare il dolore e la malattia e a vincerli. Rimasta vedova, Alda sposa il poeta Michele Pierri, che ha molti anni più di lei, e si trasferisce da lui a Taranto. Ma la felicità non dura a lungo, perché Michele muore poco dopo. Rientrata a Milano, Alda non si dà per vinta e si afferma come una delle figure di riferimento della vita culturale italiana.
La parola al regista, Roberto Faenza
Se è vero che Alda Merini ha ottenuto in vita molti riconoscimenti e attestati di stima in ambito letterario, è pur vero che la sua poetica, tutt’altro che popolare in senso stretto, ha conquistato il cuore di un vasto pubblico, anche nelle generazioni giovani. Ecco perchè è interessante raccontare come Alda sia riuscita a tradurre in versi un immaginario straordinariamente ricco e universalmente riconoscibile. La modalità scelta è quella di raccontarne la biografia nei suoi momenti salienti, per farla conoscere come donna e madre (molto amata dalle figlie, nonostante una condotta ben poco convenzionale), prima ancora che come poeta. Alda ha scritto poesie bellissime che hanno toccato il cuore e l’anima di tanti, seppur vivendo un’esistenza tormentata senza perdere l’ironia e la capacità di amare nonostante i ricoveri psichiatrici. In lei hanno convissuto l’inquietudine e la vis terapeutica della poesia. Anche per questo motivo è importante raccontare la sua storia al grande pubblico, specie in questo momento di grandi turbamenti.
Il sito Rai Com utilizza cookie tecnici o assimilati e cookie di profilazione di terze parti in forma aggregata, per rendere più agevole la navigazione e garantire la fruizione dei servizi. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie.Leggi di piùOk