Canzoni, sorrisi, pensieri, risate e racconti. Dal 10 aprile l’attrice toscana conduce il nuovo one woman show di Rai 1: “Forte e Chiara”. In diretta per raccontare la storia di una ragazza di paese, senza filtri, con entusiasmo e allegria. «Essere veri è molto meglio che essere perfetti» afferma la conduttrice che confida: «Estrarrò dal mio baule argomenti e ricordi che riguardano un po’ tutti gli italiani»
Cosa pensa se le dico Rai 1 e prima serata?
Mi viene in mente il primo giorno di scuola. Una sensazione di emozione, di felicità, di frenesia, il grande desiderio di non deludere nessuno e di fare del mio meglio.
Da dove si comincia?
Si comincia sempre dalla verità, che è l’unico punto di partenza. Quindi racconterò la mia, la storia di una ragazza di paese, di una provinciale che è arrivata in prima serata su Rai 1. Porterò tutto il mio bagaglio. Partirò dall’inizio e andrò a raccontare delle cose che, come ho avuto modo di vedere, toccano tanti e tanti italiani. In fondo l’Italia è una grande provincia e siamo tutti un po’ provinciali.
Che spettacolo sarà?
Uno spettacolo in cui ci sarà la volontà di parlare di argomenti e di ricordi che riguardano un po’ tutti gli italiani. Ci saranno momenti di profonda allegria, gli ospiti che mi accompagneranno li ho scelti tutti perché li amo, li stimo. Insieme a loro costruiremo tasselli di spettacolo che sono in linea con il mio racconto.
Come si sta preparando al debutto?
Mi preparo sempre nella stessa maniera, che si tratti di scrivere un libro, di fare uno spettacolo teatrale o un film per il cinema. Cerco di studiare, pur lasciando grande spazio alla fantasia, all’improvvisazione. Perché come mi ha insegnato il grande Pippo Baudo, potrai conoscere tutte le domande del mondo, ma non conoscerai mai tutte le risposte. Devi studiare e fare qualcosa in cui credi, che conosci in maniera profonda. A quel punto sarai in grado di improvvisare, di far nascere al momento quel fiore che è la televisione e che è soprattutto la diretta. Non scordiamoci che andrò in diretta (sorride).
Ricorda il primo incontro con la Tv?
È avvenuto sicuramente a casa dei nonni materni. Di nonno Danilo e della nonna Irlanda. I miei genitori lavoravano. Era il momento in cui stavamo insieme, la televisione era veramente come il dessert, l’ultimo boccone di dolce, che è sempre quello più buono. È un ricordo dolce, ed è tale proprio perché è legato alla mia infanzia.
Che cosa rappresenta per lei la Rai?
La Rai mi riporta all’infanzia. Penso alle sigle, a quello che capivo e anche a quello che non capivo in maniera perfetta. La Rai era un po’ come il profumo dei pranzi domenicali che preparava la nonna. La Rai è casa.
Quali parole la descrivono meglio?
Sono proprio “forte” e “chiara”. Due parole che sono al tempo stesso aspirazioni. Quella di essere sempre forte e di essere sempre autentica e vera.
Quali sono le parole che per lei hanno più valore?
Sono riconoscenza e gratitudine, parole che credo debbano essere il fondamento per ogni essere umano. Non mi scordo mai di chi mi ha fatto del bene, sono maggiormente capace di scordarmi di chi mi ha fatto del male. Lo dimentico.
Quale tra le dive del passato le piacerebbe essere almeno per un giorno?
Ce ne sono tante. Monica Vitti, Marilyn Monroe, Sofia Loren, Anna Magnani, Franca Valeri, Anna Marchesini.
Cosa si sente di dire a Chiara bambina?
Di continuare a mangiare il pan con l’olio e la schiacciata con l’uva (sorride).
Venerdì 3 maggio Carlo Conti e Alessia Marcuzzi conducono la cerimonia in diretta su Rai 1 dagli Studi di Cinecittà. Ad accogliere le star sul red carpet Fabrizio Biggio. In queste pagine tutte le cinquine, Paola Cortellesi con “E’ ancora domani” è regina di nomination
La Rai ancora una volta al fianco dell’Accademia del Cinema Italiano per raccontare, venerdì 3 maggio in diretta su Rai 1, la cerimonia di premiazione dei “David di Donatello”, condotta da Carlo Conti con Alessia Marcuzzi. La serata evento si svolgerà negli iconici studi di Cinecittà. A ospitare la diretta il leggendario Teatro 5, per anni “regno” di Federico Fellini e “tempio” della grande cinematografia nazionale e internazionale. Una narrazione diffusa, che includerà il Residential Stage del Teatro 14, un unico set che racchiude cinque ambientazioni, e il Teatro 18, il Volume Stage per la produzione virtuale, tra i più grandi d’Europa, che ospiteranno diversi momenti della cerimonia. Sul red carpet, ad accogliere gli ospiti, sarà Fabrizio Biggio. Scoperte le cinquine, cresce l’attesa per scoprire chi vincerà gli ambiti riconoscimenti. Quel che è certo è che a svettare su tutti per numero di candidature (19) è “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi. Al secondo posto, “Io Capitano” di Matteo Garrone, 15 candidature, seguito da “La Chimera” di Alice Rohrwacher (13), “Rapito” di Marco Bellocchio (11), “Comandante” di Edoardo De Angelis (10) e “Il Sol dell’Avvenire” di Nanni Moretti (7). Un’edizione da record, la numero 69 dei Premi David Donatello: “Il primo record è che il David quest’anno è stato protagonista di “Call My Agent”, “Gloria” e oggi a teatro di una pièce con Silvio Orlando, questo significa che è diventato un brand in questi anni con l’aiuto di tutti” dice Piera Detassis, presidente e direttrice artistica dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello Detassis che prosegue: “Abbiamo lavorato molto con il Mic, con il consiglio direttivo e con la Rai proprio per riuscire a fare questo salto di qualità. Sono molto felice delle new entry nella conduzione e nel red carpet, che daranno ancora più slancio a quanto fatto di straordinario da Carlo Conti”. Grande l’emozione tra i conduttori: “È un onore essere ancora una volta al timone dei premi David di Donatello, sarà una grandissima festa del cinema italiano – dice Carlo Conti – cercheremo di rendere la cerimonia di premiazione sempre più uno spettacolo televisivo possibilmente coinvolgente”. Altrettanto entusiasta è Alessia Marcuzzi: “Prenderò possesso degli studi di Cinecittà e non mi troverete per qualche giorno. Per me sarà un onore incredibile presentare questo evento perché sono una grande estimatrice del cinema italiano. Non uscirò più dal Teatro 5”.
Dall’11 aprile al cinema con “Gli agnelli possono pascolare in pace” e su Rai 1 il 3 aprile con “Il meglio di te”. L’attrice si racconta al Radiocorriere Tv
Ne “Gli agnelli possono pascolare in pace”, diretto da Beppe Cino, i toni drammatici incontrano quelli della commedia in una narrazione che mette al centro l’essere umano e le sue fragilità… come si è avvicinata a questa storia?
Ho accettato subito la proposta di Beppe Cino, l’ho fatto forse prima ancora di leggere il copione. Sapevo che sarebbe stato uno dei suoi viaggi tra realtà e fantasia. Beppe è un visionario, uno dei pochi registi italiani rimasti fedeli al cinema in cui non si tralasciava nulla. Per me è stato un grande onore lavorare con lui. Il cinema esiste per dare messaggi e questa pellicola ne è piena.
Come è stato l’incontro con la sua Alfonsina, personaggio protagonista del film?
È stato naturale, anche se per affrontarla ho preso un po’ di chili (sorride). Alfonsina è una donna in prepensionamento, con qualche anno in più di me, è stato affascinante entrare nel suo mondo, osservarla. Il film è come un metaverso che si muove sul mondo attuale, reale.
Tra i temi affrontati c’è quello del pregiudizio, dei confini che ci poniamo e che inevitabilmente ci limitano…
Quando vivi di pregiudizi e di rancori, rimani legato al passato. Nella vita niente ti sblocca se non togli le barriere, se rimani legato ai confini che tu stesso crei. Ogni confine ti riduce lo spazio mentale e visivo nei confronti degli alti.
Cosa può insegnare questa storia?
Sono sempre stata molto aperta. Sono nata e cresciuta in Sicilia dove il pregiudizio era presente anche se ti muovevi da un quartiere all’altro, perché vivevi in una zona popolare e non in centro. Poi sono stata al Nord, dove ho vissuto il disagio di essere del Sud. Sono cose che elabori piano piano. Poi capisci che il problema non è il tuo, ma di chi il pregiudizio ce l’ha installato nella mente. Sono cresciuta con una madre che mi ha sempre insegnato a rispettare le vite, che sono tutte uguali. Ognuno di noi nasce in posti diversi con colori della pelle diversi, parla lingue diverse, ha posizioni sociali differenti. Non esiste chi fa un lavoro migliore dell’altro, i lavori sono tutti indispensabili e utili, così come tutte le vite. Ho sempre guardato le persone a trecentosessanta gradi, per quello che erano e sono, per il loro modo di porsi, e mai chiedendo cosa facessero o da dove venissero. Questo mi ha dato un’apertura mentale pazzesca, ho sempre abbracciato il mondo come un regalo, non come qualcosa da valutare a secondo del conto in banca. Gli stessi valori li ho trasmessi a mia figlia, cresciuta in una casa in cui sono entrati tutti i miei amici, senza mai giudicare le loro scelte che erano semplicemente le loro.
Come si pone nei confronti del sacro?
Sono cresciuta in una famiglia molto credente. Anche perché quando non c’è niente, credi che Dio sia il supereroe che ti verrà a salvare. Ho sempre creduto di averlo a fianco, che i miei angeli fossero con me, pronti a salvarmi. La fede mi ha fatto crescere con la speranza, guardando al bene che fai, che in qualche modo ti ritorna. A volte, se dici di essere credente, vieni percepita come una bigotta. Io invece sono la persona più aperta e libera del mondo.
Cosa deve avere un personaggio perché lei scelga di interpretarlo?
Deve rappresentare una sfida, al tempo stesso la sua storia mi deve divertire.
Nei prossimi giorni la vedremo su Rai 1 in un altro film di cui è protagonista, “Il meglio di te” di Fabrizio Maria Cortese. I temi sono quelli della perdita, dell’amore, del perdono… un’esperienza che ha definito “il mio film più maturo”…
È il film che mi è rimasto più sottopelle di tutti. Abbiamo girato tra gli splendidi boschi di Rifreddo di Potenza, su una montagna. C’erano solo l’albergo e, a ottocento metri, la casa che è stata il nostro set. Non c’era nient’altro. Abbiamo vissuto in una bolla: andavi sul set e a fine riprese portavi con te le emozioni del film. È stato anche un percorso psicologico, che mi ha portato a riflettere sul tema del perdono. Sono sempre stata molto attenta a non fare del male alle persone, mi aspetto pertanto che certe attenzioni le abbiano anche gli altri nei miei confronti. Per me è sempre stato difficile perdonare chi crea sofferenza, mortificazione. Il tempo che hai investito su una persona non te lo dà più nessuno. È un film che parla di verità. Alla fine della prima, quando le luci si sono riaccese in sala, ci siamo trovati tutti in lacrime.
Come è cambiato, nel corso degli anni, il suo essere attrice?
All’inizio ero molto timida. Ero un elastico, da un lato pronta ad andare, perché questo lavoro è da sempre la mia passione, dall’altro la timidezza mi bloccava. Nel tempo ho vinto quel mostro che avevo dentro. La timidezza mi ha limitata tanto nella vita.
Si pensi giovanissima, al debutto. Cosa prova per quella ragazza che sognava di fare il cinema?
Grande tenerezza. L’emozione e l’entusiasmo sono anche oggi quelli di allora, non sono mai cambiati. Il regalo più bello me l’ha fatto mia mamma che mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose attorno alle quali ho costruito la mia vita.
A chi deve dire grazie?
A mia madre, a tutte le persone che ho incontrato lungo il cammino e che hanno compreso la mia timidezza senza farmene una colpa.
Quali sono i momenti della sua carriera che porta di più nel cuore?
Tutti. Non puoi sceglierne uno. È tutto importante.
Quando pensa al futuro cosa prova?
Curiosità. Il futuro ti offre la possibilità di fare ciò che non hai fatto, o che hai sbagliato, fino ad adesso.
La vita è dunque un continuo programmare…
Quando fallisci non è la vita che fallisce, a essere andato male è stato solamente un tentativo. L’importante è voler cambiare e io sono una lottatrice. Voglio essere felice, e per esserlo veramente devono stare bene anche gli altri. Le due cose vanno di pari passo.
Un grande romanzo storico sul delitto Matteotti. Di Andrea Frediani, edizioni Rai Libri
È il 30 maggio del 1924 quando nell’aula della Camera Giacomo Matteotti accusa il presidente del Consiglio Benito Mussolini, ex compagno di partito, di essersi macchiato di brogli e violenze per vincere le elezioni e ottenere la guida di un governo di coalizione. Una denuncia coraggiosa quella di Matteotti, dai suoi soprannominato “tempesta” per il temperamento risoluto e impavido. All’origine dello scontro con Mussolini posizioni politiche ormai inconciliabili. Pochi giorni più tardi, il tragico epilogo: Matteotti sarà rapito e barbaramente ucciso. Il romanzo di Andrea Frediani racconta un momento decisivo della storia italiana, con i toni della suspense e nel pieno rispetto della vicenda storica, accompagnando il lettore al cospetto di uno dei più importanti “gialli” dell’epoca contemporanea. Il romanzo fa parte della collana di Rai Libri “Cristalli Sognanti” dedicata alle parole che aspirano a diventare visioni. Un contenitore di storie pensate per diventare film o serie tv perché costruite con il ritmo del racconto per immagini, attraverso la creatività dei grandi autori italiani.
Frediani, perché è così importante ricordare la figura di Matteotti oggi?
Quest’anno ricorrono i cento dalla morte di Giacomo Matteotti, e non si tratta di anniversario che riguarda una persona; o perlomeno, non solo: il delitto Matteotti segna una cesura simbolica nella storia d’Italia. La data in cui avvenne, il 10 giugno 1924, si potrebbe a buon diritto considerare un momento di trapasso da un’epoca all’altra, così come il 476 segna una ideale caduta dell’Impero romano, la notte di Natale dell’800 la nascita del Sacro romano impero, il 1492, con la morte di Lorenzo il Magnifico, il crollo dell’equilibrio tra gli stati italiani e l’inizio delle guerre d’Italia, il 1861 l’unità d’Italia, il 25 aprile 1945 la liberazione. Matteotti non è il primo deputato che viene ucciso dagli squadristi fascisti, ma è quello che più clamore aveva suscitato con le sue coraggiose denunce contro il regime instaurato da Mussolini, con la sua personalità dirompente che ne avrebbe fatto, se fosse vissuto più a lungo, uno statista di straordinaria levatura. La sua morte sancisce la trasformazione del regime fascista in dittatura. Mussolini vacilla, ma grazie anche agli errori degli avversari, privati del leader più carismatico, nell’arco di pochi mesi dal delitto si libera degli ultimi vincoli imposti dal sistema democratico: della stampa critica, imbavagliata dalla censura, dell’opposizione parlamentare, che si esclude da sé disertando per protesta il parlamento, dei dissidenti all’interno dello stesso partito fascista, di cui, grazie alla crisi Matteotti, il duce si libera. Matteotti è un martire e, in quanto tale, un simbolo, al pari di Navalny in Russia: anche lui sapeva bene a cosa stava andando incontro, quando denunciava in Parlamento i crimini fascisti. E oggi, di fronte all’attuale riflusso delle democrazie in un mondo che vede più che mai acuirsi lo scontro tra regimi autocratici e democratici, è tanto più importante ricordare, con lui, chi si è consapevolmente immolato per la libertà.
Come si trasforma un evento storico in un thriller appassionante?
Ogni evento storico ha in sé le potenzialità per trasformarsi in un thriller. La Storia, talvolta lo si dimentica, ha come fulcro l’uomo, con i suoi odi e amori, le sue ambizioni e i suoi progetti, e soprattutto, le sue sfide. Quando la si approfondisce, si desidera sempre vedere come va a finire. Tanto più se ci sono due ingredienti fondamentali per creare suspence, come in questo caso: un omicidio con molte ombre, e la sfida tra due personalità carismatiche e antitetiche, come Matteotti e Mussolini. A pensarci bene, sono gli ingredienti alla base di molti film avvincenti, romanzi appassionanti, serie tv incalzanti, non necessariamente a sfondo storico. Se a questi elementi si unisce una scrittura “cinematografica”, con soggettive e montaggi paralleli, scene invece che capitoli, la ricetta per un thriller è pronta.
«Devo ringraziare Guglielmo Marconi: senza la sua fantastica invenzione oggi non farei quello che amo fare» racconta il conduttore fiorentino alla guida della nuova stagione de “I Migliori anni” dal 6 aprile in prima serata Rai 1: « Un viaggio nella memoria che affronto sempre con entusiasmo»
Torna ‘I migliori anni’, tra i programmi più longevi della televisione italiana…
Esatto! È un varietà creato qualche tempo fa e che, anche in questa nuova edizione, continua a giocare con la memoria nella sua doppia valenza: per chi ha vissuto quegli anni di cui parleremo e per chi, invece, come i più giovani, andrà alla scoperta delle canzoni e delle mode di quei periodi. Nello studio ci saranno 60 ragazzi tra i 18 e 25 anni, è un po’ come se raccontassimo i nostri migliori anni a loro.
Che viaggio è stato per lei?
Un viaggio nella memoria che affronto sempre con entusiasmo e in maniera divertente, un momento, anche per me, per ricordare determinati episodi, canzoni o momenti particolari. E soprattutto un’occasione per emozionarmi: penso, per esempio, alla prima puntata quando avrò come ospite Nile Rodgers… in discoteca ho messo tante volte i suoi brani e di certo è un bel ricordo.
Quale fu la scintilla creativa che la portò a pensare “I migliori anni”?
Quindici anni fa, in estate, ho notato che molti ragazzi ballavano brani degli anni ’60 e ’70 con grande energia, c’era stato un ritorno verso queste canzoni. Pensai che forse era arrivato il momento giusto per raccontare televisivamente questo revival, ma in funzione del futuro: raccontarlo alle nuove generazioni, non solo per un gusto di nostalgia, ma anche di memoria, per far capire come si era arrivati a una canzone o a una moda.
In che modo ha messo a frutto gli anni della sua formazione, a partire da quelli della radio?
C’è tutto me. Per me è molto naturale fare questo programma perché parlo di gran parte di cose che ho vissuto in prima persona e per questo diventa più facile costruirlo, scegliere gli ospiti, raccontarlo e metterlo in scena.
Lasciò il posto in banca per un futuro “incerto” nello spettacolo… cosa prova a ripensare a quel salto nel buio?
Spero di aver fatto bene, che il pubblico sia d’accordo con me su questa scelta. A parte tutto, credo che la gente me lo abbia dimostrato nel corso degli anni.
Le è mai capitato di incontrare i suoi ex colleghi di banca?
Sì, a Firenze. Ma rivedo soprattutto i compagni di classe, i primi a scoprirmi dj, i primi a sentirmi in radio… sono stati i miei ‘primi clienti’. È sempre emozionante ritrovarli, credo si emozionino anche loro per via del fatto che quel loro compagno di scuola era riuscito in quello che sognava da ragazzo.
C’è qualcosa che rimpiange degli anni pionieristici alla consolle?
No, è stato tutto fantastico, tutto un crescendo senza rincorrere niente, gradino dopo gradino. Tutto è arrivato naturalmente, nel momento giusto, senza per forza voler raggiungere certi obiettivi.
Dei suoi “migliori anni di vita” quali sono i brani che si porti dietro?
Tutto Battisti e tutto dei Pink Floyd.
Le è capitato di fare ascoltare a suo figlio la musica di quando era ragazzo?
Certo. Gli ho anche spiegato come mettere i vinili! Mi ha graffiato qualche disco e rotto qualche puntina, ma ora sa come si fa.
Cosa le piace della musica di oggi?
Molte cose, è al passo con i tempi: è il frutto del momento, frutto del nuovo modo di ascoltarla, utilizzarla e viverla.
70 anni di Tv e 100 di radio, quale dedica si sente di fare a una Rai che non hai mai abbandonato?
Innanzitutto devo ringraziare Guglielmo Marconi: senza la sua fantastica invenzione oggi non farei quello che amo fare. Poi per fortuna ci sono stati pionieri che hanno fatto cose fantastiche sia per la radio che per la tv. Il servizio pubblico ha riempito la mia vita. Mai avrei immaginato un tempo di diventarne protagonista, come mai avrei immaginato di poter celebrare io stesso, con la puntata del 3 gennaio scorso del ‘Rischiatutto’, i 70 anni della Rai: una trasmissione che seguivo da bambino.
Da 45 anni fotoreporter al Festival di Sanremo, nell’edizione 2024 ha ricevuto un premio fortemente voluto dal direttore Fabrizio Casinelli e da tutto l’Ufficio stampa e dall’organizzazione del Festival per la sua lunga attività. Il racconto di un uomo che ha fatto della fotografia la propria vita e nel quale le star del cinema, della tv e dello spettacolo hanno riposto fiducia. Non ama le finzioni nella vita come nella fotografia e definisce il premio ricevuto “una super sorpresa”. E sullo scatto che gli manca risponde: «Vorrei documentare una giornata normale del Santo Padre, sarebbe un sogno»
A Sanremo 2024 ha ricevuto un riconoscimento in sala stampa per i suoi 45 anni di Festival. Una sorpresa?
Una super sorpresa che mi ha fatto estremo piacere. Quando ho sentito che avrebbero premiato un fotografo, ho pensato a qualcuno da ricordare, una targa alla memoria. Invece, quando è stata spiegata la motivazione dell’attribuzione del premio, legata ai 45 anni di Festival, allora ho capito che si trattava di me. In quel momento non sapevo che fare e se non mi avessero chiamato Amadeus, Fiorello e Fabrizio Casinelli, non sarei mai salito.
Ricorda il suo primo Sanremo?
Fu nel 1979, quando vinse Mino Vergnaghi, un Festival molto diverso da quelli di oggi. I cantanti si esibivano in playback e noi fotografi li avevamo a disposizione ogni giorno. Li andavamo a cercare in albergo, li bloccavamo, gli parlavamo. Riuscivamo a scattare foto anche in piscina. Oggi questo non è possibile perché gli artisti non escono più per paura di ammalarsi, dato che cantano dal vivo. Inoltre, per le foto, vengono avvantaggiati i social e per noi fotografi, che lavoriamo per i settimanali cartacei, l’immediatezza dello scatto resta solo per i vincitori. All’epoca delle mie prime edizioni non c’erano i social e non veniva bruciato tutto e subito.
Il Festival di Sanremo per lei ha ancora un effetto sorpresa?
Sanremo è per me un punto fermo. Sono tra l’altro ligure e mi ci riconosco molto. Si tratta di una tappa che affronto come se tornassi a casa, in maniera più familiare e meno carico di sorprese.
Quale edizione è rimasta per lei indimenticabile?
Ogni edizione mi lascia emozioni nuove. Ognuna ha un suo vissuto, una sua storia e scavalca quella precedente che in un certo senso viene archiviata. Ci sono invece degli episodi che hanno segnato i vari festival e che ricordo perfettamente, come ad esempio le edizioni in cui Claudio Cecchetto ha dato il via alla dinastia dei bodyguard che seguivano i personaggi, o quella in cui la spallina di Patsy Kensit cadde improvvisamente sul palco. Non dimenticherò l’edizione segnata dalla morte di Claudio Villa che colpì moltissimo tutti noi. Sanremo è una macchina organizzativa incredibile e dietro c’è un lavoro imponente, con persone qualificatissime. Anche questo aspetto segna ogni anno il Festival.
Qual è il maggiore fascino del Festival?
Entrare dove sono stati i grandi della musica internazionale. Ed è per questo che il Festival deve restare al Teatro Ariston, che è la storia.
Ha mai azzeccato un vincitore?
Mai. Non ci sono mai riuscito (sorride).
Miss Italia, Taormina Film Festival, Festival di Venezia e tantissimi altri, sono eventi irrinunciabili nella sua carriera. In queste kermesse, cosa è cambiato negli anni?
Il nostro modo di lavorare. Noi fotografi abbiamo una grandissima concorrenza da parte dei social. Purtroppo l’ottanta per cento dei giornali scarica le foto da lì e noi non abbiamo più una vendita sicura. Un danno nei nostri confronti dettato dalla fretta nel fare le cose, perché avviene tutto in tempo reale. Ormai conosco tutto di questi eventi e molte cose nel tempo sono rimaste simili, soprattutto nel meccanismo dell’organizzazione e nelle abitudini.
Perché le star hanno riposto in lei tanta fiducia?
Ritengo di essermi sempre comportato onestamente. Però adesso mi sento ripagato da questo mio modo di essere. Mi conoscono un po’ tutti e sanno che sono sempre stato una persona seria nel mio lavoro. Sono un fotogiornalista ma faccio anche posati concordati.
Non ama i “trucchi” nella vita e neanche nella post produzione fotografica…
Non la amo molto, ma oggi è molto richiesta da uomini e donne. Secondo me dovrebbe essere fatta solo per piccoli ritocchi, per il resto si dovrebbe giocare solo con la luce e con il ritratto. Ai ragazzi che vogliono imparare, dico spesso che è meglio che seguano prima una scuola di grafica e che poi studino da fotografi. Perché ormai è basato tutto sulla grafica. Anche in passato esistevano dei filtri che venivano messi davanti agli obiettivi come ad esempio le calze nere da donna che ammorbidivano i volti. Oggi le post produzioni sono esagerate e stravolgono completamente le persone. Non sono fotografie, sono la costruzione di qualcosa.
Il servizio fotografico più difficile della sua vita qual è stato?
Lo sono un po’ tutti. Dal personaggio più piccolo al più grande ci metto l’anima. Per me sono tutti uguali e la difficoltà dipende da come riusciamo ad amalgamarci. C’è chi ad esempio è più ostico, che si pone in chiusura. Poi ci sono i servizi proprio difficili da organizzare. Ho fotografato il maestro Valentino nel suo atelier a Roma e quelle foto vennero pubblicate dappertutto perché fui tra i pochissimi che riuscirono ad entrare in quel luogo per un posato. Fu molto complicato perché mi trovai di fronte a un mostro sacro, in un mondo diverso da quello dello spettacolo che frequento solitamente. Una cosa che ricordo invece con una grande impressione è stato l’incontro con il Dalai Lama che emanava una sensazione unica, un’emozione strana che non avevo mai provato. Andai ad incontrarlo con un giornalista, nell’occasione in cui ci fu anche la presenza di Richard Gere.
A una proposta di lavoro ha mai detto di no?
Penso di no, perché cerco di portare sempre il lavoro a casa. Mi piace mettermi in gioco per qualsiasi cosa. A volte mi “maledico” perché penso di avere accettato un incarico molto complicato, ma alla fine ce la faccio sempre.
Quando ha capito che la fotografia sarebbe stata la sua vita?
Una passione vera, nata da ragazzino. Iniziai a collaborare con il quotidiano “Il Secolo XIX” per il quale facevo foto giornalistiche. Dopo la scuola ero in redazione, a volte marinavo anche le lezioni pur di documentare fatti di cronaca come incidenti, rapine, ma anche consigli comunali e altri eventi.
Lei ha sempre un grande slancio, cosa la emoziona ancora del suo lavoro?
Tutto. In qualsiasi momento, anche se sembra banale dirlo, sento la carica di sempre, nonostante l’esperienza mi alleggerisca il peso. Per qualsiasi servizi, ho lo stesso slancio che avevo da ragazzino. C’è chi mi chiede quando mi ritirerò…
Noi non gliela facciamo questa domanda…
Tanto la risposta è mai (sorride)
È partito da zero. Si sente di ringraziare qualcuno per il suo straordinario percorso?
Devo sempre ringraziare tre persone. Una è Maurizio Costanzo, perché i primi servizi li facevo con lui che realizzava interviste per il giornale Tele Bolero. Una persona molto molto carina nei miei confronti. Un’altra a cui dire grazie è proprio il direttore di Tele Bolero, Lillo Tombolini, che mi dava fiducia. L’altra persona è il mitico Pippo Baudo. Non mi ha mai ostacolato e mai mi ha detto un no, come non ha mai fatto con nessuno. Ricordo tutti e tre con grande affetto.
C’è ancora un ritratto che le manca e che vorrebbe fare?
Vorrei tanto poter passare una giornata con il Santo Padre e documentare la sua quotidianità. Una cosa impensabile e irrealizzabile, lo so. Penso ad esempio al suo risveglio, alla colazione, alla Santa Messa della mattina, insomma, immagino di raccontare, attraverso la fotografia, una sua giornata normale. Un sogno ovviamente.
Attore e regista, la domenica in seconda serata su Rai 3 racconta le storie di personaggi fuori dal comune, i pensieri e le azioni che li hanno resi unici. Al centro delle prossime puntate Giovannino Guareschi e Giuseppe Mazzini
Come nasce “Inimitabili”?
Dalla voglia di portare sul piccolo schermo il racconto e la biografia dei grandi personaggi della cultura italiana, che ho già portato in scena in teatro. Sono uomini il cui nome è noto, ma dei quali il grande pubblico non sa molto, e che in “Inimitabili” vengono raccontati con un tipo di narrazione diversa. Tre dei personaggi scelti per questa prima serie sono miei cavalli di battaglia da tempo: D’Annunzio, Mazzini, Marinetti. Mazzini lo portai a teatro per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e ricevetti la medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica. Gabriele D’Annunzio l’ho interpretato per otto anni in ben tre spettacoli diversi.
La puntata del 7 aprile sarà dedicata a Giovannino Guareschi
Un personaggio straordinario e uno degli scrittori italiani più popolari al mondo. “Don Camillo” ha venduto milioni di copie, ed è stato tradotto addirittura in Vietnam. È stato un personaggio controcorrente, antifascista e anticomunista, a un certo punto si schierò anche contro alla Democrazia Cristiana. Andò in carcere per non rinunciare alle sue idee. È considerato da tutti il bastian contrario della cultura italiana, da riscoprire.
Dell’ultima puntata sarà protagonista Giuseppe Mazzini…
Uno dei padri della patria repubblicana, che si sarebbe poi realizzata soltanto nel 1946. L’Unità d’Italia con la monarchia, con i Savoia, Mazzini non la voleva. È un personaggio straordinario. Fonda la Giovine Italia, la Giovine Europa, vive tre quarti della sua vita in esilio e da lontano spera sempre che la sua amata Italia possa essere liberata e unita. In “Inimitabili” lo racconto in una chiave inedita.
Con lei televisione e teatro diventano quasi un tutt’uno…
Il programma diventerà uno spettacolo teatrale, tradotto dal Teatro della Pergola, che debutterà a settembre e girerà l’Italia. In attesa di una eventuale seconda serie si sta creando un rapporto di interazione tra Tv e teatro. Questa è una cosa molto bella.
In occasione della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, martedì 2 aprile arriva in esclusiva su Rai Play la nuova serie live action targata BBC, tratta dal pluripremiato libro dell’autrice Elle McNicoll. La serie andrà in onda su Rai Gulp da sabato 20 aprile
Una specie di scintilla, titolo originale “A kind of spark”, è un’emozionante serie sull’amicizia, il coraggio e la fiducia in se stessi, basata sul pluripremiato libro dell’autrice Elle McNicoll. Addie, la protagonista, è un’adolescente nello spettro dell’autismo che, venuta a conoscenza dei processi alle streghe avvenuti secoli prima a Juniper, la sua città natale, inizia a indagare. Il desiderio di Addie di essere se stessa si intreccia con il mistero storico di Maggie ed Elinor, due sorelle vissute nel XVI secolo. Maggie è stata accusata di stregoneria ed è misteriosamente scomparsa prima di poter essere processata, mentre Elinor lottava con i suoi fantasmi. La giovane cerca di capire cosa possa essere accaduto a Maggie e, alla fine, scopre un legame ancora più sorprendente con Elinor, intraprendendo un viaggio alla scoperta di se stessa. Riuscirà Addie a sfidare il modo in cui la vedono le persone nella sua città e a far sentire la sua voce?
Vincitore del Blue Peter Book Award e dell’Overall Waterstones Children’s Book Prize, “Una specie di scintilla” intreccia passato e presente in dieci episodi ricchi di azione, amicizia, sorellanza, mistero e magia. La serie live action propone una rappresentazione autentica in tutta la sua produzione, con i tre personaggi principali di Addie, Keedie e Nina interpretati da attrici ‘neuro divergenti’.
Il racconto dell’ultimo spettacolo dell’Étoile, omaggio televisivo a una carriera straordinaria. Venerdì 29 marzo in prima serata su Rai 3
Una luce illumina una ballerina sul palco. È Eleonora Abbagnato, étoile dell’Opera di Parigi, che sta per vivere la sua serata d’addio al celebre teatro francese. Un momento intimo, nel quale poter ripensare a un viaggio lungo ed emozionante.Un racconto vivo e coinvolgente che testimonia la grande storia d’amore tra l’artista e la danza, e fa scoprire il coraggio e la determinazione di una ragazzina siciliana che ha inseguito il suo grande desiderio e alla fine l’ha realizzato, dimostrando che nessun sogno è impossibile.“Eleonora Abbagnato. Una stella che danza”, una produzione 11 Marzo Film in collaborazione con Rai Documentari, in onda venerdì 29 marzo in prima serata su Rai 3, è stato presentato in anteprima il 20 marzo al Bif&st – Bari International Film & Tv Festival, uno dei più importanti eventi culturali italiani.Attraverso repertorio inedito della sua infanzia e dei suoi spettacoli, e testimonianze di amici, parenti e compagni d’arte, ma anche dei grandi artisti con cui Eleonora ha collaborato, il documentario restituisce la potenza, la fatica e la magia della danza attraverso la storia di una delle sue più importanti esponenti. Racconta la danza, l’arte e il talento, ma anche la determinazione e la tenacia di una donna incredibile che ha dato tutta se stessa per raggiungere il proprio sogno, riuscendo a diventare la prima Étoile italiana dell’Opéra di Parigi, fino ad arrivare alla sua celebre Soirée d’adieux, a coronamento di ventotto anni di brillante carriera. Un percorso che ci dimostra quanto sia importante non arrendersi mai e non perdere di vista i nostri sogni, per poterli raggiungere.
Personaggi fuori dal comune, i loro pensieri, le loro azioni. Dopo la prima puntata dedicata a Gabriele D’Annunzio, ora disponibile su RaiPlay, appuntamento la domenica in seconda serata su Rai 3 con Filippo Tommaso Marinetti, Giovannino Guareschi, Giuseppe Mazzini
Un viaggio che intreccia il documentario storico all’interpretazione teatrale. Nel nuovo programma di Rai Cultura, Edoardo Sylos Labini ci conduce alla scoperta di vite “Inimitabili”. Al centro del programma uomini di rottura e di passione, raccontati nelle pieghe della loro vita interiore. Potenti “atti unici” intessuti dalle interpretazioni di Sylos Labini, che via via si incarna e dà vita agli “Inimitabili”, attraverso le loro parole e i passaggi cruciali delle loro esistenze fuori dall’ordinario. Un racconto arricchito dalle interviste agli esperti, ai familiari e agli storici e dalle riprese dei luoghi dove gli “Inimitabili” hanno vissuto e agito.
Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo, la prima grande avanguardia che fece irruzione sulla scena internazionale demolendo la quiete ottocentesca dell’arte e della letteratura. Poeta, scrittore, drammaturgo, Marinetti ha dato il là al movimento d’avanguardia che a partire dal 1909, anno di pubblicazione del primo manifesto futurista, ha influenzato tutte le arti. Con interviste all’ex direttore della Vallecchi, una delle prime case editrici del Futurismo, Umberto Croppi, al regista Luca Verdone, allo storico Francesco Perfetti e alla critica d’arte Francesca Barbi Marinetti, nipote di Filippo Tommaso Marinetti.
Giovannino Guareschi, bastian contrario della cultura, cantore di quel “mondo piccolo” tradizionale della provincia italiana. Illustratore, scrittore, umorista e fondatore di periodici, Guareschi è stato anche il “papà” di Don Camillo e Peppone, la cui fama, cartacea e cinematografica, non ha mai visto fine e che hanno trasformato Brescello in set permanente. Intervengono nel racconto gli storici Giuseppe Pardini e Giuseppe Parlato, il direttore del Memoriale di Sandbostel Andreas Ehresmann, il giornalista Marco Ferrazzoli e Alberto Guareschi, figlio di Giovannino.
E infine Giuseppe Mazzini, profeta del Risorgimento, esule per tutta la vita, padre della Patria italiana, ispiratore di quella agognata Repubblica che sarebbe venuta alla luce più di settanta anni dopo la sua morte. Fondatore della Giovine Italia, il patriota genovese cospirò per gran parte della sua esistenza infiammando gli animi di tanti giovani che si immolarono per la causa italiana. Il racconto è arricchito dalle interviste a Elena Bacchin, Alessandro Campi, Giovanni Belardelli e Roberto Balzani.
“Inimitabili”, prodotto da Rai Cultura, è un programma di Sylos Labini e Angelo Crespi, scritto con Roberto Fagiolo e Massimiliano Griner, per la regia di Claudio Del Signore.
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