La nostra Raffaella

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La storia umana e professionale della Raffa nazionale. Quando mancano pochi giorni al terzo anniversario dalla morte, la Rai ricorda con affetto Raffaella Carrà. In onda sabato 25 maggio in prima serata su Rai 1

Raffaella Carrà è un vero e proprio diamante della Rai, che dagli anni Cinquanta ha creato un immaginario collettivo nel quale specchiarsi e riconoscersi. Due storie, quella dell’artista bolognese cresciuta in Romagna, e quella della RAI, che si sono sovrapposte per decenni, influenzandosi reciprocamente, divenendo un unico pentagramma nella sinfonia generale di un Paese che, dalla fine degli anni Sessanta, ha percorso molta strada. Raffaella si è fatta interprete di un’Italia che voleva cambiare: nel modo di ballare, nel modo di vestire, nel modo di amare e di pensare. Un’Italia che a guardar bene le somigliava profondamente: semplice e talentuosa, provinciale e attenta a ciò che succede nel mondo, fedele ai valori “di una volta” e tuttavia prepotentemente affacciata sulla modernità. Energia, rigore, empatia, sono state le qualità che Raffaella ha sempre messo nel suo lavoro ma anche nei rapporti con i suoi collaboratori e con tutti quei personaggi, dello spettacolo e della cultura, che oggi possono raccontare con orgoglio e affetto di aver lavorato al suo fianco o di averla incontrata. Proprio attraverso le loro voci (Bruno Vespa, Enzo Paolo Turchi, Irene Ghergo, Maria Grazia Cucinotta, Noemi e molti altri), viene fuori un ritratto sincero, attento, prezioso della “nostra Raffaella” che attraverso le tante interviste rilasciate in cinquant’anni di carriera e conservate nelle preziose Teche della RAI (da Biagi a Fazio, da Costanzo a Mollica, da Minoli a Vespa), si racconta in una sorta di virtuale self-portrait: facendo così riemergere e rivivere le sue idee e i suoi progetti, i suoi ricordi e i suoi sogni. Anche i luoghi “parlano” di lei: il Centro di produzione televisiva di Via Teulada, l’Auditorium del Foro Italico, il Teatro delle Vittorie. È qui che ancora oggi, come per magia, riecheggiano l’inconfondibile risata di Raffaella e le note delle sue famosissime canzoni, divenute veri e propri inni pop di un intero Paese, bandiere di “fiesta” e di libertà su cui continuano a ballare le generazioni di ieri ma anche i giovanissimi di oggi, travolti da un’energia senza tempo. Sabato 25 maggio andrà in onda in prima serata su Rai Uno “La nostra Raffaella”, un documentario per ricordare una straordinaria artista che ha reso grande la Rai, una produzione Rai Documentari prodotta da Aurora Tv.

 

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Una vita “normale”

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Un true crime psicologico sulla prima strage familiare del Novecento, tratto dal romanzo ‘Percoco’ di Marcello Introna, edito da Mondadori. “Percoco – il primo Mostro d’Italia” di Pierluigi Ferrandini, da sabato 25 maggio in esclusiva su RaiPlay

La storia vera della prima strage familiare italiana del Novecento. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio, del 1956, a Bari, Franco Percoco stermina la sua famiglia con un coltello da cucina e inizia una nuova vita: da studente universitario a ricco viveur, assaporando tutte le gioie del suo tempo, quello del boom economico, vivendo dieci giorni con i cadaveri dei suoi genitori e di suo fratello murati in casa. Nessun omicida aveva mai convissuto così a lungo con le sue vittime fino a quel momento.

 

La storia

La storia si apre a Bari, alle prime luci dell’alba di domenica 26 maggio 1956. Mentre sul lungomare vengono alla luce i danni di una potente mareggiata notturna che ha divelto le inferriate e danneggiato i basamenti dei lampioni, nel cuore del quartiere umbertino ancora dormiente, il giovane Franco Percoco ha appena finito di lavare i pavimenti di tutta la casa. Quella mattina, nonostante una profonda ferita alla mano, si sente sollevato più del solito, a detta degli altri, e non si vergogna della motivazione: i suoi genitori se ne sono andati. Come ogni anno, sono partiti per le cure termali a Montecatini e lui, dice, li ha accompagnati al notturno delle 23:5. Inizia così la vera storia del ventiseienne Franco Percoco, proveniente da una rispettabile famiglia piccolo borghese e molto devota, elegante nei modi e ricercato nella parlata, rimasto solo, finalmente libero di vivere la vita che desidera, senza restrizioni o imposizioni dall’alto. È la storia dei giorni che seguono la presunta partenza dei suoi genitori e di tutte le nuove esperienze, rese possibili grazie a una insolita e notevole disponibilità di denaro. In questi giorni, infatti, conosceremo Franco per come lui vorrebbe vivere, il ricco viveur che assapora tutte le gioie del suo mirabile tempo, quello del boom economico, appena esploso anche a Bari. Affitta auto lussuose, frequenta il bordello più esclusivo della città, compra capi di abbigliamento dal più costoso negozio del centro, un giradischi all’ultimo grido e i vinili con le migliori hit del momento, una nuova macchina fotografica compatta con lo zoom appena inventato e persino un prezioso orologino d’oro massiccio per convincere la fidanzata Tina, quindicenne, della serietà delle sue intenzioni. Organizza a sue spese gite fuoriporta e pomeriggi in casa con fiumi d’alcol e musica, pranza e cena tutti i giorni, rigorosamente da solo, al rinomato ristorante Radar che si affaccia sul mare, spacciandosi come un neoingegnere della nuova Società Autostrade. I rapporti di Franco con i personaggi che abitualmente animano la sua vita reale, restituiscono però un’immagine di sé profondamente travagliata, un’identità fragilissima e mutevole, lacerata da pesanti frustrazioni e piegata sotto il peso insopportabile delle speranze tradite: per l’ennesima volta, infatti, Franco è stato bocciato all’Università, dopo aver già cambiato tre facoltà. Per sopravvivere a questa schizofrenia che gli impedisce di affermarsi, Franco mente a se stesso, alla sua fidanzata, agli amici più intimi e ancor di più agli estranei che ha occasione di incontrare, millantando identità false che è tuttavia in grado di rivestire con naturalezza ed estro. Percoco, il primo Mostro d’Italia è quindi, infine, il vero racconto dei ripetuti e strenui tentativi, da parte del giovane Franco, di tenere in piedi un castello fondato su una ignominiosa menzogna. Tale castello, però, crollerà, inaspettatamente, dopo dieci giorni quando verranno alla luce i contorni macabri della prima strage famigliare della storia di Italia.

 

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Il coraggio di un imprenditore

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In occasione del 23 maggio, Giornata della Legalità, la Rai propone un film tv liberamente ispirato a una storia: ““Questo film nasce dall’urgenza di raccontare la storia di un uomo coraggioso che ha saputo ribellarsi alle richieste e alle minacce della mafia diventando vittima di un ‘mascariamento’” dice la regista Isabella Leoni

7 maggio 2024
MASCARIA

 

“Mascariare” in siciliano significa tingere con il carbone e lasciare un segno indelebile, in una parola: calunniare. Nel caso del film tv “Mascaria diretto da Isabella Leoni – in onda giovedì 23 maggio in prima serata su Rai 1, in occasione della Giornata della Legalità – il segno del sospetto finirà per annientare Pietro Ferrara (Fabrizio Ferracane) il quale, a seguito di una sua denuncia, viene delegittimato moralmente dai suoi avversari subendo per questo l’abbandono sociale, economico e istituzionale. “Credo sia necessario parlare sempre di questi temi, non solo il 23 maggio, in un giorno dedicato alla Legalità. In ogni momento dovremmo avere la possibilità di raccontare queste storie, ecco perché un film come questo diventa importante, così come tutti i film in cui si parla di mafia, di legalità, di prevaricazione del male sul bene. “Credo sia necessario parlare sempre di questi temi, non solo il 23 maggio, in un giorno dedicato alla Legalità – dice l’attore protagonista – In ogni momento dovremmo avere la possibilità di raccontare queste storie, ecco perché un film come questo diventa importante, così come tutti i film in cui si parla di mafia, di legalità, di prevaricazione del male sul bene”.

Pietro Ferrara è un costruttore siciliano costretto a pagare il pizzo per poter lavorare. Un giorno, però, si fa coraggio e denuncia. È una rivoluzione: i mafiosi che lo vessavano vengono arrestati e, per la prima volta, vengono condannati a molti anni di prigione. Schivo e riservato, Pietro diventa il volto di questa clamorosa vittoria. La vendetta dei mafiosi non tarda ad arrivare e prende forma nel modo più subdolo. Gaetano Rizzo (Costantino Comito), il capomafia che per anni aveva taglieggiato Pietro pur conoscendolo da quando erano ragazzini, lo accusa pubblicamente di essere stato suo socio in affari. Sono solo fandonie, puro fango, ma ormai Pietro è mascariato (calunniato) e, incredibilmente, viene rinviato a giudizio per associazione mafiosa. Da accusatore diventa imputato. E per questo deve difendersi, resistere: per sé, per i suoi dipendenti e soprattutto per la sua amata famiglia. Al fianco di Pietro c’è l’avvocato Baldani (Fortunato Cerlino), esperto in processi di mafia, che sarà costretto a ridefinire continuamente la propria strategia difensiva, diventando una fonte di supporto per il suo cliente che va al di là del rapporto professionale. Ma, inevitabilmente, le difficoltà di Pietro si ripercuotono sulla vita della sua famiglia. La moglie Mimma (Manuela Ventura) è una donna innamorata e premurosa, ma anche forte e lungimirante. La roccia alla quale tutti si aggrappano. Mimma coltiva il sogno di trasferirsi in un’altra regione per costruire una vita diversa per i loro tre figli. Riccardo (Christian Roberto), il maggiore, è quello che più si scontra con il padre, soprattutto quando Pietro, preoccupato dalla possibilità di ritorsioni da parte della mafia dopo la denuncia, tende a limitare la sua libertà di movimento. Riccardo ha un carattere ribelle e vive una vita serena senza sapere nulla dei guai di suo padre, ma un giorno scoprirà la verità e, da ragazzo sensibile qual è, si schiererà dalla parte di Pietro. Al punto che, diventato adulto, sarà lui a prendere in mano l’azienda di suo padre, cercando di tenerla a galla nonostante gli ostacoli che il sistema giudiziario pone sul loro cammino. Primo fra tutti, l’esclusione dalla white list, con la conseguente impossibilità di lavorare negli appalti pubblici, in quanto Pietro è coinvolto in un procedimento giudiziario per mafia. Proprio lui, che per combattere la mafia ha messo in pericolo l’azienda, la sua vita e persino la famiglia, si vede negare l’accesso al lavoro. “Questo film nasce dall’urgenza di raccontare la storia di un uomo coraggioso che ha saputo ribellarsi alle richieste e alle minacce della mafia diventando vittima di un ‘mascariamento’”, dichiara la regista Isabella Leoni. “Pietro si spegnerà lentamente nei lunghi anni estenuanti di accuse infondate e di lotte con i suoi fantasmi interiori. Ma la storia non finirà con lui – prosegue la regista – perché suo figlio e la sua famiglia continueranno a portare avanti l’azienda, ispirati da quei valori che per tutta la vita Pietro ha cercato di trasmettere. Il film è un racconto delicato e intimo che quando si apre mostra le ferite, le passioni, le paure, le amicizie fraterne, l’amore per la famiglia e anche per il lavoro del protagonista. La passione e il coinvolgimento di tutti gli attori e del cast tecnico sono stati una grande spinta motivazionale, il mio grazie va a loro che hanno portato in questo lavoro bravura artistica insieme a incredibili qualità umane”, conclude Leoni.

 

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Il talento delle idee

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Nella miniserie diretta da Lucio Pellegrini è una giornalista a servizio del regime e, anche se «all’inizio è mossa da intenzioni buone», si trova a “tradire” la fiducia di un uomo che di lì a poco avrebbe cambiato le sorti del mondo

Un appuntamento importante sulla rete ammiraglia della Rai…

Per me un’esperienza meravigliosa che mi ha permesso di prendere parte a un progetto diverso, una biografia con una linea di spy story intrigante, un mix di storia e thriller davvero interessante. È stato emozionante ritrovare sul set Stefano Accorsi, attore con il quale ho esordito nel mio primo film.

Ci racconta Isabella Gordon?

Una donna di altri tempi, raccontata in chiave assolutamente moderna, una giornalista italo americana dotata di una sfrontatezza contemporanea, nuova per l’epoca. Lavora anche come regista e vorrebbe realizzare una collana sui grandi italiani: Balbo, Marinetti, D’Annunzio e, quindi, anche Marconi. Inizialmente è mossa da intenzioni buone, ma poi si trova a collaborare, all’insaputa di Marconi, con il regime riportando informazioni sul lavoro dello scienziato al suo amante, Achille Martinucci (Alessio Vassallo), funzionario dell’Ovra (“Organizzazione di vigilanza e repressione dell’antifascismo”, una delle principali organizzazioni poliziesche del regime fascista), braccio operativo del ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai (Flavio Furno). Isabella è una persona astuta, riesce a ingannare Marconi mettendosi al servizio del fascismo, che voleva scoprire se stesse costruendo l’arma letale che Mussolini gli aveva commissionato.

Dove troviamo la contemporaneità in questa storia?

È un racconto che mette in luce il genio di Guglielmo Marconi, la bellezza della sua mente così illuminata e brillante, un dono che lui mette al servizio della comunità. Un uomo, un inventore, un imprenditore che lavorava per il benessere delle persone, una sorta di Steve Jobs del passato che ha permesso a tutti noi di vivere meglio.

Una questione di talento…

Un genio di cui la tecnologia si è nutrita… Ciascuno di noi può avere anche più di un talento, a volte non ne siamo consapevoli ma, al momento opportuno si manifesterà. Io penso che il dono che ci rende “speciali” si possa manifestare in qualsiasi ambito; oggi dovremmo sperare di trovare uomini e donne dotato del talento dell’educazione, della pazienta e dell’equilibrio (sorride).

 

Com’è umano lui

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Chi è stato Paolo Villaggio tutti lo sanno. I suoi personaggi, da Fantozzi a Fracchia o Kranz, fanno parte della cultura popolare del nostro Paese. Ma non tutti sanno come l’artista sia arrivato a incarnare questi personaggi. Il film diretto da Luca Manfredi è in programma su Rai 1 giovedì 30 maggio

16 maggio 2024
COME E’ UMANO LUI
nella foto Enzo Paci

La storia

Genova, seconda metà degli anni ‘50. Paolo Villaggio e la sua piccola “banda” di amici della borghesia genovese, composta da un giovanissimo Fabrizio De André e dal “Polio”, professore di greco in sedia a rotelle, compiono le loro goliardiche scorribande notturne. Mentre di giorno il Polio lavora come docente, Paolo e Fabrizio se la dormono e, a tempo perso, compongono canzoni come “il Fannullone” e “Carlo Martello”. Ma un giorno arriva la sorpresa a sparigliare le carte: Paolo, studente di legge decisamente fuoricorso, mette incinta Maura, la sua fidanzata, e viene costretto dai genitori a sposarla. Il padre Ettore, stimato ingegnere della Genova “bene”, stanco dell’inconcludenza di Paolo, lo mette di fronte alle sue responsabilità di novello genitore e gli trova un impiego alla Cosider. E Paolo, suo malgrado, ci resta circa sette anni. Anni di sbadigli, assenteismo, battaglie navali con il suo compagno di ufficio, il ragionier Bianchi (prototipo di Fantozzi). Anni che Paolo sopporta solo grazie alle sue estemporanee “esibizioni” alla radio e nel teatrino della goliardica compagnia Baistrocchi, dove propone al pubblico un umorismo caustico con dentro alcuni “embrioni” dei suoi futuri personaggi. Ed è proprio in un teatrino genovese che lo scopre Maurizio Costanzo, andato lì a vedere Jannacci, che invece quella sera è malato, e che Paolo sostituisce all’ultimo momento, buttato sul palcoscenico dall’impresario Ivo Chiesa. Costanzo, entusiasta dell’umorismo aggressivo del “professor Otto von Kranz”, un maldestro prestigiatore tedesco interpretato da Paolo (personaggio ispirato a sua madre) gli propone un contratto nel suo teatro romano di cabaret: il 7×8. Maura, che conosce la sofferenza di Paolo, refrattario al suo lavoro da “travet”, lo convince a lasciare il certo per l’incerto e a licenziarsi dall’azienda, per tentare il successo artistico. Da lì in poi è un’escalation di successi, che vanno dal teatrino di Costanzo a un nuovo modo di fare la televisione con “Quelli della Domenica” nel 1968, dove Paolo interpreta ancora l’aggressivo “professor Kranz” e una prima versione dell’impiegato “Fantozzi”. Poi nel 1969, con il varo della nuova trasmissione Rai “È domenica, ma senza impegno”, Paolo inventa un nuovo personaggio, il succube impiegato “Giandomenico Fracchia” nei divertenti sketch con l’attore Gianni Agus, nei panni del “Megadirettore”. Il successo televisivo di Villaggio è enorme. Ormai la sua popolarità è alle stelle e gli consente di scrivere anche due libri sul “ragionier Ugo Fantozzi”, parodia tragicomica dell’impiegato che gli regalerà un enorme successo nelle sale cinematografiche nel 1975, consegnando la sua “maschera” alla storia del cinema italiano.

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Sempre me stesso, anche in Tv

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“Da vicino nessuno è normale”. Dal 20 maggio il people show che indaga le piccole e le grandi manie umane in maniera originale e divertente. «Siamo tutti accomunati da stranezze che ci rendono tutti uguali» afferma lo showman. E al RadiocorriereTv confida: «L’ospite dei sogni? Gli Oasis». Su Rai 2 per tre lunedì in prima serata

Alessandro, cosa intende con la parola “normalità”?

Lavorando a questo progetto ho veramente capito che siamo tutti accomunati da manie e stranezze che ci rendono tutti uguali, solo che magari non condividiamo queste manie, farlo mi fa capire che questa è la normalità.

Nella vita di tutti i giorni cosa le fa capire per davvero le caratteristiche delle persone che incontra?

Banalmente passarci del tempo insieme, stare con le persone, so che è una cosa scontata, ma mi aiuta molto.

Come si difende dai luoghi comuni?

Io sono uno che se ne frega abbastanza, dei giudizi, degli insulti e dei luoghi comuni, vado abbastanza avanti per la mia strada.

Si metta per un istante davanti allo specchio, chi è Alessandro Cattelan?

Ormai un uomo che ama quel che fa, che si diverte a giocare con le proprie figlie e che non può assolutamente rinunciare alle partite dell’Inter.

L’ospite giusto per lei…

Probabilmente gli Oasis.

Come si pone se un ospite delude le sue aspettative?

Vado avanti, sa, non ti puoi interrompere mentre sei in Tv. Devo dire però che non mi viene in mente un ospite che abbia deluso le mie aspettative.

La Tv punta all’ascolto, per avere audience c’è qualcosa che proprio non farebbe?

No, io amo i programmi che faccio perché ho la libertà di fare quello che voglio, in un certo senso. Non ragiono e non lavoro pensando agli ascolti o a quello che potrà poi dire la gente una volta che la puntata andrà in onda. Spero sempre che la gente si diverta, deve essere un momento di svago.

Quanta ironia c’è nelle sue giornate?

Abbastanza, devo dire che durante la giornata tra radio, Tv e impegni diversi, cerco sempre di essere ironico e leggero, ovviamente ci son giornate diverse ecco, diciamo così.

“Stasera c’è Cattelan… su Rai 2” è ormai un appuntamento consolidato, soddisfatto dei risultati raggiunti?

Molto, sono molto contento, devo dire anche perché il mio team di lavoro è sempre lo stesso, quindi è il risultato di tutti, ci siamo divertiti moltissimo.

Qual è il complimento che le fa più piacere ricevere?

Quando le persone mi dicono che si divertono durante le mie trasmissioni.

E la critica che proprio la fa arrabbiare?

Più che una critica vera e propria mi dà fastidio quando le persone partono con dei pregiudizi.

 

 

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Al Salone tra musica e parole

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Gremito lo Spazio Rai, un palco sempre “in diretta”. Ottimi dati per Rai Libri

 

La XXXVI edizione del Salone Internazionale del Libro è stata, ancora una volta, per la Rai occasione di condivisione di contenuti e spunti, a partire dall’evento di Rai Radio 3 – “Castelli in aria. Diventare qualcun altro fantasticando” – che, in diretta mercoledì 8 maggio nell’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino, ha visto la direttrice Annalena Benini aprire di fatto il Salone supportata, nell’illustrare il concetto di “Vita immaginaria”, dai testi surreali di David Riondino, dalla voce di Monica Demuru e dalla musica di Natalio Luis Mangalavite. Da giovedì 9 maggio, protagonista lo Spazio Rai, nella tradizionale collocazione all’Oval, che ha registrato una grande affluenza di pubblico – moltissimi i giovani – attratta dalla varietà di ospiti sul palco e dalla validità dell’offerta. Le dirette di Rai Radio 1 (Zapping, In Prima Fila e Plot Machine); il quotidiano impegno di Rai Radio 3 (L’idealista, Fahrenheit, Fahre Off); il live di Rai Kids “Quando batte il cuore”; cinque nuovi podcast di RaiPlay Sound (tra cui “Prima che lo uccidano – la storia di Pippo Fava” di Peter Freeman); i panel curati da Rai per la Sostenibilità – ESG (“Le buone pratiche in Rai” e “Le cifre della parità – No Women No Panel: i primi risultati del monitoraggio di genere”) e da Rai Pubblica Utilità (“Accessibilità comunicativa: progettare contenuti per tutti” e “L’importanza dell’accessibilità nella diffusione della cultura”); lo spettacolo di Play Books “Nervosissime” con Ilaria Gaspari e Gioia Salvatori; le presentazioni di otto tra i titoli più recenti di Rai Libri; le due anteprime di “Wonderland” dedicate alle celebrazioni per i 70 anni della Rai.  Più che positivo il bilancio di Rai Libri come conferma il direttore Roberto Genovesi: “La presenza di Rai Libri al Salone del Libro di Torino ha segnato quest’anno un cambio di passo attraverso il lancio di una campagna di rafforzamento dell’immagine e dell’identità della casa editrice del servizio pubblico. Abbiamo lanciato i primi titoli di tre nuove collane, due di narrativa e una di saggistica che segnano a mio avviso un cambio di passo nella percezione del marchio con una prepotente apertura alla narrativa e alla crossmedialità. Con la collana Cristalli Sognanti (“Tempesta su Mussolini”) vogliamo pubblicare i romanzi che i grandi autori italiani hanno pensato con un DNA predisposto alla trasposizione audiovisiva. Con la collana Canone Inverso (“Mameli”) chiediamo ai maestri della narrativa di genere di ripensare i grandi sceneggiati che hanno fatto la storia della Rai. Con la collana Digital Loop (“Goldrake”) entriamo negli universi dei linguaggi transmediali che di fatto influenzano la grammatica del racconto televisivo. Si tratta di uno sforzo editoriale nel quale vogliamo coinvolgere tutte le Direzioni di Genere della Rai per fare un grande gioco di squadra.” Grande attenzione è stata dedicata alla copertura informativa del Salone del Libro con collegamenti, servizi e approfondimenti da parte di tutte le Testate. La Tgr Piemonte ha raccontato il Salone nelle varie edizioni del Tg e in Tgr Petrarca realizzato nello Spazio Rai con particolare attenzione al tema “Scrittura e Territorio”. Rainews.it ha seguito gli eventi con interviste e approfondimenti. La XXXVI edizione del Salone del Libro ha confermato il valore della condivisione di contenuti attraverso lo Spazio Rai. Un’affluenza di pubblico in costante aumento che certifica la validità dell’offerta. La Rai, Main Media Partner, ha offerto una ricca programmazione culturale con panel, dibattiti e presentazioni a cura di Rai Libri (otto titoli di grande richiamo, tra cui “Verso le stelle. 150 canzoni per sentirsi vivi” di Ernesto Assante), con le dirette di Rai Radio 1 e Rai Radio 3, i podcast di RaiPlay Sound, il live di Rai Kids. Grande attenzione è stata dedicata alla copertura informativa del Salone del Libro di Torino con collegamenti, servizi e approfondimenti da parte di tutte le Testate. La Tgr Piemonte ha raccontato la manifestazione nelle edizioni del tg e in Tgr Petrarca. Rainews.it ha seguito gli eventi con interviste e approfondimenti. Il Salone protagonista anche su Rai 5 con “Visioni”, in onda in prima tv lunedì 13 maggio alle 22.30.

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Una Vespa in Due

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Il jingle che diventa canzone. Orietta Berti e Rosario Fiorello insieme nel singolo che nasce dal programma televisivo “Viva Rai 2!”

Dopo l’anteprima a “Viva Rai2!” è disponibile su tutte le piattaforme musicali “Una Vespa in Due”, il singolo dell’estate di Orietta Berti e Rosario Fiorello, un jingle diventato canzone che promette di lasciare il segno nell’estate 2024 ormai alle porte. Gli autori del brano sono Daniele Lazzarin e Rosario Fiorello, le musiche sono composte da Enrico Cremonesi, Daniele Lazzarin e Paolo Saraceni. Edito da Rai Com, Starpoint International Srl E Two Fingerz SrL il brano, divertente dal ritmo contemporaneo, fa l’occhiolino alla bella melodia della musica italiana. Una canzone spensierata per un viaggio nel tempo su Una Vespa in Due, dalla Fontana di Trevi di Anita e Marcello, al Far West o verso il futuro, ma qualunque sia la direzione, ci ricorda che “basta un Fiore, per far ripartire il buonumore”. “Amo Orietta Berti da sempre, da quando ero bambino, grazie anche a mio padre che era un suo fan sfegatato – dice Fiorello –. Ricordo che, quando compariva lei, mio padre ne era stregato e mia mamma poi si mostrava scherzosamente un po’ gelosa! Con “Viva Rai2!” è nata una sorta di collaborazione, per via del jingle che lei, gentilmente, ci ha fatto. Un jingle talmente bello che è piaciuto subito a tutti al punto che è nata la canzone. Per me è un grande onore poter essere al fianco della Regina del Pop e cantare con lei su una Vespa in Due. Orietta è una donna e un’artista straordinaria che ha accompagnato la storia della musica del nostro paese dagli anni ’60 ad oggi e condividere questa canzone con lei, è una vera gioia”. Grande anche l’entusiasmo dell’artista emiliana: “Fiorello è un numero1, un artista poliedrico, l’uomo tv dei record, quello che fa numeri pazzeschi a qualunque ora del giorno e della notte, regalando leggerezza e allegria che, in un momento così difficile, è un vero toccasana. Ognuno di noi dovrebbe avere un po’ di Fiorello dentro di sé perché fa bene; la sua ironia, la sua sagacia, la sua curiosità sono una medicina per l’anima. Portare il buon umore e la positività nella vita e saper riconoscere l’importanza delle emozioni (e dei valori…che non è mai scontato) che sono una spinta vitale e fondamentale per tutti. In questo il caro Rosario è un campione assoluto, perché ci mostra il bello che c’è in ogni giorno della vita. È unico e con il suo tocco, rende tutto facile a chi gli sta intorno”.

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Nemo vince a Malmö l’edizione più controversa del Festival

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Si impone la Svizzera con “The Code”, settima Angelina Mango con “La noia”

Il ponte di Öresund è un portale a un altro mondo. Collega la Danimarca alla penisola scandinava, che per i continentali è Europa e allo stesso tempo periferia. Quando si scende alla fermata della Malmö Arena, nei giorni nuvolosi si sente il profumo del Mar Baltico. Un po’ dolce e un po’ salato, come le caramelle svedesi alla liquirizia. E si viene travolti dal vortice dell’estetica di Eurovision Song Contest. Paillettes, lustrini, piume e pattern arcobaleno. Il consueto eurokitsch attutito, in questa edizione, dalla grande quantità di divise dispiegate per la città: polizia e paillettes. Si dice che l’organizzazione del festival sia stata sottotono rispetto agli anni precedenti perché tante risorse sono state dedicate proprio alla sicurezza. Per dare supporto alla polizia svedese, sono arrivati anche i colleghi danesi e norvegesi. Già l’estate scorsa i roghi del Corano avevano infiammato il Paese e la polizia aveva alzato il livello di minaccia terroristica a 4, “alto”, su una scala di 5 punti. La tensione, nei giorni in cui si è esibita l’artista israeliana Eden Golan, è stata massima. Ancora di più per la finale, i cui pronostici la davano tra i superfavoriti, seconda solo alla Croazia di Baby Lasagna. Alla fine, ironia della sorte, è stata la neutrale Svizzera ad aggiudicarsi il primo posto. Dietro, Croazia e poi Ucraina. Settima Angelina Malmo con “La noia”. La partecipazione di Israele al festival ha sollevato la contrarietà di molti. Oltre 60 associazioni svedesi, tra cui anche i Fridays for future di Greta Thunberg, si sono raccolte attorno al movimento “Stoppa Israel från ESC” (Ferma Israele dall’Eurovision) e hanno organizzato due grandi manifestazioni pro-Palestina, oltre a una non attesa fuori dall’Arena durante la gran finale. C’è chi ha comprato il biglietto per lo show ed è anche sceso in piazza per protestare con loro. Sono stati cortei pacifici e sottodimensionati rispetto alle aspettative: dei 25mila manifestanti attesi in città, ne sono arrivati circa 10mila, secondo la polizia svedese. A creare scompiglio anche rispetto alla partecipazione israeliana, l’olandese mancante, più che volante. Con la squalifica di Joost Klein e della sua “Europapa”, i finalisti, da 26, sono diventati 25. Tutta colpa di quello che l’EBU ha definito “incidente”: un comportamento “violento” nei confronti di una donna della produzione televisiva. Nonostante le contestazioni, il clima è stato di gioia e di festa. Alla Malmö Arena e in città le bandiere e le lingue di tutti i Paesi si sono mescolate. I fan sono arrivati anche dagli Stati Uniti. Nonostante il Paese non abbia mai preso parte alla manifestazione, gli americani quest’anno sono stati al quinto posto per numero di spettatori. Arrivano da Philadelphia, dalla California centrale, da Seattle e fanno il tifo per l’evento, più che per un’artista in particolare. Proprio qui in Svezia, Eurovision è una cosa seria. Storicamente il Paese è all’avanguardia nella valorizzazione della cultura di ogni grado e tipo, senza pregiudizi, a patto che coinvolga la comunità. Non è forse un caso che, insieme all’Irlanda, sia la nazione con più vittorie alle spalle: è la settima volta che ospita Eurovision. La prima vittoria, e la più famosa, è arrivata con gli Abba 50 anni fa, nel 1974. Durante la finale, tre vere regine di Eurovision, le svedesi Charlotte Perilli e Carola e l’austriaca Conchita Wurst, hanno reso omaggio a “Waterloo” e al quartetto più amato di Svezia. Ma c’è stata anche una sorpresa non preannunciata: gli avatar di Agnetha, Anni-Frid, Björn e Benny. In attesa della finale, anche Angelina Mango ha voluto sorprendere, presentandosi in sala stampa e cantando non “La noia”, ma “Imagine” di John Lennon. Ha saputo conquistare, anche se alla fine del complesso conteggio ha vinto Nemo, artista non-binario che a suon di set di 12 punti e con un gran successo al televoto, ha conquistato il trofeo di vetro, che ha accidentalmente rotto poco dopo. Quello che conta è che oltre al trofeo, con la sua “The Code”, ha rotto anche il codice di questo Eurovision.

 

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L’uomo che ha connesso il mondo

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In occasione del 150° anniversario dalla nascita di Guglielmo Marconi (Bologna, 25 aprile 1874) e nell’anno delle celebrazioni per il 100° anniversario della nascita di Radio Rai (6 ottobre 1924), arriva su Rai 1 la miniserie diretta da Lucio Pellegrini, con Stefano Accorsi dedicata al celebre inventore e imprenditore italiano, padre della telegrafia senza fili, inventore della radio e pioniere delle moderne telecomunicazioni, Premio Nobel per la Fisica nel 1909

Scritta da Salvatore De Mola e Bernardo Pellegrini, con la consulenza storica di Barbara Valotti, direttrice del Museo Marconi di Pontecchio (Comune di Sasso Marconi, Bologna) e della famiglia Marconi, la serie miscela il genere storico-biografico alla spy story, restituendo la contemporaneità della visione di Marconi e la modernità del suo personaggio: inventore, scienziato, imprenditore, che ha fatto la Storia in Italia e nel mondo, padre delle tecnologie che hanno cambiato la vita dell’umanità. “Una miniserie evento, meravigliosa, per festeggiare anche i 100 anni della radio. Un grande team e un cast straordinario per raccontare un uomo geniale, audace, eclettico” – afferma la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati – “Dietro un’invenzione c’è un’immagine primaria che è poesia. he è poesia. Ecco perché Guglielmo Marconi è stato un genio estremamente poetico, un uomo unico”. Un giovane prodigio che è riuscito, grazie al suo ingegno e alla sua determinazione, a creare invenzioni rivoluzionarie e portarle sul mercato, raccogliendo finanziamenti e commesse in giro per il mondo, accumulando successi, premi, onorificenze e – in particolare in Italia – incarichi pubblici, e raggiungendo un livello di fama planetaria.

 

Di questa straordinaria figura, la fiction restituisce un ritratto inedito, focalizzandosi in particolare sull’ultimo anno della sua vita: nel 1937 Guglielmo Marconi (Stefano Accorsi) divide la sua vita tra il suo laboratorio e il panfilo Elettra dove vive con la moglie Maria Cristina (Cecilia Bertozzi) e l’amata figlia Elettra. In quei mesi Marconi è un uomo turbato da un profondo contrasto interiore. La sua incrollabile fede nella scienza come strumento di progresso per l’umanità si scontra con l’inasprimento dei rapporti internazionali, il crescente isolamento dell’Italia e un progressivo incrinarsi del suo rapporto con Mussolini (interpretato da Fortunato Cerlino), basato fino a quel momento su una reciproca convenienza, per lui sempre più difficile da sopportare. Marconi infatti mal gradisce le insistenze del regime e le insinuazioni della stampa sulla realizzazione di un’ipotetica arma segreta.

La narrazione prende il via da un’intervista rilasciata da Marconi alla giornalista italo-americana Isabella Gordon, personaggio di finzione interpretato da Ludovica Martino. Isabella Gordon in realtà collabora con il regime riportando informazioni sul lavoro di Marconi al suo amante e funzionario dell’OVRA Achille Martinucci (Alessio Vassallo), braccio operativo del Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai (Flavio Furno). Attraverso il filo conduttore dell’intervista, si ripercorre anche l’epica umana e scientifica dell’inventore, a cominciare dai primi esperimenti di un Marconi appena diciottenne (Nicolas Maupas). Sulla Collina dei Celestini a Villa Griffone, storica residenza della famiglia, il giovanissimo Guglielmo effettua nel 1895 la prima trasmissione senza fili che sancisce l’inizio della telegrafia. Il racconto include anche altre straordinarie imprese come la prima trasmissione transoceanica della storia, effettuata nel 1901, tra Cornovaglia e Canada.

Girata tra l’Emilia-Romagna e il Lazio, la serie vanta riprese nei luoghi reali delle vicende e in spazi iconici del patrimonio storico italiano, dalla già citata Villa Griffone, oggi sede della Fondazione Guglielmo Marconi – Museo Marconi, a Palazzo Venezia (in cui è stata messa a disposizione per le riprese la sala del Mappamondo, aperta solo in rare occasioni), da Villa Mondragone a Villa Torlonia fino al Museo Storico della Comunicazione. Per realizzare al meglio le scene sul Panfilo Elettra, la casa-laboratorio di Guglielmo Marconi che non esiste più, è stato inoltre ricostruito in studio un modello di ben 27 metri di lunghezza.

 

La storia

 

  1. Mentre venti di guerra soffiano su un’Europa sempre più divisa tra regimi autoritari e democrazie liberali, Guglielmo Marconi – inventore e imprenditore di fama mondiale – divide il suo tempo tra nuovi esperimenti, impegni istituzionali e la sua famiglia, la moglie Maria Cristina e la loro figlia, Elettra. Una giovane e ambiziosa giornalista italo-americana, Isabella Gordon, riesce a concordare un’intervista con l’inventore ufficialmente come parte di una collana di ‘film’ sui grandi italiani. In realtà ha stretto un accordo con il regime fascista che vorrebbe usarla per spiare Marconi e assicurarsi che lo scienziato stia effettivamente sviluppando un’arma segreta che la propaganda fascista chiama ‘il raggio della morte’. Nel corso dell’intervista Marconi ripercorre i momenti più salienti della sua vita fino a quando non viene a conoscenza dei pericolosi propositi della giornalista, la quale nel frattempo ha stretto un sodalizio con una spia americana a cui ha promesso di dare il materiale su Marconi in cambio di un passaporto e una via d’uscita dall’Italia. Marconi è costretto a correre molti pericoli per proteggere un terribile segreto che condivide con Enrico Fermi, geniale scienziato che in quegli anni conduce esperimenti sulla radioattività, e salvare la stessa Gordon.

 

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