Siamo una squadra fortissimi

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Il RadiocorriereTv incontra i nuovi conduttori dello storico morning show estivo di Rai 1. Dal 3 aprile, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 11.30

Il primo pensiero quando avete saputo che avreste condotto “Unomattina estate”…

GRETA: Per chi fa questo mestiere “Unomattina estate” è una tappa fondamentale, provo grande gioia, senso di gratitudine, mi sono anche data una pacca sulla spalla (sorride).

ALESSANDRO: Mi ha fatto molto piacere perché è un marchio di fabbrica, della Rai e della televisione italiana. Ho pensato al piacere di fare vivere un po’ di estate alle tante persone che per molti motivi non possono godere di questa stagione protesa alla spensieratezza, all’evasione. E anche al piacere di potere avere una frequentazione costante con il pubblico.

 

Come è stato il vostro primo incontro?

ALESSANDRO: Ci siamo incontrati le prime volte da Alberto Matano al tavolo finale de “La Vita in Diretta”, ho notato subito grande empatia, spontaneità, semplicità. Incontrando Greta per lavorare al programma non ho potuto che confermare e accentuare le impressioni che avevo già avuto.

GRETA: Un ottimo incontro, ho visto da subito grande rispetto degli spazi e dei tempi. La presenza di Alessandro mi rassicura molto, mi fa sentire molto tranquilla. E questo in un lavoro di coppia è importante.

 

Come ci si prepara a un debutto importante?

GRETA: Me lo sto ancora chiedendo (sorride). Ci si prepara dormendo, mangiando bene, nonostante la vita frenetica di tutti i giorni.

ALESSANDRO: Mettendosi a dieta (sorride). Essendo godereccio e conviviale con l’hobby dell’enogastronomia, quando sono sotto programma devo pagare dazio rispetto ai bagordi che mi sono concesso in precedenza. Non vorrei far passare messaggi sbagliati ma sono quasi al digiuno, e al training autogeno per quanto riguarda la sveglia del mattino.

 

A colazione, cosa non può mancare?

ALESSANDRO: Non c’è mattino senza il caffè (sorride).

GRETA: Il caffè naturalmente. E poi pane bruscato con l’olio.

 

Qual è la vostra sfida per questa avventura?

GRETA: Essere sempre me stessa, senza mai mentire al pubblico. Entrare nella casa delle persone rappresenta una grande responsabilità.

ALESSANDRO: Aprire una terrazza a tutti gli italiani raccontando l’estate più bella, con indicazioni concrete sulla quotidianità.

 

Il vostro rapporto con l’estate…

ALESSANDRO: In questa stagione rifiorisco, in particolare nelle settimane che anticipano l’arrivo e la fine del caldo maggiore. Mi sento bene nel senso più profondo che si possa dare a questa parola. Anche se soffro un po’ di caldo viva la primavera-estate

GRETA: Adoro l’estate, il mare, avere caldo. Ho sposato invece un “montanaro”, un uomo che ama la montagna. L’estate è stare davanti al mare.

 

Un’estate senza vacanze, come avete organizzato le vostre famiglie?

GRETA: I miei figli andranno in vacanza con mio marito ad agosto, pur rimanendo vicino a Roma in modo che ci si possa vedere il più possibile. Sono molto presente nella vita dei miei figli e, anche con mio marito, stiamo molto tutti insieme.

ALESSANDRO: Sono abituato a fare poche vacanze perché l’estate è sempre un periodo di grande lavoro, in televisione o per gli spettacoli in giro per il Paese. Cercherò di godere al massimo del tempo del fine settimana, non importa dove ma con la giusta predisposizione d’animo con le persone che amo.

 

Impegno e leggerezza, in che percentuale nella vostra vita?

ALESSANDRO: L’impegno è uno dei pilastri della mia persona e della mia esistenza. Ma questo insieme al desiderio di leggerezza, con l’obiettivo di portare il sorriso alle persone.

GRETA: Cento per cento tutti e due. Riesco a essere molto pesante e molto leggera, anche per me stessa. Al di là dell’ironia direi 65 per cento di impegno e il resto è leggerezza. Amo creare un’atmosfera serena e leggera anche nella squadra di lavoro.

 

La Rai compie 70 anni, che pensiero dedicate all’azienda?

GRETA: Per me è un grande onore esserci, sono felice di far parte della squadra della Rai oggi.

ALESSANDRO: Sono orgoglioso ed emozionato di far parte, in minima parte, di questa storia. Ho sempre dato tutto me stesso. Crede di aver portato anche una ventata di novità nel mio modo di fare televisione, penso a “Furore”. Ringrazio questa mamma per avermi tenuto in casa, ma anche quando mi ha sbattuto fuori dalla porta.

Il vostro primo ricordo della Tv…

GRETA: Ricordo la Rai a casa dei miei nonni. Mi viene in mente un Festival di Sanremo con Mia Martini che cantava “Almeno tu nell’universo”.

ALESSANDRO: Era già un regalo quando mi veniva consentito di guardare “Carosello”. Penso ai grandi show del sabato sera, a “Indietro tutta” di Renzo Arbore. Quel grande circo pieno di talento che mi emozionava tanto.

Una canzone (preferibilmente estiva) che dedicate l’uno all’altra

GRETA: “Tropicana”, un brano cult dell’estate.

ALESSANDRO: A Greta dedico “Siamo una squadra fortissimi” di Checco Zalone (sorride).

 

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Pronti a giocare?

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Dagli studi Rai di Napoli il game show che gioca con la lingua italiana. “Reazione a catena” torna lunedì 3 giugno alle 18.45 con Pino Insegno

Ci siamo! Torna tutte le sere su Rai 1 “Reazione a Catena”, il game show che mette alla prova l’intuito, la prontezza e la padronanza della lingua italiana dei concorrenti in studio e dei telespettatori. E torna alla conduzione Pino Insegno. L’appuntamento è a partire da lunedì 3 giugno alle 18.45. Il preserale conferma nell’associazione logica di parole la sua formula vincente. Un gioco fresco, leggero, che permette a tutti divertendosi di scoprire o riscoprire alcune curiosità sulla lingua italiana, facendo fare ai concorrenti e a chi lo segue da casa un po’ di “ginnastica mentale” che “rinfresca la mente”. Anche in questa stagione, la diciottesima, concorrenti e telespettatori saranno chiamati a risolvere e indovinare migliaia e migliaia di diverse associazioni di parole. In ogni puntata 6 concorrenti, divisi in due squadre da 3, si contenderanno il montepremi tra “Catene musicali”, “Zip”, “Una tira l’altra”, “Quattro per una” e “Intese vincenti”, cercando poi di risolvere la conclusiva “Reazione a catena”. Tutte le informazioni su come fare per partecipare come concorrenti sono disponibili sul sito www.rai.it/raicasting. Oltre alla trasmissione televisiva, si potrà giocare con le parole e le associazioni anche su carta con la rivista settimanale.

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Gli umani al centro

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Parole e musica per superare l’emergenza del deserto emotivo. Dal lunedì al venerdì alle 20.20 su Rai 3 c’è “Riserva Indiana”

Una riserva indiana in cui le emozioni sono le vere protagoniste, cosa l’ha portata a questo progetto?

Constatare che l’umanità è diventata il tassello mancante, l’anello debole della catena. Oggi ragioniamo soltanto di numeri, di sondaggi, di statistiche, di algoritmi, di intelligenza artificiale. L’elemento caldo, quello dell’umanità, è sempre più assente, è un elemento che si basa per gran parte sui racconti, sulle storie, sull’intensità di un’arte antica come quella del narrare, che da sempre è stata la mia vita. Insieme a essa c’è la musica, quella dal vivo, non quella fatta con gli effetti campionati o con la voce di qualcuno che viene ricreato in laboratorio. L’idea è quella di fare una riserva indiana con al centro gli umani, dove tutto è rimesso all’arte antica del narrare, del cantare dal vivo.

Parla di emozioni impolverate, sopite dalla contemporaneità, quale scenario vede nella società attuale?

Un grande equivoco: il fatto che quando parli di sentimenti, di emozioni e di stati d’animo si intende qualcosa di privato che non riguarda sempre anche il nostro rapporto con gli altri. In qualche modo il dolore, la rabbia, l’irritazione, la denuncia sono tutte cose che nascono davanti a ingiustizie perpetrate dagli altri, non sono mai sentimenti privati. Ecco perché in questa trasmissione parliamo della dimensione pubblica dei sentimenti e delle emozioni. Continuando la metafora della riserva indiana, parliamo di quello che ha a che fare con la tribù, con la collettività. Parliamo della rabbia che nasce da grandi ingiustizie sociali, come morire sul lavoro, la mancanza di diritti. Parliamo di memoria, di proiezione del futuro, di possibilità di inserirsi in una società che è sempre più marcatamente respingente. Parliamo di possibilità che non vengono date a tutti quanti.

Condividere ciò che siamo, ciò che sentiamo, perché si ha tanta paura?

Perché le emozioni sono quella parte di noi che ci racconta davvero per come siamo. Dove non possiamo bluffare, controllare le cose. Nelle emozioni c’è la parte di noi più vera, più pura, più umana. Ed è la parte in cui siamo più autenticamente noi stessi in rapporto con gli altri. “Riserva indiana” è una trasmissione che cerca di puntare all’anima di chi ascolta, alle sue emozioni.

Dove posiziona il confine tra il suo essere “personaggio pubblico” e il suo privato?

Una linea che sento molto necessaria perché ognuno di noi ha bisogno anche di una sfera sua. Ma sono anche del parere che abbiamo troppe volte assolutizzato la dimensione del privato contro quella del pubblico, abbiamo confuso molte volte i confini, abbiamo trasformato le nostre feste di compleanno o festività natalizie in qualcosa di pubblico perché sentivamo il bisogno di pubblicarle sui social, come per candidarle in un grande concorso a premi. Però abbiamo fatto anche l’opposto, abbiamo pensato, per esempio, che tutto quello che ha a che fare con i mondi del lavoro, della politica, dei diritti, con il dibattito che riguarda il mondo circostante, avesse a che fare solo con la nostra dimensione privata. Sono invece sempre fatti di tutti.

Che rapporto ha con la parola?

Fondamentale. È lo strumento più bello e più forte che abbiamo per comunicare agli altri, lo strumento più vivo e che ci rende profondamente capaci di comunicare le sfumature di noi stessi agli altri. Non dovremmo mai abdicare o fare un passo indietro rispetto all’uso della parola. Un loro uso consapevole è sempre qualcosa che ci fa vivere meglio. Guai a pensare che siano qualcosa che riguardi solo gli intellettuali, gli scrittori, i poeti. Riguardano tutti, e parlare meglio significa vivere meglio.

Parole sempre accostate al suono, alla musica…

Le mie collaborazioni con la musica non nascono con “Riserva indiana” ma sono antiche e riguardano una passione che ho nei confronti di questo modo apparentemente lontano dal mio, che provengo dal teatro, ma in realtà così vicino e limitrofo. Non c’è teatro senza musica e non c’è musica senza teatro.

Come ha scelto i suoi compagni di viaggio?

Volevo avere al mio fianco qualcuno di cui mi fidassi. Sono personaggi che hanno una lunga storia di frequentazione con in pubblico, come Luca Barbarossa o Piero Pelù, ma ci sono anche giovani come Motta, i Comacose. C’è una possibilità di penetrare i vari mondi musicali non solo dal punto di vista dei ritmi e di chi li usa, ma anche dal punto di vista del pubblico che li ascolta.

Una sua promessa al pubblico che la segue…

La cosa che per me è più importante di tutte. Non troveranno qualcosa che non c’entra nulla con ciò che ho fatto. Sono sempre stato un narratore, in teatro, nei libri, ho sempre raccontato delle storie con la passione grande di farlo. In “Riserva Indiana” riprendo il filo di quello che ho sempre fatto e di quello che è il linguaggio con il quale le persone mi hanno conosciuto in questi anni. Se invece qualcuno non mi ha mai seguito, troverà una persona che racconta delle storie e su queste costruisce tutto.

 

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Normandia, 80 anni dallo sbarco

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In occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco alleato, avvenuto il 6 giugno del 1944, il programma torna con una puntata interamente dedicata a quello che è stato uno dei momenti decisivi della Seconda Guerra Mondiale e della storia del Novecento

Alberto Angela ripercorrerà le tappe del più grande sbarco militare della storia, raccontandone la preparazione e le conseguenze, fino alla liberazione di Parigi, il 25 agosto del 1944, che segna idealmente la fine della grande operazione iniziata col D-Day. In questo lungo viaggio, corredato da filmati originali inediti, ricolorati grazie all’Intelligenza Artificiale, i telespettatori saranno accompagnati da un ospite d’eccezione: il sergente maggiore Charles Norman Shay, uno dei pochi veterani del D-Day ancora in vita, uno dei primi soldati a sbarcare sulla spiaggia di Omaha all’alba del 6 giugno. Charles Norman Shay faceva infatti parte, in qualità di soccorritore militare, della Prima divisione americana, il celebre “Grande Uno Rosso”.  “Normandia, 80 anni dallo sbarco” è il titolo dello speciale di “Ulisse, il piacere della scoperta”, il programma di Alberto Angela, che Rai Cultura propone, lunedì 3 giugno alle 21.25 su Rai1. Il racconto inizierà in Inghilterra, dove Alberto Angela visiterà alcuni dei luoghi in cui il D-Day è stato ideato e pianificato: a Londra, nel bunker segreto dove si riuniva il governo britannico guidato da Winston Churchill, uno dei protagonisti di quei giorni; poi nella HMS Belfast, un incrociatore leggero della Royal Navy britannica, che prese parte al D-Day, fornendo appoggio alle navi da sbarco alleate; quindi a Southwick House, vicino a Portsmouth, nel sud dell’Inghilterra, dove si trovava il quartier generale del comando alleato guidato dal generale Dwight Eisenhower. Al suo interno è ancora possibile vedere la grande mappa dell’invasione che è rimasta esattamente come appariva il giorno del D-Day. Alberto Angela attraverserà quindi la Manica per andare in Normandia, dove esplorerà alcuni dei grandi bunker che facevano parte del Vallo Atlantico, il poderoso sistema difensivo allestito dai tedeschi in previsione dello sbarco alleato. Entrerà quindi nel Castello di La Roche Guyon, sulle rive della Senna, dove aveva sede il comando tedesco del feldmaresciallo Erwin Rommel. Sempre in Normandia il viaggio toccherà Omaha Beach, la più famosa delle spiagge del D-Day, protagonista di una delle pagine più sanguinose della Seconda Guerra Mondiale. Attraverso le testimonianze di chi ha vissuto quei drammatici momenti, i telespettatori rivivranno i momenti dello sbarco entrato nella storia, in cui persero la vita migliaia di giovani. Il racconto si sposterà quindi nelle vicine scogliere a strapiombo di Pointe du Hoc, teatro di una delle operazioni più complesse del D-Day, dove i ranger statunitensi hanno dovuto scalare le ripide falesie sotto il fuoco dei bunker tedeschi.  Il percorso visiterà altri luoghi protagonisti delle settimane successive allo sbarco: la spiaggia di Arromanches-les-Bains, dove sono ancora visibili i suggestivi resti del grande porto artificiale costruito dagli alleati pochi giorni dopo lo sbarco per il trasporto di rifornimenti e uomini dall’Inghilterra; il Castello di Vouilly, risalente all’epoca di Guglielmo il Conquistatore, che ospitava la sala stampa americana in Normandia. Un luogo da cui sono passati famosi giornalisti e reporter che hanno raccontato la storia del D-Day, come Robert Capa, Ernest Hemingway ed Ernie Pyle. A Bovington, in Inghilterra; il Tank Museum, dove sono conservati alcuni dei più famosi mezzi militari impiegati in Normandia, tra cui uno dei pochi esemplari ancora funzionanti al mondo di carro armato “Tigre”, uno dei più temuti panzer tedeschi che è stato utilizzato per le riprese del film “Fury”. La puntata si chiuderà al cimitero di Colleville-Sur-Mer, a poca distanza da Omaha Beach, dove si trovano le tombe di migliaia di soldati americani caduti in Normandia. Un doveroso tributo a tutti coloro che durante la Seconda Guerra Mondiale sono morti per liberare l’Europa dal regime nazista.

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Pompei. Le nuove scoperte

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Ci sono anche i disegni di un bambino di duemila anni fa tra le meraviglie venute alla luce dalle ultime campagne di scavo del Parco Archeologico. Affascinanti ritrovamenti che Alberto Angela, racconta nello speciale in onda lunedì 27 maggio alle 21.25 su Rai 1

Interamente girato nel sito di Pompei, all’interno dei nuovi cantieri di scavo, lo Speciale “Meraviglie” di Rai Cultura, in onda lunedì 27 maggio in prima serata su Rai 1, utilizza una tecnica di ripresa unica: un unico piano sequenza, lungo oltre due ore, che attraversa l’area archeologica di Pompei seguendo Alberto Angela nella sua esplorazione senza alcuno stacco né interruzione. I telespettatori avranno la sensazione di partecipare a una reale visita degli scavi attraverso un avvincente percorso narrativo. L’assenza di stacchi permetterà di avere una chiara idea dell’ubicazione degli spazi esplorati, delle distanze percorse, della vastità del sito archeologico. Sarà come attraversare l’antica città, sommersa dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., con gli occhi di un pompeiano di duemila anni fa che vede risorgere dal materiale vulcanico gli oggetti quotidiani, gli affreschi, i graffiti e le tracce della propria vita di allora. La visita parte dall’Odeion, il più piccolo dei due teatri della città, dominato dalla vista del Vesuvio che si erge in lontananza oltre le mura. Si snoda poi per le antiche strade di Pompei attraversando botteghe, terme, locande e case private, dove le tracce della vita quotidiana del primo secolo dopo Cristo suscitano meraviglia ad ogni passo. Il percorso prosegue, poi, all’interno dell’Insula dei Casti Amanti, attualmente chiusa al pubblico, un isolato già parzialmente esplorato in passato e oggi oggetto di nuovi approfonditi scavi che hanno appena portato in superficie i resti di altre vittime colte nel vano tentativo di mettersi in salvo dall’eruzione. Qui gli archeologi, ancora al lavoro, mostrano ad Alberto Angela e al pubblico ambienti ancora non conosciuti, interessanti oggetti di vita quotidiana appena emersi dagli strati vulcanici e stupefacenti opere d’arte ritornate visibili dopo quasi duemila anni. Ma le opere più commoventi scoperte dagli archeologi sulle pareti di una domus sono i disegni di un bambino di duemila anni fa che, poco prima della tragedia, ha tratteggiato con il carboncino il suo immaginario infantile, ignaro che i suoi graffiti sarebbero sopravvissuti al passare dei secoli. Dopo un breve trasferimento in auto sopra la zona ancora non scavata di Pompei, Alberto Angela entra nei cantieri che interessano la regio IX, uno dei distretti della città ancora non interamente portati alla luce. Qui rivela agli spettatori splendidi saloni affrescati appena riemersi dal materiale vulcanico e un meraviglioso ambiente dipinto, scoperto proprio nei giorni di realizzazione dello speciale e ancora mai mostrato. Il percorso procede verso la “Casa del Larario”, dove il racconto delle ultime ore della città romana si intreccia con la scoperta di ambienti che l’eruzione ha “cristallizzato”, imprimendo nella cenere la fotografia degli ultimi istanti di vita di Pompei. Qui, con l’aiuto degli esperti del parco, Alberto Angela illustra la tecnica dei calchi, che ha permesso di rivelare le drammatiche immagini delle vittime nell’attimo stesso della loro fine. L’esplorazione prosegue nella “casa di Leda”, una delle domus più ricche di ritrovamenti di questa ultima campagna di scavi con nuove rivelazioni. Nelle sue adiacenze sono appena emerse pareti affrescate di incredibile bellezza, anche per il particolare stato di conservazione dei colori originali. Infine, al termine del percorso, due autentici fuochi d’artificio di Pompei: la “casa degli amorini dorati” e la “casa dei Vettii”, quest’ultima riaperta recentemente al pubblico dopo un lungo restauro. Qui la magnificenza degli affreschi e dei giardini colonnati rivela l’opulenza degli abitanti di una delle zone più ricche della città. Splendidamente circondato dal “rosso pompeiano” il telespettatore avrà quasi l’impressione di partecipare a uno degli esagerati banchetti descritti da Petronio.

 

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Riserva Indiana

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Per una nuova educazione sentimentale e civile. Arriva su Rai3, da lunedì 27 maggio alle 20.20, il programma di Rai Cultura condotto da Stefano Massini

L’idea nasce da un sentimento duplice e conseguente: l’emergenza del deserto emotivo in cui ristagna la nostra società e l’urgenza di una nuova educazione sentimentale e civile per provare a interrogarsi sull’amore, sulla consapevolezza emotiva e relazionale, sulla ricerca di sé.  E gli unici attrezzi che possono aiutarci in questa audace missione sono la musica e le parole. Il racconto di Stefano Massini si fonderà con la musica, con le canzoni dei più interessanti artisti della scena musicale contemporanea, per provare a dare voce attraverso l’universo dei sentimenti anche alle passioni civili, ai diritti dimenticati, alle tematiche sociali di attualità. Una ricerca di senso, della riconoscibilità del proprio universo emozionale con l’ausilio delle canzoni che hanno fatto la storia d’intere generazioni, reinterpretate e riadattate dalle star e dalle giovani speranze della ribalta musicale del nostro Paese, con l’obiettivo di provare a intercettare l’attenzione, non solo dei più giovani, ma anche del pubblico più maturo. In uno studio incontaminato pieno di ragazze e di ragazzi, con una scenografia essenziale dal sapore teatrale, in cui predomina il suono della musica e l’evocazione luminosa del sillabario amoroso e civile di Stefano Massini. “Riserva Indiana” è il programma che si nutre di frammenti di umanità, di passione civile, di sentimenti dimenticati e lo fa contaminando i generi dello story telling e della musica, della parola narrata e della parola cantata. Tutto questo con la complicità di alcuni mostri sacri della scena musicale italiana e alcuni tra i giovani più promettenti e talentuosi, tra cui Malika Ayane, Diodato, Luca Barbarossa, Piero Pelù, Coma Cose, Noemi, Tosca, Vasco Brondi, Motta e Paolo Jannacci, con una resident band composta da Jacopo e Matteo Carlini, Cristiano Micalizzi e Bruno Marinucci. “Riserva Indiana” è un programma di Stefano Massini e Massimo Martelli, scritto con Rossella Rizzi, Paolo Biamonte e Mariano Cirino, la regia di Matteo Bergamini.

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La giustizia in prima serata

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“Un giorno in Pretura” riparte con tre prime serate dedicate a tre processi che negli ultimi tempi hanno suscitato grande scalpore. Il RadiocorriereTv incontra la curatrice e conduttrice. Da venerdì 31 maggio in prima serata su Rai 3

 

Roberta Petrelluzzi,2023

In prima serata su Rai 3, quali casi affronterete?

Apriamo con il caso di Alessia Pifferi, la donna accusata dell’omicidio della sua bambina di 18 mesi, nelle puntate successive ci occuperemo dell’omicidio di Laura Ziliani e del caso di Tiziana Morandi, la “mantide della Brianza”.

Raccontare un caso giudiziario attraverso le immagini dei processi, da dove si parte?

Dalla lettura di tutti gli atti, dall’inizio alla fine. Si costruisce una sorta di sceneggiatura basandosi sul materiale che abbiamo, non aggiungendo nulla di nostro, se non l’intelligenza del capire. E poi mettiamo in evidenza le tesi dell’accusa e della difesa. Anche di fronte a casi di cui molto si parla è lecito chiedersi se le persone siano realmente informate e se l’opinione che si sono fatte sia quella giusta. Cerchiamo di raccontare il processo per come si è svolto, pur essendo consapevoli che dalle aule di giustizia esce la verità processuale.

Cosa deve avere un caso per rimanere nell’immaginario collettivo?

Tutti i casi che trattiamo, quelli della Corte d’Assise, possono rimanere nell’immaginario collettivo. Il novanta per cento di questi è dato da omicidi, da fatti che vanno all’origine del male e che ci fanno scoprire il male che sta in noi, nel nostro vicino, che solitamente non cogliamo. L’interesse dipende anche dalla notorietà acquisita di fronte all’opinione pubblica, cosa che non dipende da noi ma da voi, dai giornalisti. Da una narrazione che cerca talvolta le frasi ad effetto, che vuole colpire l’attenzione del pubblico. Non si scava a fondo come invece facciamo noi. Il nostro non è un voler giustificare ma un voler capire.

Le vicende processuali sono spesso tortuose, complicate. Negli anni che idea si è fatta della nostra giustizia?

Prima era più semplice perché i media intervenivano meno. Ora hanno preso un po’ il sopravvento, non per colpa ma per quello che è il loro ruolo. Si entra in un campo poco controllabile e capita si facciano danni. Non sempre da questo, dalle ingerenze, la giustizia trae vantaggio. Chi segue un processo dice la sua su come pensa siano andati i fatti e porta avanti una sua tesi. Questo a volte complica le cose: è un problema enorme che non saprei come risolvere.

Il vostro ruolo è differente…

Con il nostro programma abbiamo la fortuna di stare alla fine, non ci interessa quello che è stato detto o è successo prima. Andiamo lì, vediamo i testimoni, è come se fossimo dei notai. Facciamo in modo che ciò che mostriamo rifletta l’andamento del processo.

Dal 1985 a oggi come è cambiato il programma?

Molto profondamente è cambiato solo una volta, quando facevamo solamente le introduzioni e le chiusure alle riprese dei processi. Adesso noi guidiamo un po’.

Quali pagine di “Un giorno in Pretura” le sono rimaste, per così dire, più addosso?

Il processo di Avetrana. È un caso che potrei definire con un termine che andava molto ai miei tempi, ossia emblematico. Rappresenta benissimo i danni che possono fare i media una volta scatenati su un caso.

Che cosa si sente di dire al pubblico che vi segue con tanto affetto?

Di continuare a farlo.

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Dolcemente spietato

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«È grazie a personaggi come lui che nella testa si è inserito il germe della comicità» racconta l’attore ligure al RadiocorriereTv che non nasconde l’emozione del debutto: «Sono molto agitato e allo stesso tempo curioso di vedere l’effetto che farà il film sul pubblico». “Com’è umano lui”, biopic diretto da Luca Manfredi dedicato a Paolo Villaggio, in onda il 30 maggio su Rai 1

 

16 maggio 2024
COME E’ UMANO LUI
nella foto enzo paci

A pochi giorni dal debutto su Rai 1, come si sente?

Sono molto agitato e allo stesso tempo curioso di vedere l’effetto che farà il film sul pubblico. C’è molta emozione, devo dire la verità.

Cosa rappresenta per lei Paolo Villaggio?

Un inizio. È uno dei ricordi più antichi della mia infanzia, sono io che lo imito prima di andare a scuola o che lo guardo in televisione e rido. Erano dei momenti di felicità. È grazie a personaggi come lui che nella testa si è inserito il germe della comicità.

Anche lei come molti comici è cresciuto a “pane e Villaggio”?

Non solo lui, nel mio percorso artistico ci sono tanti modelli di riferimento, penso anche ai comici romani, ma Villaggio, essendo ligure come me, ha certamente lasciato un imprinting forte. Il suo stile è, in qualche modo, passato in tutti gli artisti comici, anche nei più giovani che, con il loro modo aggressivo, ignorano che lui è stato il primo a portare tutto questo in scena in un’epoca in cui i presentatori entravano nelle case degli italiani con formalità. Poi arriva Villaggio e stravolge tutte le regole, facendo scuola. Al di là del fatto che rappresenta uno dei miei comici preferiti, ha lasciato un segno indelebile nella comicità italiana.

Entrambi genovesi…

Siamo degli introversi, chiusi, si fa fatica a entrare e uscire persino dalla città, per questo siamo un pochino isolati. Da commerciali, abbiamo una bella dose di cinismo, siamo abituati ad avere a che fare coi conti, con la concretezza. Dal cinismo si passa in un attimo all’autoironia. Prima di farmi prendere per il culo da qualcuno, lo faccio da solo (ride).

Da dove è partito per entrare dentro la vita di questo artista? Ha cercato la contaminazione tra la sua personale esperienza emotiva, artistica e quella di Villaggio, o ha indossato la “sua” maschera?

Ho cercato di mediare tra le due cose, seguendo il suggerimento della figlia Elisabetta e del regista Luca Manfredi, ovvero che Paolo Villaggio nella vita non era Fantozzi, ma l’esatto opposto: una persona sicura di sé, estremamente colta, un vincente… Questo è stato un ottimo punto di partenza, non ho voluto restituire l’imitazione vocale, piuttosto un modo di essere. Siamo partiti da un momento poco conosciuto della sua vita, la gioventù e i primi passi nel mondo dello spettacolo. Pochi sanno che Villaggio era una persona estremamente timida e, per questo, non avendo avuto la possibilità di conoscerlo nel suo privato, ho cercato di contaminare il personaggio con la mia timidezza.

I figli di Villaggio, Elisabetta e Piero, hanno partecipato alla sceneggiatura del film…

Il loro contributo è stato fondamentale, sono gli unici eredi del suo privato, ci hanno aiutato a impreziosire la storia con una aneddotica speciale.

Villaggio e De André, due amici, due fannulloni di successo (e senza tempo). Qual è il segreto dell’immortalità artistica?

Fannulloni che non si dedicavano al lavoro fisso, il sogno del medio borghese. Loro erano liberi, a partire dal loro immaginario. Rispetto all’oggi, possedevano una cosa meravigliosa: il tempo di pensare, di riflettere. Per scrivere quelle canzoni, quelle pagine immense dedicate, per esempio, a Fantozzi, per riflettere sul mondo della comicità e capire come stravolgerlo, non si deve avere fretta. Non erano distratti dalla società e, sebbene fossero chiaramente concentrati su se stessi e sulle loro carriere, avevano voglia di dire qualcosa, di partecipare nella società. Paolo Villaggio è stato un grande intellettuale, aveva un occhio molto critico, pur essendo immerso nella sua contemporaneità, io lo paragono a Pasolini. Ci sono delle interviste meravigliose nelle quali parla di mercato, del libero consumo e di quanto possa influire negativamente sulla felicità dell’uomo. Era una mente calata nella sua contemporaneità, ma con la grande capacità di vivisezionare i fatti.

Il personaggio di Fantozzi ne è la prova…

Ha descritto il mondo impiegatizio con estrema spietatezza, ma con una oggettività necessaria per raccontare una storia e far ridere.

Oggi che fatichiamo a esercitare la riflessione, abbiamo perso anche la capacità di sognare?

Sono contento di questa domanda… mi è capitato di fare un incontro con dei liceali ai quali chiedevo quale fosse il loro sogno. Avevano tra i 15 e i 16 anni e non riuscivano a rispondere, mentre chiedendo quale fosse stato il loro sogno da bambini davano risposte più concrete, più realizzabili: il cuoco, l’avvocato… Non voglio essere banale, retorico, ma forse questi social distraggono, riempiono troppo il nostro tempo e ci impediscono di pensare.

Social rischiosi anche per i giovani attori attratti dal “successo” degli influencer?

Spero di no, sarebbe terrificante, perché quello della recitazione è un lavoro che permette di raccontare delle storie in tempi abbastanza lunghi, rendendo protagonista l’umanità, magari utilizzando uno degli strumenti migliori che abbiamo a disposizione: il teatro. Il teatro è lo specchio di una società, io capisco qualcosa di me se qualcuno mi fa vedere come sono. Per questo è importante la piazza, uscire, incontrare persone. Vengo identificato come essere umano se sono in contatto con gli altri, che possono aggiungere qualcosa nel racconto della vita di ciascuno di noi.  Questo, sinceramente, sui social io non lo vedo… Anche quella è narrazione, per carità, ma questi due minuti sono molto più assimilabile a una barzelletta che a uno specchio dell’essere umano.

Cosa la incuriosisce, o spaventa, della nostra contemporaneità?

In generale mi spaventa l’indifferenza. A meno che uno non abbia, come artista, una mente come Paolo Villaggio, capace di assumersi la responsabilità di raccontare la propria epoca, facendo un passo laterale per osservarla meglio. Spero di appartenere, anche in minima parte, a questa tipologia umana, perché vedo troppe persone infastidite dall’altro. Siamo troppo divisi e, quando proviamo a metterci insieme, scoppiano troppi bordelli. Ho paura che ci sia troppo poca collettività.

Quale ruolo deve assumere oggi il cinema, il teatro, o la televisione?

Credo proprio quello di spingerci a stare insieme. Il bello di andare al cinema a vedere un film è, senza raggiungere gli eccessi fantozziani del “La corazzata Kotiomkin… è una cagata pazzesca!”, è parlarne dopo, magari seduti al bar. È questa la magia di una storia, capire qualcosa di più di noi o delle persone che ci stanno intorno. Al di là del genere, noi andiamo a vedere come si comportano le persone fra di loro, del film interessano i rapporti, se sono ben raccontati. Lo scopo del gioco è sempre la verità.

La sua carriera, come quella di Villaggio, è segnata dal teatro, dal cabaret…

Il cabaret era la mia passione da giovane… stare in scena è bello perché si crea una certa sospensione temporale, è come se il tempo si fermasse, soprattutto in teatro. Quando da attore hai la fortuna di creare un arco narrativo del personaggio completo, sei totalmente immerso in quel racconto, ci si mette al servizio di una storia. L’attore che mi piace è quello che riesce a sparire, che dona se stesso, senza mettersi in evidenza. È la storia che cambia gli uomini, non le performance.

La gavetta, il Teatro Stabile, il grande successo con “Blanca”, ma anche il cinema… come vive tutto questo?

Devo dire che i grandi cambiamenti artistici li ho avuti ora, in tarda età, anche se credo che le cose accadano quando si è pronto per affrontarle. Io continuo a seminare, ho voglia di raccontare storie, di andare avanti. Quando sei un attore non sogni la pensione perché speri di non finire mai. Rimanere in scena fino alla fine.

Qual è il dono più importante che Paolo Villaggio ha fatto a tutti noi, alla cultura?

Al di là di Fantozzi, il regalo più bello è averci trattato come esseri umani e non come dei cartonati. Lui è stato il primo a scrollare il pubblico da una sorta di ipnosi, quello che ci vorrebbe anche oggi per svegliarci.

Qual è la forza della comicità?

La verità. Il comico è l’unico a dire che ci sono gli elefanti nella stanza mentre tutti fanno finta che non ci siano. Quindi, evviva i comici che ci dicono la verità, fa piacere ascoltare quelli che ci raccontano le barzellette, perché è intrattenimento, ma solitamente chi passa veramente alla storia è quello che ci ha gridato in faccia “svegliati!” (ride).

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Sono un viaggiatore che racconta i fatti

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Il 30 maggio torna su Rai 3 in prima serata “Che ci faccio qui”. «Ci sono storie che non finiscono mai, luoghi e volti che non dimentichiamo e che continuano a dirci qualcosa, ecco perché a volte ci assale la nostalgia di andarli a cercare» racconta il giornalista al RadiocorriereTv

 

13 MAGGIO 2024
CHE CI FACCIO QUI

Un ritorno televisivo che è anche un ritorno a storie che hai raccontato in passato. Da dove riparti?

Da un viaggio nel profondo Sud, la Calabria, luogo di luci e ombre. Lo faremo nel corso di due puntate che abbiamo chiamato “Ti vengo a cercare” e che hanno snodi narrativi molto particolari. Si entra nella dimensione dell’inferno di Rosarno dove, a distanza di sette, otto anni – quando andai l’ultima volta – niente è cambiato, dove c’è ancora una profondissima ingiustizia sociale, dove c’è sfruttamento e le cose non sono state mai sanate. Per questo era importante che, come Servizio Pubblico, si tornasse a testimoniare.  Non possiamo far terminare le storie delle persone come se fossero una fiction, abbiamo l’obbligo di andarle a riprendere, di accudirle, di farle diventare figlie della nostra famiglia.

E poi…

In queste due puntate ci sono anche le cose straordinarie che improvvisamente accadono quando attraversi un territorio come la Calabria. Finisci in un posto che si chiama MuSaBa (Museo di Santa Barbara), in Aspromonte, dove Nik Spatari, artista visionario, morto nel 2020, che avevo intervistato negli ultimi anni della sua vita, ultraottantenne ancora metteva tasselli di ceramica in un posto che sembra davvero uscito da una visione onirica. La sua è una storia straordinaria, partito da Reggio Calabria, autodidatta, aveva conosciuto Le Corbusier, Picasso, aveva frequentato i grandi artisti francesi. Nelle sue opere vivono le sue esperienze incredibili. Pian piano, nel corso del racconto risalgo questa terra, vado a Cosenza per ritrovare un personaggio che avevo conosciuto anni fa, oggi vicepresidente di una ex startup assorbita da una multinazionale giapponese. Fanno sperimentazione sull’intelligenza artificiale, l’azienda ha assunto a tempo indeterminato circa 400 ragazzi usciti dall’Università della Calabria, sono informatici, ingegneri elettronici, fisici, linguisti. Una sorta di sogno.

Un racconto poliedrico…

Faccio comprendere come si sta molto indietro e come si sta molto avanti. Come gli opposti siano sempre più distanti tra loro. È un viaggio anche nella caparbietà di un personaggio come Nino De Masi, imprenditore che vive da quattordici anni scortato dall’Esercito per avere denunciato la ‘ndrangheta. Lui resiste, insieme alla sua famiglia. Ritroverò Bertolo Mercuri dell’Associazione “Il Cenacolo”, diventato un amico, la persona che mi ha fatto conoscere la vera solidarietà, l’uomo che mi fa toccare con mano la povertà e al tempo stesso un senso profondo di altruismo. La sua è una presenza laica che sembra quasi mistica. Nella prima puntata incontro anche Alì, un uomo che da quattordici anni vive senza permesso di soggiorno in un deposito abbandonato e che lavora a chiamata per gli agricoltori. Lo incontro mentre sfoglia il dizionario dei sinonimi e dei contrari in italiano e legge parole come per nutrirsi di altro. Con grande dolcezza mi parla della sua condizione, dei sogni mancati, portando sulle proprie spalle il peso di una vita sfortunata. Una storia che ci fa comprendere come l’immigrazione non possa essere considerata un problema di flussi, dietro ai numeri ci sono le identità, e soprattutto le persone che già stanno sul nostro territorio. Proprio come Alì.

Con la terza puntata, che hai chiamato “Il capolavoro”, dove ci porterai?

Torno a Caivano dalla preside Eugenia Carfora. Abbiamo raccontato quello che è accaduto lontano dai riflettori della cronaca nera, dalla sovraesposizione mediatica, che aveva fatto diventare quel luogo un set cinematografico. Sono andato alla ricerca dei ragazzi che incontrai otto anni fa ed è nato un viaggio incredibile. E poi ci spostiamo al Nord, vicino Modena… Dopo la puntata “Come figli miei” un imprenditore chiamò Eugenia e offrì dei posti di lavoro ad alcuni studenti, che oggi abbiamo ritrovato lì.

Cosa hai scoperto di quei ragazzi?

L’emancipazione, la bellezza di chi si è salvato attraverso il lavoro. L’idea che riconoscano ancora in quella preside un punto fermo.

Osservando da vicino il nostro Sud, cosa capiamo della nostra Italia?

Quando faccio questi viaggi porto con me un profondissimo rammarico per le risorse sprecate, umane, ambientali, ma anche speranze inaspettate. Ho bisogno di toccare queste storie per avere il termometro della situazione. La questione meridionale non è stata ancora risolta, il grande gap si vince con l’istruzione, con la formazione dei giovani.

Tra cuore e ragione, dove si colloca la tua narrazione?

Vivo sempre a metà strada, come se fossi una specie di Giano bifronte che guarda le due cose. Cerco di essere il più possibile coerente, di raccontare con obiettività. Mi ritengo un viaggiatore che racconta i fatti, non come giornalista, ma come testimone di quello che accade attorno a me.

Come è cambiato, negli anni, il tuo essere giornalista?

Non è mai cambiata la curiosità, è così anche oggi, con parecchi anni di lavoro sulle spalle. Voler ritornare sui luoghi, capire che cosa è accaduto, è anche frutto di questa curiosità. Il passato può darci una chiave di lettura moderna delle cose. Sono contento di farlo ancora una volta su Rai 3, quella che ritengo la mia casa, che mi ha permesso di raccontare il Paese.

Un viaggio, quello di “Che ci faccio qui”, che è passato anche dai palcoscenici dei teatri. Cosa ti ha insegnato l’incontro diretto con il pubblico?

C’è una sensazione diretta. Ho fatto cinquanta repliche, nei teatri di provincia, come in quelli delle grandi città. Il teatro è uno dei mezzi espressivi più liberi, non c’è mediazione, non c’è nulla di edulcorato. Non ci sono elementi che ti fanno essere diverso da quello che sei. Sei nudo e questo viene compreso dal pubblico. Questo abbraccio straordinariamente caldo mi ha ricaricato per poter raccontare meglio in televisione.

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CARTOONS ON THE BAY 2024

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Trecento opere in concorso per i Pulcinella Awards. Spagna paese ospite, lo Sport il tema dell’anno. Sta per prendere il via a Pescara la 28esima edizione del Festival internazionale dell’animazione, della transmedialità e delle meta arti. Dal 29 maggio al 2 giugno con grandi ospiti nazionali e internazionali

John Musker, Leslie Iwerks, Juanio Guarnido, Sara Pichelli. Sono solo alcune delle guest star di Cartoons On The Bay 2024. Il manifesto della 28esima edizione del Festival internazionale dell’animazione, della transmedialità e delle meta arti in programma a Pescara dal 29 maggio al 2 giugno è affidato all’illustratrice e disegnatrice Silvia Ziche e al suo personaggio Lucrezia. Oltre trecento le opere in concorso provenienti da quasi cinquanta paesi che si contenderanno i prestigiosi Pulcinella Awards mentre lo Sport sarà il tema dell’anno per celebrare le imminenti Olimpiadi e la Spagna, nazione ospite, sarà protagonista in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cartoons On The Bay diventa sempre di più festival di tutta la Rai con la collaborazione dei main partner Rai Kids, RaiPlay, Rai Radio Kids, Rai Radio 2 e Rai Libri. Oltre cento ospiti tra registi, produttori, artisti e manager del mondo dell’animazione si alterneranno all’Aurum per una tre giorni di panel, key notes e masterclass mentre sul palco di Piazza della Rinascita sono in programma i concerti di Antonella Ruggiero, Emanuela Pacotto e dell’Ensemble del Conservatorio di Santa Cecilia. Quest’ultimo proporrà alcune delle più celebri sigle delle serie a cartoni animati. Anteprima nazionale per il film The Animal Kingdom di Thomas Cailley vincitore di cinque premi César. Promosso da Rai e organizzato da Rai Com, con la direzione artistica di Roberto Genovesi, Cartoons On The Bay è realizzato in collaborazione con la Regione Abruzzo, il Comune di Pescara e il Ministro per lo Sport e i Giovani per il tramite del Dipartimento per lo Sport. Gli incontri con i grandi maestri dell’animazione, con la loro arte e i loro progetti saranno al centro del programma professionale. Cartoons On The Bay è pronto a festeggiare i 40 anni di animazione del regista John Musker (“La Sirenetta”, “Aladdin”) che riceverà il Pulcinella Award alla Carriera, il talento della regista e produttrice Leslie Iwerks (“Recycled Life”) e del cartoonist Juanjo Guarnido (“Blacksad”), entrambi premiati con il Pulcinella Special Award. A ricevere il Premio Sergio Bonelli sarà Sara Pichelli, tra i fumettisti italiani più apprezzati al mondo. All’arte di Stefano Bessoni sarà dedicata la mostra “Stefano Bessoni. Stop-motion e altre scienze inesatte”, aperta al pubblico dal 30 maggio al 1° giugno dalle 10.00 alle 18.00. “Il menù di COTB 2024 offre un programma professionale molto tecnico e proteso sempre di più verso i nuovi linguaggi e l’evoluzione dell’intelligenza generativa nell’intento di continuare nel compito di scouting per quelle parti dell’azienda impegnate nella costruzione del progetto di media company – afferma Roberto Genovesi – l’approccio del programma professionale influenza inevitabilmente anche tutti gli altri e dunque ogni evento proposto quest’anno racconta di novità tecnologiche e creative, di mondi alternativi e di tecnologie ma sempre con una certezza: è l’essere umano che guida ogni processo e ogni processo è al suo servizio, non il contrario”. Saranno presenti al Festival anche le Mascotte dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali Milano Cortina 2026 Tina e Milo. Ricchi anche i programmi Pubblico, Cinema e Scuole. Insieme ai concerti, Piazza della Rinascita ospiterà la diretta de “Il Ruggito del Coniglio” (Rai Radio 2) con Marco Presta e Antonello Dose. Immancabili gli appuntamenti con lo sport in piazza, con gli spettacoli di Rai Radio Kids e Armando Traverso e con i live di Rai No Name Radio. Rai Kids porterà sul palco tutte le star di Rai Yoyo, da Masha e Orso a Pinocchio. Il Cineteatro Massimo ospiterà le proiezioni dei lungometraggi in concorso, la retrospettiva dedicata a John Musker oltre l’anteprima di “The Animal Kingdom”. Per tre giorni gli studenti di classi primarie e secondarie di primo grado saranno ospiti del Festival per sviluppare originali percorsi didattici. Ad animare gli incontri anche il campione del mondo di pallavolo Andrea Lucchetta. Tutto il programma di Cartoons On The Bay è disponibile sul sito www.cartoonsbay.rai.it

 

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