MIKE

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Una miniserie evento sulla vita di Mike Bongiorno a cento anni dalla sua nascita e a settanta dalla prima trasmissione televisiva italiana che lo vede protagonista. Due serate per celebrare un’icona della tv, ricordare una carriera unica e irripetibile, ma soprattutto per raccontare il volto inedito, più intimo, spesso rimasto all’ombra del conduttore di successo: spigliato e sorridente di fronte alle telecamere ma riservato e introverso nel privato. Il 21 e il 22 ottobre in prima serata Rai 1

Quando in Italia si sente dire “Allegria!” si pensa subito a Mike Bongiorno, padre della televisione italiana e re dei quiz. Nato a New York nel 1924 da una famiglia italo-americana, Mike è stato uno dei principali protagonisti del piccolo schermo sin dal primo programma trasmesso dalla Rai nel 1954. Ha iniziato a fare il presentatore in giovanissima età e della sua lunga carriera si conoscono le tappe, le sfide, i successi. Meno i presupposti, i sacrifici, la solitudine. Diviso fra Stati Uniti e Italia, fra padre e madre, fra guerra e ricostruzione, ciò che Mike ha vissuto si allaccia inevitabilmente alla storia del nostro Paese, da lui scelto per mettere radici e formare la sua famiglia.

Il racconto si apre nel 1971: Mike è all’apice della popolarità grazie a “Rischiatutto” e da qui si snodano a ritroso i capitoli più significativi della sua parabola, in un armonico alternarsi tra la cornice, costituita da un’approfondita e dinamica intervista televisiva, e i diversi flashback che prendono il via dall’infanzia a New York per arrivare anno dopo anno all’incontro con Daniela Zuccoli, la ragazza che sposerà nel 1972 e che resterà al suo fianco fino all’ultimo giorno.

 

Il regista Giuseppe Bonito racconta…

«Poter girare una serie che racconta una parte significativa della vita di Mike Bongiorno è una sfida molto difficile e, allo stesso tempo, una grandissima opportunità. Mike Bongiorno è in assoluto il nome a cui ancora oggi, più di tutti, viene associata la televisione in Italia. Anzi, si può con obiettività affermare che la televisione nel nostro paese è nata con lui e che, per decenni e per generazioni di telespettatori italiani, Mike (il cui nome, per tantissime persone, basta e avanza) è stato più di una figura popolare: è stato una presenza paragonabile a un parente, a un fidanzato, a un amico di famiglia. Per me la sfida è proprio questa: come si può raccontare al grande pubblico una figura così familiare e presente nelle vite di tanti italiani? Cosa può aggiungere a ciò che tutti sanno già? Qual è il punto di vista più giusto? Ciò che ho fatto è stato scordarmi di tutto ciò che già sapevo e ricordavo di Mike, compiendo intanto un percorso di conoscenza il più profondo possibile. Ho scoperto una vita straordinaria e degna di essere raccontata anche alle nuovissime generazioni, non solo per ciò che Mike ha significato per la storia culturale e sociale del nostro paese, ma anche perché la sua vicenda ci racconta di temi universali che riguardano tutti noi: i legami problematici tra genitori e figli, il bisogno degli altri, l’importanza delle proprie radici, la ricerca tenace dell’amore. L’ambizione è quella di esplorare e di raccontare l’uomo Mike, al di là della figura iconica e leggendaria che tutti conosciamo. In quest’ottica, tutto – dalla scrittura, al lavoro con gli attori, all’uso della macchina da presa – si basa proprio su questo dualismo: nella nostra serie, Mike passa in continuazione dalla dimensione pubblica a quella privata e viceversa. Vediamo spesso Mike compiere questo passaggio, per cui non è infrequente che l’uomo timido e introspettivo, improvvisamente, davanti al microfono della radio o alla telecamera accesa, diventi la figura affabile e sicura di sé che tutti conosciamo, il geniale utilizzatore di un linguaggio apparentemente semplice, ma nella sostanza complesso, perché universale. Lo stile di regia di Mike asseconda questo movimento costante dal fuori al dentro e comprende più livelli di ripresa che vanno a contaminarsi tra di loro, oscillando tra un uso della macchina da presa che filma una narrazione oggettiva degli eventi e un uso della macchina da presa che crea delle bolle di astrazione soggettiva. Da un lato c’è un racconto intimo e a tratti doloroso della separazione dei suoi genitori, di una vita divisa tra due continenti, tra l’Italia e l’America, e dall’altro l’ascesa e la consacrazione prima nelle radio americane e poi in tv in Italia. A tal proposito ho scelto di ricostruire la New York degli anni Quaranta e Cinquanta e poi degli anni Settanta, integrando le importanti costruzioni scenografiche a un utilizzo estensivo degli effetti visivi digitali, mentre, per quanto riguarda le sue celebri trasmissioni, ho optato per un’impostazione rigorosamente filologica provando a ricostruire fedelmente gli studi di Lascia o raddoppia? e di Rischiatutto, così come il teatro del Festival di Sanremo del 1967. Mi piacerebbe che lo spettatore godesse di un grande affresco che attraversa una buona parte del secolo scorso in cui si racconta di un uomo che, a modo suo, ha contribuito a fare l’Italia e che è stato l’inventore della tv italiana, ma anche di un giovane studente che ha aderito alla lotta partigiana rischiando la vita. Vorrei però anche condurre lo spettatore in una dimensione intima, privata, umana, raccontando un essere umano con le sue fragilità, le sue paure e il bisogno d’amore autentico che tutti noi proviamo.»

 

 

I PERSONAGGI

MIKE BONGIORNO (Claudio Gioè, Elia Nuzzolo)

Quanti volti ha il protagonista di questa serie? Ne ha tanti, anche perché ha avuto tante vite, Mike, e per ognuna di queste vite ha presentato una faccia diversa. Chi l’ha conosciuto sul lavoro ha avuto a che fare con un professionista rigoroso e preciso, un uomo che ha vissuto di spettacolo e che conosceva bene il suo mestiere, anche perché l’aveva imparato nella patria dell’entertainment, gli Stati Uniti, la sua seconda casa. Mike lavorava per sé, ma anche e soprattutto per quei milioni di persone che lo consideravano uno di famiglia. È il pubblico l’unico giudice supremo a cui Mike si rimette e a cui deve il suo successo e questo non lo dimentica. Ma Mike non è solo un personaggio televisivo, amatissimo dall’Italia e dagli italiani: è anche una persona con le sue complessità e le sue contraddizioni, un uomo lacerato tra due patrie, tra due mondi diversi, coraggioso ma timidissimo, pacato ma deciso.

DANIELA ZUCCOLI (Valentina Romani)

Daniela è una giovane donna del suo tempo, che non è quello di Mike. Quando si incontrano, ci sono 28 anni di differenza, una diversa concezione della vita, che riesce a essere non un ostacolo, ma una fonte di arricchimento per entrambi. La loro unione non dimostra solo che l’amore è imprevedibile, ma anche che, a volte, la scelta della persona con cui vogliamo condividere la nostra vita diventa qualcosa di inevitabile, come la serie di coincidenze che hanno portato Mike e Daniela, tanto diversi e tanto lontani, a incontrarsi spesso e nei contesti più disparati, fino alla consapevolezza che il destino di cui si parla e che sembra ineffabile, a volte, è estremamente concreto.

SEBASTIANO SAMPIERI (Paolo Pierobon)

Unico personaggio di fantasia, il giornalista televisivo Sebastiano Sampieri è colui che conduce l’intervista a Mike Bongiorno attraverso la quale, scavando nel passato del presentatore, si cerca di restituire l’immagine più veritiera di Michael oltre che di Mike, della persona oltre che del personaggio. Sampieri si fa portavoce delle istanze degli intellettuali degli anni Settanta, avversi a Mike e alla televisione, ma sarà proprio Mike a fargli capire che, in realtà, quei due mondi non sono poi così diversi, solo apparentemente appaiono come fronti contrapposti.

PHILIP BONGIORNO (Tomas Arana)

Il padre di Mike è un uomo complesso. Anche lui, come il figlio, ha due nomi, uno italiano e uno americano. Il crollo del 1929 lo mette in ginocchio economicamente e lo costringe a separarsi dalla moglie Enrica, che ritorna in Italia col piccolo Mike, di soli sei anni. Quando Mike ritorna a New York ventenne, dopo la guerra, capisce ben presto che deve ricucire un rapporto su nuove basi. Mentre Philip si rende conto di non essere preparato a fare il padre. Il suo forte pragmatismo lo porterà a insegnare a Mike che nella vita è necessario sudare, meritarsi le cose: niente ci viene regalato. Nonostante questa apparente durezza, tra Mike e Philip si crea un forte legame affettivo.

ENRICA CARELLO (Clotilde Sabatino)

La madre di Mike è una donna dell’Ottocento. Si sposa giovanissima con l’ufficiale Philip Bongiorno, seguendolo a New York, salvo poi rendersi conto che in quella gigantesca metropoli si sente piccolissima, oppressa da una depressione che si fa sempre più pesante e che si associa ad un’altra, collettiva: quella del 1929, che getta sul lastrico migliaia di famiglie, fra cui la loro. Enrica vede il ritorno in Italia come la possibilità di recuperare la voglia di vivere, ma non è facile crescere un figlio piccolo da sola. Insegna a Mike la resilienza e, quando il figlio partecipa alla lotta partigiana, la madre è al suo fianco. Dopo una dolorosa separazione durata anni, al ritorno di Mike in Italia i due finalmente si ritroveranno.

GINO CAVALLERO (Gualtiero Burzi)

 

Gino Cavallero, giornalista sportivo del quotidiano di Torino “La Stampa”, è il primo mentore di Mike, figura quasi paterna, che riconosce nel giovane americano d’Italia un valente atleta, ma un ancor più un valente collega, anche se in erba. Gli affida all’inizio mansioni da “galoppino”, poi lo mette alla prova facendogli scrivere articoli su sport e campionati minori. Ed è Cavallero che condurrà Mike sui sentieri dell’antifascismo e della Resistenza.

 

VITTORIO VELTRONI (Massimo De Lorenzo)

 

A un giovane Vittorio Veltroni Mike deve l’ingresso nella neonata Rai: colpito dalle sue radiocronache dall’America, il dirigente intuirà che quel ragazzo ha le carte in regola per un futuro non solo nella radio ma anche nel nuovo mezzo di comunicazione che sta nascendo anche in Italia, la televisione. Ed è grazie a lui che Mike torna in Italia potendo contare su uno stipendio. E su una prospettiva di vita piena di successi.

 

CARLO FUSCAGNI (Augusto Fornari)

 

Un amico e un confidente per Mike, è colui che nella miniserie lo convince a partecipare all’intervista che dà il via alla storia. Ma non solo: è anche il dirigente Rai che, nel momento più basso della carriera di Mike, lo aiuta a risalire, non smettendo mai di credere in lui e nelle sue potenzialità.

 

La prima serata

All’apice del successo di Rischiatutto, Mike Bongiorno accetta di partecipare a un’intervista in cui si racconta al suo pubblico. Il primo ricordo prende le mosse dal crollo di Wall Street nel 1929, quando Philip Bongiorno viene costretto a separarsi dalla moglie, Enrica Carello, affinché possa risollevarsi dalle ingenti perdite economiche subìte. Enrica ritorna quindi nella sua Torino insieme al piccolo Mike. Ma non si tratta di una parentesi. Una volta lasciata New York, la donna non vorrà più tornarvi, costringendo Mike a restare in Italia e a perdere i contatti col padre. Gli anni a Torino non saranno facili per lui. Muove i primi passi nello sport e come giornalista, si diploma, ma all’improvviso tutto si ferma con l’arrivo della guerra. L’attività di staffetta partigiana e il suo passaporto americano lo portano prima in carcere a San Vittore, dove anche Enrica viene imprigionata, e poi in diversi campi di concentramento. Esperienze durissime senza nemmeno la possibilità di avere notizie della madre, a cui scrive immaginandola nella loro casa a Torino. Mike corre più di una volta il rischio di essere fucilato e dopo due anni, grazie a uno scambio di prigionieri, i nazisti lo rimandano a casa, ma non a Torino bensì a New York.

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PETER GOMEZ

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Mai domande per stupire

Il giornalista, che ritorna sabato 19 ottobre su Rai 3 con “La Confessione”, si racconta al RadiocorriereTv: «Voglio ospitare personaggi che siano controcorrente, ribelli, e che magari, pur non avendo ragione, hanno il coraggio di dire no»

Tornano le “confessioni”, questa volta il sabato in prima serata su Rai 3. Come scegli i tuoi ospiti?

Lavorando a “L’Espresso” ho imparato che per fare informazione bisogna coniugare l’alto e il basso, un giornalista ha il dovere di raccontare il mondo e di parlare di ciò che interessa alla gente. Mi interesso di politica, mafia, ma anche di sport e non me ne vergogno affatto. Credo che in una trasmissione come “La Confessione” sia necessario mettere insieme questi due mondi, ricordandoci sempre che tutti gli intervistati, italiani, sono prima di tutto cittadini. Gli ospiti li scegliamo anche seguendo un filo conduttore, che nella serie scorsa era quello della legalità. Nella stagione che sta per partire ritroveremo questo tema, ma al tempo stesso andrò a cercare personaggi che siano controcorrente, dei ribelli, persone che magari, pur non avendo ragione, hanno il coraggio di dire no.

C’è una domanda che non faresti mai a un tuo intervistato?

Alcune legatissime al gossip. Ma molto dipende dal contesto, da come le poni. Se mi parli, ad esempio, di diritti LGBTQ+, può essere anche legittimo chiedere se hai avuto attrazione per una persona del tuo stesso sesso. Non credo ci siano domande che non si possono fare, vanno poste con il tono giusto e nel contesto giusto. Di certo non faccio domande per stupire.

Come ti poni nei confronti di un intervistato che ritieni dica la verità?

Certe volte gli ricordo che siamo a “La Confessione”, ed è il segnale più chiaro che qualcosa non mi convince. Non è un programma interrogatorio, non torchio nessuno, però la seconda domanda la faccio (sorride).

Come te la cavi con il politicamente corretto?

Penso che nella vita, quando si parla, si debba essere delle persone educate e, anche se non si è credenti, tenere sempre conto di quel che dice il Vangelo: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Detto questo ci sono ambiti, come la satira e la comicità, in cui nemmeno questi discorsi valgono. Un giorno Paolo Rossi mi disse: “Ti rendi conto che se racconto una barzelletta sugli alpinisti gay se la prendono con me sia i gay che gli alpinisti?”.

Hai iniziato con Indro Montanelli.

È stato il mio direttore per tanti anni. Mi assunse a “Il Giornale”, mi portò a “La Voce”, ho saputo che quando voleva mettere in piedi un settimanale che si sarebbe dovuto chiamare “Il Caffè”, aveva incluso il mio nome nell’elenco dei colleghi che avrebbe voluto con sé. Ciò che ho imparato da lui è racchiuso in una sua frase: “L’unica battaglia che noi dobbiamo vincere è quella che facciamo ogni mattina davanti allo specchio quando ci facciamo la barba”. Possiamo sbagliare, chiedere scusa, commettere errori, però dobbiamo farlo sempre con un bell’animo, essendo onesti dentro…

Coerenti…

… apprezzo la coerenza, ma bisogna anche dire, come ricordava Montanelli, che nella vita sono sempre coerenti i fanatici e le mummie. È ovvio che i punti di vista possano cambiare, ma un conto è cambiare posizione, altro sono il trasformismo italico, la corsa sul carro del vincitore, il conformismo totale, un giornalismo sempre più mainstream. Trent’anni fa i giornali erano molto più vivaci, e questo non ha a che vedere con il politicamente corretto. Uno la può pensare come vuole sulla guerra in Ucraina, in Israele, ma non accusare chi è per la pace senza se e senza ma di essere putiniano, “pacifinto”. Un tempo si dibatteva, ci si scannava, ma non si partiva dal presupposto che l’avversario fosse pagato. Nel dibattito pubblico c’era qualcosa di diverso.

Fare domande è il tuo mestiere, ma come ti senti nei panni dell’intervistato?

Dico quello che penso, anche perché non credo di avere pensieri mostruosi, non ho bisogno di trattenermi (sorride).

Un ospite che inviteresti a “La Confessione” …

Morto Berlusconi, che sarebbe stato l’intervistato per eccellenza e che Montanelli definiva “il bugiardo più sincero”, mi piacerebbe intervistare Marcello Dell’Utri, non per fare un’intervista inquisitoria, ma perché ha fondato Forza Italia, perché era con Berlusconi dal primo giorno, perché ha avuto i suoi processi, le sue condanne. Ha una storia da film.

Concludi le puntate chiedendo ai tuoi ospiti di fare una confessione, se tu fossi al loro posto e dovessi “confessare” qualcosa ai tuoi lettori, al tuo pubblico… cosa diresti loro?

Non mi spiego per quale ragione io abbia avuto più successo rispetto ad altri colleghi. Non mi sento particolarmente migliore di loro.

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VINCENZO SCHETTINI

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Il Prof, la logica e l’emozione

“La Fisica dell’Amore”, semplici esperimenti che aiutano a comprendere i sentimenti. Il martedì in seconda serata su Rai 2

Spiegare i principi della fisica e indagare l’universo dei sentimenti. Da dove si parte?

Da un’ispirazion, legata alla mia professoressa di filosofia che purtroppo ci ha lasciati qualche mese fa. Le sue lezioni al liceo, tra il 1994 e il 1996, hanno indicato a me e ai miei compagni una strada, che passa dallo studio dei filosofi che per primi hanno indagato l’Universo, gli elementi, che hanno cercato di capire come siamo fatti, quale sia il nostro destino. Da lì si arriva facilmente alla fisica. Il racconto dell’esistenza umana, quello dei nostri tormenti interiori e quello della scienza sono paralleli, non c’è nulla da fare. Se si può allora imparare dalla scienza, ben venga, e se si può fare in tv una sana lezione di fisica ben venga due volte, perché ne abbiamo tutti bisogno, me compreso.

La fisica è sempre sinonimo di logica?

La fisica va avanti secondo ragionamenti rigorosi. Ce lo ha insegnato Galileo attraverso il suo metodo sperimentale: lui diceva di verificare ogni ipotesi con un esperimento, è questo il fascino che abbiamo sempre un po’ subito davanti a questa disciplina. Non dobbiamo mai avere paura del rigore, ma comprenderlo.

Si ricordi per un istante studente di fronte al suo professore di fisica…

Il mio era un professore simpaticissimo, di Polignano, che di tanto in tanto parlava in dialetto. Mi volle bene particolarmente da quando mi vide in chiesa suonare il violino. Lui, che era un fisico, aveva un animo profondamente romantico, creativo. Ciao Prof!

Il suo rapporto con la curiosità e la fantasia…

Con la curiosità ho un rapporto continuo. Mi annoio facilmente, e quando accade è il momento di disegnare, pensare, leggere, creare, scrivere, amare qualcuno, quindi vivere la vita. Il mio rapporto con la fantasia è una sinusoide, va su e giù. Sono fantasioso a momenti, di solito mi carico quando mi entusiasmo.

Cosa l’ha portata a fare il professore?

L’ossessione che avevo fin da piccolo di spiegare e interrogare (sorride). Da ragazzino interrogavo sempre i miei cugini e mio fratello minore. Volevo spiegare loro ciò che imparavo dai maestri e dai professori a scuola, ero ossessionato dal capire se avessero capito.

Che libri ci sono sul comodino di un professore di fisica?

Libri di scienza insieme a volumi di fantasia, di azione. Ci sono romanzi romantici e thriller, molto spesso in lingua inglese.

Che soddisfazioni le sta dando questa esperienza televisiva?

Una carica incredibile, nonostante avessi molto timore di approcciarmi alla televisione. In passato mi era già stato proposto di fare televisione, ma non mi ci ritrovavo. Quando è arrivata questa idea ho subito capito come fosse giusta per me: il prof in tv che spiega la fisica e parla di vita. Spero di poter continuare questo racconto gentile, culturale, di riflessione. Abbiamo tutti bisogno di riflessione, me compreso.

Da uomo di logica come si pone di fronte a ciò che anche con la logica non si può spiegare?

Da uomo di logica e anche da artista, perché sono metà fisico e metà musicista, davanti alle grandi domande mi pongo in ascolto. Lo dice Laura Pausini in una sua canzone: resta in ascolto perché c’è un messaggio per te. Laura parla dell’onda sonora, che è un’onda meccanica, o di quella elettromagnetica, l’onda radio che arriva alle nostre orecchie. Se non restiamo in ascolto non sentiremo mai quello che gli altri hanno da dirci. Sono in ascolto nei confronti del mistero che è questa vita e sono grato per la felicità di ogni giorno che passa.

Ci tolga una curiosità, a quale legge della fisica rispondono i suoi capelli?

Alla quinta forza: i miei capelli dimostrano una legge che solleticherà i fisici teorici nei prossimi cinquant’anni: l’antigravità (sorride).

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SOFIA PASOTTO

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Sostenibile, è possibile

In viaggio alla ricerca di soluzioni innovative per affrontare le sfide ambientali del nostro tempo. La serie, disponibile su RaiPlay, è ispirata dalle storie di giovani visionari che stanno già cambiando il mondo

 

Un mondo intero nella tua testa, un mondo da costruire e scoprire. Sofia, che mondo è?

È il mondo che c’è già! È il mondo in cui il cambiamento viene accolto in nome dei valori e delle tradizioni, in cui l’ambiente e le persone hanno un valore aldilà di quello economico, in cui si guarda al domani con tanta speranza (e non con la disperazione e demotivazione di oggi) perché ci sentiamo [persone] supportate e in grado di cambiare l’Italia. Beh sì, il Pianeta Sofia in questo caso è proprio la parte bella dell’Italia, in cui la sostenibilità e il valore sociale spiccano tra tutto. È anche il mondo dell’attivismo… ma di questo tratteremo un’altra volta.

Come aumentare la consapevolezza, tra giovani e non solo, dell’importanza di invertire la marcia?

La consapevolezza deve essere aumentata specialmente tra i non giovani. Le nuove generazioni sono disilluse perché si sentono consapevoli ma poco ascoltate: sono anni che ci viene detto che saranno i giovani che “salveranno il mondo”, ma non è così. Da una parte perché il mondo non ha bisogno di essere salvato, dall’altra perché lo sforzo deve essere comune e le generazioni che hanno inquinato, o meglio, che si sono goduta la bella vita senza pensare di avere conseguenze ambientali, adesso devono aiutare a riparare l’equilibrio ecosistemico che hanno rotto.

Cosa hai scoperto in questo tuo viaggio in lungo e in largo per l’Italia?

Ho scoperto che l’idea di collettività e umanità può passare anche attraverso il cambiamento climatico.

Cosa significa avere una vita sostenibile? Quanta fatica costa?

Vivere una vita sostenibile significa fare del proprio meglio, consapevoli che nessuna di noi è perfetta. Bisogna scendere a compromessi e personalmente io cerco sempre di far capire che il senso di colpa che ci pervade se non riusciamo ad esempio a comprare prodotti sfusi o prodotti sostenibili, e mal indirizzato: sono le grandi compagnie del petrolio, le grandi aziende e gli istituti finanziari che dovrebbero vergognarsi di continuare a finanziare ed estrarre combustibili fossili, contribuendo in modo massiccio alla crisi climatica. Responsabilizzare questi big Players è fondamentale, e forse oserei dire che è la cosa più sostenibile che possiamo fare nella nostra quotidianità.

Educare alla sostenibilità, da dove si parte?

Si dice che non è mai troppo tardi per imparare, questa è la conferma. Non è mai troppo tardi per capire il mondo in cui ci troviamo. si passa dalla scuola, al lavoro, ovunque… per la scuola sono molto felice perché sono stata chiamata in alcune scuole in giro per l’Italia a parlare di pianeta Sofia e di sostenibilità. quello è un ottimo inizio.

Il sogno di Sofia…

Non è molto poetico, ma è il futuro: sogno un’Italia che non bruci ogni anno più di 40 miliardi di euro per finanziare progetti e aziende ambientalmente dannose.

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DANIELA E LUCA SARDELLA

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Green Lovers

Su RaiPlay lo straordinario viaggio di Luca e Daniela Sardella tra i misteri e la bellezza della Natura

Un programma itinerante che percorre l’Italia in lungo e in largo, con due eccezionali ambasciatori del verde e dell’ecologia, per far conoscere la Natura e renderla più vicina all’uomo. Con Luca e Daniela Sardella per imparare a distinguere le piante, le erbe e gli alberi, ma anche per capire il ruolo delle stagionalità, degli interscambi tra fauna e flora, l’impatto del clima sulla natura e – attraverso le piante – l’importanza della vegetazione per l’uomo.

Un viaggio alla scoperta del verde e dell’ecologia, dove ci porterete con “Green Lovers”?

Nei luoghi meno conosciuti della nostra penisola, ma più interessanti dal punto di vista naturalistico. Riteniamo che il rispetto per la natura possa essere instillato nelle nuove generazioni spronando i giovani a frequentarla più assiduamente.  Strumentalizzando una famosa frase di Dostoevskij oseremo dire che “la bellezza della natura salverà il mondo”. “Green Lovers” per noi è come una sorta di interminabile passerella di tutte le meraviglie che la Natura è stata in grado di donarci e che noi tutti abbiamo il dovere di custodire. Perché non ci stancheremo mai di ricordarlo – e questo non lo dicono Luca e Daniela Sardella, ma tutti gli scienziati – “il benessere del nostro Pianeta è strettamente legato a quello di tutti i suoi abitanti”.

Accogliere il verde nella quotidianità come può migliorare la nostra vita?

Frequentare aree verdi riduce l’ansia e lo stress e migliora la concentrazione, l’attività del sistema cardiocircolatorio e respiratorio. L’interazione con le piante può modificare gli atteggiamenti, i comportamenti e le risposte fisiologiche umane. Inoltre, può diminuire l’assenteismo, aumentare la produttività, la soddisfazione generale e la felicità nella vita delle persone. Persino coltivare le piante in casa offre numerosi vantaggi, tra cui la produzione di ossigeno attraverso la fotosintesi, la fitodepurazione da agenti tossici come benzene, formaldeide e tricloroetilene dall’aria, oltre a rendere i nostri ambienti esteticamente piacevoli.

Sostenete che “sapersi prendere cura delle piante è un’attitudine”, pensiamo al famoso pollice verde, cosa può fare chi questa attitudine non l’ha ancora scoperta o pensa addirittura di non averla?

Mai disperare… questa “attitudine” è come una piantina: la si può coltivare, la si può annaffiare, la si può curare fino a farla diventare un albero bellissimo. Con “Green Lovers” intendiamo accelerare questo processo.

Quali sono le piante che, tenute in casa o sul terrazzo, possono aiutarci a vivere meglio? 

Non fate mai mancare un’orchidea vicino al computer o alla televisione, aiuta a combattere l’elettrosmog catturando le onde elettromagnetiche. In camera da letto, per conciliare il sonno, vi consigliamo una pianta di aloe vera che, al contrario della maggior parte delle piante, grazie alla fotosintesi CAM (una fotosintesi “invertita”), è in grado di rilasciare ossigeno di notte, assorbendo l’anidride carbonica.

Quando avete capito che il verde sarebbe stato la vostra scelta di vita? 

È una scelta che rinnoviamo quotidianamente attraverso piccoli accorgimenti, nella consapevolezza di essere parti integranti e custodi di questa grande e incredibile comunità che è la Terra.

 

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Prix Italia 2024

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I vincitori

Cala il sipario sulla 76esima edizione della rassegna internazionale promossa dalla Rai, che premia il meglio di Radio&Podcast, Tv e Digital. Si aggiudica il Premio Speciale in onore del Presidente della Repubblica Italiana la serie spagnola “La legge del mare (“La ley del mar”), una storia dei nostri giorni, il dramma dei migranti riletto dalla serie Tv della spagnola Rtve. C’è anche la Rai sul gradino più alto del podio nella sezione “Tv Documentaty”. Trionfa il documentario “Pericolosamente vicini. Vivere con gli orsi” di Andreas Pichler (coprodotto da Rai Documentari), una storia che riflette sul delicato rapporto uomo – Natura

“La legge del mare” – il dramma dei migranti riletto dalla serie Tv della spagnola Rtve (“La ley del mar”) si aggiudica, a Torino, il Premio Speciale in onore del Presidente della Repubblica Italiana del 76° Prix Italia, la rassegna internazionale promossa dalla Rai, che premia il meglio di Radio&Podcast, Tv e Digital. E nella sezione “Tv Documentary” vince anche la Rai con “Pericolosamente vicini. Vivere con gli orsi”: un racconto che riflette sul delicato rapporto uomo – Natura, partendo dalla storia di Andrea Papi, ucciso da un’orsa nel 2023 in un bosco del Trentino: “Andreas Pichler (il regista) – si legge nelle motivazioni – ha l’esperienza necessaria per trovare un equilibrio tra le emozioni e le decisioni provenienti da diverse parti. È un film indispensabile che mette in discussione il nostro comportamento morale e la nostra etica e prospetta il nostro futuro nel costruire e conservare un ecosistema fragile”.

Per le “Performing Arts” si impone la Bbc e il suo “Peaky Blinders: Rambert’s The Redemption of Thomas Shelby” (Peaky Blinders: “La redenzione di Thomas Shelby” di Rambert), “uno spettacolo emozionante che mescola crude storie di gangster e danza mozzafiato, trascinando il pubblico in un mondo di emozioni intense e creatività, e che merita il Prix Italia”.

La serie “Sambre” di France Televisions, conquista, invece, la sezione “Fiction” affrontando il tema della violenza sulle donne con uno stile e un tono innovativi. Olanda, Repubblica Ceca e ancora Spagna primeggiano nella categoria “Digital”: “DIT is jouw verhaal” (DIT è la tua storia), una piattaforma innovativa della olandese Npo che rende il giornalismo accessibile ai cittadini su diversi temi, vince la sezione “Factual”. La Ct ceca con “No Big Deal” (Niente di grave) – una serie drammatica che con tocchi comici esplora la vita dei giovani adulti sotto l’influenza di piattaforme come OnlyFans – è la vincitrice della sezione “Fiction”. La spagnola Rtve, infine, è la preferita tra gli “Interactive”: “Lab Orquesta – Música artificial para humanos” (Lab Orquesta – Musica artificiale per umani) racconta il processo di creazione di un brano musicale con l’intelligenza artificiale.

Come da tradizione, sono due i Premi Speciali, attribuiti dal Prix Italia: il “Premio Speciale Prix Italia – Ifad – Copeam”, va a “Gaspillage alimentaire, n’en jetez plus!” (Spreco alimentare: una ricetta per il riciclo) di France Televisions che affronta il tema attualissimo dello spreco di cibo, mentre il Premio Speciale Signis è della tedesca Ard con “Sieben Winter in Teheran” (Sette inverni a Teheran), un documentario sull’ingiustizia e la violenza contro le donne in Iran.

All’edizione 2024 del Prix Italia sono giunti 252 programmi, presentati da 76 organismi di 50 Paesi. I programmi sono stati valutati da 79 giurati, in rappresentanza di 49 broadcaster da 40 Paesi, mentre i Premi Speciali sono stati attribuiti da 11 giurati di 5 Paesi.

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Nato il sei ottobre

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Un docufilm diretto da Pupi Avati per rendere omaggio ai cento anni della radio italiana.  In onda martedì 8 ottobre alle 21.30 su Rai 1

L’opera di Pupi Avati “Nato il sei ottobre” celebra i cento anni della radio italiana.  Prodotto da Duea Film per Rai Documentari, il docufilm racconta un pezzo importante della vita del Paese percorrendo un lungo viaggio che comincia il 6 ottobre del 1924 e che arriva fino a oggi. In quel giorno così speciale per la nostra storia, la Radio, alle ore 21.00, faceva il suo primo timido passo dentro le nostre case trasmettendo un breve annuncio ufficiale (lo lesse Ines Viviani Donarelli) seguito dal concerto inaugurale del Quartetto Opera n.7 di Haydn. Quel 6 ottobre però, alla stessa ora, il regista ha immaginato che in un quartiere popolare della Capitale nascesse un bambino. Il suo nome di fantasia è Giacomo Curtoni, voce narrante di tutto il racconto. È un bambino come gli altri del suo tempo, ma è affascinato e ammaliato in modo particolare dalle voci, dai suoni, e dalle storie che sente uscire da quella grande scatola magica. Tanto più che Giacomo non ha un padre: il genitore biologico, infatti, con cui sua madre ebbe una breve avventura, non ne ha voluto sapere nulla di quel figlio venuto per caso. Giacomo riversa sulla radio una parte importante delle aspettative pedagogiche che gli sono venute a mancare. Considera quell’elettrodomestico quasi un essere umano, alla stregua di un membro della famiglia. E questo suo amore, questo sentimento di riconoscenza verso la radio è talmente forte che nel 1934, dopo aver ascoltato in salotto insieme ai familiari la finale di calcio Italia-Cecoslovacchia che regalò al nostro Paese la prima Coppa del Mondo, decide di scrivere una lettera di ringraziamento indirizzandola proprio alla sede della Eiar. Quella lettera farà un lungo viaggio e arriverà fino ai giorni nostri.

 

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L’ALTRA ITALIA

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Senza fare sconti a nessuno

L’approfondimento su attualità, politica e costume il giovedì in prima serata su Rai 2 con il programma condotto da Antonino Monteleone

Grazie a reportage esclusivi, ospiti in studio e uno sguardo immersivo e contemporaneo, “L’Altra Italia” offre un racconto profondo e plurale dei principali fatti dall’Italia e dal mondo.  In studio, Antonino Monteleone.

Perché “L’altra Italia”?

Ci rivolgiamo al pubblico con la promessa di posare lo sguardo della redazione su quelle parti di Paese, su quelle storie, che non trovano spesso spazio nel dibattito pubblico o che secondo noi dovrebbero trovarne di più. Dall’altro cerchiamo di coinvolgere nella discussione le voci di opinionisti, giornalisti, esperti, meno presenti nel panorama mediatico. Li invitiamo a partecipare, a farsi portavoce di idee che possono riguardare la politica e l’economia, e allargare così il perimetro del dibattito.

Una prima serata densa di temi…

Il programma ha una struttura tripartita. Nella prima parte affrontiamo la strettissima attualità, attraverso il contributo degli ospiti e dei servizi. Una seconda parte approfondisce un tema specifico, che ci consente di capire bene il tema trattato, e una terza, un po’ più leggera, in cui affronteremo argomenti del nostro quotidiano, che stanno a cuore un po’ a tutti, di cui tutti parlano.

… un viaggio nella contemporaneità…

È l’esperienza più difficile ed entusiasmante. Allo stesso tempo, se si considera la cornice del Servizio Pubblico, c’è anche una responsabilità in più, perché bisogna raccontare garantendo il massimo della professionalità e del pluralismo, la partecipazione di tutte le voci. Ci mettiamo in una sfida non facile ma c’è l’entusiasmo, un carburante che consente di allenare i muscoli dello stupore e della curiosità.

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I 100 anni del Servizio Pubblico

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La Rai li ha festeggiati il 5 e il 6 ottobre al Palazzo dei Congressi di Roma

ROMA 05 OTTOBRE 2024 CENTO ANNI DI SERVIZIO PUBBLICO.
NELLA FOTO GUIDO IANNUZZI – GIAMPAOLO ROSSI – ROBERTO SERGIO – LUCIA BORGONZONI – SIMONA AGNES – DAVIDE DI PIETRO

Un viaggio musicale e multimediale fra le sigle delle trasmissioni che hanno segnato la storia del Servizio Pubblico, grazie all’esecuzione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, la proiezione in anteprima di “Nato il 6 ottobre, docufilm di Pupi Avati (in onda martedì 8 ottobre su Rai 1), l’inaugurazione del gruppo scultoreo Unum/Omnia ideato da Guido Iannuzzi, artista e dipendente Rai, per celebrare il centenario. All’evento di sabato 5, condotto nell’Auditorium del Palazzo dei Congressi dell’Eur a Roma da Francesca Fialdini alla presenza dei nuovi vertici della Rai, ha fatto seguito domenica 6 la trasmissione televisiva “Cento”, con Carlo Conti, in on onda in diretta su Rai 1 e ora disponibile su RaiPlay.

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FRANCESCA FIALDINI

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Appassionata delle vite degli altri

La curiosità e l’empatia, il desiderio di condivisione e la volontà di connettere persone di generazioni diverse. Con “Le Ragazze” (il martedì in prima serata su Rai 3) e “Da noi… a ruota libera” (la domenica pomeriggio su Rai 1), la conduttrice racconta la nostra vita e il Paese

“Le Ragazze”, Francesca Fialdini,2023

Un viaggio nell’universo femminile alla scoperta di storie, di vite, di emozioni. Cosa rappresenta per te “Le Ragazze” e come sta crescendo il tuo rapporto con la trasmissione?

“Le Ragazze” è un programma che parla dell’Italia e di come è cambiato il volto del Paese, grazie anche al piccolo-grande contributo che ciascuna delle nostre protagoniste ha dato a questo cambiamento. È una trasformazione che a volte è all’insegna dell’emancipazione femminile, perché ci sono delle donne che sono state protagoniste assolute, a volte apripista per altre nella battaglia per i diritti, ci sono donne invece che, semplicemente rimanendo nel proprio contesto familiare e locale, contribuendo a far sì che quel luogo dove sono nate e cresciute crescesse, si evolvesse grazie al loro lavoro, hanno lasciato un ricordo indelebile nelle generazioni della loro famiglia. Mettere insieme i racconti della ciambellaia di Sora, della pastora di Bagolino, a quelli di Elisabetta Canitano, una ginecologa che già negli anni Settanta si dedicava la legge 194, di Simona Marchini che conosciamo tutti per il grande talento comico, oppure  di Oriella Dorella, che è stata una étoile amata da tutti e che ha avvicinato gli italiani alla danza classica grazie al suo contributo televisivo – era una Bolle ante litteram – mettere insieme queste storie, questi racconti, significa tessere con ago e filo il volto femminile dell’Italia del nostro Paese. Per me, oltre a essere emozionante, è anche una grande lezione, un grande insegnamento. È come stare dentro un libro di storia.

“Le Ragazze” presenta donne tra loro anche molto diverse per storia, estrazione sociale, opinioni, c’è un tratto che le accomuna?

Forse sono delle linee immaginarie, i tratti che uniscono di volta in volta le storie li può trovare liberamente lo spettatore in base da ciò che viene colpito. C’è una puntata dove ci sono insieme la scrittrice Sveva Casati Modignani e una postina, una delle prime postine italiane, di Morcellina, in Veneto. Cosa le lega? Le parole scritte, il fatto che una le usi per scrivere romanzi di grande successo e che l’altra queste parole le consegni fisicamente dentro le case delle persone e le porti sotto forma di lettera, di cartolina. Potrebbero esserci anche altri elementi di contatto, a partire dal modo in cui hanno vissuto i sentimenti.

Come le ragazze di ieri parlano a quelle di oggi?

Si tratta di prendere atto che c’è una distanza abissale fra le donne del Novecento e le donne di adesso. C’è una distanza data ovviamente dal progresso sociale, da questi settant’anni di pace che ci dividono da quelle guerre mondiali che alcune di loro raccontano ancora con l’orrore negli occhi. Ma è dovuta anche al progresso tecnologico che ha separato le persone, ne ha unite tante a livello di connessioni digitali, ma tante altre ne ha separate. È cresciuto un forte individualismo, quindi le ragazze di oggi ascoltando le storie di allora, di queste nonne, di queste mamme, possono imparare che cosa significa stare dentro una società che conosce la collettività, il valore di fare le cose per gli altri e con gli altri. Cosa vuol dire fare delle battaglie sociali che possano cambiare non solo la propria vita ma anche quella di chi ci circonda, fare magari alle volte anche delle battaglie generazionali. E questo è importante perché l’individualismo ci sta allontanando anche dai sentimenti, purtroppo l’attualità ce lo racconta. Ascoltare la vita delle ragazze per me significa recuperare un po’ il senso della collettività, di una società che sapeva fare delle battaglie per il bene di tutti.

Che ragazza è Francesca Fialdini?

Appassionata delle vite degli altri, altrimenti avrei scelto un mestiere diverso. E sono una ragazza forse molto novecentesca, molto analogica. La distanza che in qualche maniera mi separa, da un punto di vista emotivo dalle nuove generazioni, mi fa guardare a loro con grande tenerezza, Tendo sempre ad assolvere le ragazze di adesso, perché in fondo siamo noi che abbiamo consegnato loro questo mondo frammentato e che conosce più divisioni che unità. In questo senso più che una ragazza mi sento una sorella maggiore, una mamma putativa, che con il suo lavoro può tentare quantomeno di destare un po’ d’attenzione.

Chi sono le ragazze della tua vita?

Mia nonna Giannina, che ha 97 anni e che è scampata più volte alle fucilazioni tedesche durante la Seconda guerra mondiale, e che ancora oggi quando mi vede mi dice: “Se sono ancora qui dopo tutto quello che ho patito, allora forse arrivo a cent’anni”. Lei è un po’ la memoria storica della nostra famiglia. E poi c’è la mia mamma, che è stata ed è ancora oggi una donna agli antipodi rispetto a mia nonna, perché è proprio una figlia del 1968. È stata prima segretaria della CGIL a Carrara, quindi una delle prime donne segretario di partito con i DS. Una donna impegnata nel sociale e in politica che ha cercato con grande fatica, e si fa fatica ancora oggi, a tenere insieme lavoro e famiglia. Devo ringraziare lei e tutte quelle donne che si sono spese per cambiare le nostre vite, anche se rimane ancora tanta strada da fare.

Prima il ritorno con “Da noi a ruota libera”, ora con “Le Ragazze”, come vivi questa fase della tua carriera?

Molto bene, perché sono molto felice dei programmi che faccio. Tutti portano qualcosa che per me è un tratto profondamente umano.

Sei un’esperta intervistatrice, come ti senti nel ruolo dell’intervistata?

A disagio, profondamente a disagio (sorride).

Ti chiedo per un istante di “sdoppiare” il tuo ruolo, c’è una domanda che faresti a Francesca Fialdini?

Sai mantenere le promesse?

Che risposta darebbe Francesca?

Mi impegno sempre molto per essere all’altezza della parola che do. E quando non ci riesco… mi dico: “Ritenta, riprova. Sarai più fortunata” (sorride). Mi autoassolvo. Ma sai perché? Quando ci sentiamo traditi nelle aspettative, in fondo l’errore più grande lo facciamo noi, che quelle aspettative le abbiamo nutrite come piantine. E invece bisogna imparare a vivere senza aspettarsi nulla in cambio.

La domenica pomeriggio ti vediamo spesso giocare con i tuoi ospiti, li vediamo divertirsi, cosa c’è che ti fa divertire, che ti fa stare bene?

Le vacanze, un tempo vissuto senza preoccupazioni, senza deadline, senza consegne immediate, dove ti puoi permettere una condivisione fatta anche di tanti silenzi. Il tempo è il lusso più grande che abbiamo, quando lo abbiamo, per scegliere a chi dedicarlo, come viverlo, come riempirlo, per dargli valore. Quindi per me le vacanze sono occasioni di scoperta di sé, degli altri, di condivisione, di fare esperienza insieme. Il tempo va usato bene.

La televisione sta cambiando insieme alla società, cosa ne pensi della Tv di oggi?

In questo momento la televisione, soprattutto quella generalista, non può che essere in forte difficoltà, vedendo la sfida epocale che sta attraversando con le nuove tecnologie. Ci stanno cambiando l’immaginario, l’arrivo dell’intelligenza artificiale renderà forse tutto così obsoleto, compreso il mio ruolo, che non può che essere un momento di passaggio. Credo che dobbiamo fare leva principalmente sulle risorse umane, finché hanno ancora un senso, affinché quello che di umano c’è nei nostri racconti possa essere preservato come valore. La televisione non è i social,  la televisione non è il web, quindi dovrebbe essere un pochino più fedele a se stessa per non farsi travolgere più velocemente di quanto già non stia accadendo dalla trasformazione tecnologica e valoriale che è in corso.

C’è un personaggio televisivo che ti ha fatto capire che il giornalismo e la televisione sarebbero stati la tua strada?

In realtà mi sono innamorata di questo mestiere quando ero piccolissima, perché nella mia testa di bambina di otto anni pensavo al lavoro di giornalista e di fotoreporter e che sarei stata proiettata in luoghi lontani e sarei andata a raccontarli a chi quei luoghi li aveva dimenticati. Da un punto di vista televisivo ho sempre apprezzato Lilli Gruber, che sta al giornalismo come Raffaella Carrà sta all’intrattenimento. Lilli ha portato la modernità, le minigonne, il chiodo, il caschetto rosso fuoco in prima serata, nel Tg della sera. Ed è stato un momento di rottura fortissimo, ha dato un’immagine di donna emancipata, indipendente, sicura di sé e autorevole. E così mi sono detta: quella è la strada, la direzione. Essere una donna, una conduttrice preparata, sicura di sé, è che deve studiare per essere autorevole, per guadagnarsi quello che la vita le insegna.

Il tuo augurio al Servizio Pubblico radiotelevisivo…

Di essere fedele al Servizio Pubblico radiotelevisivo.

 

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