Via dei Matti n. 0

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Torna la striscia preserale di Rai Cultura, ideata e condotta da Valentina Cenni e Stefano Bollani. Dal 16 dicembre, dal lunedì al venerdì, alle 20.20 su Rai 3

 

La celebre casa di “Via dei Matti n. 0” ha riaperto le sue porte, accogliendo il pubblico in un universo musicale fatto di esibizioni, improvvisazioni, dialoghi e duetti con ospiti nazionali e internazionali. L’appuntamento è per il 16 dicembre, ogni sera dal lunedì al venerdì alle 20.20 su Rai 3. Come da tradizione, ogni episodio si concluderà con Stefano e Valentina che, al pianoforte, saluteranno gli spettatori con un arrangiamento originale di brani provenienti da diverse tradizioni musicali.

 

Tornate proprio nei giorni delle feste… che viaggio sarà?

STEFANO: Sarà un grande viaggio all’interno della musica. Quest’anno la novità è nell’aver deciso di concentrare le energie ogni sera su un personaggio molto importante della storia della musica, da Johnny Mitchell a Igor Stravinsky, passando per Bob Marley e tanti altri. Il nostro scopo è che il pubblico si interessi e decida di approfondirne la conoscenza.

VALENTINA: Per noi sarà un grande dono incontrare ogni sera questi grandi maestri che hanno fatto la storia della musica, entrare nelle loro vite, nel loro modo di vivere e di pensare la musica.

 

Sette note capaci di evocare milioni di emozioni anche diversissime tra loro. Quando avete capito che la musica sarebbe stata centrale nella vostra vita?

STEFANO: Subito, perché da bambino venivo placato dal suono della musica che c’era in casa e che volevo ascoltare continuamente.

VALENTINA: La musica ha sempre fatto parte della mia vita, della mia quotidianità, è entrata, però, proprio a fondo dopo aver incontrato Stefano, diventando centrale nelle nostre vite.

 

Che cosa deve avere una canzone per lasciare il segno, per vincere sul trascorrere del tempo?

STEFANO: Ogni canzone ha qualcosa di unico. A noi fa molto piacere a fine trasmissione ritrovarci al pianoforte, cercare di tirare fuori quel quid e far vedere che c’è un diamante dietro ogni piccola idea.

VALENTINA: Entrare ogni sera nelle storie narrate dai grandi cantautori è emozionante. Cerchiamo di farlo a fondo per comprenderle e comunicarle al pubblico.

 

Testi che raccontano le emozioni più profonde del nostro animo, altri che esplorano i nostri tempi, la contemporaneità, la società. A quali vi sentite più vicini?

STEFANO: Per me scegliere è veramente difficile. Per quanto mi riguarda sto ascoltando tutti i giorni George Harrison. I suoi dischi da solista, per testi, musiche e realizzazione, mi sembrano dei piccoli capolavori, purtroppo poco conosciuti.

VALENTINA: Il testo in una canzone è sempre un pretesto, perché comunque, a parlare, è qualcosa che va oltre le parole. Non mi sono mai appassionata a chissà quale testo, ma al risultato, al messaggio profondo.

 

Prima di iniziare questa avventura credevate che avrebbe trovato un riscontro così forte da parte del pubblico?

STEFANO: Non ci abbiamo mai pensato. È un programma che mancava, e non potevamo prevedere, né noi, né la Rai, il risultato finale. Abbiamo solo cercato di fare del nostro meglio, senza avere aspettative, e questo è sempre un modo interessante per affrontare la vita, perché senza aspettative non ci sono neanche delusioni.

VAENTINA: Quando abbiamo scoperto che anche il pubblico, un grande pubblico, partecipava alla nostra trasmissione con trasporto, è stata una grandissima gioia.

 

I vostri duetti appassionano i telespettatori, c’è un brano che avete interpretato, o che farete, che vi racconta particolarmente?

STEFANO: Difficile rispondere, ma direi “Aquarela do Brasil”, una canzone brasiliana che, forse, ci racconta in maniera particolare, perché il Brasile è una terra che amiamo molto.

VALENTINA: Anch’io direi quella insieme ad altre canzoni brasiliane. Me ne viene in mente una meravigliosa che si chiama “Casa da Floresta”, che parla di costruirsi una casa con le proprie mani, di vivere la vita nella terra, nella comunione, insieme alle persone, di stare insieme e nell’amore.

 

Le tradizioni musicali che preferite sono legate al Brasile?

STEFANO: Abbiamo una passione per il Brasile, per cui si ascolta molta musica brasiliana in casa nostra, in tutte le stagioni.

VALENTINA: Abbiamo passioni musicali comuni fin da prima di conoscerci. Fin da piccola ascoltavo comunque il jazz, il cantautorato italiano degli anni ’60 e ‘70, la musica classica.

 

Quali cambiamenti ci saranno in questa stazione di “Via dei Matti n.0”?

STEFANO: L’impianto è quello e ci concentriamo ogni sera su un musicista. A non cambiare è la vastità dell’universo musicale che cerchiamo di portare in scena. A noi piace l’idea, come in passato, di parlare di musica antica, di musica contemporanea, di jazz e di portare in tv, oltre ai grandi nomi della musica italiana e internazionale, anche i giovani che si stanno facendo largo nel mondo della musica.

VALENTINA: Il programma ha una struttura molto solida e rimane quella. La nostra è una casa viva, quindi cambia insieme a noi.

 

Com’è la vostra casa a telecamere spente?

STEFANO: Quella che vedete in “Via dei Matti n.0”.  I protagonisti sono la luce, le piante, i minerali, abbiamo un sacco di pietre, tanti libri e tanti dischi.

VALENTINA: Quello che manca sono le porte, ce ne sono poche ed è molto bella così.

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SPOILER

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Marco Acampa e Linda Raimondo raccontano il futuro su Rai Gulp e RaiPlay

Per affrontare le sfide tecnologiche che caratterizzeranno il futuro prossimo occorrerà agire sulla formazione dei più giovani promuovendo il più possibile le materie Stem in maniera rapida. È l’obiettivo di “Spoiler – Un salto nel futuro”, la trasmissione in onda tutti i giorni (tranne il martedì e il venerdì), alle 19.35 su Rai Gulp e RaiPlay. Il programma, realizzato da Rai Kids e KR1, parte dall’esigenza di accompagnare i ragazzi in un viaggio alla scoperta del complesso mondo della ricerca e delle nuove tecnologie. Per uno strano caso del destino e grazie alla scienza, Mario Acampa e Linda Raimondo, i due protagonisti del format, si parlano da due epoche diverse: il primo nel 2024 e la seconda nel 2034. La vita di Mario, attore un po’ stravagante e disorganizzato, e quella di Linda “del futuro”, che ha realizzato il suo sogno di diventare astronauta e vive nel Gateway che orbita attorno alla Luna, si incroceranno portando i ragazzi a capire che scienza, tecnologia e ricerca spaziale sono strettamente correlati con la nostra vita quotidiana e che molte delle semplici domande che ci poniamo hanno invece risposte complesse che riguardano letteralmente tutta l’umanità. Con l’aiuto di Mia, l’intelligenza artificiale che gestisce la casa di Mario nel presente, i due protagonisti affronteranno di volta in volta diversi argomenti per dare risposte alle domande che caratterizzano il nostro tempo: quali possono essere valide fonti di energia alternativa? È vero che la Terra si sta scaldando? Dove vivrà l’uomo del futuro? Come ci possiamo prendere cura del nostro pianeta e dello spazio che lo circonda? Grazie alla collaborazione con ESA e altri enti di ricerca internazionali, quali ITER (Francia) e Fermi Lab (USA), “Spoiler” immagina e racconta il futuro prossimo che riguarda non solo il fronte dell’esplorazione spaziale, ma anche l’innovazione tecnologica che porterà sulla Terra energie pulite, computer quantistici e benefici in campo medico. A raccontare il programma sono proprio i due protagonisti.

Perché è necessario creare per la tv programmi di divulgazione scientifica come SPOILER?

Mario Acampa: Credo sia necessario sapere quello che accade attorno a noi, dall’infinitamente piccolo al macro. Capire il funzionamento del mondo ci consente di essere consapevoli e questo allontana la paura. La divulgazione scientifica così come l’abbiamo pensata e realizzata in questo format serve proprio a capire per non avere paura. Questo secondo me significa essere liberi.

Linda Raimondo: La scienza è poesia, nel momento in cui si capisce si aprono le porte a tantissima bellezza ma questo l’ho scoperto crescendo. Da bambina  scienza e matematica non mi piacevano proprio. La matematica mi faceva paura, solo che per me era diventata una sfida capirla. E anche oggi vado ogni giorno all’università sapendo che non capirò nulla di quello che mi spiegano, ma poi il pomeriggio mi metto a studiare per comprendere ciò che mi è stato detto a lezione. Quindi è per vincere questa sfida che bisogna fare divulgazione scientifica…anche in televisione.

Sei attore, regista e conduttore. Sogno del cassetto?

Mario Acampa: Ho una cassettiera! Mi piace sperimentare linguaggi differenti e tutti esprimono la mia urgenza di comunicare emozioni. Mi piace creare progetti, realizzare idee, e televisivamente mi piacerebbe costruire un format “tutto mio” nel quale poter mettere insieme tutte le esperienze fatte in questi anni e raccontare il mondo che verrà; non solo parlando di scienza e tecnologia, ma anche di cibo, di musica e di ecologia avvicinando alla televisione un publico sempre più trasversale! Quindi restate sintonizzati…

Sei divulgatrice scientifica, hai tenuto conferenze per TEDx e ti sei appena laureata. Sogno nel cassetto?

Linda Raimondo: Per tanto tempo ho pensato che sarei diventata astronauta. Guardavo le stelle ed ero certa  che un giorno le avrei viste da una prospettiva diversa, da più vicino. Oggi mi sono “innamorata” della fisica e quindi il mio sogno è quello di lavorare in questo campo magari come ricercatore e chissà che questo non voglia dire chiudere il cerchio entrando anche nell’ambito dell’aerospazio.

Quale è la tua parola del 2025?

Mario Acampa: Per me è orizzonte. Un orizzonte che in questi anni ho sempre spostato un po’ più in là e mi ha sempre sorpreso. Come in un quadro di Turner! Non vedo il limite, ma la gioia di veder rinascere il sole ogni volta in modo diverso.

Linda Raimondo: La mia parola è futuro. Sto studiando e lavorando perché il futuro sia all’altezza delle mie aspettative: sfidante ma soddisfacente.

 

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CAROLYN SMITH

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La danza è vita

Il 21 dicembre in diretta su Rai 1 sarà proclamata la coppia vincitrice della diciannovesima edizione di “Ballando con le Stelle”. A presiedere la giuria, la ballerina e coreografa scozzese che al RadiocorriereTv dichiara: «Ho visto tra le coppie il desiderio di arrivare alla fine, ma non azzardo un totonomi. Questa edizione è diventata da subito speciale per il pubblico»

 

Siamo alle battute finali di una stagione straordinaria di “Ballando con le Stelle”, ci scatta una fotografia a due settimane dalla proclamazione del vincitore?

Stiamo vivendo una delle edizioni più originali, sia per la qualità dei concorrenti sia per i colpi di scena. Difficile dire chi potrà vincere, cosa che invece in altre stagioni del programma è accaduto. Anche se siamo a due sole puntate dalla finalissima, non mi sento di azzardare un totonomi per il podio. Non va mai dimenticato che contano, alla fine, i voti del pubblico.

Cosa ha reso così speciale questa edizione?

Prima di tutto i concorrenti, che si sono impegnati molto. Pur essendo diverse tra loro, ho visto tra le coppie il desiderio di arrivare alla fine. Molti sono stati bravi dalle prime puntate, come Bianca Guaccero, Federica Nargi, Nina Zilli (che, purtroppo, si è dovuta ritirare per una serie di infortuni). Altri hanno avuto bisogno di più tempo per raggiungere livelli alti. Tutto può succedere. Questa edizione è diventata fin da subito speciale per il pubblico, che la segue con passione. Vengo spesso fermata per strada per avere pronostici: mi è sempre accaduto, ma mai così frequentemente. Anche sulle mie pagine social ricevo ogni giorno domande su chi vincerà la coppa il 21 dicembre.

Ci indica un aggettivo per ognuna delle coppie rimaste in gara?

Sia per la coppia Nargi/Favilla che per quella Guaccero/Pernice posso attribuire due aggettivi: armonici e caparbi. Sono coppie che, pur avendo caratteristiche diverse, dimostrano di essere entrate nel mondo del ballo non solo con il corpo, ma anche con la mente e la sintonia. Si muovono in pista come veri professionisti del ballo. Per Barbareschi/Tripoli, l’aggettivo giusto è intensi. Luca è un uomo di teatro e sa coinvolgere il pubblico anche con un gesto o uno sguardo. Alessandra riesce a cogliere questa sua caratteristica. Per la coppia Pellegrini/La Rocca non mi sento ancora di trovare un aggettivo, non avendoli visti abbastanza, ma posso utilizzare il termine “sorprendente” e, per come conosco Pasquale La Rocca, aggiungerei determinati. Federica ha dimostrato una crescita importante. Marini/Berto complici e molto moderni. Lo stesso vale per Castoldi/Perrotti. Queste coppie di giovani hanno portato sulla pista del programma una nuova espressione e sono molto amalgamate tra loro. Per Paolantoni/Kuzmina uso in perfetta sintonia e tenaci, anche nel momento dell’infortunio di Anastasia.

Cosa rappresenta per lei “Ballando”?

Per me rappresenta moltissimo. Considero Milly Carlucci una sorella, con Paolo (Belli) siamo legati da un sentimento profondo e fraterno. Tutto il team è molto affiatato e questo per me è una grande sicurezza. Per il pubblico il programma rappresenta un appuntamento fisso ed atteso.

Cosa significa insegnare il culto della danza?

Ho iniziato a studiare danza quando avevo quattro anni e fin da giovanissima avevo le idee chiare. Volevo diventare ballerina con l’idea di essere, un giorno, anche insegnante di ballo. Trasmettere l’arte della danza è una grande responsabilità perché si possono creare, se allevati bene, dei futuri campioni italiani e del mondo. Io non ho avuto figli, ma ho insegnato negli anni a molti giovani che, oggi hanno trovato la loro strada grazie anche al tanto lavoro fatto assieme. Occorrono molto sacrificio e volontà. Insegnare comporta un grande senso di responsabilità, anche per gli insegnanti di “Ballando con le Stelle” vale questo principio.

Come si fa a essere sempre oggettivi nella valutazione di un concorrente?

Il mio giudizio è solo frutto dell’osservazione della performance, valuto i concorrenti come se fossi a una gara di ballo, ovviamente con le riserve dovute al fatto che loro non sono professionisti. Non penso ad altro che guardare i passi e l’impostazione. Cerco sempre di inserire un consiglio per i ballerini, in modo che nella puntata successiva possano applicarlo. Il mio giudizio è determinato in questo modo, poi, certamente, lo show televisivo necessita di elementi più leggeri.

Quanto conta la giusta simbiosi tra concorrente e maestro?

È un elemento molto importante. Non bastano predisposizione e volontà, la coppia deve essere affiatata e questo porta a risultati spesso inattesi, soprattutto per il concorrente.

Cosa la diverte (e cosa la fa un po’ arrabbiare) in trasmissione?

Mi piace moltissimo e mi divertono i momenti fuori programma come battute comiche che arrivano da alcuni concorrenti e dagli stessi altri giudici. Difficile che mi arrabbi, comunque, non seriamente. Sicuramente non mi piace quando si alzano i toni.

Uno sguardo al passato… c’è un concorrente rimasto nel cuore?

Tanti. Ne scelgo uno fra tutti, Kaspar Capparoni, vincitore nel 2011 della settima edizione del programma.

Chi è Carolyn Smith oggi?

Carolyn è una donna che ha raggiunto tanti obiettivi che si era prefissata, ma è anche una donna che ne mette in lista qualcuno in più ogni giorno, potrei dire di essere sempre in movimento. Ricevo tante soddisfazioni dai ballerini che preparo per le gare, mi emoziono moltissimo quando i miei progetti prendono forma, come è avvenuto con i corsi di danza, fitness e motivazione che coinvolgono oltre quindicimila donne in tutta Italia e all’Estero (sensualdancefit.it). Mi è accaduto spesso, in questi anni, di rimanere sorpresa dei passi fatti. Ultimamente ho lanciato una collezione di moda e gioielli con un motto importante I am a Woman first (sono una donna prima di tutto) con lo scopo di divulgare un pensiero. Questo progetto è cresciuto in pochissimo tempo e quel motto è diventato un pensiero motivante per tante donne. La Carolyn di oggi vuole andare sempre avanti, anche se questo richiede di lottare. In qualche modo il tumore al seno che mi ha colpito nove anni fa mi ha costretto a tirar fuori ulteriori risorse. Per questo, anche nell’ambito della divulgazione della prevenzione, mi sono impegnata tanto. Recentemente ho voluto creare un progetto per aiutare i pazienti oncologici attraverso lezioni di ballo (Dance for Oncology) perché la danza può dare un ottimo contributo ed è taumaturgica.

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SANREMO GIOVANI 2024

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Verso la finalissima con Alessandro Cattelan

La puntata di martedì 10 dicembre in seconda serata su Rai 2, Rai Radio 2 e Raiplay deciderà i sei finalisti che mercoledì 18 dicembre si affronteranno in “Sarà Sanremo”

Dopo quattro appuntamenti e tante sfide dirette, martedì 10 dicembre con Alessandro Cattelan in seconda serata su Rai 2 (ma anche su Radio2 e RaiPlay), i 12 finalisti di “Sanremo Giovani” dovranno sfoderare le proprie qualità migliori per superare l’ultima prova e approdare alla finalissima di “Sarà Sanremo”, in onda il 18 dicembre, dal Teatro del Casinò di Sanremo, in prima serata su Rai 1. Ma solo sei di loro avranno questa chance. A giudicarli sempre la Commissione Musicale composta da Ema Stokholma, Carolina Rey, Manola Moslehi, Enrico Cremonesi e Daniele Battaglia (insieme a Carlo Conti e Claudio Fasulo, giurati fuori onda).

 

I MAGNIFICI 12 SONO:

Mazzariello, Mew, Tancredi

Grelmos, Settembre, Selmi

Arianna Rozzo, Alex Wyse, Bosnia,

Angelica Bove, Questo e Quello, Vale Lp e Lil Jolie

 

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PEPPONE CALABRESE

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Racconto un’Italia autentica

“L’Italia che ho visto” è il libro di Giuseppe Calabrese detto Peppone, edito Rai Libri, scritto grazie all’esperienza di “Linea Verde” e alla passione per la terra e per le tradizioni. Tra le pagine, un viaggio alla scoperta di tante realtà locali della Penisola, spesso poco note, tra la buona tavola e le buone pratiche

Grazie all’esperienza di “Linea Verde” che Italia ha scoperto?

Autentica, consapevole e responsabile. Quando andiamo a girare per “Linea Verde” e arriviamo nei luoghi, le persone ci accolgono con entusiasmo. Sanno che abbiamo un grande rispetto e una grande responsabilità verso chi non ha voce. Questa consapevolezza le mette a proprio agio. È un po’ come quando andavo a casa di nonno Peppe in un paese vicino Potenza e percepivo l’importanza di dare voce a chi veramente non ha mai avuto modo di raccontare la propria vita. Diventa un momento magico, di grande ricchezza e culturalmente altissimo. In tutti questi anni di “Linea Verde” sono cresciuto tanto per la conoscenza dei valori che hanno fatto grande l’Italia.

E da tutti questi viaggi è nato il libro “L’Italia che ho visto”, che è un viaggio nei sapori ma soprattutto nella cultura…

Non vuole essere un libro di ricette, ma un libro di chi prova a restituire le emozioni che in questi anni ho provato. Ho raccontato delle storie bellissime, di persone che hanno contribuito con l’etica del lavoro a far sì che un determinato territorio avesse uno stile ben preciso. Si parla anche di dialetto e dell’importanza di alcune pratiche agricole, fondamentali per far sì che le attività siano sostenibili, dove per sostenibilità non si intende solo quella ambientale ma anche economica che poi è quella che permette alle persone di restare nei territori ma soprattutto di invertire il paradigma della resilienza.

Cosa intende, nel suo libro, per “buona pratica”?

Etica, l’esercizio ripetuto quotidianamente per far sì che il prodotto finale sia di grande qualità. Che poi non è altro che la buona pratica degli artigiani che ci hanno sempre invidiato in tutto il mondo. Dalla moda all’arte, dalla cucina alla musica, fino alla poesia.

Tra le “buone pratiche” riportate nel libro, vuole raccontarcene qualcuna in particolare?

Sicuramente la transumanza, una tradizione che non deve finire. E per far sì che possa continuare ad esistere, c’è bisogno dell’acquisto consapevole. Si tratta di un vero e proprio atto politico, perché in quel momento, chi acquista, sta decidendo per un prodotto o per un altro. Bisogna conoscere il valore della transumanza e di questi animali che stanno al pascolo, che alimentano la biodiversità con il loro incedere lento dalla pianura alla montagna e viceversa, che danno una mano al pianeta perché mangiando il sottobosco non alimentano per esempio i fuochi.

Parlando della transumanza, attraverso i tratturi, si arriva fino in Basilicata, che è la sua terra di origine. Quali sono le tradizioni della tavola?

Quelle che passano anche dalle mani sapienti delle nonne. La pasta fatta in casa non è solo un buon piatto, ma anche un momento di condivisione in cui in cucina c’è una festa. Io credo di essere sempre stato un amante del mondo antico, che però strizza l’occhio alla tecnologia che potrebbe aiutare l’agricoltura ad essere migliore. Le usanze non vanno perse, così come dovremmo mantenere i modi gentili della condivisione che per tanti anni hanno portato l’Italia ad essere apprezzata e invidiata da tutti.

Lei è ambasciatore della dieta mediterranea nel mondo. Qual è l’essenza di questo messaggio?

Quando ripenso che ne sono ambasciatore mi guardo fisicamente e mi dico che non sono proprio un testimone meraviglioso. Però è più forte il messaggio che io posso lanciare. Perché la dieta mediterranea è uno stile di vita, anche lento, che si basa sulla relazione, sul convivio, sullo star bene.

I suoi prossimi viaggi su e giù per l’Italia?

Prossimamente con “Linea Verde” saremo a Carrù, in provincia di Cuneo, per la fiera del “Bue Grasso”, una fiera eccellente italiana del bestiario e di allevamenti virtuosi. Poi andremo in Sardegna, in Toscana, forse anche in Ciociaria.

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GIULIA SANGIORGI

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Io e Mirella? Una cosa sola

Il sorriso è la carta vincente di Mirella, a “Il Paradiso delle Signore” dall’inizio della stagione e già personaggio molto apprezzato dal pubblico. Il RadiocorriereTv incontra la giovane attrice emiliana

Come accoglierebbe la sua Mirella i lettori del RadiocorriereTv al loro ingresso nei locali del Paradiso, magari per fare acquisti?

Mirella sarebbe felicissima, ha tanta energia e voglia di accogliere tutti con il sorriso, ama fare sentire le persone accettate, anche perché lei, nella sua vita, spesso non lo è stata.

Ci racconta l’incontro con il suo personaggio?

L’incontro è avvenuto ai provini, prima da remoto poi in presenza. All’inizio avevo avevo solo una descrizione generale di Mirella, ragazza madre scappata dalla famiglia dopo avere avuto un figlio da un uomo che poi l’ha abbandonata. Cosa non facile a quei tempi, quando c’era purtroppo un’altra mentalità. C’è stato poi il secondo provino, in cui si chiedeva a Mirella di accogliere una cliente al Paradiso, una scena dinamica e piena di entusiasmo.

Oggi, a distanza di qualche mese, cosa pensa di Mirella?

Sta diventando parte di me. Appena arrivata sul set i colleghi mi dicevano che nel giro di un paio di mesi mi sarebbe sembrato di essere un tutt’uno con il mio personaggio, e così è stato. Più andiamo avanti e più diventiamo una cosa sola: stimo tantissimo Mirella, una donna che si è data da fare, che sta crescendo da sola un bambino, che non si fa mai prendere dallo sconforto. La sua determinazione è da prendere come esempio, nonostante sia stata ferita continua a credere nell’amore, ha sempre una buona parola per gli altri che cerca sempre di aiutare.

Che ricordo ha del suo primo ciak al “Paradiso”?

Eravamo a casa delle ragazze, con Elvira, la capocommessa, e Irene, una delle Veneri. La mia Mirella provava i vestiti che, non avendo soldi, le nuove amiche le stavano regalando per renderla presentabile al lavoro. Un battesimo emozionante, ho un bellissimo ricordo.

Cosa sta scoprendo degli anni Sessanta?

Penso all’emancipazione della donna, alle varie rivoluzioni che li hanno attraversati. Li si conosce poco perché molto vicini a noi e quindi sono un po’ trascurati dalla scuola. Questa esperienza a “Il Paradiso delle Signore” mi consente di viverli da vicino.

E della moda di quel periodo cosa pensa?

La amo (sorride). Sin dalle prime prove costume mi sentivo nei panni giusti per me: i colori sgargianti, le forme. Sono chicche. Sul finire dei Sessanta arrivano anche le gonne più corte… A colpirmi sono anche l’eleganza, il portamento, la postura. Oggi siamo molto più rilassati, e non solo nel vestire e nel modo di porci.  Trovo che ci fosse più ricerca anche nel parlare.

Prenda la macchina del tempo per organizzare una serata con le altre Veneri, dove le porterebbe?

Sicuramente a ballare, a scegliere le canzoni dai juke-box. Ci è capitato di farlo in scena ed è stato davvero molto divertente, sono certa lo sarebbe anche nella realtà. Provo grande simpatia per tutte le Veneri e per le colleghe che le interpretano.

Che cosa l’ha portata alla recitazione?

Ero molto piccola, avevo appena dieci anni. Ho sempre amato tutto ciò che era arte, dalla danza alla pittura, per aiutarmi a superare la mia timidezza i miei mi iscrissero a un corso di recitazione, da quel giorno non ho più smesso. Ho poi continuato a studiare, sperimentare, provare…

Quando ha capito che quella passione sarebbe potuta diventare un lavoro serio?

Quando ho iniziato a prendere qualche ruolo più importante, pur nella consapevolezza delle difficoltà che chi fa l’attore deve attraversare.  Ancora oggi spero che possa continuare. Ho tanta energia positiva, bisogna crederci fino alla fine, impegnarsi… Il ruolo che mi ha fatto capire che avrei potuto dare il mio contributo è stato quello di Ksenja ne “La Porta Rossa”, una ragazza sopra gli schemi, che si allontanava tanto dalla mia persona ma che mi ha fatto molto divertire.

Dalla sua Emilia a Roma, come è cambiata la sua vita?

Ho sognato Roma sin dagli anni delle scuole superiori. Ho poi rimandato per frequentare l’università, ma mi sono laureata e sono scappata. Ferrara è la mia città, è casa mia, ma a Roma la mia vita e le mie energie sono cambiate.  Qui si può sperimentare molto di più.

Cosa prova pensando a questa sua prima stagione al “Paradiso”?

Il “Paradiso” non significa solo avere un ruolo, ma entrare in una palestra in cui ogni giorno un attore ha la possibilità di sperimentare cose nuove e diverse.

Il sogno di Giulia…

Una vita felice e tranquilla attraverso due vie, quella della recitazione, sognando anche il cinema d’autore, e quella della ricerca dell’energia, del manifestare ciò che si vuole essere realmente.

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CATERINA BALIVO

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Sfide che parlano di noi

I grandi personaggi, la gente comune, le storie che parlano di tutti noi. Un segno distintivo? La forza di rimettersi in gioco. “La volta buona” è una finestra aperta sul Paese. «Sto scoprendo un’Italia incredibilmente ricca di sfumature, fatta di resilienza, passione e sogni. Ogni ospite porta un pezzo del suo mondo, della sua realtà, che contribuisce a creare un mosaico dell’Italia autentica» dice la conduttrice, che confida: «I miei sogni, sia da donna che da professionista della TV, sono legati al desiderio di fare qualcosa che lasci un segno positivo». Dal lunedì al venerdì alle 14.00 su Rai 1

Cosa significa entrare nelle case dei telespettatori, tutti i giorni, subito dopo il Tg di pranzo?

È un privilegio e una grande responsabilità. È come essere invitata a condividere un momento intimo della loro giornata, in cui c’è voglia di leggerezza, di sorrisi e di compagnia. Per me significa creare un dialogo autentico, portare un po’ di serenità e, perché no, anche spunti di riflessione o ispirazione.

Come è cresciuto e cambiato il programma nel corso di tutti questi mesi?

Il programma è cresciuto sia in termini di contenuti che di affiatamento del team. All’inizio, c’era l’entusiasmo di una nuova avventura, ma anche la sfida di capire cosa il pubblico volesse davvero. Con il tempo siamo riusciti a trovare il giusto equilibrio tra informazione, intrattenimento e leggerezza. È bello vedere come il programma si sia trasformato in uno spazio di confronto, un luogo dove tutti possono sentirsi rappresentati.

Le storie dei personaggi e quelle delle persone. Che Italia sta scoprendo e che cosa le stanno insegnando le vite e i racconti dei suoi ospiti?

Sto scoprendo un’Italia incredibilmente ricca di sfumature, fatta di resilienza, passione e sogni. Ci sono storie che emozionano, che fanno riflettere e che spesso insegnano a guardare la vita con occhi nuovi. È un privilegio poter ascoltare racconti così diversi, perché ogni ospite porta un pezzo del suo mondo, della sua realtà, che contribuisce a creare un mosaico dell’Italia autentica. Queste vite mi insegnano che, nonostante le difficoltà, c’è sempre una luce, un motivo per continuare a credere e ad andare avanti. Mi sento davvero grata di poter essere un ponte tra queste storie e il pubblico a casa.

“La volta buona” è anche sinonimo, per tante persone, di rinascita… cosa significa rimettersi in gioco?

La volta buona è davvero sinonimo di rinascita, e credo che rimettersi in gioco significhi avere il coraggio di affrontare i propri limiti, i propri timori, e credere che ci sia sempre una seconda possibilità. Non è facile, perché spesso ci vuole forza per lasciare andare il passato e guardare al futuro con occhi nuovi. Ma è proprio lì, in quel momento di vulnerabilità e determinazione, che troviamo la parte più autentica di noi stessi. Ogni volta che un ospite racconta la sua storia di riscatto, mi emoziono perché mi ricorda quanto sia importante non arrendersi mai, e quanto il supporto delle persone intorno a noi, insieme alla propria forza interiore, possa fare la differenza.

Quando ha dovuto farlo lei, da dove è partita? Qual è stata la sfida più grande?

Quando è arrivato il momento di rimettermi in gioco sono partita da me stessa, dalla consapevolezza di ciò che volevo davvero e da quello che non mi rendeva più felice. La sfida più grande è stata mettere da parte le paure e ho dovuto imparare a fidarmi del mio istinto, a dire “sì” solo ai progetti in cui mi riconoscevo veramente. È stato un percorso di crescita personale e professionale, dove ho capito che non c’è nulla di male nel fermarsi, respirare e ripartire con nuova energia. È una lezione che mi porto dentro ogni giorno.

Da donna e da professionista della Tv, quali sono i sogni di Caterina?

I miei sogni, sia da donna che da professionista della TV, sono sempre stati legati al desiderio di fare qualcosa che lasci un segno positivo. Da donna, sogno di continuare a trovare equilibrio tra la famiglia, il lavoro e me stessa, senza mai perdere la capacità di emozionarmi e di imparare. Da professionista, sogno di raccontare storie che ispirino, facciano riflettere e intrattengano, ma sempre con autenticità. Credo nella bellezza di evolversi, di accogliere nuove sfide e di non smettere mai di sognare in grande.

Le proponiamo un tuffo nel passato, se potesse farlo, in quale momento della storia della Tv si farebbe catapultare?

Sicuramente nei trasgressivi anni 80!

Tra i tanti professionisti che hai incontrato e quelli che hanno fatto la storia della televisione, di chi ha seguito l’esempio?

La professionalità di Milly Carlucci, la solarità di Antonella Clerici e l’ironia di Luciana Littizzetto.

Qual è il complimento più bello che hai ricevuto dal pubblico?

Dici quello che pensi, brava! (e io vado di sorriso amaro perché a volte dovrei fermarmi prima.)

Le feste sono alle porte, come immagina il suo momento di relax?

Le feste, per me, sono sinonimo di famiglia, di casa e di quel calore che solo le persone che ami possono darti. È il momento in cui posso ricaricare le energie e riflettere sull’anno passato, pensando con gratitudine a ciò che ho e con entusiasmo a quello che verrà. Immagino il mio momento di relax accanto a un camino acceso, magari con una tazza di tè caldo, mentre i bambini giocano intorno all’albero di Natale.

La musica è un tassello importante de “La volta buona”, per di più Sanremo è alle porte… che spazio occupa la musica nella sua vita?

Credo che la musica sia una delle forme di comunicazione più potenti: riesce a creare emozioni, a unire le persone e a raccontare storie in modo unico. Con Sanremo alle porte, poi, è impossibile non sentire quell’atmosfera magica che solo la musica italiana sa creare. È un appuntamento che aspetto sempre con curiosità, perché riesce a dare voce a talenti straordinari e a regalarci brani che entrano nella nostra vita per sempre.

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VITO AMATO

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Un’esperienza incredibile

Il giovane attore napoletano e il debutto ne “Il Paradiso delle Signore” nel ruolo di Mimmo Burgio: «È il mio primo personaggio importante e l’emozione al primo ciak è stata tanta». E ancora: «Ho cercato il Mimmo nascosto senza fermarmi a una lettura superficiale. Ho scoperto un ragazzo buono e curioso»  

Come è stato l’incontro con Mimmo?

Mi è sempre stato insegnato che un attore non deve giudicare il proprio personaggio. In questa situazione è stato abbastanza difficile non farlo in quanto Mimmo, dato il retaggio culturale e gli anni in cui ci troviamo, ha convinzioni forti e molto radicate in una Sicilia degli anni Sessanta che aveva un’idea tanto conservatrice della vita e dei rapporti umani. Il lavoro è stato quello di analizzare un giovane che è certamente buono e generoso, ma che è vittima del pensiero comune di quegli anni nella sua terra. Ho dovuto cercare il Mimmo nascosto e non fermarmi a una lettura superficiale del personaggio.

Ci racconta il suo primo giorno di set?

Mimmo Burgio è il mio primo personaggio importante e l’emozione al primo ciak è stata tanta. La scena era quella dell’arrivo di Mimmo a Milano, con la sventata rapina della lambretta del Dottor Landi, una scena dinamica, con le prove con lo stuntman, è stato davvero un benvenuto frizzante (sorride). Sentivo una grande responsabilità, volevo fare bene perché amo questo lavoro e vorrei continuarlo a fare.

Com’era l’Italia degli anni Sessanta?

Quella da cui proviene Mimmo, l’Italia del Sud, era un’Italia in cui le donne non potevano uscire da sole la sera, in cui era impensabile che si vedessero con le amiche per andare ad assistere a un concerto o che vivessero da sole se non sposate. Ma era anche una società che talvolta vedeva con sospetto il fatto che una donna lavorasse. “Il Paradiso delle Signore” è una testimonianza dell’evoluzione del Paese, di come è cambiato nel tempo. Penso che Mimmo sia l’emblema del cambiamento dell’Italia del Sud. Tutti i personaggi provenienti dalle regioni meridionali, come ad esempio i Puglisi, quando sono arrivati nella Milano di quegli anni, già molto moderna, sono andati incontro al cambiamento evolvendo.

Cosa l’ha colpita di più del set del “Paradiso”?

Il lavoro incredibile dei reparti impegnati in una ricostruzione storica eccezionale, dai costumi alle scenografie alle auto. Gli anni Sessanta, come il decennio precedente, mi affascinano e non poco: amo molto il cinema di quel periodo, a partire dalle pellicole di Totò.

Vito e Mimmo, cosa vi accomuna?

A unirci sono la bontà d’animo, la curiosità, il desiderio di conoscere.

Come nasce la sua passione per la recitazione?

Non per caso, posso dire di essere nato sulle tavole di un palcoscenico (sorride). Mia madre ha una scuola di danza e a quei tempi anche una compagnia di musical. Sono nato a gennaio ed ero nel suo pancione mentre faceva le prove per il saggio di Natale. A undici anni ho cominciato a studiare, il ruolo che mi fece innamorare del mestiere dell’attore fu quello di Capitan Uncino in “Peter Pan”, sentii le farfalle nello stomaco, qualcosa che mi fece capire di come quella fosse la strada da percorrere, almeno per quel periodo di vita. Un periodo che si sta dilungando e questo mi fa pensare che sia la strada della mia vita.

Che cosa significa essere un attore oggi?

Quello dell’attore è un mestiere complicato, in perenne disequilibrio e che ti porta a interfacciarti con i no, che fanno parte del percorso. Un disequilibrio che è al tempo stesso il fattore che dà moto all’azione. Sono sempre alla ricerca di conferme, questo mestiere non dipende mai esclusivamente da te.

Pensa a una sera a cena con il tuo Mimmo, avresti un consiglio per lui?

Innanzitutto lo ringrazierei per le emozioni che mi sta facendo vivere. Un personaggio ti fa uscire dalla tua pelle per farti entrare in quella di un altro, per farti divertire. Gli direi di essere più sicuro di sé, di credere in se stesso perché il mondo non è un suo nemico e Milano saprà accoglierlo nel migliore dei modi.

Il suo sogno di giovane attore…

Di stare bene con me stesso e di essere felice e la recitazione è sicuramente un tassello di questa felicità. Il sogno è anche quello di riuscire a sbarcare nel grande cinema, magari anche oltreoceano. Mi piacerebbe lavorare con grandi registi, amo molto Paolo Sorrentino, Gabriele Mainetti, Marco Bellocchio, il genio senza tempo di Pupi Avati. Sono giovane e spero ci sia tutto il tempo del mondo.

C’è un ruolo del cinema del passato, o contemporaneo, che la affascina più di ogni altro?

Quello di Titta Di Girolamo (interpretato da Toni Servillo) ne “Le conseguenze dell’amore”, uno dei film che mi ha fatto innamorare di Sorrentino.

Per concludere torniamo al “Paradiso”, cosa prova al pensiero di far parte di una serie così amata in Italia e nel mondo?

Grande gratitudine per essere capitato in un progetto così pulito e così vero. Un set buono e gentile che è un bellissimo luogo di lavoro, una famiglia. È un onore vero.

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La Tv da sfogliare

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Il Televideo compie 40 anni e Rai Libri lo omaggia con il volume nato da un’idea del direttore di “Pubblica Utilità” Giuseppe Sangiovanni, a cura del giornalista Gudo Barlozzetti. Intervistati dal RadiocorriereTv,  ripercorrono la storia, raccontano il presente e la visione del futuro del primo strumento interattivo della televisione

 

GIUSEPPE SANGIOVANNI

La storia del Televideo è diventata, su sua iniziativa, un libro, “La Tv da sfogliare” a cura di Guido Barlozzetti. Com’è nata l’idea di raccontare questi 40 anni in un libro?

Come un omaggio chi a ha lavorato in tutti questi anni in maniera spesso nascosta, dietro le quinte, perché il Televideo è sempre stato esposto in forma anonima, senza neanche le firme. Vuole essere prima di tutto un omaggio alle persone che lo hanno costruito, lo hanno immaginato con un esempio di grande innovazione e inclusione all’epoca in cui è stato concepito e poi anche un omaggio agli utenti che ancora oggi lo consultano quotidianamente in un rapporto continuativo, stretto, consolidato e che fa parte della missione del servizio pubblico della Rai.

Il 2024 è l’anno dei compleanni celebri…

I 40 anni del Televideo si inseriscono nei 70 della televisione e nei 100 della radio. Credo che un posto sul podio lo meriti. Con questo libro abbiamo cercato di celebrarne il compleanno ripercorrendo le tappe della sua evoluzione e raccontando il lavoro quotidiano oltre che l’impegno di tutti coloro che lo hanno realizzato in questi anni.

L’informazione giornalistica su Televideo è sempre in primo piano, aggiornata e fruibile 24 ore al giorno. Una presenza costante, una sorta di certezza per gli utenti?

Certamente. E ci tengo molto a sottolineare che fare il giornalista di Televideo vuol dire avere senso della notizia perché deve saper scegliere quali informazioni mandare in onda, pubblicarle in diretta senza una regia o un regista o un tecnico che le metta in onda o che le filtri. Ci vogliono grande capacità di sintesi e di sapere usare le parole attraverso la pubblicazione diretta, con una grande velocità di azione e una accuratezza speciali, tali da riuscire a rendere comprensibile il messaggio senza alcun supporto di voci o immagini.

Rai Pubblica Utilità si conferma un supporto alla vita quotidiana del cittadino. State lavorando a nuove offerte?

Stiamo lavorando, con molti dei nostri partner come l’Aeronautica Militare e il Ministero dei Trasporti, ad una serie di podcast per spiegare al pubblico i comportamenti giusti da usare in materia di sicurezza stradale. Vorrei ricordare anche che, come Rai, abbiamo partecipato alla campagna dell’Onu che spiega i comportamenti corretti. Siamo stati gli unici a portare i podcast in maniera completamente accessibile, quindi in lingue di segno e con sottotitoli. Un bel segnale da parte del servizio pubblico italiano.

GUIDO BARLOZZETTI

Il Televideo è diventato un libro. Quale storia racconta?

Racconta una storia di 40 anni che non deve essere soltanto interpretata al passato, perché è uno strumento che continua ad essere una delle espressioni più significative della missione del servizio pubblico. Raccontarlo significa ripercorrere un’epoca in cui la Rai cavalcava l’innovazione tecnologica e dove il Televideo rappresenta il primo momento nella storia della televisione in cui la televisione esce da se stessa e inaugura una stagione di interattività, prima ancora che nascesse la rete.

Possiamo dire che fu il primo “giornale” ad entrare 24 ore su 24 nelle case degli italiani grazie alla Tv?

Fu un’innovazione anche da questo punto di vista, perché ovviamente il pubblico era abituato ai giornali di carta, che si comprano la mattina e che restano invariati. L’informazione poi, erano i telegiornali e i programmi di approfondimento, ma con il Televideo l’utente si trovava di fronte a  notizie che venivano date in tempo reale. Questo tipo di informazione entrò da subito nelle abitudini dello spettatore-utente e si creò una sorta di affezione che è rimasta nel tempo. Il Televideo era ed è percepito come uno strumento affidabile.

E tra l’altro non soggetto alle fake news…

In un momento storico in cui sull’informazione alleggia anche una sorta di nuvola ambigua dove non sappiamo più bene il confine tra la verità e le notizie fake, il Televideo resta un luogo di garanzia.

Il Televideo ha ancora molto da scrivere?

Tantissimo. Basti pensare ai diversi strati del pubblico che non hanno una particolare familiarità con l’innovazione tecnologica.

In primo piano anche la funzione sociale…

Il Televideo è diventato il luogo attraverso cui le disabilità possono fruire dei programmi televisivi, in particolare i sordi e i cechi, attraverso le sottotitolazioni e con le audio descrizioni. Una funzione sociale che non può essere coperta in questo momento da nessun altro strumento.

Qual è stato il decennio più importante del Televideo?

Sostanzialmente nel tempo non è cambiato. Ha implementato il suo palinsesto, lo ha arricchito, sono cresciute le pagine, le rubriche, ma la fase iniziale è quella che poi ha fatto conoscere il servizio e ne ha decretato il successo.

Il Televideo è rassicurante, è una certezza. È anche questo il segreto del suo successo?

Assolutamente sì perché è stato percepito come uno strumento immediatamente affidabile e anche la maneggevolezza e l’affidabilità, ne hanno fatto un amico.

Alcuni utenti hanno descritto il Televideo come “semplici righe bianche su uno sfondo nero in cui trovare tutto”. Ma dietro queste righe cosa c’è?

Dietro le pagine è come dietro le quinte di un teatro. C’è una produzione, una macchina complessa con le redazioni che lavorano in tempo reale.

Si apriva il Televideo nelle tv a tubo catodico e si legge ancora oggi sulle smart tv. Come ne vede il futuro?

Oggi c’è anche la versione sito dove basta semplicemente digitare il numero della pagina e si apre in tempo reale con una serie di informazioni e di espansioni che sono approfondimenti, video, immagini. Televideo non è semplicemente lo strumento analogico che conoscevamo prima che diventasse digitale, ma uno strumento ormai integrato, attuale e futuro. Infatti questo libro non è stato soltanto la celebrazione di un compleanno, ma un’occasione per parlare della qualità di uno strumento di servizio pubblico.

 

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Mino Reitano. La voce italiana nel mondo

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L’amore per la musica e la famiglia, il successo. Venerdì 6 dicembre alle 16.10 Rai 3 ricorda l’amato cantante calabrese nel docu in prima visione Tv di Antonio Centomani

Mino Reitano rappresenta la realizzazione del sogno di un giovane, emigrato dalla Calabria prima in Germania poi a Milano, dove si stabilirà chiamando al suo fianco tutta la sua famiglia. Il documentario di Antonio Centomani in onda venerdì 6 dicembre alle 16.10 Rai 3, ripercorre la vita dell’uomo e dell’artista, i successi come cantante, autore, conduttore televisivo, scrittore, fino alla laurea ad honorem in sociologia. Personaggio di caratura internazionale, ad Amburgo si esibì insieme ai Beatles, in America volle conoscerlo Frank Sinatra. “Mino Reitano. La voce italiana nel mondo” intreccia pubblico e privato, anche attraverso il ricordo di amici e familiari, la moglie e le figlie prime tra tutti. Un viaggio tra successi, delusioni, dolori. Dall’orchestrina dei fratelli Reitano nel paese di origine, Fiumara di Calabria; a Sanremo, passando per “Canzonissima”, “Il Cantagiro”, “Settevoci”. Molti filmati ricorderanno nei concorsi canori e negli show televisivi, fino ad arrivare ad una commovente intervista che rilasciò per il programma “La Vita in Diretta” circa una settimana prima di morire.

 

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