MARIA

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Angelina Jolie è la più celebre soprano di tutti i tempi. Nelle sale dal 1° gennaio, distribuito da 01 il film di Pablo Larraín con Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Kodi Smit-Mcphee e Valeria Golino

Diretto da Pablo Larraín e interpretato dall’attrice premio Oscar® Angelina Jolie nel ruolo di Maria Callas, “Maria” ripercorre gli ultimi giorni di vita di una diva leggendaria che riflette sulla propria identità ed esistenza. Nei panni dell’artista, una delle figure più emblematiche del 20° secolo, Angelina Jolie. Al suo fianco un cast di prim’ordine, con Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Kodi Smit-Mcphee e Valeria Golino. La trama segue le vicende della soprano di origine greca durante il suo soggiorno a Parigi, città in cui si rifugia dopo una vita pubblica costellata di eventi emozionanti e tumultuosi. Il film è distribuito da 01 Distribution. Pablo Larraín e Angelina Jolie nelle interviste di 01.

 

Pablo Larraín, il regista

 

Qual è l’aspetto più interessante di un film su Maria Callas?

Per molti anni ho avuto la fortuna di abitare, insieme alla mia famiglia, nei pressi di un teatro dell’opera, a Santiago. Adoravo andare a vedere le opere che hanno reso celebre la Callas nonostante lei non fosse già più in vita, mi sentivo fluttuare quando uscivamo dal teatro; quando tornavamo a casa, mia madre mi diceva: “Ecco, hai visto quanto è bella l’opera lirica”. A mia madre piaceva la Callas, e sono cresciuto in compagnia della sua voce angelica. In seguito, ho avuto modo di conoscere altri aspetti della sua vita. Perciò, dopo aver girato “Jackie” e “Spencer”, la figura di Maria Callas mi sembrava la scelta più giusta per completare questa trilogia. “Maria” è anche il mio primo film su un personaggio artistico e per questo motivo riesco a relazionarmi con lei anche sul piano personale.

La vita stessa di Maria Callas può essere paragonata a un’opera lirica?

Molte delle opere interpretate da Maria Callas sono tragedie, quindi il personaggio principale da lei incarnato spesso muore nell’ultima scena. Le storie di queste opere sono molto diverse rispetto alla sua vita, ma secondo me c’è un legame fra la Callas e i personaggi che interpretava. Ne ho parlato con lo sceneggiatore Steven Knight proprio all’inizio del progetto: questo film racconta la vita di una persona che si immedesima con le tragedie che mette in scena. Abbiamo utilizzato specifici brani musicali o cantati per sottolineare ogni momento del film; sono stati inseriti nelle varie scene non solo in modo funzionale ma proprio a scopo drammatico. L’opera lirica è una forma di trascendenza, un modo per esprimere emozioni ineffabili.

Perché ha scelto di raccontare proprio gli ultimi giorni di Maria Callas?

Maria Callas ha cantato tutta la vita per il pubblico, per gli altri. E la sua vita personale è emersa per lo più in funzione delle sue relazioni. Ha sempre cercato di compiacere qualcun altro, un compagno, un familiare o un amico. Ma alla fine della sua vita ha deciso di cantare per se stessa. Quindi questo film riguarda una persona che nei suoi ultimi giorni cerca la propria voce e la propria identità. È una celebrazione della sua vita.

Cosa ha reso Angeline Jolie l’interprete ideale a incarnare Maria Callas?

Sia Maria Callas che Angelina Jolie possiedono una grande presenza scenica, brillano davanti alla macchina da presa e illuminano tutti gli ambienti in cui si muovono. La loro enorme umanità è quasi tangibile. Angelina non ha dovuto sforzarsi di essere Maria Callas e trasmettere la sua caratura perché già la possiede. Per sei o sette mesi si è preparata molto seriamente alla parte. Le ho detto che la migliore preparazione per questo personaggio sarebbe stato mettersi a cantare. Inoltre, Angelina possiede quella fragilità, sensibilità e intelligenza che fanno la differenza. La vedi scomparire nel ruolo, e il pubblico si immerge nel film dimenticandosi molto velocemente di lei. Ovviamente per far questo occorrono non solo un talento immenso, ma anche una grande dedizione, disciplina e vulnerabilità.

Può descrivere il modo in cui Angelina Jolie ha imparato il canto lirico?

È stata proprio questa la difficoltà, fare un film su Maria Callas con la propria voce… Perché mai farlo senza? È un elemento essenziale, ovviamente. Angelina ha affrontato diversi stadi di preparazione. All’inizio ha studiato con professionisti del canto lirico, con cui ha corretto la postura, la respirazione, il movimento e l’accento. Cantava opere e arie molto specifiche, per lo più in italiano. Bisogna cantare nel modo giusto, trovare le giuste tonalità e questo significa essere in grado di seguire la melodia e cantarla bene. Abbiamo registrato la sua voce e la sua respirazione. Ci sono momenti nel film in cui ascoltiamo Maria Callas con un frammento di Angelina. Altre volte Angelina è più preponderante della Callas. Ci sono tracce variegate con diverse voci. Angelina si è messa in gioco in prima persona, non solo per accrescere la veridicità del film ma anche per compiere il giusto percorso come attrice.

Può descrivere il metodo con cui è stata utilizzata la voce di Angelina Jolie?

L’unico modo era farla cantare realmente, in sincronia con la Callas, ad alta voce. Nel missaggio le due voci si mescolano in modo molto organico. Non c’è alcun miracolo di tecnologia, Angelina ha cantato realmente e il suono è stato registrato in un certo modo. Angelina si è esibita anche davanti a 200 persone o 500 figuranti, cantando con la propria voce. Io avevo le cuffie, perciò ascoltavo l’orchestra, la Callas e Angelina e facevo una sorta di missaggio live. Ma Angelina era nuda, metaforicamente parlando, dal punto di vista vocale, di fronte a centinaia di persone. All’inizio è stato difficile, quasi si scusava con la troupe ma tutti le dicevano: “Dai, sei bravissima. Continua così”. Tutti hanno apprezzato sia la sua bravura che il suo coraggio.

 

Angelina Jolie, interprete di Maria Callas

Perché ha voluto recitare il ruolo di Maria Callas?

Ho incontrato Pablo Larraín molti anni fa. Gli ho espresso la mia stima e il mio desiderio di poter lavorare con lui, prima o poi. Quando mi ha contattato per “Maria”, ho apprezzato la serietà del casting. Pablo sceglie sempre attori che siano adatti al ruolo e che sappiano bene cosa fare. Inoltre, sono una grande ammiratrice del lavoro di Steven Knight: ha scritto un copione originale, dalla struttura insolita. Insieme a Pablo ha compiuto scelte coraggiose riguardo la narrazione, scelte che rivelano un grande talento.

 

Come si è preparata al ruolo?

Le aspettative di Pablo erano altissime, e voleva che cantassi. Ho preso lezioni per sei o sette mesi prima di riuscire a cantare veramente, e ho studiato l’italiano per immergermi completamente nel mondo dell’opera, per comprendere ciò che cantavo e rendere le scene verosimili. Non c’era un altro modo per farlo. Quando un attore inizia a recitare, c’è sempre qualcuno che gli chiede “Sai cavalcare? Sai parlare questa lingua?” e gli attori rispondono sempre di sì e poi devono darsi da fare per imparare. Quando Pablo mi ha chiesto se sapessi cantare, ho risposto di sì, ma lui ha preteso che imparassi il canto lirico perché il mio volto e le mie espressioni dovevano essere verosimili. Ma apprendere il canto serviva anche a comprendere Maria Callas, a calarmi nel suo personaggio. La musica è stata la sua vita, così come il suo rapporto con la voce e il corpo, il suo talento, la sua presenza scenica, il suo contatto con il pubblico. Sono questi gli elementi per capire la Callas.

 

Com’è stata l’esperienza di imparare a cantare in quel modo?

A dir la verità è stata una terapia di cui non pensavo di aver bisogno. Non avevo idea di quanta energia trattenessi. Quindi la sfida non è stata tanto tecnica quanto emotiva perché ho dovuto imparare a cercare la mia voce, a trovare un contatto con il mio corpo, a esprimermi.  Ho dovuto dare tutta me stessa. Quando i cantanti lirici esprimono il dolore, non è una cosa superficiale, ma scavano a fondo, dentro di sé. Sono emozioni totalizzanti, che li avvolgono completamente, devono avere un atteggiamento di apertura e cantare con la voce più forte che hanno.

 

Dice che Maria Callas è stata al suo fianco sulla scena. Cosa prova per questa artista dopo aver trascorso tanto tempo con lei?

Le voglio molto bene. Mi commuove e sono felice di aver avuto l’opportunità di mostrare il suo lato più umano. Maria era molto miope: le lenti che indossava quando era già adulta rivelano che fosse quasi cieca. Da giovane non poteva esibirsi con gli occhiali sul palco, era inaccettabile, doveva quindi memorizzare tutto ciò che cantava. Solo da questo possiamo renderci conto di quale forza di volontà possedesse. Da giovane era stata spinta verso il canto dalla madre e nel corso del tempo è stata in grado di raggiungere livelli eccelsi che hanno profondamente cambiato la lirica. Ma da adulta le cose sono cambiate, e il pubblico l’ha criticata e ha subito enormi pressioni. Credo fosse molto sensibile, perché non è possibile esprimere tutte quelle emozioni senza possedere una grande sensibilità.

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Hot Ones Italia

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Dopo il grande successo negli Stati Uniti arriva lo show con domande in “salsa piccante”. Condotto da Alessandro Cattelan dal 23 dicembre in esclusiva su RaiPlay

“Hot Ones”, serie statunitense di grande successo, arriva in Italia e sbarca in esclusiva su RaiPlay da lunedì 23 dicembre con la conduzione di Alessandro Cattelan. Come negli Stati Uniti, dove il programma è giunto alla sua venticinquesima edizione, i protagonisti dello show – personaggi del cinema, della Tv, dello sport , della musica e dei social media – verranno intervistati dal conduttore davanti a un piatto di alette di pollo (con un’alternativa vegetariana/vegana). Durante le interviste di circa trenta minuti tra carriera e vita privata – arricchite da foto e tanti filmati – Cattelan e i suoi ospiti mangeranno le alette di pollo condite con salse progressivamente sempre più “hot” che aiuteranno ad abbattere ogni ritrosia e diffidenza, con reazioni spesso divertenti e sempre imprevedibili. Divertimento e spontaneità sono i principali ingredienti di questo nuovo original condotto da uno showman a tutto tondo come Alessandro Cattelan e che piacerà al pubblico di RaiPlay – commenta Maurizio Imbriale, direttore di Rai Contenuti Digitali e Transmediali – Il format, versione italiana di un programma di successo americano che conta milioni di visualizzazioni su YouTube, permetterà allo spettatore di conoscere meglio personaggi noti e amati e scoprirli senza inibizioni.” Grande l’entusiasmo del conduttore: “Hot Ones è un format che da tempo seguo su YouTube – aggiunge il conduttore Alessandro Cattelan – e che mi ha sempre divertito molto, tanto che in una puntata di “Stasera c’è Cattelan” lo abbiamo riproposto per una intervista, dichiarando apertamente l’ispirazione e… ci è arrivata una diffida! A quel punto mi è sembrato giusto contattare la casa di produzione dicendo che invece che diffidarmi, dovevano farmelo condurre. Direi che il resto è storia.”

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Stanotte a Roma

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Un viaggio inedito ed emozionante nelle atmosfere notturne della città eterna. Una serata evento prodotta da Rai Cultura, in onda mercoledì 25 dicembre su Rai 1

Dopo “Stanotte a San Pietro”, dedicato alle meraviglie del Vaticano, Alberto Angela torna nella Capitale di notte, per un dialogo a tu per tu con le meraviglie della Roma antica, barocca e contemporanea, quando la città avvolta nel silenzio torna a rispecchiarsi nella sua storia millenaria. Tanti i set notturni esplorati, da Castel Sant’Angelo alla scalinata di Trinità dei Monti, dal Campidoglio al Pantheon.

Roma illuminata dalla Luna, che cosa ha aggiunto la notte al suo sentimento verso questa città?

Immaginatevi di incontrare un amico in mezzo alla folla, con la gente che ti passa a fianco da ogni parte, oppure di passeggiare di notte, quando non c’è nessuno. È ovvio che subito cambia tutto. Sotto la luna c’è un’intimità diversa. Roma è così, di notte ti parla in modo molto più diretto, e ti riesce a fare capire tante cose che, distrattamente, nel giorno non vedi.

Che cosa ci dobbiamo aspettare da questo nuovo viaggio?

Un viaggio del desiderio. Vedremo le cose che la gente desidera vedere di Roma, dal Colosseo al Foro romano, dalla Roma papalina a quella di Anna Magnani, di Aldo Fabrizi, di Alberto Sordi, che ci ospiterà a casa sua. Già, Alberto non c’è più ma è come se fosse sempre rimasto lì. Quando si è in quella casa si scopre il suo mondo, e anche lui sembra riemergere, davanti a te. Nel corso della serata incontreremo tanti artisti che ci accompagneranno in questo viaggio, come Claudio Baglioni, che suonerà dentro il Colosseo, ci saranno Tosca, Antonella Ruggiero, Edoardo Leo, Eleonora Abbagnato, Emanuela Fanelli che sarà con me davanti alla Bocca della Verità. Con lei ci troveremo in una situazione che ricorda molto quella di Audrey Hepburn e Gregory Peck in “Vacanze romane”, Vespa compresa. Solo che il giro sarà di notte. Con le inquadrature notturne sembrerà di entrare in una fiaba, in cui tutto è più magico, proprio come in un presepe.

Per “Stanotte a…” quello di Roma è però un ritorno…

Abbiamo fatto una prima Roma che è quella del Vaticano, questa volta mostreremo le cose che la gente si aspetta insieme a quelle che non si aspetta. Incontreremo anche Giancarlo Giannini, che questa volta sarà semplicemente se stesso e racconterà la sua Roma. Sono molto affezionato a Giancarlo, l’unico attore italiano, insieme a Rodolfo Valentino, ad avere una stella sulla Hall of fame a Hollywood.

Non mancheranno le sorprese…

C’è il volto dei desideri e quello dei super desideri, luoghi che non potresti mai vedere pur venendo a Roma come turista. Andremo nella zona dell’Alberone, nel quartiere Appio Latino e vi porteremo sottoterra. Lì, sotto a un edificio degli anni Cinquanta c’è un’immensa catacomba. La definisco così impropriamente, perché non è solo una tomba cristiana, ma il luogo di sepoltura di una grande famiglia romana in cui c’erano membri ebrei, cristiani e pagani. È una tomba gigantesca che ospita tanti affreschi tra loro differenti. Se rappresentano Ercole, lì era sepolto un pagano, se rappresentano l’Antico Testamento lì c’era un ebreo. È senza alcun dubbio una delle cose più belle del sottosuolo di Roma. Non è visitabile ed è aperta ai soli studiosi: un luogo da Indiana Jones. Ecco, lì porterei volentieri Harrison Ford (sorride).

Nei suoi programmi ha sempre cercato di alzare l’asticella. Qual è stata questa volta la sua sfida personale?

Affrontare cinque settimane al freddo per le riprese (sorride). Scherzi a parte, la sfida questa volta è quella di riuscire a rappresentare la realtà il più vicino possibile a come è realmente, mostrare il vero volto di questa città, trasmettere a chi ci seguirà le atmosfere che abbiamo percepito realizzando la puntata: quando cammini di notte sui sampietrini di un vicolo del centro l’emozione è grande. Senti il solo rumore dei tuoi passi, o dell’acqua di un nasone che cade sul selciato. Devi trasferirle con il cuore queste atmosfere. Noi ci stiamo provando e l’impegno è di tutti, dal regista Gabriele Cipollitti allo staff ci hanno messo tutti il cuore.

Dalla Roma antica a quella contemporanea, qual è il fil rouge che unisce i momenti di questa storia millenaria?

È molto semplice. Roma nasce in un luogo particolare, all’altezza dell’Isola Tiberina, che era il punto più facile da guadare. Le popolazioni che stavano da una parte e dall’altra si incontravano lì: dove ci sono strade ci sono incontri, scambi di merci. E lì è nata Roma, proprio nei pressi della Bocca della verità, lì si tramandava l’abitudine di fare commercio, tra il foro Boario, mercato animale, e il Foro Littorio, quello dei legumi e della frutta. Roma non nasce, come altre città, da una comunità chiusa, che lì fa casa, ma attraverso l’unione di genti diverse. Roma nasce per mettere insieme persone dalle idee diverse, dalle religioni diverse. Sin dall’anno zero della sua reale fondazione, che va molto più indietro di quella che pensavano fosse i romani, riunisce persone che venivano da luoghi diversi. All’età di Nerone, potevi probabilmente definire l’80 per cento della gente extracomunitaria, eppure erano romani. Accadeva anche nella Roma medievale, papalina. Ed è così ancora adesso, pensiamo ai turisti, alla gente.

Una città da sempre aperta al mondo…

Mi sono accorto che Roma è come una squadra nazionale, mette insieme tante persone diverse. Il romano è da sempre abituato al convivio, allo stare assieme. A Roma non ci si incontra per mangiare, ma per stare a tavola, anche al ristorante vai per stare con gli altri, poi nel frattempo mangi.

Che Natale sarà quello di Alberto Angela?

Dopo tutte queste fatiche mi riposerò (sorride).

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I fantasmi siamo noi

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«Questa commedia di Eduardo è legata in vari modi alla mia persona ed alla mia famiglia: mio padre ne fu interprete con Sophia Loren, in un film negli anni ‘70, il mio personaggio nella fortunata serie “I bastardi di Pizzofalcone” si chiama Lojacono come il protagonista della commedia di De Filippo, e poi c’è Napoli, che in questi ultimi anni mi ha adottato, richiamandomi a sé tante volte. Ho voluto fare un film rispettoso della scrittura teatrale ma inserendolo in una ambientazione “ghost” e per realizzarlo ho avuto a disposizione attori di altissimo livello come Massimiliano Gallo, Anna Foglietta, Alessio Lapice, Maurizio Casagrande che hanno reso tutto più semplice, permettendomi di divertirmi ed appassionarmi ai loro personaggi» racconta Alessandro Gassman regista della straordinaria commedia di Eduardo De Filippo, un tv movie per Rai 1 in onda lunedì 30 dicembre

La collection De Filippo è un ambizioso progetto di trasposizione filmica dei capolavori teatrali di Eduardo De Filippo, grande protagonista del teatro italiano e internazionale, che impegna la Rai nel suo ruolo centrale di Servizio Pubblico dedicato a custodire e rinnovare la memoria culturale del nostro Paese. Le commedie di Eduardo fondono in un meccanismo perfetto la comicità con l’inquietudine, il ritmo dell’azione con la riflessione e, sotto un’apparente leggerezza, sono in realtà specchio amaro ed ironico della nostra società. Dopo “Natale in Casa Cupiello”, “Sabato, Domenica e Lunedì”, “Non ti pago”, “Filumena Marturano” e “Napoli milionaria!” il progetto continua con “Questi Fantasmi!”, tra le commedie di Eduardo più rappresentate sulla scena internazionale. Ambientato e realizzato nel cuore del centro storico di Napoli, il tv movie mette in scena la crisi del rapporto tra Pasquale Lojacono e la moglie Maria, che va in frantumi tra l’aspirazione al benessere materiale e la concretezza di una vita di continui fallimenti. I misteriosi “fantasmi” entrano nella vita dei due coniugi per metterli di fronte alla necessità di una scelta. In questo mondo di luci ed ombre, costruito tra la solarità degli esterni e dei panorami e le ombre delle numerose stanze dell’appartamento, il regista Alessandro Gassmann ha lavorato per raccontare in primo piano la complessità delle relazioni sentimentali. Sarà nella grande casa in cui si svolge la storia che, alla fine, il protagonista scoprirà la verità: “I fantasmi non esistono. I fantasmi siamo noi.”

 

La storia

Pasquale Lojacono si trasferisce in un grande appartamento insieme alla moglie Maria, in seguito ad un accordo molto particolare con il suo proprietario: in cambio della loro permanenza gratuita nell’immobile, Pasquale dovrà sfatare le dicerie secondo cui la casa è infestata dai fantasmi. Il protagonista diventa il destinatario di regolari somme di denaro elargite da spiriti misteriosi, che ritiene essere particolarmente generosi e solidali. Col passare del tempo, però, si scopre che il responsabile della sua fortuna non è un fantasma ma l’amante di Maria, Alfredo, che vorrebbe metterlo a tacere e pianificare con lei una fuga. A questo singolare triangolo amoroso si aggiungono il portiere Raffaele con la sorella Carmela e la famiglia dell’amante. Ciascuno, a suo modo, sfrutta la nota leggenda sotto lo sguardo ironico e critico del professor Santanna che, dalla finestra dell’appartamento di fronte, osserva e commenta con Pasquale gli inspiegabili avvenimenti.

 

I PERSONAGGI

Pasquale Lojacono (Massimiliano Gallo): anima in pena

Maria, sua moglie (Anna Foglietta): anima perduta

Alfredo Marigliano (Alessio Lapice): anima irrequieta

Armida, sua moglie (Viviana Cangiano): anima triste

Gastone Califano, suo cognato (Tony Laudadio): anima libera

Raffaele, portiere (Maurizio Casagrande): anima nera

Carmela, sua sorella (Gea Martire): anima dannata

 

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BIANCA GUACCERO

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Avventura immensa

Il pubblico e la giuria hanno incoronato la showgirl, insieme al maestro Giovanni Pernice, vincitrice della diciannovesima edizione di “Ballando con le Stelle”. L’intervista del RadiocorriereTv il giorno dopo il trionfo

 

Come è andata la prima notte da vincitrice di “Ballando”?

Non abbiamo dormito, troppa adrenalina, troppi pensieri, troppi messaggi da leggere. La realtà era prepotente (sorride). Questa notte sono stata in un bel frullatore, ubriaca di gioia. Una bellissima nottata in bianco, ma ne è valsa la pena.

 

Cosa prova di fronte all’amore che il pubblico le dimostra e le ha dimostrato votandola fino a notte fonda?

Un’emozione incredibile. Il pubblico è il motivo fondamentale per cui noi facciamo questo lavoro, la cosa più importante è il legame che si instaura, un’alchimia che rimane nel tempo. Sono senza parole, questa coppa è nostra, di tutti.

 

Cosa le hanno insegnato queste lunghe settimane da concorrente in sala prove e davanti alle telecamere?

Sono state l’ennesima prova di quanto il duro lavoro sia fondamentale per raggiungere un risultato. Bisogna superare le proprie paure, le diffidenze, se vuoi fare un salto di qualità nella tua vita, come nella professione, devi lasciarti andare. Per un certo periodo mi ero chiusa in me stessa, anche per paura. Questa esperienza mi ha fatto ritrovare fiducia in me e negli altri.

 

Qual è stato il momento più complesso di queste settimane?

Sin dall’inizio ho avuto paura di farmi male, in questa gara la priorità era stare bene fisicamente. Allenandomi da anni sono stata aiutata dalla mia struttura muscolare.

 

La sua prima fan è sua figlia Alice… quanto ha contato il suo sostegno?

A mia figlia ho spiegato che sarei stata tanto impegnata e che contavo molto sulla sua comprensione. Lei si è sentita coinvolta ed è diventata la mia “coach motivazionale” numero uno, mi ha dato anche un sacco di consigli, invitandomi a tirare fuori ancora di più la grinta e a divertirmi. Mi dice: “Mamma, se non ti diverti si vede”. Alice è molto saggia.

 

“Ballando” ha portato nella sua vita il maestro Giovanni Pernice, un incontro che è andato oltre le aspettative…

Giovanni è stato un altro regalo di questa straordinaria esperienza. Ho aspettato tanto nella vita, ma ora sono davanti a una persona speciale, incredibile, che non si arrende mai, ha una grande tenacia. Io l’ho messo davanti ai miei ostacoli psicologici e fisici, perché sono una persona estremamente diffidente. Lui è riuscito a smontare pezzo dopo pezzo quel muro che c’era tra me e il resto del mondo. Ha fatto un lavoro straordinario.

 

La gioia, la fatica, le emozioni, con quale parola definirebbe questa grande avventura?

Ne ho due: immersa e Immensa.

 

Cosa si sente di dire a Milly?

A Milly dico un grazie gigante, un grazie che non finirà mai. È anche grazie a lei che ho ritrovato tanta luce, Milly è un capitano eccezionale, osservandola giorno dopo giorno ho imparato tanto. Tutta “Ballando con le Stelle” è un gruppo di lavoro straordinario, un ambiente sano e pulito.

 

E alla giuria?

Che alla fine sono stati tutti bravi, anche Guglielmo Mariotto (sorride).

 

Cosa le mancherà di più di “Ballando” e del suo mondo?

Tutto, se ci penso mi viene da piangere e questo lo dico sin dalla prima puntata. A distanza di tre mesi lo confermo (sorride). Ora ci sta riposarsi un po’, ma ho già voglia di ritrovare il mio pubblico.

 

Dal 10 gennaio sarà di nuovo in pista…

Sì, su Rai 1 con “Dalla strada al palco”. Filippo (Nek) mi ha voluto con sé per il venerdì sera di Rai 1, mi ha fatto il grande regalo di dirmi che con me avrebbe portato una quota di varietà nel programma, cosa che mi ha fatto tanto piacere. Cercherò di ripagarlo con tutto il mio impegno. E poi lo farò ballare…

Suona come una sfida…

Lui non lo vuole fare ma sono certa che ci riuscirò… mi piacerebbe vederlo in pista con un “quickstep”, la cosa più difficile che io abbia fatto a “Ballando” (sorride).

 

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Dal sole della Sardegna al ghiaccio di Oslo

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Storie dietro le storie

Dietro le storie narrate in un romanzo c’è sempre la storia di chi quelle parole le ha immaginate, sognate, scritte, pubblicate. Per questo la rubrica “Storie dietro le storie” vuole raccontare autrici e autori che hanno un vissuto “speciale”, un’esperienza che immancabilmente trova spazio nelle pagine dei loro libri. Rossana Porcu (che pubblica con lo pseudonimo Anna D’Alberto) è nata a Cagliari e ama visceralmente il mare, il sole, i profumi della sua terra. Oggi però, e ormai da molti anni, vive e lavora e scrive a Oslo, in Norvegia. «La spinta – racconta – è stata la voglia di realizzare qualcosa di più, il non volermi accontentare di quanto l’Italia offriva lavorativamente. La Norvegia, e non un altro posto, per la realtà sociale pacifica e tranquilla, per l’economia solida, e la vicinanza alla natura, anche nella capitale»

Dietro le storie narrate in un romanzo c’è sempre la storia di chi quelle parole le ha immaginate, sognate, scritte, pubblicate. Per questo la rubrica “Storie dietro le storie” vuole raccontare autrici e autori che hanno un vissuto “speciale”, un’esperienza che immancabilmente trova spazio nelle pagine dei loro libri. Rossana Porcu (che pubblica con lo pseudonimo Anna D’Alberto) è nata a Cagliari e ama visceralmente il mare, il sole, i profumi della sua terra. Oggi però, e ormai da molti anni, vive e lavora e scrive a Oslo, in Norvegia. “La spinta – racconta – è stata la voglia di realizzare qualcosa di più, il non volermi accontentare di quanto l’Italia offriva lavorativamente. La Norvegia, e non un altro posto, per la realtà sociale pacifica e tranquilla, per l’economia solida, e la vicinanza alla natura, anche nella capitale.”

Laureata in ingegneria, appassionata di quelli che chiama i viaggi veri, fuori dalle solite rotte turistiche, pittrice, fotografa e batterista dilettante, Rossana è riuscita a trasporre nella Trilogia di Tzjane la capacità di cogliere il bello, di esercitare curiosità e meraviglia, ma anche di analizzare luoghi, tradizioni, suoni e lingue con approccio antropologico.

Cosa ricorda del primo impatto con quella che sarebbe diventata la sua seconda patria?

Il porto di Oslo, la città sul mare, i gabbiani, insomma l’aria di casa, ma più a nord, con meno auto e più silenzio. Le persone in generale più felici e soddisfatte rispetto all’Italia.

La sua trilogia fantasy è espressione, in qualche modo, del coraggio di lasciare ciò che le era noto per abbracciare l’ignoto?

Sì, dico sempre che il pericolo più grande è restare fermi. Il rimpianto esiste per le cose non fatte, mentre non ci si pente mai di imparare cose nuove.

Senza mai dimenticare da dove si parte. Non è un caso se “Le torri di Cnus”, “Il suono del Teir” e l’ultimo uscito, “Il pifferaio di Kennegalt” prendono slancio da un luogo chiamato Cnus, ovvero dalla Sardegna. Rossana aveva cominciato a scrivere questa storia ancor prima di prendere la decisione di lasciare l’isola e l’Italia per mettere a frutto le sue molte competenze ingegneristiche in Norvegia. Normale che poi le atmosfere scandinave abbiano trovato spazio e suggerito ambientazioni, popoli, linguaggi. E veniamo nello specifico alla Trilogia di Tzjane. I tre volumi – pubblicati dalla casa editrice romana Dei Merangoli – rappresentano una sfida all’interno di un mercato editoriale che ha bisogno di catalogare con precisione ciò che viene proposto ai lettori. Rossana lo definisce un fantasy musicale (sì, la musica ha un ruolo importantissimo) e scientifico (perché la verosimiglianza di alcuni dei manufatti descritti travalica la fantasia per approdare alla scienza) ambientato in mondi che richiamano un tardo Medioevo occidentale. “Decisamente non è un Grimdark” spiega, “ma nemmeno High fantasy perché mancano le battaglie epiche. Forse si avvicina maggiormente ai lavori di Robin Hobb e Patrick Rothfuss, dove i personaggi sono molto approfonditi e più importanti rispetto alla trama. In effetti Hobb e Rothfuss li metto ai primi posti nella mia personale classifica, assieme ad Abercrombie, di cui però non riesco ad eguagliare il pessimismo.”

Difficile stupirsi di quest’ultima affermazione. La personalità e la scrittura di Rossana Porcu/Anna D’Alberto sono luminose anche nei passaggi più difficili e hanno determinato la scelta dei colori delle tre cover: il blu nebbioso dell’incertezza iniziale, il verde denso di una foresta reale ma anche metafora della crescita dei personaggi, l’arancio intenso del sole e della rivelazione del mistero che lega i tre volumi.

La storia in un pitch:

I portali che permettevano di viaggiare tra i mondi sono stati sigillati e un gruppo di studiosi si adopera per ripristinarli. La musica è il filo conduttore che accompagnerà i cinque personaggi principali alla scoperta di se stessi.

La Trilogia di Tzjane è composta da: “Le torri di Cnus”, “Il suono del Teir”, “Il pifferaio di Kennegalt” (Dei Merangoli Edizioni)

Laura Costantini

MASSIMO CAGNINA

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Ciro sembra scritto per me

Seconda stagione ne “Il Paradiso delle Signore” su Rai 1, dove interpreta un barista trasferitosi con la sua famiglia a Milano. Tra segreti, intrighi e innovazioni repentine della società e del costume, il personaggio vive con difficoltà i cambiamenti.  «Ciro è un uomo molto semplice che viene dal sud, dalla terra. Sa ascoltare, ha sempre qualche buon consiglio da dare, una sorta di saggezza sorniona. Per alcuni di questi aspetti si avvicina molto a me» afferma l’attore siciliano

 

Per la seconda stagione interpreta Ciro Puglisi. Le piace il suo personaggio?

Ho avuto una grande fortuna a “incontrarlo”. Per certi aspetti sembra sia stato scritto per me. Mi affascina molto, lo sento molto mio anche se ha alcune caratteristiche che non mi appartengono, come il suo essere retrogrado. Ma è molto interessante il processo con cui riesce a superare le sue fragilità.

Quali sono le caratteristiche di Ciro che le appartengono?

Sicuramente la sua capacità di empatia.  Ciro è un uomo molto semplice da un punto di vista mentale, è una persona che viene dal sud, che viene dalla terra. Sa ascoltare, ha sempre qualche buon consiglio da dare, una sorta di saggezza sorniona. Per alcuni di questi aspetti si avvicina molto a me.

Gli intrighi ne “Il Paradiso delle Signore” coinvolgono anche il suo personaggio. Cosa ci può rivelare?

I grossi segreti di Ciro sono svelati nel corso di questa stagione. Si è trasferito a Milano perché ha dovuto cedere le sue terre, si era rivolto agli strozzini per cercare di ripianare le incombenze che la gestione richiedeva. Altri segreti al momento non ce ne sono perché Ciro è un uomo semplice. Sarono tanti invece gli intrighi che continuano nella grande finanza.

Molto legato alla sua terra, la Sicilia, e alle sue tradizioni. Come si trova Ciro a Milano?

In maniera molto traumatica. Milano era così frenetica, così moderna, piena di innovazioni nella moda, nel costume, nel gusto. Per un uomo che negli anni sessanta proveniva da una Sicilia anche un po’ retrograda, rappresentava un trauma. Inizialmente Ciro si scontrava con le novità, come ad esempio la minigonna, ed essendo padre di due figlie femmine che si affacciavano alla vita, era molto preoccupato.

Ma ad un certo punto sembra aprirsi alle novità di Milano…

In questa seconda stagione è molto migliorato, ha aperto la sua mentalità e ha anche un po’ accettato i cambiamenti.

Lei come ha vissuto nuovi luoghi e nuove abitudini?

Io sono un ramingo a causa del mio lavoro, per le tournée teatrali che ho fatto quasi incessantemente. Nel 2004 mi sono diplomato al Teatro Stabile di Genova e fino al 2020 ho lavorato quasi interrottamente. Essendo poi figlio di un dirigente della Banca d’Italia che veniva spesso trasferito, fin da piccolo ho vissuto una vita movimentata. Sono nato ad Agrigento, cresciuto a Trapani, trasferito a Potenza, poi a Trieste, Pistoia, Firenze. Ogni volta ho cambiato scuola, amici e so cosa vuol dire cambiare cultura e mentalità. Anche per me è stata dura.

Che cosa l’ha colpita di più degli anni Sessanta?

Il fermento che c’era in tutti i settori, anche dal punto di vista musicale. Nella serie facciamo riferimenti continui anche ai brani di Sanremo. In quegli anni si passava dalla classicità alla modernità. Si vivevano cambiamenti che oggi sono scontati.

La ricostruzione di quegli anni sul set è sempre molto fedele alla realtà…

Resto sempre colpito dagli accessori, dai mobili che addirittura mi risvegliano dei ricordi, quelli delle case di nonna e di zia. La ricerca e la ricostruzione fedele, sono un grande pregio di questa serie.

Nella puntata del 31 dicembre ne “Il Paradiso delle Signore”, festeggerete il Capodanno. Che sensazione ha vissuto in questo countdown di 59 anni?

Devo dire che fa un po’ impressione interpretare quel momento proprio a ridosso della stessa data, ma di tanti anni dopo…

La produzione, voi attori, fate entrare gli spettatori in una sorta di macchina del tempo. Qual è la difficoltà maggiore che incontrate?

Recitare una serie di atteggiamenti di Ciro che non mi appartengono. Per me è uno sforzo non indifferente impersonare un uomo che non accetta la minigonna della propria figlia o un brano moderno. Vivendo nel 2024, non riesco neanche a immaginare di dovermi scontrare con cose oggi tanto scontate. Credo che la difficoltà maggiore nell’interpretare quegli anni stia nel cercare di riprodurne lo stupore.

Tra i generi più ricorrenti della sua carriera ci sono soprattutto commedie e ruoli drammatici. In quale si ritrova di più?

La commedia mi è più congeniale. I ruoli drammatici li interpreto sempre con grande interesse e con trasporto. La commedia però mi si confà maggiormente, anche per questioni di caratteristiche fisiche. La conosco meglio.

È uscito nel 2024 “La bocca dell’Anima” con la regia di Giuseppe Carleo dove interpreta il siciliano “Zù Mimì”. Sta lavorando ad altri film per il cinema?

“Il Paradiso delle signore” ci impegna otto mesi l’anno, è quindi difficile inserire altre cose nei quattro mesi che restano. Ma ho avuto la fortuna di vincere un provino per un nuovo film insieme a Lillo Petrolo di “Lillo e Greg”, per la regia di Andrea Jublin, che comincerò a girare a gennaio. Un personaggio molto interessante, drammatico, dentro una commedia che ha anche delle vene di romanticismo.

Oltre la recitazione quali sono le sue passioni?

Nel periodo del Covid mi trovavo in Sicilia e ho deciso di frequentare dei corsi di regia e di direzione della fotografia. Mi sono appassionato a un settore più tecnico e ho realizzato il mio primo cortometraggio, dietro la macchina alla presa. Ho la passione anche per i film d’autore del passato, i classici, e quando ho tempo li divoro.

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Pierluigi Diaco

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In ascolto dell’altro

Tre prime serate per trascorrere le Feste con leggerezza e con la voglia di regalare un sorriso a che, per ragioni diverse, questo sorriso non può permetterselo. Si inizia il 22 dicembre con “BellaFesta per Fondazione Telethon” su Rai 1 e si prosegue il 26 dicembre e il 2 gennaio alle 21.20 su Rai 2. Il conduttore al RadiocorriereTv: «Ho raggiunto la solidità di chi questo lavoro lo fa con senso di responsabilità, spero di proseguire con la stessa passione, con la stessa umiltà e con la stessa costanza che mi ha accompagnato in questi anni»

 

“Bellama’” in prima serata, che festa sarà?

In un periodo in cui gli spettatori e le spettatrici hanno estremo bisogno di fare famiglia durante le feste, noi regaleremo tre prime serate con la nostra famiglia televisiva, quella di “Bella Ma’” che entra nelle case degli italiani tutti i giorni alle 15.27 su Rai 2. Il 22 dicembre, in prima serata Rai 1, si parte con “BellaFesta per Fondazione Telethon”, un programma incentrato sulle emozioni, come ben racconta il sottotitolo “Dal dolore alla gioia”. Ospiteremo gran parte del nostro cast, al quale si aggiungono Alex Britti, Fausto Leali, Drupi, Tazenda, Alberto Bertoli e Michele Zarrillo. Nel corso della serata renderemo omaggio a Pierangelo Bertoli e ad Andrea Parodi, ex leader dei Tazenda scomparso qualche anno fa, ricorderemo con affetto Fabrizio Frizzi, uno dei conduttori che ha condotto più maratone di Telethon, e ospiteremo Valeria Fiorito, la ragazza che ha ricevuto in dono proprio da Fabrizio il midollo, prima che lui morisse.

Una serata ricca…

Nella quale ci sarà spazio per il racconto di chi, in vita, come Giovanni Paolo II e Sammy Basso, ha testimoniato come, affrontando il dolore, un’esperienza negativa possa essere trasformata in un momento di speranza.

E poi…

Si continua il 26 dicembre, con la “BellaFesta” che si sposta nella prima serata di Rai 2, dopo il Tg2. Sarà un confronto generazionale tra cinque coppie (Lino Banfi e la figlia Rosanna, Simona Izzo e la nuora Cristina Congiunti, Nadia Rinaldi e la nipote Maria Isabella Marangoni, Flora Canto e la nonna Diana, e Rosanna Lambertucci con la figlia Angelica Amodei, si sfideranno tra di loro in prove di canto e ballo. Rossella Erra estrarrà i numeri per far giocare le coppie familiari in gara, il cast di boomer e generazione Z di “BellaMa’” in studio e tutto il pubblico in platea), avremo un super ospite come Christian De Sica, che canterà e racconterà come passa e ha passato le feste in famiglia. Nella serata del 2 gennaio, invece, il nostro super ospite sarà Albano, che si esibirà con i suoi grandi successi, accompagnato dalla Resident band Infieri. Le coppie “in gara” saranno questa volta Valeria Fabrizi e la figlia Giorgia Giacobetti, Maria Teresa Ruta e il genero Mirko Gancitano, Licia Colò e la figlia Liala Antonino, Alba Parietti e il figlio Francesco Oppini e Gabriele Cirilli con il figlio Mattia. Anche questa serata si chiuderà con un ballo di gruppo, animato dai Los Locos, che suoneranno i loro grandi successi e, immancabile l’oroscopo dell’astrologo Jupiter per dire cosa aspettarci dal 2025.

La partenza della festa, però, è all’insegna della ricerca. Cosa significa per lei impegnarsi in una serata dedicata a Telethon?

Innanzitutto, significa onorare i 35 anni di Telethon, un marchio di garanzia, e poi cercherò di mettermi nei panni di chi, grazie alla Fondazione e attraverso i fondi sulla ricerca, ha trovato le soluzioni importanti per uscire fuori dai propri problemi fisici. E poi… significa onorare una quantità di operatori Telethon che in questi anni hanno continuato silenziosamente a fare il proprio lavoro, che non è circoscritto solamente alla settimana in cui c’è la maratona con Rai, ma è uno sforzo che dura tutto l’anno. Mi piace, dunque, l’idea di rendere loro omaggio, sono operatori di pace, perché, in fondo, si occupano della serenità interiore delle persone che devono affrontare delle malattie geneticamente rare.

Il suo “Bella Ma’” è in perfetta sintonia con le linee guida del Servizio Pubblico. Come interpreta questo ruolo?

Con professionalità e con garbo, rispettando tutte le opinioni e utilizzando un buon vocabolario nella conduzione e nell’esposizione orale dei concorrenti e degli opinionisti. E poi la leggerezza, che è un valore fondamentale. Il mio compito è entrare in punta di piedi nelle case, costruire ogni giorno un prodotto godibile, rispettoso e leale del pubblico, che sia in grado di regalare allegria al pubblico che ci segue.

In particolare, durante le feste…

Dobbiamo considerare che, purtroppo, non tutte le persone possono permettersi un Natale sereno, ecco perché si deve entrare a casa della gente con delicatezza, rivolgendosi in particolare alle persone che vivono quel senso di solitudine o di smarrimento, e che fanno fatica a trovare serenità nelle proprie famiglie. Il mio pensiero durante queste tre puntate speciali è rivolto a tutti coloro che non potranno trascorrere il Natale con le stesse emozioni di chi è più fortunato, di chi può contare su un lavoro o su una famiglia sempre pronta a sostenersi. Gli italiani sono un popolo straordinario, ma non dobbiamo dimenticare che davanti al video ci sono persone con storie diverse, belle o meno belle, e il nostro compito è regalare un sorriso, soprattutto a chi questo sorriso non se lo può permettere.

“Bella Ma’” è un programma di successo, un po’ come un figlio che diventa grande. Che cosa si aspetta dal futuro di questo programma?

Di andare avanti a lungo. A marzo inizieranno i provini per la quarta stagione e siamo tutti desiderosi di proseguire questo lavoro. Per me “Bella Ma’” può essere il programma che mi accompagna fino alla fine, mi piacerebbe che la Rai offrisse a questo format una lunga serialità. Io vado in onda sempre senza una scaletta, immagino dunque un “Bella Ma’” sempre in evoluzione, esattamente la società, il Paese.

Come sono cambiati nel tempo i suoi sogni e obiettivi professionali?

Faccio questo mestiere da trentatré anni, avevo quattordici anni quando ho iniziato con la radio, oggi ne ho quarantasette e non mi sono mai fermato. Come tutti, ho commesso degli errori, ma da questi ho cercato di imparare e, ora che ho raggiunto la solidità di chi questo lavoro lo fa con senso di responsabilità, spero di proseguire con la stessa passione, con la stessa umiltà e con la stessa costanza che mi ha accompagnato in questi anni.

Qual è l’insegnamento più grande che ha ricevuto da questo mestiere?

Ho imparato a capire sempre di più le ragioni degli altri, a rispettare i diversi punti di vista, ma soprattutto il mio lavoro mi ha insegnato a mettermi in ascolto. A volte è più importante ascoltare che parlare.

Come sarà il suo Natale?

Io sono un tradizionalista, trascorrerò le feste con la mia famiglia, con la mia mamma e le mie sorelle, con i nipoti e con mio marito…

È un uomo di radio e di tv, qual è il suo personale augurio alla nostra azienda?

Auguro che continui a investire e a valorizzare le sue risorse interne, perché in Rai ci sono figure professionali eccellenti, ed è importantissimo dar loro valore. Le risposte, se guardiamo con attenzione, sono tutte in casa.

Se potesse fare un tuffo indietro nel tempo nella tv che è stata una grande tv del passato, dove si collocherebbe?

Mi sarebbe piaciuto lavorare accanto a Gianni Minà a Blitz, il mio programma preferito.

 

 

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La valanga azzurra

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“La Valanga Azzurra” ripercorre la parabola irripetibile della nazionale italiana di sci alpino degli anni ’70, guidata dal leggendario tecnico Mario Cotelli e capitanata da campioni come Gustavo Thoeni e Piero Gros. Attraverso successi che hanno riscritto la storia dello sport italiano, come la conquista di cinque Coppe del Mondo e numerose medaglie tra Olimpiadi e Mondiali, il documentario celebra le rivalità interne, i contrasti caratteriali e i sacrifici che hanno reso invincibile questa squadra. Le testimonianze inedite dei protagonisti, intrecciate alla narrazione di Giovanni Veronesi, che rivela in questa occasione i suoi trascorsi di aspirante campione fanno rivivere l’epopea unica di un ciclone sportivo, dagli esordi gloriosi fino a un inevitabile declino. Il documentario andrà in onda lunedì 30 dicembre in prima serata su Rai 3

 

Dimmi cos’era la Valanga…

In montagna negli anni Settanta l’Italia insegnava a sciare al mondo, vinceva tutto, e sulle code degli sci metteva due corazzate alpine come Austria e Svizzera. Un successo dopo l’altro, dalla portata e dalla forza di una Valanga, che non poteva che essere Azzurra. Sotto la regia di un uomo dalle straordinarie intuizioni come Mario Cotelli, direttore tecnico azzurro, e sulla scia di un fuoriclasse assoluto come Gustavo Thoeni all’alba di quel decennio nasce quella che sarà la squadra italiana più forte di sempre. Il raccolto è copioso: i ragazzi di Mario Cotelli e del loro allenatore Oreste Peccedi, un papà sulla neve, portano al di qua delle Alpi ben cinque Coppe del Mondo (quattro con Gustavo Thoeni e una con Piero Gros) e dodici medaglie tra mondiali e olimpiadi. Un ciclo irripetibile, un’età dell’oro che cambierà per sempre la storia di questo sport nel nostro Paese. Ma in uno sport individuale come lo sci quella della Valanga Azzurra è anche la storia di una squadra, di un gruppo. Straordinario pure questo. I vari Gustavo Thoeni, Piero Gros, Fausto Radici, Stefano Anzi, Giuliano Besson, Tino Pietrogiovanna, Erwin Stricker, Rolando Thoeni, Helmuth Schmalzl, Franco Bieler, Paolo De Chiesa, Herbert Plank e una donna, Claudia Giordani, diventano idoli per una generazione che in camera affigge i loro poster: Lo sci, da sport di nicchia e pratica di snobismo per una élite di pochi privilegiati con il maglione griffato, i pantaloni a tubo, occhiali da sole e cremine per il visage, diviene un fenomeno di massa che riversa sulle piste migliaia e migliaia di praticanti…

 

Il regista Giovanni Veronesi racconta

«Non avevo mai saputo paragonare lo sci a qualcos’altro e poi, un giorno, mio fratello Sandro scrisse un romanzo, XY, e lì ho imparato a farlo: Sciare è come scrivere senza punteggiatura senza virgole né punti senza vincoli né cancelli sciare è libertà assoluta e curva dopo curva con le cosce che ti bruciano essere felici. Io sono uno sciatore mancato, dicono i miei amici. Io invece dico “fallito”. Non ho fatto altro che sciare fino a 14 anni, gara dopo gara, per diventare un campione e non ce l’ho fatta. Questa è la spinta più forte che mi ha convinto a raccontare la storia della Valanga Azzurra. Quelli sono davvero i miei miti, sono quello che io avrei voluto essere nella vita, sono Me dentro. Facendo questo documentario ho chiuso per sempre il cerchio. Ho messo la parola fine alla mia esperienza sugli sci e non andrò mai più a sciare. Ho deciso, che è giusto così, che raccontare una storia del genere deve avere uno scopo privato, deve anche essere un’esperienza personale e io la farò essere la mia ultima volta. Raccontiamo le imprese di atleti come Gros e Thoeni, che portarono lo sci ad essere in quegli anni il secondo sport nazionale dopo il calcio e mi sono dato da fare per tirar fuori dalle bocche di gente zitta, tutte le emozioni, le invidie e i sentimenti che regnarono nei cuori coraggiosi di quei campioni senza tempo. Sono andato a sciare con loro e ho cercato, nelle chiacchierate sulle piste e in seggiovia, di estrarre la vera natura del campione, quella del virtuoso, quella del sacrificio di un’infanzia diversa, quella che si esprime e viene fuori solo curva dopo curva senza virgole né punti, senza scrupoli né ostacoli, sciando accanto alla tua ombra al ritmo di un “click” che ti fa curvare solo in quel punto, né un attimo prima né uno dopo, così come accade nella musica dove chi va fuori tempo “inforca”. C’è la neve nei miei ricordi c’è sempre la neve e mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare.»

 

I PROTAGONISTI (foto)

MARIO COTELLI

«Il boss», come lo definì il grande Alfredo Pigna…

 

ORESTE PECCEDI

Il papà. Allenatore della Valanga Azzurra, Oreste Peccedi è uno dei più importanti personaggi della storia dello sci alpino italiano…

 

GUSTAVO THOENI

Il campionissimo, classe pura e cristallina come le placide acque di un laghetto alpino…

 

PIERO GROS

La mia banda suona il rock. Gioventù ribelle, gli anni Settanta nell’anima: capello lungo spettinato, aria sfrontata e irriverente, in pista un classico centravanti di sfondamento che, con gli sci ai piedi, scatenava tutta la sua potenza…

 

PAOLO DE CHIESA

Il «bocia» della Valanga Azzurra: con Thoeni, Gros, e Radici, compone il nostro quartetto d’archi in slalom…

 

HERBERT PLANK

“Manubrio”, così lo chiamava Mario Cotelli, per la posizione delle braccia che assumeva in discesa…

 

FAUSTO RADICI

Il gentleman. Privo di vista da un occhio, fare sci a quei livelli era già un miracolo, ma Fausto Radici va oltre…

 

ERWIN STRICKER

Il «Cavallo Pazzo» della Valanga Azzurra…

 

FRANCO BIELER

Valdostano di Gressoney, l’uomo dalle commozioni cerebrali, tre per la precisione, e sempre in discesa libera. Lui non fa una piega e ci ride su…

 

TINO PIETROGIOVANNA

Era in Polizia, e lo chiamavano “il Colonnello”, ci vedeva poco e doveva sciare con gli occhiali. Questo non gli ha impedito di collezionare due podi in Coppa del Mondo…

 

STEFANO ANZI & GIULIANO BESSON

I gemelli diversi li metti insieme, pronunci i loro nomi all’unisono, perché insieme son sempre stati e insieme hanno condiviso tutto, nel bene e nel male…

 

HELMUTH SCHMALZL

L’intellettuale della compagnia…

 

ROLANDO THOENI

Genio e sregolatezza in piena regola. Gran talento, amava la vita…

 

MARCELLO VARALLO

Milanese di nascita, ma la Val Badia è la sua terra promessa…

 

CLAUDIA GIORDANI

La ragazza della Valanga Azzurra, che aprì la strada alla Valanga Rosa…

 

INGEMAR STENMARK

Il più grande di sempre, inarrivabile…

 

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SARÀ SANREMO

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Obiettivo Ariston

Tappa finale per selezionare le Nuove Proposte 2025. Sei giovani in gara sul palco del teatro del Casinò in prima serata su Rai 1, Rai Radio 2 e RaiPlay con Carlo Conti e Alessandro Cattelan 

Sfida finale per gli artisti di Sanremo Giovani. Dopo cinque appuntamenti e tante sfide dirette, i magnifici sei, selezionati dalla Commissione Musicale composta da Ema Stokholma, Carolina Rey, Manola Moslehi, Enrico Cremonesi e Daniele Battaglia (insieme a Carlo Conti e Claudio Fasulo, giurati fuori onda), dovranno affrontare l’ultimo esame per fregiarsi del titolo di Nuove Proposte 2025. Solo tre di loro, insieme al vincitore della sfida diretta tra i due finalisti provenienti da Area Sanremo, avranno infatti questa opportunità. In gara Angelica Bove, Alex Wyse,  Mew, Selmi, Settembre, Vale Lp e Lil Jolie, mentre per Area Sanremo a calcare il palco saranno Etra e Maria Tomba. L’appuntamento è per mercoledì 18 dicembre con Carlo Conti e Alessandro Cattelan in diretta in prima serata su Rai 1, ma anche su Radio2 e Raiplay. Nel corso della puntata, in onda dal teatro del Casinò della Città dei fiori, saranno svelati anche i titoli dei brani dei big in gara a febbraio nella 75esima edizione del Festival della Canzone italiana.

 

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