Da sabato 9 aprile Rai4 esplorerà un’inedita Inghilterra di fine ’800 con l’attesa serie mistery. I sei episodi, che compongono la prima stagione della serie, saranno trasmessi alle 16.00 il sabato e la domenica per tre settimane
Nella Londra vittoriana, Eliza Scarlet rimane al verde dopo la morte misteriosa di suo padre, noto investigatore che le ha lasciato più debiti che averi. La donna, non convinta dal referto del medico legale, inizia un’indagine personale sui fatti che hanno portato alla morte del genitore. Per errore, Eliza viene ingaggiata da un cliente di suo padre e così decide di continuare l’attività investigativa. L’ispettore William Wellington, noto come il Duca, grande amico del padre di Eliza, sulle prime scettico circa la scelta della ragazza arriverà a cambiare idea ed addirittura ad aiutarla nelle sue indagini. Cogliendo una sagace mescolanza di generi, che va dall’investigativo classico alla commedia rosa, la serie creata da Rachael New e diretta interamente da Declan O’Dwyer si approccia al period drama con grande originalità, sottolineando soprattutto la disparità di genere che vigeva all’epoca, tanto in Inghilterra quanto in altri Paesi. Il personaggio di Eliza Scarlet, interpretato da una brillante Kate Phillips, è particolarmente svantaggiato dal suo essere donna, per di più in età-limite da marito, ma l’aiuto di William Wellington farà cadere tanti pregiudizi in merito alle capacità della ragazza.
In casa Battaglia è Viola, simpatica e un po’ naif, caratteristiche che hanno immediatamente affascinato la giovane attrice piemontese: «Mi sono affezionata subito a questa ragazza, mi hanno conquistato la sua leggerezza e la sua ironia»
Sono molto contenta, la serie sta andando bene e i commenti
sono positivi.
Ci
racconta il suo incontro con la giovane Viola?
Mi sono affezionata subito a questa ragazza, fin dalla
lettura della sceneggiatura. È sicuramente un personaggio che si discosta dalle
cose fatte fino a ora, mi hanno conquistato la sua leggerezza e ironia. Mi è
subito parsa una bella possibilità. Anch’io amo ridere, divertirmi e, diciamo
la verità, personaggi femminili simpatici non ce ne sono tanti.
Simpatica e anche un po’ naif. Cosa nasconde questa
ingenuità?
La decisione di fare un lavoro “comune” appare come una non
scelta, Viola viene tacciata di essere pigra, inconcludente. In realtà, questa
è una scelta profondissima, radicata, molto consapevole. Ha deciso di fare un
lavoro che non è centrale per la vita, ma che le permette di coltivare altri
interessi, di vivere anche il lavoro secondo il suo modo di essere. Per la mia
generazione il tema del lavoro è centrale, noi siamo stati educati a costruire
una carriera, a identificarci completamente con il nostro mestiere, mentre io
trovo molto coraggioso quello che lei fa.
Come interagiscono tra di loro le sorelle Battaglia?
Si amano moltissimo e, pur mantenendo la loro diversità,
hanno un dialogo continuo. I caratteri si esprimono in maniera diversa, ma la
base è sempre la stessa, si comprende subito che la matrice è identica: ironia
tagliente, affrontare la vita a modo duro.
Qual è stato lo scambio tra la sua personalità e quella del suo
personaggio?
Ogni attore presta una parte del proprio vissuto ai personaggi
che deve interpretare, compresi i pregi e i difetti. Alcune caratteristiche
dell’attore, entrando in contatto con i personaggi, esplodono, sono messe in
risalto e brillano in un modo particolare. È il grande dibattito, è l’attore
che va verso il personaggio o il contrario? Credo che, come tutte le cose, la
verità sia nel mezzo, è un bell’incontro e uno scambio.
Un pezzo di strada di Viola è molto simile alla sua
esperienza personale: figlia di professionisti che si allontana dalle orme
familiari per recitare. Cosa l’ha spinta a questa scelta?
Fino a un certo punto ero convinta che avrei fatto l’avvocato,
sono anche andata a studiare all’estero, in Australia, per imparare l’inglese e
iscrivermi a un corso per tentare la carriera negli arbitrati internazionali. Mi
sarebbe piaciuto lavorare in quell’ambito ma, a un certo punto, ho avuto la
sensazione che la mia strada fosse già scritta, che stessi percorrendo i binari
che gli altri si aspettavano da me. Ho mollato tutto all’improvviso, ho voltato
completamente pagina. I miei genitori sono stati meravigliosi, nonostante fosse
una scelta totalmente contraria alle loro aspettative, mi hanno ascoltata e si
sono fidati. È stata una grandissima prova d’amore.
E poi?
Forse all’inizio non erano contentissimi, mi hanno confessato
che il loro scetticismo derivava non dal fatto che non credessero in me, ma che
non avevano la minima idea di come funzionasse questa realtà, delle prospettive
sul futuro. Abbandonare studi già avviati sembrava proprio un salto nel buio,
soprattutto in un momento economico difficile. Alla fine, anche il mio papà si
è messo a suonare il piano, e ora facciamo i concerti di Natale insieme. È convinto
che sia stato lui a trasmettermi i geni artistici.
Tante le voci femminili di questo racconto, molto diverse tra
loro. Quale di queste risuona meglio in lei?
Sicuramente quella del personaggio che interpreto, soprattutto per un fatto anagrafico. Tutti i personaggi però sono scritti così bene che rappresentano perfettamente le generazioni di cui parlano. Viola è il riflesso della mia generazione, la sento vicina nelle sue azioni. In tutti c’è un aspetto, una battuta, un modo di fare, un qualcosa in cui ciascuno di noi può riconoscere un pezzettino di sé.
Alessandro Preziosi e Matilde Gioli sono i protagonisti del nuovo film di Fausto Brizzi, nelle sale dal 7 aprile
Al cinema, da giovedì 7 aprile, la nuova commedia diretta da Fausto Brizzi prodotta da Luca Barbareschi e da Rai Cinema, che porta sullo schermo un turbolento e divertente gruppo di lattanti insieme agli adulti che si prendono cura di loro. Alessandro Preziosi è Luca, uomo affascinante e perspicace, costretto a quarantacinque anni a lavorare all’interno di un asilo nido in una grande azienda, la Green Light, dopo una vita a inseguire il successo senza alcun risultato. Tra i suoi sogni c’è sicuramente Silvia (Matilde Gioli), splendida e giovane madre in carriera: ogni mattina i due si incontrano all’asilo, quando la donna lascia il piccolo Martino nelle mani di Luca e delle sue colleghe Celeste (Maria Di Biase) e Doriana (Chiara Noschese). I tre, ogni giorno, si trovano ad affrontare i piccoli dei dipendenti della Green Light, tra continui pianti, urla e l’impossibilità di instaurare un vero rapporto di comunicazione con i bambini, incapaci di parlare. O almeno così, fino al giorno in cui Luca, a casa dell’amico e scienziato Ivano (Massimo De Lorenzo), mangia un omogeneizzato alla platessa “contaminato” e appena ritirato dal commercio. Il giorno dopo, tornato all’asilo dopo una notte insonne, le voci incomprensibili dei bambini diventano per Luca parole di senso compiuto: con suo grande stupore, li sente parlare. Da qui, insieme ad Ivano, gli viene l’idea per una nuova App “Bla Bla Baby”, con cui diventare finalmente ricco usando il nuovo “dono” per i suoi scopi.
Da lunedì 4 aprile torna su Rai3 con “Fame d’amore” mentre venerdì 8, in prima serata su Rai 1, conduce “Ci vuole un fiore” con Francesco Gabbani. La domenica pomeriggio, sempre sull’ammiraglia Rai, è al timone di “Da noi… a ruota libera”. Tra i volti più popolari della Rai, si racconta al RadiocorriereTv: «Sempre curiosa, concreta e pronta a mettermi in discussione»
Partiamo dalla serata speciale che Rai1 dedicherà a ciò
che abbiamo di più caro, la nostra Terra. In che mondo ci accompagnerà, insieme
a Francesco Gabbani, l’8 aprile?
Ci faremo insegnare come si fa a prendersi cura del
nostro Pianeta, cercheremo di capire perché è così importante non perdere tempo
e iniziare fin da subito, nella pratica quotidiana, a correggere i nostri
comportamenti. A volte facciamo cose che per abitudine non pensiamo possano far
male a ciò che ci circonda, alla natura, che possano avere un impatto
ambientale. Ecco, renderci conto che le nostre azioni sono sbagliate, per poi
correggerle, è già il fine di questa serata. Ovviamente facendo una riflessione
più ampia sulla bellezza del nostro Pianeta e su quanto ci convenga
proteggerlo, nonostante tutto, in questo momento, remi in direzione contraria. A
maggior ragione c’è bisogno di dire: attenzione, guardate dove stiamo andando.
“Ci vuole un fiore” è anche un brano scritto da Gianni Rodari,
Sergio Endrigo e Luis Bacalov, che emozioni prova nell’ascoltarlo?
Mi hanno insegnato questa canzone da bambina, mi piaceva
ma non ne capivo proprio il senso. Mi dicevo: come si fa a fare tutto con un
fiore? Ecco, il significato profondo delle cose che diciamo, delle cose che
dovremmo fare, a volte non lo capiamo. E non capiamo nemmeno il valore che
abbia un fiore. Invece tutto si trasforma, tutto può rinascere, tutto può dar
vita a qualcos’altro.
Perché su una tematica vitale come l’ambiente è spesso
difficile passare dalle buone intenzioni ai fatti?
Principalmente per pigrizia e poi perché non tutti
vogliono prendere coscienza che effettivamente, intorno a noi, qualcosa sta
cambiando. Eppure, è evidente quando diciamo che fa troppo caldo in pieno
inverno, è evidente quando vorremmo andare in montagna e non c’è la neve. Così
come quando arrivano temporali fuori stagione e ci mettono in crisi. La natura
ci sta richiamando all’ordine, ci chiede un po’ di attenzione. Grazie a Greta
Thunberg e a tanti altri giovani, che ci chiedono di darci una sveglia, stiamo
prendendo coscienza. Però i passi da fare sono tanti, in termini di
consapevolezza. Saranno i giovani di Friday for Future a insegnarci la strada,
li ascolteremo più volte nel corso della serata. Sono tra le persone che hanno
più da insegnarci, che più di tutti hanno capito quanto sia importante
preservare il Pianeta per preservare il futuro.
Quanto c’è di green nella sua quotidianità?
Innanzitutto, cerco di non fare uso di plastica, che è
ovunque. Quando vado a fare la spesa, se posso rinunciare a un prodotto il cui
packaging ha tanta plastica, lo faccio, cerco l’alternativa. La lavatrice la
faccio solo a carico pieno, utilizzo saponi compatibili con l’ambiente o a
basso impatto ambientale. Ho iniziato a usarli biodegradabili già da diversi
anni. Su una cosa ancora mi rimprovero, ed è l’utilizzo dell’acqua. Cerco anche
di mangiare sano, bio, per non sfruttare troppo la terra, cerco di rinunciare
alla carne, se non quando strettamente indispensabile, per non incentivare gli
allevamenti intensivi. E poi cerco di essere meno consumista possibile, anche
per quanto riguarda gli abiti, utilizzando le stesse cose fino a quando non si
esauriscono nella loro funzione. Uso poco la macchina, i lunghi viaggi li
faccio sempre in treno. In città invece uso il motorino elettrico.
Una vita dedicata a solcare le onde, a battere record, a testare rotte. Tra i più audaci velisti al mondo, non ha mai smesso di affrontare ogni nuova avventura con rispetto: «Non penso affatto che si possa vincere una sfida con il mare: se decide di non lasciarti passare non vai lontano». È uno dei protagonisti dei viaggi tra le eccellenze italiane di “Tech.Emotion” su RaiPlay
Che ricordo ha del suo primo viaggio in barca
a vela, del primo vero incontro con il mare?
Avevo otto anni e la barca su cui navigavo
con la mia famiglia venne circondata di notte da un banco di balene che
sentimmo respirare per ore. Ero atterrito dalla paura e incantato dal richiamo
al tempo stesso. Non è un ricordo del primo viaggio, ma è il ricordo di quando
per la prima volta ho davvero capito che siamo solo una piccolissima parte di una
dimensione più grande, la prima rivelazione sulla Natura.
Lei è conosciuto anche per le tante regate in
solitaria, cosa significa affrontare da soli il mare?
È una bella sfida soprattutto con se stessi,
sicuramente ti mette alla prova: quando sei solo puoi solo prendertela con te
stesso e siccome fai molti errori è decisamente educativo.
Vivere il mare a vela è sinonimo di pieno
rispetto per l’ambiente. Cosa ha capito di più del mare in tanti anni di
“frequentazione”?
La barca è un mezzo che utilizza energia
rinnovabile per spostarsi e questo è uno dei motivi per cui mi è sempre
piaciuto viaggiarci. Sei in un piccolo mondo che riproduce e sintetizza tutti i
problemi del mondo e alla fine le soluzioni che si possono trovare sulla barca
per ridurre sprechi, problemi energetici, carenza d’acqua, sono soluzioni
applicabili anche a terra.
Tra i suoi obiettivi un monitoraggio sempre più
approfondito dello stato di salute del mare, anche grazie a tecnologie
innovative, quale contributo intende dare compatibilmente con la situazione
geopolitica attuale?
La comprensione di quello che succede nel mare, e in generale sul Pianeta, è fondamentale per ordinare le priorità, la ricerca quindi ha un ruolo cruciale. L’installazione a bordo di un apparecchio in grado di monitorare la CO2 in superficie è proprio volta a raccogliere dati preziosi e importanti per la ricerca. Visto che la barca naviga su rotte non commerciali, le informazioni che sapremo trasmettere possono rappresentare un contributo utile.
Sta vivendo una lunga avventura insieme a
Hervé Barmasse, cosa ha imparato dal suo compagno di viaggio? E cosa invece gli
ha insegnato?
Hervé è una persona speciale che ha fatto
grandi viaggi e avventure in montagna, e anche nel mare se l’è cavata benissimo
e si è rivelato un timoniere nato. Mare e montagna sono mondi speculari ma
vicini e questa traversata dell’Oceano insieme è stata l’occasione per confrontarsi
molto anche sull’impatto ambientale degli sport che ognuno di noi fa. È stato super
interessante.
La musica l’accompagna in ogni momento della sua giornata insegnandole a non mollare mai. Del suo personaggio dice: «Ho amato follemente Cate, per lei ho avuto tanta compassione, non quella cristiana, ma quella buddista, nel senso del prendersi cura». “Noi”, la serie diretta da Luca Ribuoli, è in onda la domenica in prima serata Rai 1
Un cult
americano che diventa un progetto italiano ambizioso. Com’è andata?
È stata la primissima esperienza televisiva, arrivata in un momento
surreale delle nostre vite. Le riprese sono cominciate all’inizio del 2021,
dopo un anno di stallo per tutti. Non avevo poi fatto in tempo a superare la
paura di voler intraprendere questo mestiere, che fino a poco tempo fa mi
vedeva impegnata per lo più a teatro, che mi sono dovuta porre la classica domanda
della bicicletta: “Chissà se ci saprò ancora andare”. All’inizio è stato
piuttosto strano, ma grazie al regista Luca Ribuoli, mi sono confrontata con un
cast di attori splendido, ma anche con un gruppo di tecnici e maestranze unico.
Ci siamo sentiti subito tutti in famiglia, protetti. È stata un’avventura
bellissima che mi ha permesso di superare anche i miei pregiudizi verso il
mondo della televisione.
In che
senso?
Il mondo del cinema dipinge quello della tv in una maniera
spesso ambigua, popolato da persone che si fanno ripicche, un ambiente di
squali. Dopo questa esperienza, posso dire che non è così.
Conosceva
“This is us”?
A febbraio 2020 sono stata chiamata per il primo provino, una
settimana dopo il mondo si è bloccato. Non avendo nient’altro di meglio da fare
(ride), ho passato la quarantena in compagnia di tutte le stagioni disponibili
della serie, ovviamente me ne sono innamorata e quando mi hanno chiamato per il
call back, ero talmente gasata che ho pensato subito: “mi devono prendere, questo
ruolo deve essere mio.”
Cosa l’ha
convinta di “Noi”?
Molto banalmente la semplicità della trama. I continui salti
temporali sono un espediente interessante ma, in un mondo in cui si cerca di stupire
l’altro facendo il triplo salto carpiato all’indietro, magari bendato e su un
piede, è davvero interessante meravigliarsi davanti alla semplice messa in scena
dei sentimenti umani. In questo caso quelli di una famiglia tradizionalmente
non convenzionale. Questa cosa mi ha stupito, ho detto vedi com’è facile in
realtà raccontarci l’umanità, basta farlo senza troppi fronzoli.
Quando un attore si trova a maneggiare sentimenti che già
nella scrittura sono così potenti, perché comunque ci riguardano tutti, che
tipo di sfida bisogna affrontare?
È interessante avere a che fare con delle emozioni vive, è un po’ come togliersi la pelle. Questo è uno dei motivi per cui ho iniziato a fare questo mestiere, trovare personaggi belli da interpretare, con emozioni vere, reali. Seppur nella sofferenza, Cate, come tutti i personaggi di “Noi”, vive grandi drammi, è stato bello mettere le mani in quel magma nero, tirarne fuori qualcosa di soddisfacente. A volte capitano ruoli bidimensionali, privi di un mondo dietro particolarmente interessante e, alla fine, finiscono nel dimenticatoio. Qui, invece, ogni personaggio nasconde una vita pazzesca, parlano di me, di noi. Qui c’è tutta la genialità del titolo, se dico voi sto mettendo una distanza, se dico loro oltre la distanza c’è un giudizio, se dico Noi mi ci sto mettendo in mezzo. Questa è la potenza del racconto, non riguarda solo i Peirò, è la storia di tutti, dell’Italia, dell’umanità. Alla fine, tutti viviamo le stesse tragedie, solo che non ce lo diciamo e ci sentiamo soli, se ce lo dicessimo, magari ci sentiremmo un po’ più compresi e comprenderemmo meglio l’altro.
La seconda volta nei panni di Olivia nel nuovo capitolo di “Volevo fare la rockstar”, in onda il mercoledì su Rai 2. Il RadiocorriereTv incontra l’attrice veneta che racconta: «Ritrovare la cifra molto forte della prima volta non è stato poi così difficile. Ho rivisto tutte le precedenti puntate e, quando ci siamo rincontrate, ci siamo riscoperte cresciute entrambe»
In questi due anni sono successe tante cose alla sua Olivia,
da dove è ripartita “Volevo fare la Rockstar 2”?
Olivia è sempre una ragazza problematica, con una sfera
sentimentale non risolta, anche se è certamente cambiato il suo approccio nelle
relazioni. È ancora speranzosa, ma la sua strada inizia in salita perché, come
abbiamo già scoperto, Francesco frequenta un’altra donna, un colpo difficile da
accettare per Olivia, perché per due anni ha vissuto in un mondo tutto suo, proiettando
desideri evidentemente solo suoi.
Qual è il fuoco centrale di questa seconda stagione?
Dal rapporto di Olivia con le sue brulle. Sono ancora piccole
e bisognose della figura materna, ma sono entrate pienamente nell’adolescenza
e, dopo il rapporto ritrovato con la nonna paterna, interpretata meravigliosamente
da Angela Finocchiaro, rifiutano la madre come figura di riferimento. Nice è
benestante, ha cultura, esercita il suo fascino sulle ragazze, i loro occhi
brillano quando sono con la nonna, rendendo a Olivia la vita sempre più
difficile. Questo solleva in lei molti dubbi sul suo ruolo, sente il peso dei
continui paragoni. L’altro nodo cruciale è il tema della cultura. Olivia, come
sappiamo, non è riuscita a diplomarsi e ora, dopo l’arrivo di Silvia (Anna
Ferzetti), un’altra donna di grande intelligenza e preparazione, si iscrive alla
scuola serale perché sente la necessità di raggiungere questo obiettivo, di
recuperare.
Le seconde stagioni solitamente comportano una maggiore
confidenza con il proprio personaggio. Quale sintonia ha ritrovato con Olivia?
Ritrovare la cifra molto forte della prima volta non è stato
poi così difficile. Ho rivisto tutte le precedenti puntate e, quando ci siamo
rincontrate, ci siamo riscoperte cresciute entrambe. È vero, Olivia continua a
fare qualche scivolone infantile, ma è maturata, in particolare nella gestione
delle figlie e nel rapporto con Francesco, è meno impulsiva.
Compito dell’attore far brillare il ruolo che è chiamato a
interpretare, cosa le ha lasciato questo personaggio?
Olivia è stata importantissima per me, un regalo poterla interpretare, prima di tutto perché mi ha riportato al Nord. Sono veneta, ma è come se, in qualche modo, avessi rinnegato le mie radici da bambina. Sono andata via da Verona 10 anni fa, mi sentivo quasi più del Sud, con questa serie ho avuto modo di ritornare in quei luoghi. Penso al Friuli come un Veneto al quadrato che mi ha riportato all’infanzia, mi ha riconnesso con una parte di me che avevo lasciato indietro, dandomi la possibilità di recitare, per la prima volta, con la mia cadenza. Questo apre mondi nuovi, emozionanti. La lingua lega alla sfera emotiva più di quanto non ci accorgiamo.
Protagonista di “Studio Battaglia”, il legal drama del martedì di Rai1, e presto sul set del nuovo film di Nanni Moretti, l’attrice slovacca naturalizzata italiana si racconta al RadiocorriereTv. Nella vita, come nel lavoro, per lei la parola chiave è empatia: «Cerco sempre la complicità, non la metto mai sulla competizione. Per me è importante essere in buoni rapporti, creare energia positiva»
Il
suo pubblico ha ormai conosciuto Anna, come sono stati i primi commenti che ha ricevuto?
Non
uso i social, non sono molto connessa (sorride), il mio feedback nasce
da un contatto più diretto, quello degli amici, dei fans, che incontro al
mercato, al bar, sotto casa, ed è stato positivo.
Ci
parla del suo incontro con il copione e con il suo personaggio?
Dopo
aver visto la prima stagione della versione inglese, un prodotto perfetto,
l’idea del confronto mi dava un po’ di timore. Ma a un certo punto si deve andare
oltre, perché siamo in un’altra realtà, diversa, sia dal punto di vista
giudiziario che familiare. Senza nulla togliere alla serie inglese noi siamo
riusciti a dare un elemento in più, il calore. Forse perché ci sono più
situazioni sentimentali, cosa che ritengo un valore aggiunto. C’è maggiore
umanità. La serie britannica è un po’ fredda, prevalgono gli spazi degli uffici,
la nostra fa vedere il focolare, la casa, in cui, nel caso di Anna, si
sgretolano le certezze in cui credeva, situazione con la quale deve fare i
conti.
Anna
tiene uniti saldamente il cuore e la ragione, anche nel lavoro, quanto si riconosce
in lei?
Nel
modo di approcciarsi agli altri, al lavoro, mi assomiglia molto. Anch’io ho
bisogno di entrare in empatia con i colleghi, con il regista, è una cosa che mi
aiuta moltissimo. Cerco sempre la complicità, non la metto mai sulla
competizione. Per me è importante essere in buoni rapporti, creare energia
positiva, un ambiente sereno in cui empatizzare con gli altri, proprio come fa Anna
con i clienti e con gli avversari. Penso che se ci fossero più persone così in
tutti gli ambienti il mondo sarebbe migliore, un po’ più umano.
Avrebbe
mai fatto l’avvocato?
Non
credo, in questo sono distante anni luce da Anna. Non sarei in grado, per certi
versi sono abbastanza insicura. Penso che serva maggiore freddezza, un po’ di
pelo sullo stomaco, credo che non avrei mai vinto una causa (sorride). È
un mestiere che non avrei mai scelto.
Amori
che nascono, altri che finiscono, non da avvocato ma da donna, quando si
capisce che un sentimento è un amore vero?
Credo
che un vero amore si riconosca dal fatto che non riesci a stare senza una
persona, quando ne senti la mancanza. Credo che ci si possa innamorare
pochissime volte nella vita, l’amore vero non capita spesso.
Una
storia in cui le donne sono le vere protagoniste, che rapporto è nato con le sue
colleghe di lavoro?
Molto
bello. Con Miriam (Dalmazio) e Marina (Occhionero), le mie
sorelle nella serie (Nina e Viola), abbiamo una chat che abbiamo
chiamato “sisters”, in cui passa di tutto, c’è anche tanto gossip (sorride).
La mia vita sociale ce l’ho, ma con le persone che incontro sul mio cammino, con
le quali mi piace mantenere i rapporti. È nata una bella amicizia,
essendo la più grande, la “sorella” maggiore, cerco di dare anche qualche
consiglio utile per la loro carriera, che sicuramente sarà fortissima, perché
sono due bravissime attrici. Ci confrontiamo sulle cose della vita quotidiana,
sui provini, sui registi.
Gli
ultimi due anni hanno stravolto le nostre vite, nuove consapevolezze, nuove
paure, ma anche nuova forza, cosa ha rappresentato per lei questo periodo?
C’è stanchezza mentale, come credo accada alla maggior parte delle persone. Dopo questi due anni ritrovarsi con una guerra in corso è un colpo che non mi sarei mai aspettata. Mi chiedo quando finirà tutto questo. A preoccuparmi è il fatto che un po’ mi sono adagiata anch’io in questa solitudine, in questo modo di parlarci solo al telefono, con le piattaforme: c’è sempre un filtro con le altre persone. Sono molto ligia al dovere, alle regole che ho sempre rispettato, e tutt’ora sono molto prudente, anche perché mi rendo conto che il virus non è sparito. Ci deve essere una via d’uscita, un giorno in cui si tornerà di nuovo a stare con gli amici a fare gli aperitivi, a invitare a cena le persone. Tutto questo l’ho un po’ abbandonato.
Il racconto dei grandi fatti attraverso le voci dei protagonisti. Il sabato alle 8.30 su Rai Radio1 l’approfondimento in diretta con Enrica Belli e Pablo Rojas
“Sabato anch’io”, novità della stagione radiofonica in corso, è ormai un punto di riferimento per gli ascoltatori…
PABLO: Per Rai Radio1 era importante presidiare la fascia con un’informazione in diretta anche il sabato, stando sulle ultime notizie e proponendo due interviste di attualità, tagliate principalmente sulla politica.
ENRICA: In questo periodo è molto importante, alla mattina, dare conto di quello che sta succedendo nelle notti ucraine e quindi riprendere il filo del racconto con gli inviati, provare a fare un po’ di analisi. Nelle due interviste che proponiamo agli ascoltatori cerchiamo di avere, in diretta, i protagonisti della settimana.
PABLO: Chiamarci in modo simile a “Radio anch’io” dà conti-nuità a Radio1 rispetto a un marchio importante e ci rende più riconoscibili.
ENRICA: Il pubblico di Radio1 è attento, con opinioni forti, ha un grande interesse nei confronti dell’attualità, di quello che succede.
Che cosa significa raccontare questo inizio 2022?
PABLO: Siamo a cavallo tra la pandemia e il conflitto in Ucraina, in mezzo c’è stato il Quirinale, tre eventi che ci hanno consentito di avere un racconto molto denso. È nelle emergenze che il giornalista ha la possibilità di dimostrare l’importanza di questo mestiere. E ha il dovere di stare in prima linea.
ENRICA: La particolarità di questi tre fenomeni è che si sono mangiati tutto il resto. Prima, con i giornali radio, abbiamo fatto un’informazione tutta incentrata sul covid, quindi c’è stata una fase sulla dinamica politica, spiazzante nel suo finale. Adesso i nostri giornali sono tutti concentrati sull’Ucraina nelle sue varie declinazioni, nei suoi mille risvolti: il campo, il fronte diplomatico, l’economia, la questione profughi, quella culturale.
Argomenti che hanno monopolizzato totalmente l’attenzione dei media e del pubblico…
ENRICA: Dagli ascoltatori questo è stato in parte anche subìto. Nei giorni del Quirinale le persone meno appassionate di politica erano anche stufe di sentirne le minuzie. L’informazione veniva un po’ accusata di questo. Adesso no, la guerra in Ucraina si prende tutta l’attenzione e in questo momento viene riconosciuta la necessità di un racconto completo.
Che cosa vi deve lasciare un’intervista perché da giornalisti possiate considerarvi soddisfatti?
PABLO: Una notizia, siamo soddisfatti se l’ospite riesce a dirci qualcosa che non ha detto prima, ad annunciarci un evento che sta per accadere. Così come se ci fa entrare in realtà che conosciamo poco con un approccio emotivamente profondo, questo ci lascia qualcosa. Recentemente ci è accaduto con una ragazzina di Nettuno, che è un po’ la Greta Thunberg del Friday for future italiano, che ci ha raccontato tutti i suoi gesti quotidiani per contribuire al miglioramento dell’ambiente.
ENRICA: Mi piace quando accanto alle notizie emerge l’umanità delle persone, la loro singolarità. Il primo gennaio, in occasione di uno speciale dedicato ai vent’anni dell’euro, abbiamo ospitato il professor Romano Prodi. Insieme all’analisi sulla politica economica, sulla geopolitica, ci ha raccontato anche un aneddoto sul Capodanno di vent’anni prima, quello che vide l’entrata in circolazione della moneta unica, dicendoci che il primo acquisto che fece con l’euro fu un mazzo di fiori per la moglie Flavia.
PABLO: È accaduto anche con il ministro Roberto Cingolani. Gli abbiamo chiesto come stesse il suo robottino, l’umanoide che aveva progettato in un laboratorio di Genova prima di diventare ministro. Ci ha risposto con nostalgia e affetto verso questa creatura.
L’attore che nella serie di Rai1 interpreta il ruolo del figlio adottivo dei Peirò si racconta al RadiocorriereTv: «Non decidi tu dove nascere, ma decidi di quali persone circondarti: la famiglia può essere la scuola, l’oratorio, la comunità»
Cosa
l’ha portata a prendere parte a questo progetto?
La
storia del mio personaggio, Daniele.
Cosa
c’è di “speciale” in lui?
È un uomo realizzato, che a 34
anni decide di rimettersi in gioco cercando il suo vero padre. È
sempre stato il suo chiodo fisso, nonostante sia stato abbandonato. Ha messo da
parte l’orgoglio ed è andato a cercarlo. Questo l’ha reso molto umano.
Che
cosa ha pensato una volta letto il copione e “conosciuto” Daniele?
Questo
sono io (sorride), mi sono riconosciuto in tante sue caratteristiche. Ho
capito che il personaggio poteva essere una mia versione 34enne.
Che
cos’è per lei la famiglia?
Non
deve esserci per forza un legame di sangue. La famiglia la puoi anche
scegliere. Non decidi tu dove nascere, ma decidi di quali persone circondarti:
la famiglia può essere la scuola, l’oratorio, la comunità.
Cosa
significa per un attore dare forma a sentimenti potenti come quelli raccontati
in “Noi”?
Vuol
dire avere anche coraggio. Con Daniele ho dovuto affrontare aspetti che, come
Livio, non avevo ancora indagato. Calandomi nei suoi panni sono stato costretto
ad andare a fondo, a guardarmi allo specchio.
Cosa
porterà con sé di questa esperienza?
Siamo stati una bellissima famiglia sul set e anche fuori. Finito il lavoro ci si ritrovava a casa dell’uno o dell’altro per stare insieme, per mangiare una pizza. Tutti, anche dopo dieci ore di lavoro. Ho amato girare la serie, ma molte emozioni sono proprio legate ai momenti di condivisione. Di fronte a tutto questo, a questa grande sintonia, ho ricordi davvero bellissimi.
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