Giorgio Tirabassi

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L’ironia è la mia pelle

Sessant’anni compiuti da poco, una carriera ricca di soddisfazioni, il piacere di divertire e intrattenere il proprio pubblico. Il RadiocorriereTv intervista l’attore romano protagonista di “Liberi Tutti”, diretto da Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, in onda da sabato scorso su Rai3. «La serie crea un pretesto comico per fare ridere con la trasgressione, con il politicamente scorretto – afferma – È come ridere in classe durante la lezione, è puro divertimento, nello stile di ‘Boris’»

Il suo Michele Venturi è obbligato a mettersi in discussione, a entrare nel “Nido” per non tornare in carcere. Come vede il suo personaggio?

È una tipologia di italiano che esiste da sempre, ce lo hanno raccontato Sordi e i grandi registi della commedia all’italiana. È un avvocato spregiudicato che ama il denaro, il lusso e che viene trovato con svariati milioni di euro in contanti nella propria auto, cosa che non riesce a giustificare. Va agli arresti, ottiene i domiciliari, che sconta nella residenza dell’ex moglie che vive in una comune. C’è il contrasto, forte, tra questi due mondi, tra Michele Venturi e questi idealisti che sono tutti molto disponibili tra loro, politicamente correttissimi, trasparenti, ecologici, salutisti. Loro mangiano tutto a chilometro zero, lui ama il caviale iraniano, anche un po’ a sfregio (sorride).

Un invito a riflettere su quali siano i veri valori?

È cercare un messaggio, ma è soprattutto un pretesto comico, per fare ridere con la trasgressione, con il politicamente scorretto. È come ridere in classe durante la lezione, è puro divertimento, nello stile di “Boris”, infatti “Liberi Tutti” è scritto dagli stessi autori. C’è un umorismo molto efficace, che piace ai giovani, coloro che hanno seguito “Boris” troveranno uno spirito comune. Nella serie si parla principalmente di legalità, di valori e di temi se ne sfiorano diversi: ci sono l’amore, le famiglie divise, la paternità mancata, c’è la vita di mezzo.

Se si fosse trovato, per davvero, al posto di Michele Venturi?

Mi sarei comportato allo stesso modo, senza cambiare una virgola. Quello che metto in scena è lo spettatore che viene a trovarsi in un contesto diverso, non gli ospiti della comune. Michele Venturi è un po’ cinico, ma tutto sommato è come siamo tutti noi, gli ospiti di quella comune sono un po’ fuori dal mondo.

Che cos’è per lei l’ironia?

È la base, la pelle. Sopra ci metti quello che ti pare. L’ironia è fondamentale, verso gli altri e verso se stessi, ma anche verso il potere, verso la propria condizione. La conoscono bene i romani, abituati a convivere con il potere, con il prelato. Pensiamo al Belli, lì dentro c’è tutto, non solo Roma, ma l’Italia. Attraverso certi personaggi del cinema e della Tv abbiamo costruito un’identità italiana. L’Italia l’ha fatta la televisione, non Garibaldi (sorride).

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N. 19 a pag.18

Serie TV Liberi tutti

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Liberi tutti

Dal 9 maggio su Rai3 la serie in dodici puntate interpretata da Giorgio Tirabassi con Anita Caprioli, Thomas Trabacchi, Valeria Bilello, Caterina Guzzanti e Andrea Roncato. Dietro la macchina da presa gli apprezzati sceneggiatori e registi Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo

Michele Venturi è un avvocato d’affari che conduce la sua esistenza senza curarsi più di tanto degli altri. Il suo obiettivo è vivere nella comodità e nel lusso, anche a costo di giocare sporco. Questo fino al giorno in cui viene trovato con 25 milioni di euro nel portabagagli dell’auto. Una volta confermato l’arresto per esigenze cautelari, in mancanza di alternative, finisce ai domiciliari in una “realtà” che non potrebbe essere più lontana da lui: il cohousing o condominio solidale “Il Nido”, fondato e gestito dalla sua ex moglie Eleonora. “Liberi tutti”, serie in dodici puntate, diretta da Giacomo Ciarrapico e da Luca Vendruscolo, è la cronaca dello scontro tra due concezioni di vita.

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N. 18 a pag.26

Domenico Iannacone

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La vita nelle storie minime

Nelle sei nuove puntate di “Che ci faccio qui”, in onda su Rai3 da domenica 10 maggio alle 20.30, il giornalista ricostruisce gli ultimi tratti di un’umanità che subito dopo non sarebbe più stata la stessa. Uno specchio impietoso per guardare dentro di noi, comprendere tutte le nostre omissioni e capire quello che non abbiamo fatto per noi stessi e per gli altri. “Storie di dolore, di emarginazione, ma anche di riscatto – afferma Iannacone – per scrivere le regole di una Nuova Costituzione di tutti gli esseri viventi”

Tornano “Che ci faccio qui” e il racconto del Paese dalla strada. Da dove parte questo nuovo viaggio?

Dai diritti, in buona parte disattesi, di tutti gli esseri viventi, è come se allargassi al mondo la platea delle disuguaglianze che ci possono essere. Riprendiamo dal tema dell’immigrazione facendo ritorno a Rosarno, dove migliaia di braccianti vivono in accampamenti di fortuna e in ruderi abbandonati, senza luce né acqua. Lì ho ritrovato un amico, Bartolo Mercuri, un commerciante di mobili che ogni giorno offre a molti immigrati un pasto caldo e vestiti usati. Le prime due puntate, intitolate “Ogni santo giorno” (capitolo 1 e 2), mi consentono di raccontare la disuguaglianza, lo sfruttamento, il fatto che le persone diventano invisibili quando ci fa comodo, mentre quando ci occorrono ne chiediamo le braccia, il lavoro.

Come cambia il tuo sguardo sulla realtà alla luce dei giorni difficili che stiamo vivendo?

È come se ci fosse uno sguardo su quello che non è stato più lo stesso, come se uno si voltasse allo specchio, si guardasse e si vedesse per come era realmente due mesi fa. E questo atterrisce. Scopriremo la nostra faccia, anche quella che oggi non ci piace. Ho dovuto scrivere dei testi che avessero a che fare con un’osservazione quasi dall’alto, ho pensato a Wim Wenders, a “Il cielo sopra Berlino”, un volo radente per capire quello che si vedeva là sotto.

In questo volo cosa hai visto?

Se ripenso a quella dimensione, penso a una grande ingiustizia del mondo. Abbiamo alimentato una profondissima ingiustizia, quasi umanitaria, non solo legata agli immigrati. Ci siamo piano piano scordati del mondo, tanto è che la mia idea è quella di abbracciare ogni altro tipo di bisogno. Nella terza puntata c’è il tema degli animali, come elemento dell’umanità, ed è un argomento fondamentale. Racconto una storia incredibile, sono andato vicino Roma al “Santuario capra libera tutti”, nato per volontà di un allevatore che a un certo punto ha avuto una conversione. Un giorno, dopo avere venduto degli agnelli per mandarli al macello, ha avuto una sorta di ribellione verso questo modo di utilizzare gli animali e se li è andati a ricomprare. Adesso vive con duecento animali che sono stati salvati dai macelli, non è una dimensione fricchettona ma profondissima. La puntata si intitola “Dalla tua parte”.

C’è un cambiamento in atto…

Prima avevamo gli occhi solo per guardare noi stessi, era tutto autoreferenziale. Oggi abbiamo il problema di dovere pensare al futuro, al progresso, a quella che sarà la nostra vita, quella dei nostri figli, abbiamo il problema anche di immaginarla.

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Duilio Giammaria

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Dopo ogni guerra, il cambiamento

Il RadiocorriereTv incontra Duilio Giammaria, conduttore del programma di Rai2 e direttore della Produzione documentari della Rai. Il popolare giornalista: “‘Petrolio Antivirus’ incrocia le scelte scientifiche, le analizza, le discute. L’informazione non deve prendere decisioni, ma può evidenziare storture e proporre soluzioni”

Cosa significa fare informazione al tempo del Coronavirus?

Fare partecipare i cittadini alla consapevolezza dei problemi che ci sono e alle possibili soluzioni, non semplicemente elencando le questioni, ma trovando il bandolo della matassa. Legittimamente, a nome di “Petrolio”, posso rivendicare il fatto che per primi abbiamo inaugurato la stagione dell’attenzione nei confronti dei test, quando ancora l’OMS e l’ISS dicevano che dovevano essere fatti solo alle persone con sintomi evidenti. Avendo incrociato i dati di Vo’ Euganeo, abbiamo sollecitato tutti al fatto che quell’esperienza ci diceva che c’erano gli asintomatici, così facendo abbiamo incoraggiato anche le politiche della Regione Veneto a essere ancora più assertive. Quando la televisione incrocia le scelte scientifiche, le analizza, le discute e dice: secondo me questa è la linea, aiuta. L’informazione non deve prendere decisioni, ma può evidenziare storture e proporre soluzioni. È tipico dell’informazione impegnata e noi pensiamo di esserlo, e questo ci è stato riconosciuto dal pubblico.

Una televisione capace di dare un contributo fattivo…

Anche sulla Cina e sulla Russia, o sugli errori dell’OMS, siamo stati in qualche modo precursori, nel mainstream televisivo nessuno aveva fatto un ragionamento così. Riuscire a essere propositivi significa arrivare un passo prima che le questioni siano persino percepite dall’opinione pubblica. Un’informazione quasi precognitiva, una forma di intelligenza artificiale.

Da gennaio a oggi, dall’inizio dell’epidemia in Cina alla pandemia globale, sembra passato molto più di qualche mese. Oggi che fotografia ti senti di scattare?

Stiamo vivendo un passaggio epocale. Sin dalla primissima puntata di “Petrolio Antivirus” dissi ai miei collaboratori che avremmo dovuto comportarci come in una guerra, da affrontare in modo monotematico, sapendo che molti degli assunti di quello che facevamo anche noi prima, sarebbero cambiati. E così è stato. Stiamo cambiando il nostro modo di lavorare, e non parlo semplicemente del telelavoro, è qualcosa di più importante. Chiediamo alla società italiana di fare una sorta di autocoscienza, sia a livello politico che sociale, cercando di evidenziare quali sono le cose che non sono andate, che appartengono a una stagione passata e che non possono essere applicate a questa nuova stagione che chiede un cambiamento nella gestione dell’amministrazione, dell’informazione, della vita quotidiana. Tutti noi ci misuriamo su questo e dobbiamo fare in modo che il misurarsi individuale si trasformi in un progetto collettivo e sociale, che ci porti fuori da questa situazione. Traggo la fotografia di una grandissima opportunità di cambiamento.

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Massimo Ghini

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Sono caduto e rinato tante volte

“Quest’anno lo avrei voluto ricordare diversamente, non come una terribile pagina di storia” dice, a proposito dell’emergenza corona virus, l’attore romano che, sulla serie “Vivi e lascia vivere”, afferma: “È un racconto molto affascinante, intrigante, che mescola il noir e il giallo”. E su Elena Sofia Ricci aggiunge: “È come me, una grande lavoratrice e una straordinaria professionista. La adoro, ogni volta che lavoro con lei sembra di andare in vacanza”

Come stanno trascorrendo queste giornate a casa?

Quando da ragazzo lessi “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, non avrei mai immaginato di capirne oggi il senso, quel patimento raccontato (ride). Cerco di fare ironia su una situazione che è al contrario drammatica. Quest’anno lo avrei voluto ricordare diversamente, non come una terribile pagina di storia. Sono a casa con la mia famiglia, trascorro il tempo con tre dei miei quattro figli, i due maschi e Margherita, che con molte difficoltà siamo riusciti a far rientrare dall’Inghilterra. Leggo molto e cerco di partecipare a progetti che sostengano la raccolta fondi per gli ospedali.

Anche in questa situazione dimostra di essere attivamente partecipe della vita pubblica…

La partecipazione è sempre stata un valore importante nella mia vita, ma se rinascessi, vorrei essere solo un artista, perché interessarsi della vita pubblica è quasi una “malattia”.

Come ha trascorso il giorno della Liberazione e la Festa dei Lavoratori?

ll 25 aprile mi coinvolge molto, da sempre, perché sono figlio di un partigiano combattente, deportato in un campo di concentramento. Quest’anno è la prima volta che non ho potuto partecipare alla manifestazione e mi dispiace, ma la ricorrenza ha acquisito un valore ancora più profondo perché, per lo stato di costrizione in cui ci troviamo, aspettiamo tutti il giorno di una nuova Liberazione. Le migliaia di persone che con il loro sacrificio hanno combattuto per la nostra libertà mi fanno riflettere su chi, oggi, in maniera diversa, sta facendo la Resistenza in prima linea: i medici, gli infermieri, le forze dell’ordine. Dovrebbero ricevere la medaglia d’oro al valore civile. Per il Primo Maggio ho invece registrato la lettura del discorso di Giuseppe Di Vittorio (segretario storico della CGIL), un comizio degli anni Cinquanta molto attuale. Il mio pensiero si è rivolto a tutti i lavoratori di questo Paese, in particolare a quelli della categoria a cui appartengo, che stanno soffrendo molto.

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BiancaMaria D’Agostino

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Rispetto e preparazione

Professionalità, dedizione, passione: sono le parole d’ordine per descrivere al meglio l’avvocato BiancaMaria D’Agostino. Si muove con disinvoltura nell’universo Giustizia, complici le innate qualità come il senso di maternità, la ricettività, la tenerezza, l’empatia, la sensibilità, la delicatezza, che la rendono punto di riferimento per le donne in difficoltà, che segue in modo infaticabile.

Un percorso di studi brillante, la laurea in giurisprudenza nel 1991, poi una carriera in ascesa. Avvocato cassazionista, iscritto all’albo degli avvocati del Foro di Avellino dal 1995, titolare dello studio associato D’Agostino – Piciocchi, giudice ausiliario della IV sezione civile della Corte d’Appello di Roma dal 2016. Consigliere di amministrazione del Fondo edifici di Culto, ministero dell’Interno, Dipartimento Libertà Civili e immigrazione. Donna, madre, moglie ma, soprattutto, una giurista instancabile che anche nei giorni dell’emergenza tende una mano, anche con un consiglio alle donne e famiglie in difficoltà. Un unico messaggio preciso: per avere successo serve un’adeguata preparazione

Avvocato D’Agostino, come bisogna comportarsi se si è genitori separati o divorziati nell’era del Covid-19? Quali sono le regole per l’affidamento dei figli durante il periodo del coronavirus e del post emergenza, per rispettare l’equilibrio psico-fisico dei minori?

L’esercizio dell’affido condiviso dei figli minori, in caso di separazione o divorzio dei genitori, non subisce limitazioni in dipendenza dell’emergenza sanitaria in corso, pertanto il genitore non collocatario conserva il diritto di visitare e tenere con sé il figlio nei tempi e con i modi previsti dalle condizioni concordate o  disposte dall’autorità giudiziaria, a meno che non vi siano specifiche e comprovate esigenze di tutela del minore, che andranno verificate e valutate singolarmente. In tal caso, laddove vi sia conflitto tra genitori, occorrerebbe, a mio avviso, far prevalere il buon senso e la ragionevolezza sulla rigida applicazione delle modalità di visita e ciò nel supremo interesse del minore e a tutela del suo diritto alla salute, costituzionalmente garantito. Le modalità di gestione dell’affido condiviso dovranno comunque essere improntate al massimo rispetto delle misure di sicurezza anti contagio previste dalla vigente normativa in materia e, se vi sono oggettive situazioni di rischio, può essere utile sostituire le visite con modalità alternative come Skype o similari.

Stiamo vivendo una fase epocale che entrerà nei libri di storia e anche in questo periodo si sono registrati casi di violenza sulle donne. Cosa serve per scoraggiare questi reati e indurre le donne a denunciare? C’è un caso che ha seguito e le è rimasto impresso nel cuore?

La convivenza, specie se forzata come in questo periodo, in una coppia in crisi favorisce purtroppo la degenerazione patologica e diversi sono stati i casi che alcuna stampa poco accorta si ostina ancora a definire impropriamente “delitti passionali”, laddove di passionale non c’è assolutamente nulla. La prevenzione, a partire dalle scuole, attraverso l’educazione al rispetto della parità di genere, può senz’altro incidere positivamente sul deflazionamento dei reati di violenza sulle donne. Nella mia esperienza lavorativa, uno dei ricordi più vividi è rappresentato dall’immagine sofferente, ma piena di dignità e compostezza, di una ragazzina vittima di violenza sessuale, addirittura denunciata per calunnia dal suo violentatore,  mentre veniva chiamata davanti al pubblico ministero a dimostrare di aver detto la verità, sottoponendosi a un interrogatorio davvero imbarazzante: in questo caso la giustizia è stata assicurata con una condanna esemplare per il reo, ma non sempre è così, molte donne preferiscono non dover sopportare le lungaggini e le oggettive difficoltà che un processo comporta. Affinché la donna denunci la violenza subita occorre che percepisca concretamente di essere tutelata dallo Stato, soprattutto nella fase successiva alla denuncia, e tale esigenza è stata in parte garantita dalle disposizioni della Legge n. 69/2019, conosciuta come Codice Rosso, attraverso modalità di audizione della vittima più celeri e realizzate con modalità protette. Più denunce e più condanne costituiranno sicuramente un deterrente e comporteranno verosimilmente una diminuzione di questi reati odiosi.

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Mario Acampa

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Accendiamo il motore della curiosità

Una laurea in giurisprudenza, una brillante carriera da attore e da regista, la passione per la divulgazione e la scrittura. Il conduttore de “La Banda dei Fuoriclasse”, dal lunedì al venerdì alle 9.15 su Rai Gulp, programma realizzato da Rai Ragazzi in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, si racconta al RadiocorriereTv: “A scuola non ero un super nerd, ma ho sempre studiato per capire come funziona il mondo, chi siamo, da dove veniamo”

Si definisce il capobanda de “La Banda dei Fuoriclasse”, come sta andando?

In questo periodo è necessario che i ragazzi sentano la presenza del gruppo che di solito hanno la possibilità di avere quando sono a scuola. Con il nostro appuntamento ricreiamo l’idea di comunità, di classe e ci diamo la missione di scardinare la cassaforte della conoscenza per imparare ogni volta qualche cosa di diverso, in modo speciale. Speciale perché siamo in televisione e possiamo comunicare attraverso le immagini e anche perché possiamo fare affidamento su insegnanti che sono a casa e che si possono collegare con noi attraverso la tecnologia. Il riscontro immediato è molto forte, soprattutto da parte dei piccoli fruitori che sono a casa e che hanno l’occasione di risentirsi di nuovo tra i banchi di scuola.

Cosa ha pensato quando le è stato proposto di ricoprire questo ruolo?

Per il mio percorso artistico, abbastanza vario, mi definisco un “divulgattore”. Ho sempre cercato di proporre gli argomenti stimolando la curiosità, con il buon umore, il sorriso, pur senza buttare tutto in caciara. Quando mi hanno proposto di fare un programma di servizio, di fare scuola in Tv, mi sono sentito giusto.   Insieme all’entusiasmo di fare quello in cui ho sempre creduto, c’è un forte senso di responsabilità. I bambini e i ragazzi sono a casa, sono spaventati perché stanno succedendo cose che forse non hanno ancora ben capito, possiamo solo immaginare quello che provano in questa situazione d’emergenza. Loro devono fare lezione, noi dobbiamo creare il senso di scuola. Nella prima ora, alle 9.15, al mio fianco c’è un maestro, nelle due ore successive ci sono dei professori.

Lei è il filo conduttore tra tanti momenti e nozioni diversi, come si fa a tenere alta l’attenzione di ragazzi e bambini?

Cerco sempre di mantenere attivo il motore della curiosità: con i percorsi studiati per i bambini della scuola primaria, con le mappe concettuali per i ragazzi delle scuole medie. La mappa concettuale è anche un’indicazione ministeriale che aiuta a stimolare in maniera multidisciplinare la connessione di eventi, argomenti e concetti che sono in materie diverse. Se parlo ad esempio di rap, posso collegarlo con tutte le materie, dalla musica alla matematica, dalla storia dell’arte alla geografia. Provo ogni volta a creare una sfida… per conoscere e imparare servono la curiosità e la spinta che consente di superare le difficoltà.

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N. 18 a pag.30

Jovanotti

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Non voglio cambiare pianeta

«Ho fatto un viaggio per prepararmi al futuro e sono tornato impreparato a questo presente, ma ripensando a quei 4.000 chilometri a pedali, mi rendo conto che neanche uno di quei chilometri è andato perduto, perché mai come oggi è chiaro a tutti che la nostra vita è un grande viaggio pericoloso nell’ignoto, anche stando chiusi in casa». Quaranta giorni di pedalate in Sudamerica, più ostinato del vento, del sole, della fatica, immerso totalmente nella natura di un Pianeta bellissimo che dobbiamo proteggere. Jovanotti presenta quello che è più di un viaggio: è un docutrip d’autore, anzi da cantautore. In sedici episodi su RaiPlay

«In un periodo difficilissimo, la Rai non si è fermata, avendo la capacità di mettere in campo nuovi prodotti, nuovi contenuti, innovazione, sperimentazione. Caratteristiche che il servizio pubblico deve avere nel suo DNA. Non solo non ci siamo fermati, ma abbiamo quasi rilanciato». Fabrizio Salini, AD della Rai, ha presentato con orgoglio “Non voglio cambiare  pianeta”, l’avventura umana e sportiva vissuta pochi mesi fa da Jovanotti e ora disponibile su RaiPlay. Tra gennaio e febbraio, mentre a Sanremo si organizzava l’evento musicale più importante del nostro Paese, il Festival della Canzone italiana, la pedalata in solitaria lunga 4.000 chilometri di Jovanotti è diventata un docu-trip in soggettiva, «un’avventura che porterà su RaiPlay le suggestioni di paesaggi unici, brani inediti, pensieri e grandi emozioni», racconta Elena Capparelli, direttore della piattaforma digitale Rai che, come Jovanotti, ne «ha fatta di strada» dal suo lancio con VivaRaiPlay. Il titolo prende spunto da una poesia di Pablo Neruda,  “Il Pigro”, e si presenta come «un regalo bellissimo per chi, soprattutto in questo periodo, non ha la possibilità di muoversi». In sedici episodi di circa quindici minuti ciascuno (15 più 1 dedicato al ritorno), Lorenzo Cherubini non smette, ancora una volta, di sorprendere tutti («mai come oggi è chiaro a tutti che la nostra vita è un grande viaggio pericoloso nell’ignoto, anche stando chiusi in casa»), proprio come aveva già fatto con il “Jova Beach Party”. Un’impresa quasi impossibile, una sbornia musicale senza precedenti che ci ha accompagnato per tutta l’estate 2019. Ripensarci oggi, in tempi di lockdown, emoziona un po’: «Negli assembramenti sono a mio agio, mi scombussola ora doverci rinunciare. A casa, in questi giorni, vivo su una specie di montagna russa di emozioni e di umori», confessa l’artista. Da qui l’idea di rimettersi in movimento «perché mi sentivo non alla fine di qualcosa, ma all’inizio. Ripartire dalla strada è stato il primo pensiero, per rimettermi in contatto con la mia parte più profonda. La natura ha sempre avuto la capacità di riempirmi il cuore».

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N. 17 a pag.8

Francesco Mandelli & Federico Russo

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Ogni rivoluzione parte dal passato

I conduttori di “Revolution” al RadiocorriereTv: “Vorremmo dare un racconto e strappare un sorriso”. E ancora: “La sfida più grande per noi tutti si chiama sostenibilità”. Il giovedì in seconda serata su Rai2

Di nuovo insieme in un programma televisivo, come è andato questo nuovo viaggio?

FEDERICO: Non vedevamo l’ora, era passato un po’ di tempo dall’ultima volta. Siamo amici, ridiamo tanto, ci conosciamo molto bene e questo è un privilegio perché riusciamo ad andare oltre il copione, creando mondi nostri. “Revolution” è un programma perfetto perché, oltre all’intrattenimento, diamo delle informazioni, ci sono il racconto, la divulgazione, in una chiave leggera, ma che a fine puntata ti lascia tanto.

FRANCESCO: Lavorare con Federico è la cosa migliore da fare (sorride). Siamo subito pronti, c’è empatia, come quando i giocatori scendono in campo e fanno immediatamente squadra. Questo aiuta tantissimo. Il programma è viaggio, scoperta, incontro, è un percorso interessante a prescindere dal fatto che si tratti di un programma televisivo. Si vede la nostra vera curiosità nei confronti di chi intervistiamo e penso che questo faccia immedesimare lo spettatore. Il nostro occhio è molto simile a quello di chi segue il programma da casa.

FEDERICO: E poi c’è sempre anche il momento “stupideira”… si comincia a ridere.

FRANCESCO: A quel punto è difficile andare avanti.

Quanto futuro c’era nel nostro passato?

FRANCESCO: Passato e futuro sono strettamente legati. È come guidare l’auto, vai in avanti ma non puoi mai dimenticare di guardare gli specchietti retrovisori. Devi sapere da dove vieni per imparare dagli errori, guardare ciò che hanno fatto le persone che sono venute prima di noi.

FEDERICO: Tutti coloro che abbiamo incontrato, artisti, ricercatori, scienziati, sportivi, sono persone che hanno fatto una rivoluzione nel loro campo, e sono comunque sempre partite dal loro passato. Un grande attore non può prescindere dal cinema con il quale è cresciuto, come uno scienziato non può non conoscere ciò che è stato inventato dai suoi predecessori. Se parli con un creatore di videogames di ultima generazione ti dirà che tutto parte da Pac-Man. Bella l’e-mail, ma chi è che ha inventato la posta?

FRANCESCO: Prendiamo ad esempio due personaggi che abbiamo incontrato in “Revolution”. La chef Isabella Potì parte dalla sua tradizione culinaria per fare cose completamente diverse. Stesso discorso vale per Arturo Brachetti che ha osservato i trasformisti del Novecento e poi si è reinventato rendendo tutto più spettacolare.

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N.17 a pag.26

Alessandro Tersigni

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Sono un po’ Vittorio… e tanto papà

Il RadiocorriereTv incontra l’attore romano, tra i protagonisti più amati de “Il Paradiso delle Signore – Daily” su Rai1: “questa produzione mi ha dato la possibilità di lavorare su un personaggio dall’inizio, di costruirlo, di portarlo avanti”. Una vita tra set e famiglia: “Ho riscoperto il piacere e la stanchezza di seguire un bambino per 15 ore al giorno, stando a casa sto recuperando il tempo perso”

Numeri sempre più importanti quelli de “Il Paradiso delle Signore”, il pubblico vi vuole sempre più bene…

Le nostre storie sono coinvolgenti, siamo ragazzi giovani, raccontiamo cose che potrebbero accadere a tutti nella vita. Certo, ogni tanto andiamo un po’ sopra le righe, ma lo richiede la finzione scenica stessa. Il pubblico si è affezionato molto ai nostri personaggi, e questo virus, che ci ha costretti a casa negli ultimi mesi, ha fatto sì che si siano sedute di fronte al televisore anche tante persone che fino a febbraio non potevano seguirci all’orario di messa in onda su Rai1 e che guardavano “Il Paradiso” su RaiPlay. 

A che punto siamo con la storia e con il suo personaggio?

Vittorio sta combattendo con Marta che si ostina a fare delle cure estreme per avere un figlio, mentre lui, con tranquillità, le chiede di aspettare perché il tempo non manca. La storia però si interrompe, perché a causa dell’emergenza non abbiamo finito di registrare la stagione (sorride).

Come è cambiato nel tempo il suo Vittorio?

Si è evoluto a livello imprenditoriale, ha trovato man forte con Marta che l’ha sostenuto in tante situazioni. Sa di potere osare di più nell’abbigliamento, le idee che aveva avuto negli anni Cinquanta evolvono e si trasformano negli anni Sessanta. Lui porta avanti i suoi progetti, lo fa con il bikini, con delle gonne più corte rispetto a quelle del decennio precedente. Vittorio ha tanti idee e una squadra forte, è diventato davvero un grande imprenditore.

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N.17 a pag.28