Valentina Bisti

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Nei fatti e nel cuore

La giornalista del Tg1, conduttrice di “Uno Mattina” su Rai1, presenta al RadiocorriereTv “Tutti i colori dell’Italia che vale”, edito da Rai Libri in vendita da giovedì 4 giugno. “Sono le storie di un Paese che guarda avanti e che vale la pena raccontare – afferma – In momenti di difficoltà, la speranza si accende anche nelle persone che non l’hanno mai avuta”

Hai deciso di raccontare la nostra Italia attraverso la voce e le vicende di alcuni personaggi, perché proprio loro, perché le loro storie?

Volevo dare il senso di un mosaico che comprendesse gli italiani, ognuno nel proprio campo, storie che potessero raccontare il bello e il buono che c’è nel nostro Paese. Ho cercato di prendere persone più o meno conosciute, che avessero un racconto completamente diverso l’una dall’altra, ma che fossero unite da un filo conduttore: l’entusiasmo, la speranza, il non buttarsi giù di fronte alle avversità della vita, il trovare sempre uno stimolo e la forza per fare meglio.

Tutto nasce a “Uno Mattina”…

L’idea di portare sulla carta le storie di persone che per tutti noi sono veri e propri esempi è nata facendo la rubrica “L’Italia che vale” all’interno del programma. Sin dalle prime interviste ho ricevuto stimoli ed energia positivi da parte di chi ha affrontato momenti davvero forti, difficili, negativi e li ha superati a testa alta. Loro ci mostrano che nulla è impossibile, anche nel momento in cui sei caduto e pensi di non poterti rialzare. Abbiamo visto il giovane nuotatore Manuel Bortuzzo, sulla sedia a rotelle, con il sorriso, con la voglia di andare avanti, di lottare. Così come i genitori dei ragazzi morti nella Grenfell Tower a Londra, oggi impegnati nella raccolta di fondi per aiutare giovani a realizzare i loro progetti di studio all’estero. Penso anche a Daniela Rambaldi, figlia del creatore di “E.T.”, Carlo, una donna in gamba, che porta ai giovani d’oggi, abituati alla realtà virtuale del cinema, l’esperienza di uno dei più grandi artigiani del grande schermo. Volevo raccontare i colori del nostro Paese.

C’è un colore predominante nell’Italia di oggi?

Il verde, il colore della speranza. Abbiamo fatto tanti sacrifici, ci siamo messi in gioco, abbiamo imparato a convivere con un virus che non conosciamo ancora del tutto. La speranza è che quanto fatto ci porti a vivere in un mondo migliore, o a scoprire dei valori nuovi. Ci fanno ben sperare le parole di Eugenia Carfora, la preside di ferro di Caivano, che ogni giorno va a prendere per strada i bambini per portarli a scuola. L’avevo intervistata prima del lockdown, ma ho voluto chiamarla per chiederle come andassero le cose adesso, con la scuola chiusa, e mi ha raccontato come i ragazzi, anche quelli più difficili, abbiano dimostrato di volere dare una mano alla società, portando ad esempio la spesa a casa a chi ne aveva bisogno. In momenti di difficoltà, la speranza si accende anche nelle persone che non l’hanno mai avuta e che si rimettono in gioco.

“Tutti i colori dell’Italia che vale” racconta storie di vita difficili, talvolta drammatiche. Dove si trova, dopo tanto dolore, la forza necessaria per guardare il mondo con fiducia?

Da molti dei racconti ho capito quanto sia importante la presenza di una famiglia. I miei intervistati sono persone che negli affetti hanno trovato grande sostegno. E poi c’è il carattere, la determinazione a non arrendersi. Lucia Annibali mi ha detto di avere iniziato a pensare a se stessa. Sono persone normali, le loro storie potrebbero essere quelle di ognuno di noi. Ad accomunare questi personaggi è il fatto che nessuno di loro vuole farsi chiamare eroe.

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Veronica Maya

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Il futuro è già oggi

La popolare conduttrice è su Rai2, dal lunedì al venerdì alle 16.10, con “L’Italia che fa”, il programma che racconta i mondi della solidarietà e del no profit, protagonisti fondamentali di una società che cambia. “In passato ci siamo persi tante cose che erano già presenti – afferma – dobbiamo ripartire da ciò che abbiamo dato spesso per scontato”

Come vive il ritorno in Tv in un momento così particolare?

Come una grande opportunità, mi sento fortunata e privilegiata. Ho saputo aspettare e forse sono stata premiata perché io e questo programma ci siamo scelti. “L’Italia che fa” è un progetto aderente a quello che io sono oggi.

Il suo incontro con il sociale ha radici lontane…

Nel mio percorso televisivo l’incontro con la solidarietà è avvenuto con lo “Zecchino d’Oro” all’Antoniano di Bologna, dove sono stata molti anni, e proprio lì mi sono resa conto di come certe cose mi toccassero profondamente, mi emozionassero. Sul fronte personale ci sono invece la consapevolezza di essere una donna fortunata, che ha una famiglia bella, sana, numerosa, e la necessità di dedicarmi a chi ha bisogno di una mano, al mondo dell’infanzia, delle donne, mettendoci il cuore, la faccia, la voce.

L’emergenza Covid ha reso la nostra società ancora più fragile…

Noi tutti, nessuno escluso, siamo stati frastornati da paure e da numeri macabri, ora abbiamo bisogno di tornare alla normalità dei valori, dei sentimenti, dei rapporti, discorso che vale ancor di più per i bambini ai quali sono stati tolti tanti dei loro sogni, dei loro spazi, dei loro diritti. Per quanto siano straordinari nelle loro reazioni, temo che il perdurare di queste modalità possa veramente depauperarli di qualche cosa di prezioso, a partire dall’ambito scolastico.

Il titolo “L’Italia che fa” è un’affermazione importante, quale Paese racconta il programma?

Un’Italia che non si è mai fermata. Il progetto, nella mente e nel cuore degli autori, è nato molto tempo prima dell’arrivo del Coronavirus, ma ora si trova a fare la fotografia perfetta della nostra società e vuole raccontare, per contrasto, qualche cosa di sano, di buono, di positivo, di normale. Quello che vogliamo insegnare, e uso questo verbo senza nessuna presunzione, è che dedicare il proprio tempo e le proprie competenze agli altri dovrebbe essere normale. Ci sono persone che lo fanno ogni giorno, che non si sono mai fermate. L’Italia che fa è quella che ha continuato a preoccuparsi degli altri. Parlando in termini generali, se molte persone non sono morte di fame in questo periodo difficile, è stato anche grazie alla rete di solidarietà che si è attivata, da Nord a Sud, a sostegno dei nuovi poveri.

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Paolo Mieli

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Tra emergenza e speranza

Paolo Mieli scatta una fotografia all’Italia alla vigilia della Festa della Repubblica: “Sarà il 2 giugno che più assomiglierà a quello del 1946”. “C’è stato un momento forte di unità nazionale all’inizio del lockdown, quando ci siamo chiusi in casa, perché quel comportamento l’abbiamo osservato e rispettato tutti, dalla Valle d’Aosta fino alle valli più remote della Sicilia – afferma – Siamo un popolo capace di affrontare grandi emergenze, ma non un popolo unito”. Il giornalista conduce “Passato e presente” dal lunedì al venerdì alle 13.15 su Rai3

Che due giugno sarà quello di quest’anno?

Se le cose continuano come si sono messe sarà di grande letizia. Non tutto è risolto, ma il 2 giugno segnerà il giorno della totale riapertura, dell’inizio di un’estate che, se gli italiani continueranno a osservare le norme prescritte dagli scienziati e dalla politica, potrà essere di festa e di libertà. In qualche modo sarà il 2 giugno che più assomiglierà a quello del 1946, quando si sentiva nell’aria l’alba di un periodo nuovo, l’alba di un periodo in cui ci si gettava alle spalle un passato terribile, che aveva causato lutti e danni particolari, quello della Seconda guerra mondiale, e ci si riaffacciava alla vita. Ben inteso, oggi, però, con un senso di ansia che per mesi e mesi continuerà ad esserci, non sapremo infatti se ce lo saremo definitivamente messo alle spalle il passato del Covid-19. Ma attenzione a non fare l’errore di confondere il clima di allora con quello che è stato raccontato successivamente.

In che senso?

Anche nel 1946 non si era del tutto convinti che la guerra fosse finita per sempre. È vero che fascisti e nazisti erano stati battuti una volta per tutte, però in quel periodo iniziava la guerra fredda, c’era il rischio di un conflitto nucleare e c’era anche allora l’apprensione che si potesse ripresentare uno scenario di guerra anche peggiore di quello precedente, perché con le armi atomiche sarebbe stato un conflitto di cui l’anticipazione si era vista a Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Oggi tendiamo a idealizzare lo stato d’animo di quel momento perché sappiamo come sono andate le cose dopo. Sappiamo che, a parte la guerra di Corea, tra il 1950 e il 1953, in cui il mondo fu di nuovo sull’orlo di un baratro, ma che fu un conflitto molto lontano che non ebbe riflesso su di noi, anche allora fu l’inizio di un’estate gioiosa con qualche apprensione nell’anima. Le analogie sono molte di più delle cose che sono ovviamente diverse, perché diverso era il clima del 1946 rispetto a quello di oggi.

La storia ci racconta di tante epidemie, ci sono differenze tra quelle del passato e quella che stiamo vivendo?

Le epidemie del passato sono state tante, dalla peste di Atene nel V secolo avanti Cristo alla peste antonina, dalla famosissima peste nera del Trecento alla peste manzoniana del 1630, fino alla spagnola, subito dopo la Prima guerra mondiale. Ma allora non sapevamo né come fossero arrivate, né come se ne sarebbero andate, erano semplicemente epidemie, probabilmente di vaiolo o di morbillo. Il rimedio fu anche allora quello dell’isolamento. Quelle ondate pestilenziali ebbero più fasi, si ripresentarono per vari appuntamenti finché alla fine, dopo avere ucciso anche metà della popolazione, milioni di persone, sparirono del tutto, si creò l’immunità di gregge. Poi arrivarono altri virus a distanza di cinquanta o cento anni. Adesso ne sappiamo molto di più, ma questo non significa sapere tutto, molte cose del virus attuale rimangono oscure.

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La radio che unisce

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Mediterradio

Le emittenti radiofoniche pubbliche della Sardegna, della Corsica e della Sicilia insieme con un ponte vocale e culturale per raccontare le proprie comunità. Il sabato alle 14 su Rai RadioLive, in replica la domenica alla stessa ora

Le tre principali isole del Mediterraneo discutono di problemi comuni, di attualità e di musica, unite nella loro diversità. In studio per la Sardegna, dalla sede della Rai di Cagliari, Vito Biolchini ;  per la Sicilia, dalla sede Rai di Palermo, Salvatore Cusimano ; per la Corsica, da Radio Corse Frequenza Mora a Bastia, conduce invece Jerome Susini. Il programma, ideato da Petru Mari, tratta molti argomenti in grado di interessare gli ascoltatori delle tre isole e mostrare loro quali e quanti siano gli elementi sociali e culturali che uniscono e distinguono i tre diversi territori, le soluzioni che ciascuna di esse adotta per affrontare e risolvere i problemi delle collettività. Particolare attenzione è rivolta ai temi economici, dello sviluppo e del lavoro, dell’integrazione, del turismo, della tutela e della salvaguardia dei beni paesaggistici, del patrimonio culturale, oltre che a questioni di grande interesse civile come la lotta per la legalità e il contrasto della criminalità organizzata.

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Pierluigi Diaco

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Amo la Tv senza copione

“A guidare le mie interviste è la curiosità” racconta il giornalista, che da lunedì 1° giugno alle 14 torna su Rai1 con “Io e te”. Nel cast della nuova edizione del programma la regina della lirica Katia Ricciarelli e l’esperto di gossip Santino Fiorillo

Un anno di “Io e te”. Prima i pomeriggi d’estate e poi la notte, ed è stato un successo. Ora si ricomincia…

Lo considero un privilegio perché non davo per scontato che un programma partito un po’ in sordina lo scorso anno potesse avere un’evoluzione di questo genere. Sono contento del patto di fiducia che si è instaurato con il pubblico, come della squadra autoriale, della produzione di “Io e te”, che hanno reso possibile ciò che non era immaginabile. La declinazione sia nella fascia diurna, sia di seconda serata, ha reso riconoscibile questo marchio al pubblico di Rai1, un risultato corale di cui vado ovviamente orgoglioso.

Chi sono i tuoi nuovi compagni di viaggio?

Con il nuovo direttore di Rai1, Stefano Coletta, che ha la dote rara dell’ascolto, che è un autore, un artigiano della Tv, abbiamo pensato di reimpaginare alcune parti del programma. Alcune pagine sono il frutto di più conversazioni con lui. Ci sarà il faccia a faccia iniziale con l’ospite, ci saranno le storie d’amore degli over 70, debutterà una nuova rubrica che si chiamerà “Gli amici di Ugo” (Il bassotto del conduttore, presenza fissa nel programma), che sarà dedicata agli animali domestici e che sarà curata dalla coautrice Paola Tavella. Al mio fianco un’altra primadonna dello spettacolo italiano, dopo Sandra Milo, che è stata una rivelazione, non c’è dubbio, avremo Katia Ricciarelli. Sono onoratissimo di lavorare con lei, regina della lirica, è una donna che stimo, una tosta, libera intellettualmente. Accanto a me ci sarà anche il custode del gossip che fu, Santino Fiorillo, che firma anche il casting della trasmissione.

Nel corso delle due precedenti edizioni hai raccolto racconti e confidenze di personaggi famosi e non solo, ce n’è stato uno che ti lasciato addosso un’emozione particolare?

L’ospitata a sorpresa della mia amica e sorella Mara Venier. In quel giorno di luglio era previsto ospite Enrico Lo Verso, che non era potuto venire perché non si era sentito bene. Mentre, dopo un momento di panico, penso di intervistare Sandra Milo, sento una voce fuori campo, quella di Mara Venier, che mi fa una sorpresa ed entra in studio. È stato un momento emozionante, anche perché la conversazione tra noi due è stata sincera e piena di amicizia, abbiamo fatto esattamente ciò che facciamo quando trascorriamo le serate insieme. Quell’intervista mi ha permesso ancora di più di convincermi che più la Tv è naturale, non scritta, più assomiglia a quelli che sono i rapporti fuori dallo schermo, e più arriva al pubblico.

Cosa deve dare l’intervistatore per far sì che un’intervista faccia breccia nello spettatore e rimanga?

Deve essere curioso, sapere ascoltare le risposte, agganciarsi a queste per sottoporre la domanda successiva. Se l’intervistatore si prepara senza ascoltare l’interlocutore, l’intervista non funziona. Avendo alle spalle quasi trent’anni di radio, porto in Tv la stessa cifra che uso nella conduzione radiofonica. Non c’è scaletta, non c’è copione, non c’è niente. Si ascolta l’altro veramente, si segue un filo logico, che è quello delle risposte dell’intervistato.

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Giampiero De Concilio

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Ho tutta Napoli dentro

Pluripremiato dal cinema, corteggiato dalla televisione. Il RadiocorriereTv intervista il giovanissimo attore partenopeo, tra i protagonisti di “Vivi e lascia vivere” su Rai1. “Sono determinato come il mio Giovanni, anche se so con precisione cosa cerco” dichiara al nostro giornale

La serie si avvia alla conclusione, si aspettava un successo così grande?

Decisamente no, ma guardandola in televisione ho capito che la trama e la qualità della serie hanno fatto la differenza e hanno portato il pubblico a vederla di più. La qualità è sempre un grosso incentivo.

Come è stato il suo incontro con Giovanni?

Il primo incontro con quest’anima è stato a casa, all’arrivo dell’e-mail che mi invitava al provino. Mi è sembrato subito abbastanza chiaro come fosse questa persona, proprio perché è totalmente diversa da quello che sono io. Quando si affronta un ruolo molto diverso da ciò che sei, è paradossalmente più facile. Si parlava di un ragazzo naif alla ricerca di se stesso, una ricerca che veniva stravolta, scombussolata, dalla morte e dal ritorno del padre. Mi è piaciuto sin dalla sinossi.

Poi è arrivato il provino…

Il primo di tre e l’ho fatto con il regista Pappi Corsicato. Era una scena che non è stata inserita nella serie, in cui Giovanni voleva provare dei costumi per la piscina, erano costumi femminili, diceva di farlo per conto di sua sorella gemella, poiché erano fisicamente uguali. Provino dopo provino vedevo che nella sala d’attesa non c’era mai un altro Giovanni (sorride), e pian piano mi è stato assegnato il ruolo.

Quanto c’è in lei della determinazione di Giovanni?

Sono determinato quanto lui, ma so con precisione cosa cerco. Giovanni, con paura ed eccitazione, si sta facendo trascinare da un vento. Io invece so cosa voglio, so dove sono diretto. Sono naif nel mio lavoro, nel senso che sono sempre curioso di nuovi ruoli, ma non all’estremo come Giovanni.

Cosa rappresenta per lei il cambiamento?

Credo sia sinonimo di progresso. Stare fermi non porta a nulla, se non spingi le cose rimangono come sono e possono solamente andare peggio. Sono convinto che, dopo questa terribile emergenza, torneremo domani con una marcia in più, con una grinta diversa. Siamo stati a casa, abbiamo riflettuto, forse anche troppo, ci siamo mangiati le unghie pensando a cosa avremmo fatto una volta usciti, abbiamo fatto i conti con quello che eravamo e con quello che vogliamo diventare, ora dobbiamo uscire e cambiare.

Un approccio sempre ottimista…

Non c’è altra scelta, essere pessimista non porta a nulla. Non è buonismo, non è ipocrisia, non ho mai visto un’altra strada se non quella che mi dice che le cose andranno bene. Questo non vuole dire che ogni cosa che faccio vada alla grande, ma anche se qualcosa non va al meglio, posso fare molto per modificare il risultato.

Lei è uno dei pochi napoletani nel cast di “Vivi e lascia vivere”, com’è stato recitare nella sua città?

Abbiamo girato gli interni a Roma e poi, per un paio di settimane, ci siamo trasferiti a Napoli, sono state giornate bellissime, una botta di serenità. Girare a Napoli è una gran cosa.

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Giovanni Scifoni

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Siamo tutti nella stessa jungla

Talento affabulatorio capace di strappare molto più di una risata, è riuscito a trascinare il pubblico in un luogo davvero affascinante: «dove tutti ci troviamo, la famiglia, la casa, la nostra intimità». E sulla fine del lockdown afferma: «Accoglieremo queste grandi novità con smarrimento e con stupore»

Giovanni, cos’è questa jungla?

È un po’ il luogo dove ci troviamo tutti, la famiglia, la casa, la nostra intimità. Ogni due settimane affrontiamo un tema nuovo, prima c’è stata la quarantena, ora siamo alle prese con le novità della fase2. Staremo molto attenti a come reagisce il mondo alla ripresa anche se, forse, tutta questa voglia di ricominciare non ce l’abbiamo. Tutto sommato non si stava così male, sembrava di vivere in un agosto romano prolungato, quando tutti vanno in vacanza e tu rimani in città, da solo, a innaffiare le piante dei vicini (ride).

Si ricorda l’inizio del lockdown?

Un inizio drammatico, pesante. Ero molto angosciato perché tutte le date a teatro erano state annullate, sentivo colleghi e amici disperati per paura di non riuscire ad andare avanti. Io il mutuo sono riuscito a pagarlo, me la sono cavata perché faccio anche l’autore, oltre a divertirmi con il web. Scherzo molto sulla situazione, ma sono consapevole del dramma che stiamo vivendo.


Come ha costruito la linea narrativa della serie?

Siamo legati all’attualità e al calendario (festività, giorni speciali, scadenze importanti), è la realtà che ci guida. Come gli esploratori del ‘600 in Africa nera, anche noi proviamo a prendere possesso di questa nostra jungla urbana, come dei Levi Strauss vediamo il mondo com’è diventato, come gli Argonauti che arrivano in una terra nuova. La fine della quarantena è come il primo passo sulla Luna: come sarà questo nuovo mondo? Cosa è successo? Mentre noi non c’eravamo, gli altri che cosa hanno fatto? In questa esplorazione nessuna sa cosa succederà, lo scopriremo insieme.

Ci sarà più stupore o dispiacere?

Molto stupore, perché il dispiacere lo abbiamo già provato. Ora andremo incontro alla fase della creatività. All’inizio ci mancava il mondo di prima, ora invece non è più così, ma non sappiamo cosa vogliamo. Quello di prima non ci piace più, quello di adesso non sappiamo com’è, siamo molto smarriti. Accoglieremo queste grandi novità con smarrimento e con stupore.

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Edoardo Camurri

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Scuola e cultura sono esercizio di libertà

Accompagna gli studenti verso la conclusione dell’anno scolastico. Edoardo Camurri è su Rai3 dal lunedì al venerdì alle 15 con “Maestri” e su Rai Storia, il mercoledì in prima serata, con “Prova di maturità”. “La realtà è complessa – afferma il conduttore – e noi abbiamo il dovere di rendere conto di questa complessità e di attrezzarci a leggerla”

Un ruolo importante in un momento complesso, fornire testimonianze e consigliare un cammino ai giovani che si sono trovati a vivere un anno scolastico anomalo. Come sta andando?

Fare “Maestri” e “Prova di maturità” è un’esperienza meravigliosa, l’idea di fare davvero Servizio Pubblico e di porsi, con rigore e serietà, di fronte a questo compito. Lo stesso nome che abbiamo dato a “Prova di maturità” ha un doppio significato importante, il primo è ovviamente quello dell’esame di Stato che affronteranno quasi 500 mila studenti, il secondo è la prova di maturità che ciascuno di noi, da cittadino, è tenuto a dare, per se stesso e per le persone a cui vuole bene, in questo momento storico. Affrontare questo percorso e riuscire a fare il mio lavoro, che è il racconto culturale, sapendo che in questo momento non è una semplice opportunità di intrattenimento intelligente ma una possibile risorsa, per me è emozionante.

L’acquisizione delle nozioni, la capacità d’analisi e di critica, c’è un punto d’incontro virtuoso?

Ritengo che la cultura e la conoscenza servano a dare forma a un mondo che non esiste semplicemente come un soggetto che conosce un oggetto. La conoscenza non è mai soltanto, come dicevano gli antichi, adeguazione dell’intelletto alla cosa, capacità del soggetto di appropriarsi del mondo, la cultura accade sempre in un regno intermedio tra il soggetto e l’oggetto, è un incontro tra ciò che noi abbiamo in testa e ciò che il mondo ci restituisce. La cultura è la capacità di acquisire sempre più informazioni, nozioni, intelligenza, capacità di allargare la nostra percezione del mondo. La scuola e la cultura sono un esercizio di libertà. Più studiamo, conosciamo, approfondiamo, più riusciamo a mettere in collegamento le cose tra di loro, più abbiamo mondo a disposizione e più la nostra libertà può esercitarsi. È una necessità profondamente umana. L’uomo, in quanto tale, tenta sempre più di allargare la propria coscienza e quindi di allargare il mondo. La cultura ci consente di subire meno la realtà dura e pura, e di riuscire a darle forma sulla base di quello che, poco per volta, impariamo.

Che cosa consigli ai giovani che affronteranno questa maturità straordinaria?

Di viverla per quello che è, come se non fosse straordinaria. È una maturità fatta in emergenza, ma la verità non sta mai in uno stato d’eccezione, bensì in una rivendicazione della propria normalità. Quella che stanno per vivere è la loro maturità, è il loro rito di passaggio, un’occasione straordinaria sempre. E poi ci sarà modo per incontrarsi, festeggiare, baciarsi, correre, perdersi.

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Carlotta Antonelli

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Vivo al presente

In “Vivi e lascia vivere” di Pappi Corsicato su Rai1 è la ribelle Nina. “Mi somiglia molto per com’ero nell’adolescenza, quando ho letto il soggetto mi ci sono ritrovata”, afferma la giovane e apprezzata attrice, che al RadiocorriereTv confida: “Mi piacerebbe fare cinema e farlo sul serio, raccontare senza censure, su questo sono abbastanza agguerrita”

Il pubblico ha apprezzato “Vivi e lascia vivere” e si è affezionato molto a Nina, il personaggio che interpreta. Soddisfatta?

È andata abbastanza bene, anche perché ho avuto la possibilità di avere un ruolo diverso dagli altri che ho interpretato in passato e questo per me è stato davvero importante, una bella sfida. Nina non è facile, ma è un personaggio che mi mancava. In lei c’è un lato oscuro e questo, a un attore, non può che piacere.

Cosa pensa di Nina Ruggero?

Nina mi somiglia molto per come ero nell’adolescenza. Quando ho letto il soggetto, conosciuto il suo personaggio, mi ci sono ritrovata. Il suo mondo segreto, la sua doppia vita, mi hanno fatto molta tenerezza. Adesso ho 24 anni, Nina nella serie ne ha 17. Interpretarla è stato ripescare cose del mio vissuto che mi sono tornate alla mente.

Come si accosta ai personaggi che interpreta?

Cerco di capire quale potrebbe essere stata la loro storia, anche andando oltre la sceneggiatura, arrivando quasi a inventarmela. Nel caso di Nina avevo bisogno di sapere da dove venisse, quindi mi sono costruita un passato non scritto, a mia immagine. Di ogni personaggio che interpreto mi chiedo quale fine abbia nella storia, cerco di trovare chiavi di lettura, mettendoci dentro qualcosa di me.

Nina riesce a essere leader con le amiche, con il fratello Giovanni, dove trova la sua forza?

Lei è leader, ma in realtà non ha tutto questo coraggio (sorride). Il suo è un po’ un volersi fare accettare per come non è, la sua è una maschera, una specie di costume.

Così giovane e così popolare, come vive questo momento?

Sono contenta di farmi conoscere da un pubblico sempre diverso, che spero apprezzi la mia versatilità, non di essere famosa. Credo di avere dato a ogni personaggio che ho incontrato in questi anni un’identità diversa. Mi fa piacere se gli spettatori non mi identificano in uno solo.

C’è un momento della lavorazione di “Vivi e lascia vivere” che ricorda con particolare affetto?

Sicuramente il cambiamento di Nina nel momento in cui viene fuori per quello che è, quando accetta ciò che ha fatto e si toglie costumi che non le stanno bene. È stato emozionante, perché penso che nella vita possa capitare a tutti.

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Iaia Forte

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Le grandi trasformazioni si fanno insieme

Il teatro è il luogo del cuore, il palco quello che le ha regalato le emozioni più grandi. L’attrice napoletana è nel cast di “Vivi e lascia vivere”, la serie di Rai1 diretta da Pappi Corsicato

Napoli protagonista di “Vivi e lascia vivere”, da napoletana ha fatto gli onori di casa…

La serie sta avendo molto successo e siamo tutti veramente felici. Sono particolarmente entusiasta perché, avendo avuto pochissime esperienze professionali nelle fiction, essere diretta da un regista come Pappi Corsicato, che viene dal cinema d’autore, è stata una prova importante. Ho lavorato in tutti i suoi film, è un professionista che ha dimostrato di reggere la lunga serialità e di dirigere un cast di ottimi attori, a partire dalla nostra regina Elena Sofia Ricci.



Un cast molto al femminile…

Donne atipiche, non più giovanissime, problematiche. Normalmente non sottolineo la questione di genere, non faccio differenza tra femminile e maschile, ma in questo caso, data la difficoltà di avere spazio e ruoli per una donna, è una soddisfazione vedere le donne protagoniste in Tv.

Ha interpretato molto spesso grandi personaggi femminili, come Eva Peron proprio con Corsicato. Come si raccontano le innumerevoli sfumature delle donne?

Oltre a Eva Peron, ho avuto la fortuna di lavorare in “Libera”, il suo film d’esordio, che fu un grande successo. In tre cortometraggi interpretavo tre diverse figure femminili eccentriche, con una struttura virile evidente. Il racconto del femminile non convenzionale è un tema molto caro a Corsicato. Come attrice che viene dal teatro mi piacciono le sfide, adoro interpretare personaggi estremi, ruoli che permettano un’esplorazione di situazioni alternative e più complesse. Sono arrivata a interpretare anche un uomo, a teatro con Sorrentino, Tony Pagoda.

In “Vivi e lascia vivere” il suo personaggio, come gli altri, affronta una profonda ripartenza. Come vive Marilù il cambiamento?

È un aspetto della serie che mi piace molto. L’ideogramma cinese “crisi” ha una doppia lettura, crisi e opportunità, indicando quindi la possibilità di fare delle proprie macerie un tesoro da cui ripartire per reinventarsi. Significa credere di nuovo in se stessi e, in questo momento, è un tema perfetto per aiutarci a non pensare solo all’emergenza sanitaria. Quando sprofonda nel dolore, nell’insicurezza o nella fragilità, l’essere umano scopre risorse enormi. Si può sempre ripartire riscoprendo talenti che non pensavamo di avere, come nel caso delle protagoniste della serie che diventano imprenditrici.

Che significato ha la parola cambiare?

È un modo per riguardare me stessa con occhi diversi. Sono un’ottimista e credo che nel nostro arco abbiamo tantissime possibilità. Sono sempre aperta ad accogliere le nuove possibilità dell’esistenza, non do mai nulla come dato.

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