Campus 12

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Che fine ha fatto Bo?

In prima visione su Rai Gulp, tutti i giorni alle 18.30, “Il Mistero di Campus 12”, una serie internazionale dedicata ai giovani amanti dei gialli

Una serie mistery per ragazzi in prima visione su Rai Gulp. Si tratta del “Mistero di Campus 12” in onda tutti i giorni, alle ore 18.30 sul canale 42 e disponibile anche su Rai Play. Il telefilm internazionale per ragazzi, prodotto da Studio 100, vede nel cast giovani attori come Mathias Sercu, Hilde De Baerdemaeker, Jasper Heyman, Bünyamin Yürük, Lennart Lemmens, Nina Rey, Jelisa van Schijndel, Naomi Janssens e Pieter Casteleyn. Bo è una ragazza come tante, ma un giorno sembra sparire all’improvviso dalla faccia della terra. Suo fratello gemello Noah sembra essere l’unico a ricordare che lei sia mai esistita. Com’è possibile? Perché Noah non riesce a più a trovare tracce di Bo in casa, neanche la sua bici rosa o un oggetto appartenuto a lei, né una foto in cui compaia sua sorella? Noah non si rassegna a essere giudicato un visionario da suo padre e suo fratello, ma è determinato a capire e intuisce che la chiave del mistero che circonda Bo è legata al vicino teatro della famiglia dei Vincke. Così si ritrova, suo malgrado, a fare di tutto per diventare membro del loro coro, “I 12”.

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Polizia di Stato

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Psicologia e polizia, le passioni della vita

Risoluta, coerente, determinata: Emanuela Tizzani, direttore tecnico capo psicologico della polizia di Stato presso il ministero dell’Interno, è una donna autentica, non segue i tempi, preferisce anticipare i processi della società e delle persone. Le sue facoltà di assimilazione e la mente analitica le consentono di affrontare compiti delicati e di massima responsabilità con grande senso del dovere

Sobrietà di gusti e stile, riservatezza dei modi e di approccio, qualità innate e anche ereditate: Emanuela Tizzani è figlia del primo questore donna d’Italia, Annamaria Miglio. Di sua madre porta con sé l’esempio e la passione per il bene della collettività e per la polizia di Stato, di cui fa parte dal 1993.

Come nasce il suo percorso lavorativo nella polizia di Stato?

Ho iniziato a lavorare per la polizia di Stato nel 1993, in qualità di psicologa e in regime di convenzione con la Direzione centrale di sanità. Mi occupavo prevalentemente di selezione, partecipando però anche a formazione e ricerca. Nel 1999 sono entrata a far parte della polizia di Stato come funzionario tecnico psicologo. Dopo pochi mesi dal temine del corso, sono stata assegnata al servizio centrale di protezione, che protegge testimoni e collaboratori di giustizia. Insieme ai miei colleghi ci occupavamo di tantissime situazioni, sia direttamente collegate alla vita sotto protezione, come la necessità di comunicare ai minori il contesto, sia legate alla necessità di intervenire in frangenti particolari, come sedare liti familiari o scongiurare scioperi della fame. Svolgere questa attività mi ha consentito di sviluppare una conoscenza della psiche di soggetti gravitanti nell’orbita delle mafie.  Successivamente sono stata assegnata al servizio polizia scientifica, dove mi sono occupata di interviste per la realizzazione di identikit, di gruppi distruttivi, e di vittime del crimine. È in quel periodo che è iniziata una lunga e proficua collaborazione con la professoressa Giannini dell’Università La Sapienza di Roma, allora facoltà di psicologia, in particolare sul tema della realizzazione di progetti finalizzati a dedicare attenzione alle vittime di reato. Successivamente ho lavorato in Sapienza in regime di dottorato di ricerca, sempre continuando a occuparmi di progetti europei in partenariato con la polizia di Stato. Al termine del dottorato, dopo una breve parentesi in Direzione centrale di sanità, nuovamente impegnata nelle selezioni, sono stata aggregata alla Direzione centrale delle specialità, dove mi sono occupata di approccio alle vittime di incidenti stradali e ferroviari gravi e di formazione del personale del reparto mobile sul training autogeno. Attualmente dirigo il centro psicotecnico della polizia di Stato, sito nella Direzione centrale delle risorse umane del dipartimento di pubblica sicurezza.

Un ruolo delicato, di cosa si occupa in particolare?

Il centro psicotecnico si occupa di selezione attitudinale, sia per il personale in ingresso nei vari ruoli della polizia di Stato, sia per il personale interno che accede a qualifiche superiori o a corsi specialistici. La selezione attitudinale prevede per i concorsi esterni l’accertamento dei requisiti psicoattitudinali del D.M. 30 giugno 2003 n. 198. È uno step fondamentale perché consiste in una valutazione tecnica psicologica da effettuarsi su soggetti per i quali è già stata acclarata la salute mentale ed è importante verificare che possiedano requisiti che li rendono adatti a svolgere i compiti delicatissimi del poliziotto. Un esempio per tutti: se si pensa a un incidente stradale, l’operatore deve essere in grado di mantenere un grado di allerta tale da garantire la sicurezza, specie se ci si trova in autostrada, deve avere doti che gli consentono di cogliere gli elementi necessari a ricostruire l’evento, deve saper affrontare la vista di scenari inimmaginabili e, infine, deve poter tranquillizzare le persone che sono coinvolte. Alcune caratteristiche, come per esempio la capacità di gestire adeguatamente le proprie emozioni, sono indispensabili in questi frangenti. Questo tipo di accertamento richiede non solo competenze tecniche, ma anche competenze organizzative elevate, poiché implica la gestione quotidiana di numeri importanti di candidati, gestione resa possibile dal fatto che il personale che lavora nel Centro, tutto il personale, a prescindere dal grado e dalla qualifica, possiede un elevato livello di professionalità e motivazione. A dimostrazione del fatto che imprese di un certo livello possono essere condotte solo in modo corale da gruppi ben affiatati.

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Gegé Telesforo

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La musica in tutte le sue dimensioni

Insieme al maestro Renzo Arbore è protagonista di “Striminzitic Show” su Rai2. Il conduttore e musicista al RadiocorriereTv: “Cerchiamo di raccontare grandi e piccoli momenti dell’intrattenimento della televisione attraverso il vissuto di Renzo, sempre con il garbo che ci contraddistingue”

In “Striminzitic Show” il maestro e l’allievo. Cosa significa raccontare cinquant’anni di storia del nostro Paese attraverso Arbore?

Credo sia quasi una missione quella che stiamo affrontando in questi giorni con Renzo, anche perché sappiamo benissimo che l’obiettivo è quello di riportare, in maniera delicata e sincera, il sorriso sul volto degli italiani dopo un periodo difficilissimo, dando la possibilità ai telespettatori di Rai2 di potere affrontare il periodo estivo con un briciolo di ottimismo e positività. Durante la quarantena abbiamo svolto un lavoro incredibile di selezione accurata di materiali che vedono Renzo protagonista, lo abbiamo fatto attraverso l’archivio Rai ma anche con l’archivio personale di Arbore, parlo di cose inedite, mai andate in televisione. In questo modo, in maniera assolutamente naturale e divertente, cerchiamo di raccontare grandi e piccoli momenti dell’intrattenimento della televisione, attraverso il vissuto di Renzo, sempre con il garbo che ci contraddistingue. Per me è una gioia, una grande soddisfazione, un’emozione tornare a lavorare in televisione su una rete sulla quale ho fatto il mio vero debutto televisivo come conduttore, oltre trent’anni fa, quando conducevo “D.O.C. musica e altro a denominazione d’origine controllata”.

Cosa ha scoperto in questo nuovo viaggio negli archivi arboriani?

Molto materiale lo conoscevo, avendo lavorato con Renzo non solo in Tv, ma anche in giro per il mondo con l’orchestra italiana, come musicista. Ho scoperto la quantità di idee innovative che Renzo ha realizzato, anticipando tutti i tempi, nel suo spettacolo ci sono tanti tipi di comicità diverse. La gente si aspetta da lui divertimento, musica e sorriso, ed è così anche in questa modalità smart working. Il tutto senza avere ospiti o strumenti musicali a disposizione. Ci siamo ritrovati a casa di Renzo per registrare senza avere fatto tante prove, come è nello stile dei programmi di Arbore che prevedono un canovaccio scritto e poi tutto a braccio. Fortunatamente, da musicista di jazz, riesco a farlo bene. Tra i sorrisi e la musica stanno uscendo delle belle puntate.

Renzo Arbore è uno dei fili conduttori della sua vita e della sua carriera… cosa ha imparato da lui?

La cosa più importante che credo di avere imparato è come si vive da artista, al di là dei meccanismi della televisione, dello spettacolo, di cui Renzo è maestro. Lui è un grande professionista, nella professione ci porta l’eleganza, il garbo e la classe che ha nella vita. Ho imparato di non scindere mai i due aspetti. Renzo dimostra sempre di essere una persona elegante e continua ad avere passione, energia ed entusiasmo nella professione come nella vita.

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Fatima Trotta

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Martedì 16 giugno torna lo storico programma di Rai2 condotto da Stefano De Martino e Fatima Trotta con le incursioni di Biagio Izzo. Tra le novità dell’edizione 2020 la partecipazione di Lello Arena, Sal Da Vinci ed Enzo Avitabile. Alla vigilia del debutto il RadiocorriereTv incontra i due conduttori

Fatima, finalmente ricomincia “Made in Sud”, ma questo ritorno ha un sapore particolare…

Sarà un’edizione profondamente diversa rispetto alle precedenti. C’è certamente tanta voglia di fare, ripartiamo dopo un momento storico in cui tutto è stato fermo, bloccato, siamo uno dei primi programmi che si rimette in moto. Con “Made in Sud” ritorna a vivere il centro di produzione Rai di Napoli, nonostante l’assenza del pubblico e le restrizioni imposte, ci approcceremo al programma con grande entusiasmo.

Tutti pronti per il debutto, com’ è stato ritrovarsi con Stefano De Martino e con tutta la compagnia dopo l’emergenza?

C’è stata da subito tanta voglia di rimboccarsi le maniche e di lavorare, il lockdown ha messo al tappeto il nostro settore, non parlo soltanto di chi sta davanti alle telecamere o sul palco, ma di coloro che stanno dietro. È stato bello rivedersi, c’è tanta voglia di stare insieme, purtroppo sono mancati gli abbracci in quanto stiamo sempre a distanza di sicurezza per lavorare in modo sereno.

Quali sono le novità dell’edizione 2020?

Il programma durerà un pochino in meno per garantire la freschezza tipica di “Made in Sud”, ritroveremo i momenti di varietà tra me e Stefano e avremo più ospiti musicali con i quali interagiremo. Musica e ovviamente tanta comicità, con la squadra al gran completo. Spero che il pubblico possa capire le difficoltà e apprezzare il nostro impegno. Noi ce la stiamo mettendo tutta.

Un aggettivo che ben descriva i suoi compagni di viaggio, Stefano De Martino e Biagio Izzo…

Posso usarne uno per entrambi?

Certamente…

Cazzari di prima categoria. Sembrano due scolaretti e io la maestrina chiamata a dividerli…. li adoro…

Se chiedessi a Stefano e a Biagio un aggettivo per definirla, cosa pensa risponderebbero?

Direbbero la stessa cosa, che sono una cazzara (ride fragorosamente). Amo questo mestiere, così come amo “Made in Sud”. Ci divertiamo tanto. I comici li conosco da sempre, questa è la mia quattordicesima edizione, ma è altrettanto interessante rapportarsi con le new entry, che portano quell’energia nuova che fa bene a tutti. Per Stefano e Biagio l’esperienza è ancora recente, fresca. Quando siamo tutti e tre insieme diventiamo delle bombe atomiche.

Come si comporta se un amico le fa ascoltare un monologo che proprio non fa ridere, ha il coraggio di dirglielo o rimane in silenzio?

Capita che i pezzi comici risultino un po’ deboli, in quel caso non lo dico a bruciapelo, in quanto i comici sono un po’ permalosi, soprattutto quando sono anche autori del proprio repertorio, ma cerco comunque di fare capire che una certa battuta potrebbe essere migliorata. Me lo posso permettere, perché sono a “Made in Sud” da tanti anni. Al programma ho sempre dato tutta me stessa, passione e dedizione.

Come ha vissuto gli ultimi mesi tra le mura domestiche?

Da brava mogliettina mi sono dedicata alla casa, alla cucina, alla mia famiglia, al nipotino. Ma da artista ho sofferto un po’, a casa preferisco starci l’essenziale, quando non lavoro voglio comunque fare qualcosa, sono una donna molto dinamica.

Cos’ha scoperto della sua Napoli in questi mesi diversi?

Durante il lockdown mi è mancata molto la mia città. Sono una napoletana che vive della sua terra, amo frequentare il centro storico, il mare, stare in mezzo alla gente. Tornando a uscire, ho riscoperto la bellezza dei paesaggi di Napoli, di posti splendidi che l’abitudine ti porta talvolta a guardare in modo distratto. 

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Stefano De Martino

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Faccio Tv con passione, tenacia e umiltà

Martedì 16 giugno torna lo storico programma di Rai2 condotto da Stefano De Martino e Fatima Trotta con le incursioni di Biagio Izzo. Tra le novità dell’edizione 2020 la partecipazione di Lello Arena, Sal Da Vinci ed Enzo Avitabile. Alla vigilia del debutto il RadiocorriereTv incontra i due conduttori

Quello del 16 giugno sarà un debutto molto diverso da quello dello scorso anno, come si appresta a viverlo?

Con l’entusiasmo di sempre, sapendo che sarà un’edizione “straordinaria”, che non fa capo alle altre. Le condizioni sono particolarissime e questo, per tutto il team di “Made in Sud”, è diventato uno stimolo per fare qualcosa di diverso. Anche nella scrittura del programma, con gli autori, cerchiamo di alleggerire dove possibile un po’ i temi dell’attualità, le varie limitazioni ci portano a doverci adattare a un modo di lavorare completamente diverso da quello che abbiamo lasciato.

Com’è stato nel ritrovarsi con Fatima, Biagio e con tutta la compagnia dopo l’emergenza?

Siamo una squadra ben collaudata, c’è grande sintonia e questo è molto bello. Tra noi è come per quegli amici che magari si sentono poco, ma che quando si rivedono è come sia passata una sola settimana. Abbiamo subito ripreso con grande feeling, è questo il perno su cui vive tutto il programma.

Cosa ha imparato dalla conduzione della scorsa edizione di “Made in Sud” e da “Stasera tutto è possibile”, successi del 2019?

Mi hanno insegnato tantissimo. Per fare la televisione non c’è una vera scuola, tanti conduttori del passato, ma non solo, hanno cominciato dalla radio, che era la strada maestra che portava in televisione. Oggi, con l’avvento del web, ognuno fa la sua gavetta, quindi il mestiere lo impari sul campo, attraverso errori ed esperimenti. Cerco di essere il padrone di casa capace di lasciare lo spazio giusto agli ospiti, ai comici, il buon conduttore è come il giocatore che fa l’assist al capocannoniere, mi sento un po’ colui che crossa per far fare rete al comico a cui faccio da spalla. Il risultato è sempre di squadra, da soli non si va da nessuna parte.

Quando ha capito di essere una persona ironica?

Credo sia una questione innata, venendo da Napoli ho sempre osservato i modi di fare e di comunicare delle persone, in città capita che un tassista ti faccia ridere più di un comico, è un po’ un’influenza culturale che fa parte del mio storico. Ce l’ho nel sangue e mi piace molto ridere e divertirmi.

Il pubblico di solito galvanizza gli artisti, come sarà, quest’anno, trovarsi di fronte alla platea vuota dell’auditorium?

Sarà diverso, perché il pubblico, in generale, è parte integrante degli spettacoli, è una fonte inesauribile di entusiasmo, di carica, di energia, anche il ritmo televisivo senza il pubblico cambia totalmente. Penseremo però che al di là della telecamera, nonostante il teatro vuoto, ci sono migliaia e migliaia di persone, faremo di tutto per entrare in empatia con loro e per sentire, a distanza, il loro calore.

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Katia Ricciarelli

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Vissi d’arte, vissi d’amore… e mi emoziono in Tv

Tra i soprani più amati e apprezzati nel mondo, un’artista che ha fatto della musica la propria vita. Il RadiocorriereTv incontra la cantante veneta, ospite fissa di “Io e Te”, dal lunedì al venerdì alle 14 su Rai1: “Le mie vicissitudini, nella vita privata come nella carriera, le ho affrontate con grande filosofia e positività. Bisogna sapere lottare”

Un programma televisivo quotidiano al fianco di Pierluigi Diaco per tenere compagnia agli italiani in un momento storico non facile. Katia, come sta andando?

Ci troviamo bene, è una trasmissione garbata e mi piace molto.

Con la pagina “Dillo a Katia” risponde alle lettere dei telespettatori, come si sente nelle vesti di esperta d’amore?

Parliamo di sentimenti, di situazioni diverse, non si tratta semplicemente di lettere d’amore e di comportamenti di coppia. Mia mamma mi diceva: “Tu sei brava perché predichi bene, ma razzoli male”. E in effetti so benissimo quello che si deve e non si deve fare, ho il coraggio di dirlo, portando ad esempio anche me stessa, le cose che ho fatto e quelle che, talvolta, non avrei dovuto fare. Sono molto sincera.

La regola è vivere senza rimpianti…

Non dobbiamo essere condizionati da nulla, bisogna cercare di vivere la vita al meglio e sempre con onestà. Di sbagli ne ho fatti e ne farò ancora, ma ne sono cosciente. Ammetto le mie colpe e, per bilanciare, faccio anche tante cose belle.

In amore, nella vita, cosa aiuta a essere felici?

Ho vissuto una vita intensa anche nel campo dell’amore. Sono stata più amata di quanto abbia amato, perché molto concentrata sulla mia carriera e, quando questo accade, a volte, capita di ferire qualcuno che ha sentimenti più profondi.

La vediamo completamente a suo agio di fronte alle telecamere, che rapporto ha con la Tv?

Vivendo da sola la prima cosa che faccio arrivata a casa è salutare il mio cagnolino Ciuffi e accendere il televisore. Mi addormento e mi sveglio con la Tv accesa, mi fa compagnia. Sono una televisionara, poi, avendo vissuto 18 anni con un marito come Pippo (Baudo), tante cose le ho imparate (sorride).

Che cosa le ha insegnato Pippo sulla televisione?

Prima di tutto ad avere i tempi giusti. Non si può fare un discorso e perdere tre ore: la velocità e la sintesi sono fondamentali, ma mi ha anche insegnato ad avere un occhio a 360 gradi su quanto accade in uno studio. Pippo parla con te e contemporaneamente vede che alle tue spalle c’è qualcosa che non va. Anche io, durante una diretta, sono sempre pronta a qualsiasi evenienza.

Un approccio quasi registico…

Certamente, e questo insegnamento l’ho portato in teatro, dove da qualche anno mi sto occupando di regia di opere liriche. Sul palco hai tante persone, bisogna avere l’occhio sveglio.

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Elisa D’Ospina

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Bella, sana e allegra

Applaudita sulle passerelle, apprezzata dal pubblico televisivo di “Detto Fatto” su Rai2. La popolare modella curvy, da sempre in prima linea contro quella parte del mondo della moda che incita all’eccessiva magrezza, si racconta al RadiocorriereTv

Tanti anni di lotte contro una discriminazione inaccettabile…

Sono in pochi a saperlo, ma noi italiane nel passato abbiamo sdoganato il mondo curvy. Al grido di “I’m not a fashion victim!” abbiamo fatto un bel po’ di caos con una campagna che ha girato tutti i continenti, rivendicando il diritto di essere belle a prescindere dalla taglia imposta dagli stilisti, una 38/40.

Un impegno che va di pari passo con la prevenzione dei disturbi alimentari…

Dal 2009 porto nelle scuole campagne di sensibilizzazione, spiegando cosa sono i disturbi alimentari. Non lo faccio da sola, ma con un team di psicologi e nutrizionisti. Parliamo ai ragazzi di corretta alimentazione, è un progetto che si scontra con stereotipi che la fanno da padroni anche nel settore della salute, cerchiamo di dare delle pillole di conoscenza affinché i ragazzi abbiano degli strumenti con cui difendersi.

C’è ancora il mito delle top model taglia 38/40?

Grazie al cielo il mito non c’è più, anche se c’è ancora qualche stilista che utilizza addirittura le taglia 34, cosa che denuncio sui social network.  Recentemente ho fatto anche una petizione affinché ci sia una carta dei diritti che preveda l’esclusione di ragazze sottopeso. Anche se è vero che esistono delle modelle naturalmente molto magre, sappiamo al tempo stesso quante di loro si privino del cibo pur di lavorare, sono meccanismi psicologici che non fanno più parte del benessere. Vorrei che fosse rappresentato un ideale di donna in salute e allegra.

Ha avuto sempre un buon rapporto con il suo corpo?

In terza media ero già altissima, un metro e 78. A scuola c’era chi mi scambiava per la professoressa, o chi pensava che fossi una ragazza più grande di qualche anno e che era stata bocciata. Ho sempre ricevuto qualche battutina in più su quella che era la mia fisicità poi, quando sono esplose anche le forme, c’è stato un po’ di smarrimento, perché da piccoli nessuno ci educa a un corpo che a un certo punto cambia, esplode, è in continua evoluzione. Oggi, con i social network, racconto a chi mi segue cosa succede al corpo di una donna in occasione del primo ciclo mestruale, in gravidanza, in menopausa, ed è bellissimo. A leggermi non sono solo donne, ogni volta si scopre sempre qualcosa in più. 

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N. 23 a pag.24

Camila Raznovich

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Sono una conduttrice appassionata

Da giovedì 11 giugno alle 21.20 torna, in prima serata su Rai3, con la terza stagione di “Ogni cosa è illuminata”, programma che unisce divulgazione e intrattenimento. Quattro appuntamenti settimanali che cercheranno di “illuminare” un futuro che, negli ultimi mesi, si è dimostrato più che mai imprevedibile

Camila, cosa l’ha illuminata in questi mesi diversi?

In questi mesi cupi mi ha illuminato l’energia delle mie figlie, lo stare con loro, riscoprire momenti intimi con un passo diverso da quello al quale ero abituata. Dall’andare ai mille all’ora, prendendo anche tre aerei alla settimana, mi sono ritrovata, come mezzo mondo, confinata in casa. È stato bello trascorrere tanto tempo con le mie bambine, cucinare insieme. Ho cercato di vedere il positivo di questa tragedia, perché soprattutto qui in Lombardia, è stata davvero una tragedia. L’unico modo per andare avanti, resistere, e anche essere da modello per le mie figlie, che dipendevano da me, è stato anche quello di vedere il lato positivo.

Come ha spiegato loro un momento tanto particolare?

Nell’unico modo possibile, tramite la verità. Ho raccontato esattamente quello che stava succedendo, i motivi per cui non potevamo uscire di casa e per cui non potevano vedere il loro papà. Ho parlato loro come avrei fatto come un adulto, hanno capito tutto e si sono adattate incredibilmente bene.

Cosa rappresenta il cambiamento nella sua vita?

Sono sempre a favore del cambiamento, per carattere non amo stare seduta sulla poltrona e riscaldarla per tanto tempo. Non cerco zone di comfort, sia nella vita privata sia nel lavoro, mi piacciono le nuove sfide, il traguardo è sempre un po’ più in là (sorride).

Qual è il traguardo per la terza edizione di “Ogni cosa è illuminata”?

Per me non è mai un problema di ascolti, bensì di quantità di sapienza che acquisisco e di esperienza a cui vengo sottoposta. E questa volta, con gli ospiti collegati da remoto nel 50-60 per cento dei casi, sarà davvero una novità che non potrà fare altro che arricchire il mio bagaglio d’esperienza di venticinque anni di televisione. Vogliamo fare un buon prodotto, di riflessione, di contenuto, di competenza.

Oggi sono in molti a spendersi, a parole, per il green, per l’ecosostenibile.  Vede una reale voglia di cambiamento?

Credo si stia insinuando sempre più la consapevolezza del fatto che questo mondo ha un limite che abbiamo oltrepassato tempo fa e che, forse, siamo ancora in grado di recuperare. Ho molta fiducia, soprattutto nelle nuove generazioni.

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Renzo Arbore

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Ecco a voi, Mr. Sorriso

Esibizioni televisive che hanno reso unica e speciale la carriera di uno degli showman più amati di sempre, insieme a chicche scovate sul web e negli archivi di casa. Su Rai2 arriva “Striminzitic Show”, l’8 giugno in prime time e dal 9 in seconda serata

Un ritorno in un momento particolare per il Paese, un viaggio che lei compie insieme al suo autore storico, Ugo Porcelli, e all’amico musicista e allievo Gegè Telesforo… Cosa vedremo a partire dall’8 giugno?

Vedendo il successo del mio Channel sul web, di “50 sorrisi da Napoli”, Rai2 ha avuto l’idea di fare questo programma di canzoni, di sorrisi e di risate. Il progetto è stato anche di Porcelli e di Gegè che, razzolando in casa mia durante la quarantena, si sono accorti che avevo messo in ordine il mio archivio. C’è davvero tanta roba, girata anche personalmente da me nel mondo, con la mia orchestra, c’è anche una mia collezione di cose spiritose, musicali, del mio repertorio Rai. Facciamo un programma da casa, con i mezzi che ci possiamo permettere, due telecamere e il bravissimo regista Gianluca Nannini. Con me ci sarà Gegè che è un mio allievo, ma anche figlioccio artistico. Veniamo dalla musica, dal jazz, lui ha anche fatto parte della mia orchestra.

Il piacere della riscoperta, della meraviglia, che cosa la emoziona nel ripercorrere, attraverso il suo archivio, oltre cinquant’anni di storia italiana?

Molto rimpianto, ma devo ammetterlo, anche un po’ di vanità. Ne ho combinate tante, io stesso mi dimentico di ciò che ho fatto e mi stupisco nel rivederlo, fino a dirmi: guarda un po’, sono stato anche sul palco del Radio City Music Hall di New York a cantare, con Ben Gazzara e Anthony Queen tra il pubblico. Poi mi vedo per strada a Buenos Aires e mi ricordo delle cose meravigliose. Ho fatto più di 1.500 concerti in giro per il mondo. Dal 1991, dopo avere fatto il programma con Lino Banfi e Michele Mirabella che si chiamava “Il Caso Sanremo”, ho fondato un’orchestra con la quale sono andato a diffondere la musica napoletana, ma anche italiana, ovunque, dalla Russia alla Cina, dal Giappone all’Australia, al Nord e al Sud America, all’Europa. I ricordi contenuti nel mio archivio legati alla televisione e ai concerti sono davvero tantissimi.

L’ironia e la musica aiutano anche oggi a superare momenti difficili… 

“50 sorrisi da Napoli” sul mio channel e “Striminzitic Show” nascono per questo motivo, per regalare qualche sorriso. Abbiamo visto, sentito, e sentiamo ancora, cose terribili, l’umorismo napoletano può aiutarci a guardare avanti.

Ha dedicato una delle puntate di “50 sorrisi da Napoli” a Riccardo Pazzaglia, che definisce maestro di umorismo…

Lui e Luciano De Crescenzo sono stati raffinati umoristi napoletani, moderni, che conoscevano i pregi e i difetti della città. Pazzaglia ha scritto delle canzoni straordinarie che conosciamo tutti, da “Io, mammeta e tu” a “’O ccafè”, a “Meraviglioso”, è stato regista e sceneggiatore. Riccardo era un amico, lo ha dimostrato partecipando a “Quelli della notte”, lui era piuttosto restio ad apparire in video, era un uomo molto modesto, lo considero uno dei grandi. Già, il suo difetto era la modestia.

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N. 23 a pag.8

Thomas Trabacchi

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Incontri che cambiano la vita

“Non tutto è come sembra” è l’insegnamento che arriva da “Liberi Tutti” e lo sa bene anche Riccardo, il personaggio interpretato dall’attore milanese che al RadiocorriereTv racconta: “Siamo sempre tutti molto convinti delle nostre idee, ma è negli scivoloni che possiamo far ridere di noi”

Abbiamo vissuto un periodo di grande difficoltà, anche emotiva. Cosa le ha insegnato questo momento?

Che dobbiamo rallentare. L’ho capito molto bene stando in campagna, dove sono rimasto bloccato con la mia famiglia all’inizio del lockdown. Ho anche imparato a fare l’orto (ride).

L’emergenza sanitaria ha messo però in ginocchio il mondo dello spettacolo…

È vero, ma il Covid-19 ha solo marcato meglio, e in maniera drammatica, i problemi della nostra categoria. Ora non è più il momento di rimandare. “La crisi è sempre un’opportunità”, diceva Einstein, ma non dobbiamo sprecarla e andare oltre le politiche poco accorte messe in campo finora. Noi lavoratori dello spettacolo dobbiamo unirci, far sentire la nostra voce e far capire a tutti che siamo lavoratori come gli altri. Il primo passo è il riconoscimento della categoria. Dietro la nostra professione ci sono fatica, impegno, studio, competenze. La storia ci ricorda che il teatro nasce in Grecia con la democrazia e che la cultura non è slegata dal pensiero democratico. È un periodo preoccupante, ma abbiamo ora una chance che non possiamo perdere. 

Qualcosa si sta muovendo?

C’è un gran fermento in rete, è forse arrivata l’ora della presa di coscienza. I set ancora non sono aperti, come invece qualcuno afferma, ci sono solo alcune produzioni che provano a capire come sia possibile la ripresa dei lavori interrotti. L’attore è tra le figure professionali più esposte alla crisi sanitaria, non vogliamo certo diventare carne da cannone per la fretta di tornare a produrre. Ovviamene c’è preoccupazione per il futuro professionale e familiare, ma il ritorno deve avvenire in assoluta sicurezza per tutti. L’obiettivo deve essere la qualità nelle condizioni di lavoro, la tutela dei diritti, orario e salario equo, senza alcuna differenza tra uomini e donne. Forse un’utopia, ma questa deve essere la spinta.

Parliamo di “Liberi tutti”, cosa l’ha colpita della storia?

Ho capito subito che il progetto era interessante, porta la firma di due autori eccezionali, due amici, Ciarrapico e Vendruscolo, gli stessi di “Boris”, un progetto di rottura nella fiction italiana. È una serie molto originale, che colpisce per la forza della scrittura, molto agile, con dialoghi perfetti, ha un immediato taglio ironico e la qualità del cast è alta. Alla coralità dei personaggi, poi, si aggiunge la location, la comune al centro della vicenda. Tutti questi elementi hanno reso l’esperienza molto particolare, soprattutto dal punto di vista umano. C’era un bel clima sul set, un gruppo di lavoro molto affiatato ha certamente reso tutto molto più piacevole.

Mattia Torre, un amico che ha lasciato uno zampino importante nella serie…
Mattia era un amico, per molti un fratello. È mancato durante le riprese, era un venerdì, un giorno molto difficile. Sapevamo tutti della sua malattia, che aveva raccontato ne “La Linea verticale” con Valerio Mastandrea, ma la sua morte è stata una botta. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo bene, di stargli accanto nella vita e nel lavoro, ha perso un amico, ma è stata anche una perdita culturale enorme.

Continua a leggere sul RadiocorriereTV N. 22 a pag.24