Marcello Masi

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Con il sorriso oltre gli schemi

Direttore del Tg2, poi “Linea Verde Sabato”, “Signori del vino”, “In viaggio con Marcello”. Quale sarà la sua “La vita in diretta estate”?

È una sorpresa anche per me, nel senso che non mi aspettavo questa chiamata. Ho tante esperienze in diversi programmi, ma questa è la prima volta che sfido la diretta in studio.  Mi mancava un’esperienza così importante, un programma storico della Rai e spero che riusciremo, io e Andrea, in questo momento così difficile ed inedito per il Paese, a portare una “Vita in diretta Estate” dove ovunque ci sia una notizia, in Italia e nel mondo. Ci sarà anche spazio per un sorriso e per un po’ di voglia di vivere l’estate, perché non ci dimentichiamo che, nonostante il Covid, è l’estate italiana che ci invidia tutto il mondo, quindi dovremo raccontarla al meglio. Anch’io sono in attesa di vedere come sarà. Una bella sfida.

Attualità, cronaca, spettacoli e sociale nei caldi mesi di luglio ed agosto, e non solo per la temperatura…

Non c’è dubbio, è davvero un’estate calda per la storia del nostro Paese e per il mondo. Mai vissuta un’estate così. Ci sentiamo tutti un po’ frastornati dopo questi mesi che abbiamo vissuto chiusi nelle nostre case. Tre mesi complicati per tutti, tre mesi per alcuni davvero difficili. Penso a tutti quelli che hanno, purtroppo, dovuto subire lutti o vicende sanitarie complicate, ma anche a chi è stato bene, ma a cui sono mancate tante cose come l’affetto dei propri cari, la vicinanza, il contatto, gli abbracci, il lavoro. Tutto questo certamente ha lasciato dei segni. Questa estate recupereremo, ma con grande attenzione, rimanendo convinti che, se ci comporteremo bene, avremo effettivamente superato l’emergenza. Dipende soltanto da noi, quindi dovremo anche continuare a ricordare a chi ci ascolterà e vedrà in trasmissione, che l’estate va vissuta, ma che ci sono regole che vanno rispettate. Questo sarà fondamentale perché in autunno non vogliamo tornare in quel limbo. Nessun italiano vuole farlo.

La fascia pomeridiana di Rai1 con la “Vita in diretta” ha già un pubblico affezionato. Come si presenterà?

Diciamo che noi tentiamo un’operazione difficile, che è quella di mantenere tutto il nostro pubblico affezionato e aumentarlo, magari con del pubblico nuovo, soprattutto grazie alla solarità e alla freschezza di Andrea. Lei è una ragazza veramente brava, oltre che simpatica e bella, nel riuscire a comunicare le emozioni. Io credo che i giovani che vedranno il programma potrebbero trovarlo di loro gradimento, perché abbiamo voglia anche di rompere qualche schema. Quindi chissà… L’idea è anche quella di fare un programma che si rivolga a tutti gli affezionati, ma anche a quelli ai quali non è mai capitato di vedere “La Vita in Diretta Estate” e che, guardando questa stranissima coppia, dicano: vediamo cosa fanno questi due! E magari iniziano a seguirci.

Conosceva già Andrea Delogu? E cosa ha detto ad Andrea la prima volta che l’ha vista?

La prima volta che ci siamo visti eravamo un po’ come due ragazzini, veramente contenti. Avevo conosciuto Andrea nel passato e mi aveva anche intervistato. Quando ci siamo incontrati per “La vita in diretta estate”, aveva gli occhi che parlavano più di ogni altra cosa: erano luccicanti, un po’ come i miei. Ho avuto sempre la fortuna di lavorare con grandissime professioniste e, tra parentesi, donne bellissime. Con Andrea devo dire che mi sento un uomo fortunato. Più ci conosciamo, più iniziamo a lavorare insieme, e più scopriamo di avere un grosso feeling, anche a livello di ironia, di battute. Parliamo lo stesso linguaggio e questo è molto importante per poi avere un buon risultato in studio, in diretta, per riuscire ad essere spontanei.

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Vasco Rossi

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La tempesta perfetta

L’ 1 luglio alle 20.35 su Rai 1  Vasco Rossi protagonista di una grande festa della musica, per raccontare e rivivere, esattamente dopo tre anni, il concerto al “Modena Park”. Un’intervista inedita all’artista fa da spina dorsale del programma, mescolando l’oggi con i ricordi della sua lunga carriera e dello straordinario ed emozionante spettacolo.

“La Tempesta Perfetta” vuole raccontare e rivivere il massimo evento musicale al mondo realizzato da un singolo artista, un avvenimento che, in questi “giorni sospesi” dopo il Coronavirus, diventa un valore aggiunto su cui riflettere. Il titolo è ciò che ha pensato Vasco appena terminato il concerto: una fortissima onda emotiva in cui il grande rock è entrato nella vita di tre generazioni superando problemi, tensioni e difficoltà, raggiungendo la perfezione espressiva.

Il progetto di Giorgio Verdelli, condiviso con Vasco Rossi ed il suo staff, è un prodotto nuovo, non una mera replica, ma un grande momento di racconto e aggregazione dentro uno straordinario concerto che, nella sua versione “cinematografica” realizzata da Pepsy Romanoff con 27 camere ed una 35mm, è inedito in Tv.

Con una ricerca approfondita tra materiale dei vari backstage, dei social e di documentazione sono stati rintracciati momenti inediti ed emozionanti che rappresentano una visione a 360° di questo straordinario evento: dall’arrivo di Vasco, girato dall’ elicottero su cui giungeva, a quello dei fan più diversi, ai droni su quell’area enorme. Un’intervista girata ad hoc per questa speciale occasione fa da “spina dorsale” del programma, in cui Vasco racconta il concerto ed i momenti più emozionanti mescolando il presente di oggi con le tensioni di tre anni fa, subito dopo i gravissimi incidenti di Torino e l’attentato terroristico al concerto di Ariana Grande a Manchester, ma la scaletta di “40 anni suonati” è l’occasione per una panoramica sui suoi esordi e alcuni momenti topici della sua vita.

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Un giorno da gamberi

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Voci in fondo al mare

Tornano Marcella Sullo e Duccio Pasqua che, con Gaspare Bitetto e Max Dedo, accompagneranno per tutta l’estate gli ascoltatori di Rai Radio1. In immersione dalle 13.30, dal lunedì al venerdì

Tornano i gamberi nel pomeriggio di Rai Radio1. Questa è un’estate diversa, siete pronti?

MARCELLA: Siamo prontissimi!

DUCCIO: Abbiamo un po’ di idee per integrare quella che è stata la trasmissione dell’anno scorso, ci saranno tante cose sfiziose.

Dopo avere trascorso un’intera estate in attenta osservazione, siamo certi che in apertura di questa nuova edizione saprete rispondere con certezza… è vero che i gamberi camminano all’indietro?

MARCELLA: Secondo me camminano in avanti, almeno i nostri di strada ne hanno fatta…

DUCCIO: Ne hanno fatta tanta e sono anche tornati, evidentemente se la sono cavata, anche se forse hanno fatto il giro al contrario… Quindi la risposta non te la sappiamo dare (ride), possiamo solo dirti che ci sono!

Il vostro programma è sinonimo di divertimento e di tanta musica… state già scegliendo i dischi da mandare in onda?

MARCELLA: La musica che passano i gamberi non è quella solitamente in programmazione, con Max Dedo, che fa parte della squadra, siamo pronti a divertirci con la rubrica “Ti sfascio una canzone”…

Quali canzoni “sfascerete”?

DUCCIO: Il titolo potrebbe sembrare minaccioso, ma non è così. Prenderemo dei grandi classici della canzone italiana e internazionale e li smonteremo, provando a raccontare come si costruisce tecnicamente un brano, quali strumenti vengono utilizzati. E lo faremo in maniera molto semplice, adatta a tutti gli ascoltatori.

Che caratteristiche deve avere una canzone per essere giusta per l’estate e per i gamberi?

MARCELLA: Gli ingredienti, affinché un brano funzioni commercialmente in estate, sono le sonorità latino-americane, le ragazze in costume, le bevande alcoliche e la voglia di ballare. Per funzionare con i gamberi una ricetta unica invece non c’è…

DUCCIO: Andremo a cercare in tutti gli ambiti, in tutti i settori, magari recuperando le canzoni dell’estate degli anni Sessanta…

MARCELLA: I famosi lato “B” trascurati, che non hanno avuto la giusta attenzione, gli album di quegli anni erano pieni di bellissime canzoni tutte da riscoprire.

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Lello Arena

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Dare allegria è un dono straordinario

“Ogni volta che posso torno a mettermi il naso rosso, la calottina con i capelli biondi, le scarpe lunghe, per non pensare all’improvviso di essere diventato qualcosa che il destino ha voluto che non fossi”. L’attore campano, impegnato a “Made in Sud” il martedì in prima serata su Rai2, si racconta al RadiocorriereTv

Partiamo da una notizia che ci fa sconfinare in un’altra forma di spettacolo, la vittoria del Napoli in Coppa Italia. Lello tifoso come ha festeggiato?

Ero a Roma, vivendo nel centro di Trastevere mi conoscono tutti e sanno che c’è una piccola colonia partenopea. Ci sono stati un po’ di strilli, un po’ di esultanza, eravamo una minoranza, ma i miei confratelli trasteverini sanno bene cosa vuol dire vincere una coppa così importante. Erano molto felici, c’è un gemellaggio con la Roma che ci accompagna da anni, il giorno dopo erano molto contenti che ci fosse stata la vittoria. Quando l’avversario è comune, è anche facile condividere la gioia della vittoria. Un risultato bello, che ci voleva.

A proposito di Napoli, come ha visto la sua città nei giorni successivi all’emergenza Coronavirus?

Venivamo da una situazione molto florida, felice. Napoli, prima del virus, stava sperimentando un nuovo rinascimento, con teatri aperti giorno e notte, troupe cinematografiche e televisive provenienti da tutto il mondo, una condizione naturalmente favorevole. Poi c’è stato il Covid e devo dire che siamo stati fortunati perché la città, e tutta la Campania, sono state capaci di gestire l’emergenza con una certa eccellenza. Sono circa quattro settimane che siamo a contagio zero, c’è grande prudenza nell’atteggiamento di tutti i giorni, un giro virtuoso che ha fatto sì che la città ne abbia risentito di meno. Si ricomincia pian piano, anche noi dello spettacolo ci siamo messi al lavoro, facendo sì che l’auditorium di Napoli potesse sfornare un po’ di conforto comico per la nazione. Fa piacere che succeda qui, con “Made in Sud”, un caposaldo della comicità campana in televisione.

La messa in onda del programma è un segnale di ripartenza, come sta vivendo questa nuova esperienza?

È molto rispondente alla necessità di reagire. La risorsa dei comici va spesa subito, perché oggi che le cose tendono a ritornare alla normalità, c’è bisogno di dare conforto. Senza pubblico non è facilissimo andare in scena, però bisogna dare il massimo. Sono napoletano, l’Auditorium della Rai è una delle eccellenze, nel programma c’è il meglio del meglio della comicità del Sud, nel vero senso del termine, e poi sono legato da stima, affetto e fiducia gli amici Esposito e Mormone della Tunnel. Queste cose messe insieme, la mia città che mi chiama in servizio, non mi hanno consentito nemmeno alla lontana di pensare di dire di no.

Con l’ironia, sulla panchina condivisa con Paolo Caiazzo, quante verità si possono dire?

Questi vecchietti somigliano a molti di quelli che, usciti di casa dopo la quarantena, hanno fatto il gesto dell’ombrello perché sono sopravvissuti. Loro si ritrovano dopo quattro mesi sulla stessa panchina e ne dicono di tutti i colori. Con l’ironia si possono dire tante verità, anche perché una battuta detta con il buon senso che viene dalla vecchiaia può essere più potente di tanti sketch.

Quando ha capito che la recitazione sarebbe stata centrale nella sua vita?

In realtà non l’ho capito ancora (ride). Mio padre diceva a mia mamma, che si preoccupava per le difficoltà che avrei incontrato nel mio mestiere: “Addolorata, finché non se ne accorge fallo fare”. La sensazione anche oggi è la stessa, che io debba lavorare per fare sì che il pubblico non si accorga che mi hanno messo in un posto sbagliato. In realtà ho studiato e studio molto per far sì che le cose che faccio siano sempre molto curate, però mi dà l’idea, e non lo dico per ridere, che se ci sono riuscito io a fare questa carriera ci può riuscire chiunque. Mamma diceva che non somigliavo agli attori hollywoodiani, lei pensava a Cary Grant, a Clark Gable, io sono tutto tranne che quello, però penso che sopperiscano molto l’umiltà e la voglia di migliorarsi. E poi c’è la fortuna degli incontri. Ho avuto la possibilità di avere grandi maestri, di lavorare con artisti straordinari, se non impari qualcosa da questi mostri significa che sei di coccio e duri poco.

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Alessio Vassallo

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Sono un cantastorie siciliano

Legatissimo alla sua terra d’origine, è Mimì Augello, il vicecommissario del giovane Montalbano. L’attore si racconta al Radiocorriere, ricordando il grande scrittore scomparso un anno fa: “Camilleri era un uomo di contenuti. Era lucidissimo ed era forse il più contemporaneo di tutti. Il nostro compito è quello di continuare a custodire e a tramandare i suoi pensieri”

Lei è un siciliano Doc che porta dentro tutto il calore della sua terra…

Sì, sono un siciliano doc nel senso che essere siciliano è proprio una condizione, un legame fortissimo con le radici che non riesci ad abbandonare neanche se lo vuoi, neanche con il tempo. Ormai sono sedici anni che vivo a Roma, ma nonostante ciò penso in siciliano, respiro in siciliano, il mio modo di vivere è quello ed è molto divertente. Molti amici a Roma sono siciliani, come se ci fosse una sorta di calamita che ci attira fra di noi, anche se ci troviamo fuori dalla Sicilia.

Spesso ha portato la sua terra in teatro, come preferisce raccontarla?

Ho avuto la fortuna di raccontare la mia terra in vari modi, sia al teatro sia in televisione, e ho avuto anche l’onore di raccontare la Sicilia che amo, quella coraggiosa, che volta le spalle alla criminalità organizzata. In molte serie tv vengono descritti e raccontati i cattivi, ma penso che cambiare il punto di vista e spiegare quello delle vittime sia un’operazione più coraggiosa. In tv o al cinema il carnefice ha sempre attirato di più, ha sempre avuto più fascino, mentre raccontare una vittima è molto delicato. Ho avuto la fortuna di poterlo fare sin dagli inizi, ad esempio con Beppe Fiorello ne “La vita rubata”, con Libero Grassi, a teatro con “Dieci storie proprio così”, al Piccolo di Milano e al Teatro Argentina a Roma, raccontando prima le vittime di mafia, poi la memoria storica e contemporanea di persone vive che dicono no alla criminalità organizzata e che ribadiscono con forza  che “non siamo noi che dobbiamo abbandonare il nostro territorio, ma siete voi che dovete andate via perché inquinate la nostra terra”.

Si è cimentato in parti impegnative al cinema, ha portato a teatro argomenti scomodi come la mafia e in tv programmi dedicati ai grandi della letteratura italiana. Perché questa scelta?

Anche la mia compagna a volte mi chiede di interpretare delle parti più leggere. Io mi reputo però un cantastorie. L’aspetto che mi interessa di più, quando decido di interpretare una parte, è che tipo di storia vado a raccontare, di che storia faccio parte, perché penso che, oltre al fine dell’intrattenimento, nel nostro lavoro sia importante quello che comunichi alle persone. Io sono un grandissimo amante della letteratura e, ad esempio, “L’altro 900” con il quale giro tutta l’Italia, racconta questo spaccato di autori, magari meno conosciuti. Stesso discorso vale per i documentari su Pio La Torre, su Libero Grassi, per l’Eneide  contemporanea che abbiamo portato al Teatro Argentina, completamente ribaltata, dove il viaggio diventa di necessità e di conoscenza. Amo molto questo lato pedagogico, culturale del mio lavoro. Il sapere che nel mio piccolo posso far riflettere gli altri.

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Donatella Bianchi

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La mia passione più grande

La conduttrice di “Linea Blu” su Rai1 rende omaggio alla bellezza del Mediterraneo in un volume edito da Rai Libri. Il racconto del mare, un viaggio e una crescita non solo professionali. La giornalista, presidente del WWF Italia e membro della task force governativa per la Fase 2, interviene anche sulle norme di sicurezza in occasione delle vacanze al mare: “Varranno le stesse regole di distanziamento sociale che dobbiamo seguire a terra, sapendo però che secondo i virologi i rischi, in mare aperto, sono sensibilmente ridotti”

Un libro che è più di un viaggio, che è l’insieme di tante rotte… quella del mare è un’eredità importante…

Quella del mare è un’eredità cruciale per il futuro del nostro Paese. Come focalizzato da Piero Angela nella prefazione al libro, noi siamo al centro di un pianeta, perché, dobbiamo ricordarlo, il Mediterraneo non è una distesa d’acqua, ma un pianeta. Pensiamo alle opportunità, al ruolo che abbiamo svolto nella storia, alle grandi civiltà del passato, e noi in mezzo a questo fermento di culture, di commerci, di scambi, di economie, al centro di quello che è un grande parco marino meraviglioso, a quella grande oasi che in fondo il Mediterraneo è, un concentrato di biodiversità che tutto il mondo ci invidia. È questa l’eredità. Ho provato a raccontare quello che amo ripetere, che il Mediterraneo non è come sembra.

Il tuo legame con il mare ha radici profonde, il volume ci porta all’origine di questa grande passione…

In questo libro c’è molto della mia storia personale, non è solo il racconto dei backstage di “Linea Blu”, ma della mia infanzia, delle prime immagini che in qualche modo mi hanno conquistato. Penso al golfo di La Spezia, alla mia famiglia di velisti, a mio papà e alle sue esperienze con Agostino Straulino, con i grandi velisti del passato. Mi vedo bambina in mezzo a trofei più grandi di me, a quelle barche che ai miei occhi erano misteriose perché ero troppo piccola per andare in regata o seguire i miei fratelli.

Salvare il mare da forme di inquinamento sempre più aggressive è una priorità della quale la società sembra essere consapevole…

Paradossalmente negli ultimi due mesi è cambiato il mondo ed è cambiata anche la percezione delle urgenze. Fino a poco tempo fa facevamo grandi battaglie per ridurre l’impatto della plastica nei nostri mari, per evitare che da qui al 2050 in mare ci sia più plastica che pesci. Oggi ci confrontiamo con una nuova preoccupazione, quella dei virus, delle pandemie, ma la connessione ritorna proprio come con le microplastiche, che entrano nella catena alimentare, nel pesce che noi mangiamo. L’effetto boomerang è questo: tutto ciò che facciamo in termini di aggressione all’ambiente e alla natura ci ritorna, e paghiamo comunque sempre noi il prezzo più alto. Siamo i principali aggressori dell’ambiente e siamo le prime vittime di un sistema che non riesce a essere resiliente: senza un ambiente sano, come dice Papa Francesco, l’umanità non riesce a vivere in sicurezza.

Come tradurre la consapevolezza in azione, lo si sta facendo?

Siamo alle prese con una ripartenza complessa, con un’emergenza economica importante. Quello che stiamo facendo è tenere alta l’attenzione e accendere i riflettori sull’esigenza di considerare l’ambiente in modo trasversale. Le azioni, le iniziative, lo sviluppo che verrà, dovranno essere sostenibili in termini sociali, economici, di garanzia del lavoro, ma dovranno sempre avere una grande attenzione all’ambiente. Qualunque azione o scelta dovrà sempre tenere conto del fatto che l’ambiente dovrà trarne qualche beneficio. Ed è per questo che oggi è importante riposizionare le energie su quelli che sono i binari già delineati, perché il nostro Paese ha già preso impegni puntuali, penso ai cambiamenti climatici, alla decarbonizzazione, alla mobilità sostenibile, alle energie pulite. C’è una strada che era già stata definita e lungo quella strada dobbiamo camminare, sapendo che dobbiamo fare lo sforzo di salvare il Paese da una situazione economica e sociale che rischia di essere drammatica, ma che non può trascurare il fatto che potremo essere felici e vivere in sicurezza, anche dal punto di vista sanitario, solo se avremo dei servizi ecosistemici sani, garantiti, e solo se il pianeta godrà di buona salute.

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Ivano Marescotti

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L’ironia illumina la realtà

Figlio della Romagna, attore per caso, nel corso della sua carriera ha conquistato anche Hollywood. Il protagonista del film “Bar Giuseppe”, diretto da Giulio Base, in esclusiva su RaiPlay, si racconta al RadiocorriereTv: “Più i personaggi sono lontani dalla mia identità e più mi diverto a farli. Cerco di non essere coinvolto personalmente, quando l’attore sparisce e compare il personaggio, l’attore assume una grande personalità”

Se ai primi minuti di visione il film sembra raccontare semplicemente l’incontro tra l’anziano Giuseppe e la giovane Bikira, migrante, appena arrivata in Italia dall’Africa, basta poco per accorgersi che la pellicola diretta da Giulio Base guarda soprattutto altrove…

Nel racconto non c’è la necessità di nominare Dio, il cattolico ha il massimo della rappresentatività e un laico, o addirittura un ateo, vede la storia da un punto di vista umanitario, umano. La parola “bar”, in aramaico, significa figlio. “Bar Giuseppe” è quindi “figlio di Giuseppe”. Bikira, in swahili, significa vergine. Leggendo il copione, quando ho visto che lei era incinta e il mio personaggio non l’aveva toccata, mi sono detto: vuoi vedere che stiamo narrando la storia di San Giuseppe? Il loro è un amore profondo. Quando Giuseppe si accorge che la moglie aspetta un bambino viene colto dalla gelosia, teme che sia stata violentata, o che ci sia qualcun altro. Ho scoperto il regista Giulio Base sul set e devo dire che mi ha sorpreso positivamente, eravamo d’accordo veramente su tutto. Lui è molto religioso, io sono ateo, ma la storia di Giuseppe e di Bikira è ben raccontata, molto bella, con tutte le tematiche attuali innestate nella storia religiosa millenaria. Da vero laico e comunista ho amato questo film.

Che società racconta “Bar Giuseppe”?

Una società composita in un paesino del Sud Italia che non viene nominato, è lo specchio del mondo di oggi, con tutte le contraddizioni contemporanee che evidentemente si trascinano da duemila anni. Ci sono gli immigrati, clienti del bar di Giuseppe, c’è chi vorrebbe mandarli via, c’è il razzismo. C’è una comunità scandalizzata dalla scelta di un uomo anziano di sposare una ragazza giovanissima.

Quanto Ivano c’è nello sguardo di Giuseppe?

È un discorso più generale, sono un buono perché il personaggio è un buono. Come attore ho fatto delle carogne, nazisti, fascisti duri, dei mafiosi assassini, ho fatto dei comunisti, dei preti, soprattutto dei cattivi, Giuseppe è il massimo del buono, è difficile fare un buono più buono di quest’uomo (sorride). Più i personaggi sono lontani dalla mia personalità e più mi diverto a farli, riscoprendo mondi e identità diversi dai miei, anche quando l’identità può avvicinarsi alla mia. Cerco di non essere coinvolto personalmente, tanto più l’attore sparisce e quanto più compare il personaggio, tanto più l’attore assume una grande personalità.

C’è un’età giusta per amare?

Ci sono amori di diverso tipo: quelli biblici, quelli sociali e quelli personali, intimi, e poi ci sono quelli affettivi familiari. Ci sono delle stagioni nella vita delle persone dove gli amori sono vissuti in una chiave e in un’interpretazione diverse, è così anche nella storia degli uomini. L’amore tra un uomo e una donna cinquecento anni fa era molto diverso da oggi, con presupposti differenti, ma anche solo cinquant’anni fa, prima del 1968, prima che le donne finalmente facessero una battaglia per la loro emancipazione rispetto al potere degli uomini, l’amore era ancora diverso.  Tutto è molto controverso e in evoluzione.

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Sal Da Vinci

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La mia musica… made in Napoli

Il cantautore partenopeo, new entry a “Made in Sud” su Rai2, si racconta al RadiocorriereTv: “Le canzoni riescono a entrare nel cuore delle persone danzando in punta di piedi e non ne escono più”. E del singolo “Viento”, che anticipa il nuovo album, dice: “è una storia d’amore che potrebbe appartenere a ognuno di noi. Gli amori non finiscono mai, restano nell’aria e vivono poi nei ricordi”

Sul palco di “Made in Sud”, nella sua Napoli insieme a tanti amici. Come sta vivendo questo momento?

Con grande entusiasmo in un gruppo affiatatissimo. Anche il mondo dello spettacolo si sta rimettendo in moto, da qualche parte inizia a sbocciare qualche fiore, ci auguriamo che prossimamente ci sia, per tutti, una prateria fiorita.

Nel programma la musica e la comicità diventano un tutt’uno…

La musica crea aggregazione. Quella di “Made in Sud” è per me un’esperienza nuova, anche se il programma ha una matrice linguistica che mi appartiene. Portare leggerezza, e fare sorridere in modo originale le persone, è un’impresa ardua, una battuta si consuma subito, non la puoi portare avanti per tutta la vita, la musica, invece, resiste sempre. Esserci è davvero una bella soddisfazione, un bagaglio nuovo che arriva dopo un’altra esperienza bellissima, a teatro, con il musical “La fabbrica dei sogni”, in cui ero sul palco insieme a Fatima Trotta, interrotta nel corso dell’inverno a causa del lockdown. Avevamo ancora ottanta repliche da fare, ci siamo fermati, è stata un po’ una botta al cuore. Ripartiremo quando non ci sarà più bisogno di distanziamento sociale, per continuare a fare vivere momenti fantastici agli spettatori che, senza l’arte, diventano molto più tristi.  

Quanta ironia c’è nelle sue giornate?

Non mi prendo mai troppo sul serio, anzi, sono molto autoironico. Nella nostra vita non ci è dovuto nulla, il vero successo risiede nella vita stessa. Se poi riesci a realizzare i tuoi sogni e ad aiutare gli altri hai fatto bingo, non c’è cosa migliore. Noi artisti siamo persone fortunate, abbiamo la possibilità di fare un lavoro bellissimo, che trasmette emozioni. Ma per riuscire serve verità, il pubblico capisce se c’è sincerità e fiuta gli artisti costruiti a tavolino.

Cosa rende Napoli e la sua musica tanto amati nel mondo?

Nella nostra storia siamo stati contaminati da tanta musica, da tanti popoli, da tante culture che ci hanno lasciato, ciascuno a modo proprio, un’eredità. Gli ingredienti di partenza sono di grande qualità e rendono il piatto prelibato. Napoli ha un suo sound, un suo modo di vedere la vita e di combattere le avversità, un linguaggio che non è un dialetto, ma una vera e propria lingua. Sotto il Vesuvio sono venuti a studiare e a comporre musicisti del calibro di Beethoven e Puccini. Via Toledo è stata abitata da molti musicisti europei che hanno lasciato qualcosa di importante. Scrittori, poeti, compositori, da Salvatore di Giacomo a Libero Bovio, da Renato Carosone a Pino Daniele. All’estero, la musica napoletana, è spesso sinonimo di musica italiana, è l’Italia che canta ed è una bellissima cosa.

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Convertini Falchi

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Questa terza, fantastica età

Dal 29 giugno alle 10 saranno i nuovi padroni di casa del mattino di Rai1. Il RadiocorriereTv incontra Beppe Convertini e Anna Falchi

Quale significato assume, oggi, un programma dedicato alla terza età?

ANNA: Ha un significato molto importante, rappresenta, nel vero senso della parola, la ripartenza, la fase3. È ora che le persone che appartengono a questa fascia d’età tornino ad essere protagoniste della vita vera, non della cronaca nera. Gli anziani sono stati i più colpiti dal virus, questo programma è un vero e proprio atto d’amore nei loro confronti. Li faremo parlare, raccontare, li coinvolgeremo.

BEPPE: Nel raccontare il “terzo tempo” della vita, proviamo a rendere omaggio a tutte quelle persone, anziani soprattutto, decedute a causa del coronavirus. Nessuno potrà mai scordare le immagini delle bare trasportate dai carri militari nel bergamasco. Persone morte in solitudine, lontane dagli affetti dei propri cari. Abbiamo perso un’intera generazione. Speriamo di regalare un po’ di leggerezza per restituire a tutti la voglia di sognare, di continuare a mettersi in gioco.  Le possibilità, nella vita, non finiscono quando si va in pensione, al contrario ci si può impegnare mentalmente e fisicamente e “rallentare” l’invecchiamento. Racconteremo storie bellissime di nonni e nonne. Cosa sarebbe la nostra vita senza il loro sostegno? Aiutano le famiglie, si impegnano nel volontariato, vanno all’università, a ballare, viaggiano, si reinventano un lavoro e si innamorano.

Come vivete il passare del tempo?

BEPPE: Ogni età ha il suo fascino, il tempo che passa ha sempre qualcosa di speciale. Accumuli esperienza di vita, si ha una maggiore consapevolezza di sé e più facilità nell’affrontare gli ostacoli. Mi piace pensare alle rughe sul viso, ai capelli brizzolati, ma soprattutto mi piace l’idea che gli occhi raccontino la nostra vita.

ANNA: Ho un rapporto equilibrato, sano, non ho paura del tempo che passa. Mi aiuta anche l’essere madre di una bambina di nove anni, in lei vedo il futuro. Molte delle cose che dovevo fare le ho già fatte e mi piace pensare di poterla accompagnare più lontano possibile nel percorso della vita.

Ricordatevi per un istante bambini, insieme ai vostri nonni…

ANNA: Purtroppo i nonni non li ho vissuti. Vivo e osservo, in compenso, il rapporto che c’è tra mia mamma e mia figlia, le mie nipoti. Ho avuto una nonna finlandese, ma mamma vive in Italia da sempre e nonna era molto in là con l’età. Veniva a trovarci durante le vacanze, noi andavamo qualche volta in Finlandia, ma l’ho persa che ero molto piccola. La nonna paterna, invece, praticamente non l’ho vissuta perché non ho avuto un rapporto con mio padre. Ho avuto però la fortuna di incontrare maestri di vita professionale, ho lavorato con i grandi del cinema italiano, Federico Fellini, Carlo Lizzani, Dino Risi, che hanno creduto in me. Mi hanno accompagnato agli inizi della mia carriera, dandomi la possibilità di imparare. Pietro Garinei è l’ultimo grande maestro con il quale ho lavorato, nel campo teatrale. Pendo dalle labbra delle persone che hanno qualcosa da insegnarmi.

BEPPE: Ho perso i nonni quando ero bambino, ma ho dei ricordi bellissimi di loro. Erano contadini e con loro ho fatto le vendemmie ai trulli, ho pigiato l’uva con in piedi, mi sono dondolato sulle loro braccia mentre giravano il torchio sul fuoco che ardeva e che sapeva di legna, facevo le conserve, andavo a prendere le uova fresche. Ricordo i pranzi e le cene sotto i pergolati, insieme a tutta la mia famiglia, ad ascoltare i loro racconti. Ora penso anche a mia mamma, che è una nonna e una bisnonna, una donna forte che, nonostante le difficoltà e le perdite che ha avuto, è andata avanti donandoci amore.

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Danilo Scarrone

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In tempo reale

Ancora più attenzione al traffico e alla sicurezza stradale, agli automobilisti di oggi e di domani, Isoradio informa e intrattiene 24 ore su 24. Il direttore Danilo Scarrone: “Facciamo un prodotto artigianale, rigorosamente in diretta. Siamo una radio che ha un’identità, una radio che fa la radio”

Come avete rimodulato il rapporto con il pubblico in questi mesi in cui gli italiani si sono spostati di meno?

Siamo stati tra i primi, durante il lockdown a pensare a come ripartire, a che tipo di messaggio dare agli italiani quando sarebbe finita l’emergenza. E così abbiamo coniato lo slogan “Si riparte”, che è anche il titolo del programma in onda dalle 14 alle 15, dal lunedì al venerdì, con Roberto Poletti. Senza stappare bottiglie di spumante, perché con questo virus c’è poco da festeggiare, vogliamo comunque dare un segnale, mostrando come la macchina si sia rimessa in moto, perché la batteria non è scarica. Basta ripartire, giorno dopo giorno, in sicurezza e seguendo le regole. È un messaggio di fiducia e di speranza che diamo ai nostri ascoltatori, a partire dagli automobilisti.

L’estate è ormai dietro l’angolo, la macchina di Isoradio viaggia già a pieni giri…

Isoradio non si ferma mai, siamo un gruppo di 23 persone di cui 17 conduttori, impegnati 24 ore al giorno. Facciamo una radio artigianale, di pubblica utilità, con l’arrivo dell’estate intensificheremo i collegamenti in diretta dagli elicotteri della polizia stradale, per riuscire a informare in tempo reale dove ci sono emergenze, ritardi, disagi, ingorghi. Tutto questo lo facciamo anche insieme ai carabinieri, all’Anas, a Società Autostrade, in ogni angolo del Paese, a 360 gradi.

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