Cinzia Tani

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Amanti e rivali

Terzo e ultimo volume della serie “Il volo delle aquile”, la trilogia che la scrittrice romana dedica agli Asburgo, intrecciando verità e fantasia e dipingendo un affresco indimenticabile dell’Europa del XVI secolo

Tra romanzo storico e invenzione letteraria, come si muove un autore?

Come scrittrice di romanzi storici non sono molto italiana, sono un po’ più anglosassone, americana, un po’ alla Ken Follett, che racconta cose verissime e poi inserisce personaggi di fantasia. Questo lo faccio perché non sono una storica, la storia è vera, ci sono tutti i personaggi che faccio vivere, ma dentro ci sono anche quelli di fantasia che sono “verosimilissimi”. C’è stato un grande studio per infilarli in mezzo alla storia di quelli veri, in modo che il lettore si possa immedesimare molto di più nel personaggio con le sue gelosie, i suoi fallimenti, i suoi amori, le sue passioni.

“Amanti e rivali” chiude la trilogia che hai dedicato al Cinquecento e all’ascesa al potere in Europa degli Asburgo. Che cosa ti ha colpito di quel periodo?

Assolutamente tutto. Ho voluto tre libri per raccontare il XVI secolo, dal 1500, quando nasce Carlo V, al 1600, quando finisce l’Impero asburgico con Filippo II, che di Carlo V era il figlio. E’ il secolo più importante insieme al Novecento. Dalle riforme religiose alle grandi battaglie, gli scontri con i musulmani, Martin Lutero, il sacco di Roma, i capitani di ventura, il Rinascimento, Tiziano, e questo impero maestoso, pazzesco, il più grande del mondo con tutte le corti, nelle Fiandre, a Parigi. Ci sono Caterina de’ Medici, Elisabetta I , Enrico VIII, tutti personaggi che abbiamo nella mente, che abbiamo visto nei film e nei libri di storia.  Tra gli eventi importanti di questo ultimo libro c’è la grande battaglia di Lepanto con uno dei miei personaggi preferiti, Don Giovanni d’Austria, che è il figlio bastardo di Carlo V, lasciato in mezzo ai contadini da bambino e poi diventato il grande Don Giovanni, bello, affascinante, giovane comandante con i suoi amori. E poi c’è l’epilogo, la famosa sconfitta dell’invincibile armata spagnola da parte di Francis Drake, il pirata della cattivissima Elisabetta I, e quindi la fine del potere spagnolo.

Nel 1572, regno di Carlo, si consuma la strage degli Ugonotti per mano dei cattolici. Come è stato narrare quello scontro, tanto cruento, tra cattolici e protestanti?

È un momento inimmaginabile che ho voluto raccontare nei dettagli, mettendoci anche i miei personaggi di fantasia per farlo vedere meglio, per far capire l’orrore che è la guerra di religione, in particolare tra persone che appartengono alla stessa religione. Pensiamo a sciiti e sunniti, è una cosa che mi fa impazzire, allora erano protestanti e cattolici. Erano cristiani, e i cattolici li hanno massacrati, compresi donne e bambini, scuoiati, impiccati, una tragedia. Poi la cosa è continuata, anche i protestanti si sono resi responsabili di stragi nelle Fiandre. L’ho voluto raccontare perché non mi sembrava possibile che si sia potuto arrivare a tanto.

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Mario Acampa

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La banda dei fuoriclasse, il ripassone

Dal lunedì al venerdì alle 14.40 su Rai Gulp, torna Mario Acampa con un’edizione speciale del programma destinato agli studenti delle scuole primaria e secondaria inferiore. Un appuntamento per rivedere le lezioni più significative di tutte le materie e per prepararsi al meglio in vista del ritorno in aula a settembre. Tutte le puntate sono disponibili anche su Rai Play

Con tutte le difficoltà legate all’emergenza sanitaria la scuola è terminata. Docenti, studenti e genitori, tuttavia, sono già proiettati a settembre, quando si tornerà a studiare a scuola. Per aiutare gli studenti della scuola primaria e secondaria inferiore a ripassare materie e argomenti, ecco arrivare un’edizione speciale de “La Banda dei FuoriClasse”, il programma del progetto #lascuolanonsiferma della Rai, che ha accompagnato durante la fase di lockdown gli studenti delle scuole primarie e secondarie inferiori che, per motivi diversi, non potevano seguire le lezioni attraverso la didattica a distanza.

Dal lunedì al venerdì, alle ore 14.40 su Rai Gulp, Mario Acampa presenta “La Banda dei FuoriClasse, Il Ripassone”. Un appuntamento per rivedere le lezioni più significative del programma, che accompagnerà gli studenti fino a settembre, in attesa di una nuova edizione del programma. Tutte le puntate sono disponibili su RaiPlay, insieme anche a una selezione di lezioni singole dei principali docenti.

Uno sforzo produttivo importante da parte di Rai Ragazzi che, nonostante le limitazioni imposte dalla fase di lockdown, è riuscita a garantire, dallo scorso 17 aprile (giorno della prima puntata), una diretta giornaliera (dal lunedì al venerdì) per 37 puntate di tre ore ciascuna. Sono state affrontate tutte le materie dall’italiano alla matematica, passando per storia, geografia, scienze, inglese, educazione artistica e musica, oltre all’educazione fisica, con il contributo dei giovani campioni del programma di Rai Gulp “Sport Stories”.

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Rai Fiction

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Emozioni in prima serata

Da Anna Valle a Beppe Fiorello, da Alessandro Gassmann a Elena Sofia Ricci. E ancora Luca Argentero, Claudio Amendola, Lino Guanciale, Cristiana Capotondi e Carolina Crescentini. Sono solo alcuni degli amati protagonisti delle serie Rai in programmazione da settembre sui canali generalisti e sulla piattaforma RaiPlay. Nel nostro servizio tante gustose anticipazioni

Sono le emozioni più forti, quelle che nascono da un racconto, da storie intense frutto della penna e della fantasia di abili autori e sceneggiatori, o ispirate a fatti ed eventi realmente accaduti. La fiction Rai, la cui mission va ben oltre il mero intrattenimento, è pronta ad appassionare la grande platea televisiva con nuovi titoli e attesissimi sequel, sin dal prossimo settembre. Rai1 è ancora una volta il palcoscenico naturale e punto di riferimento dell’intera famiglia. A fare la parte del leone è il genere poliziesco, in arrivo “Vite in fuga”, sei serate dirette da Luca Ribuoli, con Claudio Gioè e Anna Valle, nuova potente ibridazione tra due mondi apparentemente distanti, il thriller e il family. Una vicenda intensa, ambientata nella Capitale, che vede il crollo di una banca, un dirigente al centro dei sospetti per la morte di un collega, le intimidazioni alla famiglia, la necessità di nascondersi altrove dietro una nuova identità e la scoperta di non conoscere fino in fondo chi ci è vicino. Nel cast della serie anche Barbora Bobulova. L’autunno segna il ritorno sugli schermi di Rai1 di Giuseppe Fiorello in “Gli orologi del diavolo”, in cui l’attore siciliano veste i panni di Marco Merani, motorista nautico con un passato nelle gare off-shore, costretto a infiltrarsi nel mondo del narcotraffico su mandato della polizia e a mettere a rischio la famiglia, il lavoro e la sua stessa identità. Una vita sotto scacco e, dietro l’angolo, l’inferno, quello delle galere francesi. Nel cast della serie in quattro puntate, diretta da Alessandro Angelini e ambientata tra Liguria e Spagna, Claudia Pandolfi, Alvaro Cervantes, Nicole Grimaudo. A riportarci a Roma è invece “Io ti cercherò”, serie drammatica in cui un ex poliziotto, interpretato da Alessandro Gassmann, segnato da quello che sembra il suicidio del figlio, indaga con l’aiuto di un’ex collega e nel dolore riscopre il senso della paternità e la forza per ricominciare. Altri protagonisti del giallo, in quattro serate, che vede dietro la macchina da presa Gianluca Maria Tavarelli, sono Maya Sansa, Andrea Sartoretti, Luigi Fedele. Tra i grandi ritorni “Nero a metà”, con i poliziotti Claudio Amendola e Miguel Gobbo Diaz, “L’allieva”, giallo comedy con Lino Guanciale e Alessandra Mastronardi e le ultime quattro serate di “DOC – Nelle tue mani” con Luca Argentero, la cui realizzazione era stata fermata nella primavera dall’emergenza Covid. Al premio Nobel Rita Levi Montalcini e a Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari, sono invece dedicati gli attesi Tv movie di Rai1. Nei panni di queste due figure straordinarie si calano rispettivamente Elena Sofia Ricci e Cristiana Capotondi. Tra gli appuntamenti evento della rete anche la docufiction con Thomas Trabacchi, “Questo è un uomo”, incentrata sulla vita di Primo Levi, lo scrittore piemontese che ha raccontato la tragedia della Shoah, e il film “Natale in casa Cupiello”, che inaugura una collection di pellicole tratte dai capolavori di Eduardo De Filippo. Protagonisti Sergio Castellitto e Marina Confalone.

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Ivan Cotroneo

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Nelle parole la nostra anima

Scrittore, sceneggiatore, regista di film e serie tv di successo, Ivan Cotroneo si racconta al RadiocorriereTv: “Il mio lavoro nasce dalla curiosità e si basa sull’osservazione. Sono stato sempre attaccato alla scrittura, uno strumento per raccontare storie agli altri, uno strumento di sollievo, di comprensione umana e anche di sopravvivenza”

Come ci si sente a fare parte delle “beautiful minds” di RaiPlay?

Quando mi hanno chiamato e mi hanno citato i nomi degli altri partecipanti al programma, mi sono sentito molto lusingato per essere in compagnia di persone che amano tanto il lavoro che fanno. Per alcune lo si vede da come lo fanno, in altri casi lo so perché le conosco personalmente.

In un mondo di immagini, qual è il valore della parola?

Vengo dalla parola e nella parola credo molto. Come regista mi occupo anche di trasferire le parole che scrivo in immagini, però la mia formazione è quella dello scrittore. Sono diplomato in sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma con Suso Cecchi d’Amico e Age, sceneggiatori che hanno fatto la storia del cinema italiano e che hanno regalato l’importanza della parola a registi visionari come Luchino Visconti. Ho sempre avuto bene in mente il ruolo della parola e mi considero, prima di tutto, un raccontatore di storie. Quando scelgo di metterle in scena, e c’è anche il problema della composizione dell’immagine, o di scriverle in forma di sceneggiatura al servizio di un altro regista, le considero uno strumento ulteriore. La parola e il racconto, sia in forma orale che scritta, sono la base di partenza di tutto. Senza la parola, da regista, sono incapace di spiegare i miei pensieri alle persone che lavorano con me, il mio è un lavoro in cui l’importanza della creatività degli altri è fondamentale, da soli non si fanno film, non si fanno serie televisive.

C’è differenza tra parola parlata e scritta?

Molta. Cito la battuta di Tommaso, protagonista di un film che ho scritto, “Mine vaganti”, interpretato da Riccardo Scamarcio, che spiega così la sua vocazione per la scrittura: “Quando mi fate una domanda mi viene voglia di non rispondere, ma di andare nell’altra stanza, scrivere la risposta e poi leggerla, perché così ho sempre l’impressione di essere più preciso”. Il lavoro sulla parola scritta ti consente di ridurre il gap tra ciò che vorresti dire e ciò che riesci a dire. Rimane comunque, sempre, una distanza incolmabile, che è quella che in qualche modo ci tiene vivi e ci spinge a fare meglio nel nostro lavoro, è lo stimolo per continuare.

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Ammendola Strabioli

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Nel segno delle emozioni

Roberta Ammendola e Pino Strabioli sono i nuovi padroni di casa del programma in onda il sabato mattina dalle 8.30. Protagonisti l’arte, la musica, lo spettacolo, i libri

Il buongiorno del sabato di Rai1 ha il sapore della cultura, a distanza di qualche settimana dalla partenza,  come sta andando?

PINO: Usciamo da un periodo di grande tristezza, di fatica, per cui ci sembrava carino dare il buongiorno, almeno il sabato, con delle buone notizie, un po’ di sorriso, provando a raccontare la rinascita della cultura, capire come il settore sta reagendo a questa fase difficile. Ai libri abbiamo aggiunto il teatro, la musica, il cinema. E poi ci siamo noi, è la prima volta che lavoro con Roberta, c’è tanta sintonia, ci divertiamo, c’è grande rispetto. L’emozione per me è doppia perché ritorno a Rai1 dopo tanti anni, dopo le edizioni di “Uno Mattina” con Livia Azzariti, Luca Giurato, Puccio Corona, Paola Saluzzi, Monica Maggioni.

ROBERTA: Tante emozioni per una bella esperienza. Al “Caffè” ci sono arrivata naturalmente, ho proprio cominciato dalle trasmissioni e dalla cultura, è quindi un ritorno a casa. Mi sto trovando davvero bene, e poi non potevo desiderare un compagno di viaggio migliore, a cui mi accomuna la grande passione per il teatro. In onda non abbiamo copione, andiamo a braccio per nostra scelta, con grande serenità. Ci piacciamo tanto e ci vogliamo bene.

Si dice che le cattive notizie attraggano di più gli ascoltatori di quelle buone, è davvero così?

ROBERTA: Attrarre il pubblico con le buone notizie, con il bello, è un po’ la nostra sfida. C’è il luogo comune che la cultura non paghi, che non faccia notizia, ma non è affatto vero. La cultura, non dimentichiamolo, ci ha anche aiutati a superare i mesi terribili dell’emergenza Coronavirus. Dobbiamo ripartire proprio dal bello.

PINO: Di buone notizie bisogna darne sempre di più. Ma anche quelle brutte vanno comunicate con un certo garbo, senza mai affondare il coltello.

La cultura sta vivendo un momento di difficoltà, la televisione può aiutarla?

PINO: Da sempre penso che la Rai abbia il dovere di divulgare e di incuriosire, di informare su un mondo culturale in continuo fermento. Dobbiamo lanciare un messaggio e recapitarlo immediatamente a chi ci ascolta. È fondamentale educare alla memoria pur senza essere pedanti, senza storicizzare troppo il tutto. Bisogna raccontare chi siamo stati, chi siamo e dove stiamo andando, non dimenticando mai le nuove generazioni.

ROBERTA: Come televisione del servizio pubblico abbiamo il dovere di non abbassare la guardia, di seguire la rinascita anche culturale. Cinema e teatro stanno operando con restrizioni che rendono il loro lavoro molto complicato, la televisione ha invece la fortuna di avere il pubblico a casa, di poterlo tenere informato su quello che si sta muovendo nel mondo dell’arte e della cultura, sulle belle notizie. L’informazione non deve mai spegnere il faro.

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Federica De Denaro

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Ti racconto L’Italia che non sai

Al timone del programma di Rai1 con Michele Dalai, la conduttrice ci porta alla scoperta di un patrimonio culturale e naturalistico spesso poco conosciuto. Da sabato 25 luglio alle 17.15 su Rai1, in collaborazione con il ministero dei Beni Culturali

Raccontare l’Italia e le sue bellezze in un momento di ripartenza: dove ci porterete?

A riscoprire il nostro Paese e un patrimonio che spesso diamo per scontato. Quello che abbiamo vissuto è stato un momento difficile per tutti, ma forse, lo stare chiusi per tanto tempo nelle nostre case, ci ha fatto apprezzare maggiormente tutto ciò che c’è attorno a noi, a partire dai luoghi. Il programma si propone di fare scoprire itinerari meno iconici rispetto quelli più battuti dai turisti, ma altrettanto belli e affascinanti. Ogni regione italiana ha dei posti incredibili nei quali trascorrere momenti indimenticabili.

Cosa significa viaggiare nell’estate 2020?

È un’estate molto particolare, in cui le persone si spostano per lo più per raggiungere una sola regione, per vacanze non particolarmente itineranti. Aspetto positivo di tutto questo, è la possibilità di conoscere bene un territorio, approfondendo ogni suo aspetto, dalle eccellenze artigianali a quelle culinarie.


Cos’hai imparato del nostro Paese in tanti anni di televisione fatti per lo più sul territorio?

Che siamo un Paese unico, siamo piccoli ma ogni regione ha tantissime specificità, luoghi da scoprire pieni di cultura, di storie. Parlo delle storie che ci sono dietro ai nostri agricoltori, ai nostri artigiani. È un Paese a cui non manca nulla e io imparato anche a rispettarlo maggiormente. Quando hai la fortuna di conoscere non solo i luoghi ma anche le persone che li abitano, capisci per davvero cosa significhi l’amore per la terra, per le radici. Mi auguro che l’estate possa rappresentare una bella opportunità per scoprire in maniera diversa il nostro Paese.

Che rapporto hai con il viaggio?

Meraviglioso, il migliore che si possa avere. Sono sempre pronta, viaggiare non mi pesa mai, la curiosità è il motore che mi muove. Sono in viaggio da vent’anni, prima come inviata, poi con “Linea verde”. Ho trasmesso questa passione alle mie figlie di 13 e di 12 anni, anche loro sono due provette viaggiatrici. Se c’è da viaggiare la stanchezza scompare.

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Maurizio Degiovanni

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A Napoli il cuore della mia scrittura

“La parola è fondamentale, il cardine dell’essere umano, ce l’abbiamo solo noi” afferma lo scrittore partenopeo, tra le “Beautiful minds” raccontate da RaiPlay, che aggiunge: “Non esiste una regola, sono le storie che vengono da te e non lo scrittore che le va a cercare. Un’idea è ingovernabile, devi solo essere attento a non farla andare via”

Come ci si sente a far parte delle “Beautiful Minds”?

Non sapevo di avere una beautiful mind (ride), ma sono molto contento di essere abusivamente inserito in questo novero. È stata un’intervista non convenzionale, con domande ricercate e originali.

Qual è stata la domanda che l’ha colpita di più?

Quelle sull’origine e il processo formativo dell’idea, e non solo sugli effetti della scrittura. È un approccio interessante, che accade raramente. Di solito, a un autore, si chiede dei personaggi, dei romanzi e poco interessa cosa abbia portato all’idea di un racconto.

Si ricorda quando ha capito di essere diventato uno scrittore?

Ho cominciato a scrivere molto tardi, avevo quarantotto anni. È stato tutto molto casuale, di certo non posso dire che coltivavo questo sogno fin da ragazzo, anche se è sempre stata una attività presente nella mia vita. Lavoravo in banca e non avevo idea di quello che sarebbe successo nella mia vita. Sono sempre stato un lettore e questa è una cosa alla quale non potrei rinunciare. Scrivere, inventare e raccontare storie, essere apprezzati per questo dalla gente è una bellissima soddisfazione, una sensazione molto gratificante. Ho capito che poteva essere il mio mestiere solo quando, da piacevole passatempo ben pagato, è diventata una cosa grossa, qualcosa di importante che dovevo seguire. A essere sinceri, ancora oggi, faccio fatica a considerare un mestiere qualcosa che viene molto naturale e non costa fatica.

È il privilegio di fare un lavoro che si ama…

La bellezza di impegnarsi in un lavoro creativo, anche se in Italia si fa fatica a credere che la creatività abbia un valore. Ancora oggi quando mi presento come scrittore, la domanda successiva è “e di lavoro cosa fa”?

Viviamo in una società bombardata da immagini, qual è invece il valore della parola?

La parola è fondamentale, il cardine dell’essere umano, ce l’abbiamo solo noi. “Le parole sono pietre” diceva Carlo Levi, ed è assolutamente vero. Con le pietre si costruisce, si colpisce, la parola è lo strumento più importante nelle nostre mani, può ledere, ma anche costruire cattedrali, cose bellissime. Tutto si muove attorno alla parola, non c’è niente al di fuori di essa.

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Mino Abbacuccio

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Venti Euro e risolvo tutto!

Il comico napoletano interpreta Peppe Domanda in “Made in Sud”. “E’ un personaggio di denuncia, attualissimo  – spiega – nato poco prima del Covid a teatro, si è evoluto durante l’emergenza sanitaria per sbrigare le pratiche per i  bonus”. E aggiunge: “c’è sempre un lavoro dietro ogni battuta. Come quando scrivi una canzone o una poesia”

Come sta procedendo il suo percorso artistico in Made in Sud?

Sto vivendo una crescita poiché, oltre a portare nuovi personaggi e quindi a rinnovarmi dal lato artistico, sono diventato anche ufficialmente un autore e collaboro con diversi comici.

Peppe Domanda è una evoluzione di un suo personaggio?

E’ nato poco prima del Covid a teatro. Poco prima dell’emergenza sanitaria era il classico truffatore napoletano che si inventava qualsiasi pratica per guadagnare qualcosa. Dopo il Covid è diventato attualissimo, dato che sono venute fuori tutte queste pratiche per i bonus. Sembrava proprio creato apposta e quindi l’ho reso attuale. Prima Peppe aveva una cartellina, adesso fa le pratiche on line. E’ un personaggio di denuncia, ma mi sta divertendo tanto. Molto diverso dagli altri personaggi che ho interpretato, dove ero sempre vittima.

Qual è la domanda che non troveremo mai su Pepp App?

E’ proprio una bellissima domanda! Se mi dai venti euro ti faccio vedere che c’è tutto!

Perché ad ogni risposta ci sono i venti euro?

Ho voluto inserire questo tormentone per dare simpatia al personaggio e un carattere identificativo. E poi con venti ci sono tanti giochi di parole che posso fare. Nel remake di “Fast and furious”, Stefano De Martino mi chiede: “Con Vin Diesel?” e io rispondo “Con Vint Eur”.

Lei è stato anche il “Tatuatore”. Se dovesse farsi un tatuaggio oggi, come sarebbe?

Un peluche, perché è stato il mio lancio a Made in Sud. Lo farei con un errore e quindi coinvolgerei anche il  mio personaggio “Sbaglio” e lo pagherei venti euro.

Lei nella realtà in cosa sbaglia?

Il tema dell’errore nel personaggio “Sbaglio” era per renderlo più simpatico perché, se incontri un tatuatore perfetto e brillante, parti vincente. Di errori ce ne sono tanti. Ho voluto far emergere che finché non commetti degli errori non lo comprendi, ma quando li fai, è davvero pericoloso e bisogna stare molto attenti e farne tesoro.

Come nasce il personaggio “Titì” che ha fatto impazzire moltissimi bambini?

E’ stato il mio esordio. Feci un provino con Nando Mormone e portai un vecchietto, ma non mi rispecchiava. Così venne fuori l’idea di un amico immaginario, una sorta di coperta di Linus che aiutava un personaggio carico di insicurezze, pur non parlando.

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Mariano Bruno

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La comicità?  Nasce dalla quotidianità

Le sue incursioni sul palco sono esilaranti: da “C’è Ttina” a “Lallo il Cavallo”, passando per “Pigroman”. Il comico più “anziano” di “Made in Sud” ci racconta i suoi personaggi e le esperienze sulla scena. “L’idea – spiega  – scatta dalla vita di tutti i giorni, da intuizioni giornaliere”

Da dove nascono i personaggi delle sue incursioni a “Made in Sud”?

Nascono da intuizioni giornaliere. Così è successo per “C’è Ttina”, per “Lallo il Cavallo”, per “Pigroman”. Io mi rifaccio alla vita quotidiana. Un simbolo, un gesto, una frase e scatta l’idea.

C’è un suo personaggio preferito?

Sono tutti figli miei e voglio bene a tutti allo stesso modo.

Quando e come si è scoperto comico?

Ho iniziato a scrivere delle cose comiche e quindici anni fa partecipai a vari concorsi di cabaret, un modo molto diffuso in Campania per farsi conoscere. Vinsi un concorso e conobbi Nando Mormone, che nel 2008 iniziava il progetto “Made in Sud”.  Un passo dietro l’altro, oggi sono qui, il comico più anziano del palco, escludendo la conduzione.

Le sue esibizioni, a volte, possono terminare diversamente da come previsto…

Può succedere. Ad esempio in una puntata c’è stata una risata irrefrenabile tra me e Stefano De Martino, che ha spinto il pezzo in un’altra direzione. Ovviamente con il pubblico è diverso, perché la sua reazione ti permette di capire tante cose.

Si sente sempre soddisfatto delle tue esibizioni?

Un comico in linea di massima non è mai soddisfatto. Prima ero sempre molto critico con me stesso. Oggi ho imparato che quello che metto in scena è il massimo che posso dare e quindi devo essere solo contento. Anche perché, altrimenti, si prosegue per la strada che ormai ho imboccato da cinque o sei anni … quella di far riferimento a  gastroprotettori (ride)

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Piero Angela

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Un viaggio lungo 40 anni

Uno dei marchi più amati e apprezzati dal pubblico televisivo festeggia un importante compleanno. Il RadiocorriereTv incontra il decano della divulgazione televisiva, che di “Quark” è ideatore e conduttore: “Con il nostro lavoro dobbiamo svegliare le coscienze sul ruolo fondamentale di tecnologia ed energia”. E ancora: “Se non ci diamo una mossa le cose andranno male”

Come nacque il progetto “Quark”?

Questo è il quarantesimo ciclo, sono tanti anni, il primo andò in onda nel 1981, ma lo stavamo preparando già nel 1980. “Quark” nacque perché nel decennio precedente facevo dei documentari, nell’ambito del telegiornale, non potevo farne tanti in un anno e andavano in onda in ordine sparso. Non c’era un appuntamento fisso con la scienza e, proprio per questo motivo, pensai di creare una rubrica con la collaborazione di altri divulgatori. Misi in moto questa macchina.

Perché scelse proprio questo nome?

Avevamo un lunghissimo elenco di titoli, ognuno aveva messo quelli che gli sembravano più interessanti, alla fine venne fuori questo “Quark”, che è la più piccola particella conosciuta all’interno dell’atomo, significava andare dentro le cose. A proporlo fu Marco Visalberghi, il primo collaboratore del programma insieme a Lorenzo Pinna e a Giangi Poli. Due sono andati in pensione, Visalberghi ancora lavora.

Quando iniziò l’avventura, pensava che “Quark” sarebbe diventato un punto di riferimento per tante generazioni di telespettatori?

Ho sempre pensato che la scienza sia così interessante, piena di conoscenze utili, straordinarie, per cui qualunque persona un po’ curiosa non può non esserne interessata, anche se nella vita fa altre cose. È andata molto bene, anche perché “Quark” è un marchio che si è differenziato in tantissimi altri programmi, come “Il mondo di Quark”, “Quark economia”, “Quark Europa”, “Quark musica”, e ancora l’enciclopedia, le serie, gli speciali. Abbiamo fatto 200 pillole di “Quark” e poi “Superquark”, quando nel 1994, la prima serata, per essere vincente, doveva durare con lo stesso programma fino al telegiornale della notte.

Un progetto capace di adeguarsi al passare del tempo…

Una volta i programmi di prima serata della Rai duravano un’ora. Nella prima edizione andammo in onda alle 21.30, subito dopo il famoso telefilm “Dallas”, che andava benissimo. La prima puntata di “Quark” fece 9 milioni di telespettatori. Grazie a tutti i collaboratori facemmo 18 appuntamenti.

“Quark” è da sempre un osservatorio privilegiato sulle scoperte scientifiche e tecnologiche, sull’evoluzione della nostra società. Come siamo cambiati noi umani e come è cambiato il mondo che ci ospita nel corso di queste quattro decadi?

Un anno prima che io nascessi, Lindbergh attraversava l’Atlantico per la prima volta. Molti non hanno capito come il mondo stia cambiando rapidamente. C’è una grande carenza di scuola e di informazione, il nostro programma cerca proprio, così come faccio personalmente con i libri e con le conferenze, di aiutare a colmare questo buco. Pensi come il mondo è cambiato nell’arco della mia generazione. Quando sono nato, nel 1928, la speranza di vita era di 52 anni. Io quest’anno ne compio 92, ho fregato 40 anni alle statistiche (sorride). Le tecnologie figlie della scienza, che sono alla base dello sviluppo economico e della capacità di competere, oggi sono sottofinanziate, sono l’ultima ruota del carro. Se non ci diamo una mossa le cose andranno male, come già stanno andando male.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 28 a pag.8