Valeria Fabrizi

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Ho sempre ballato con la vita

Raggiungiamo al telefono l’attrice che in “Che Dio ci aiuti” dà cuore e volto a Suor Costanza mentre è arrampicata sulle scale per qualche lavoro casalingo: «La gente si stupisce quando scopre quello che faccio, sono ancora agile, e anche un po’ incosciente. Ma io non dico mai “non ce la faccio”, piuttosto “ce la devo fare”». E aggiunge «Lo sa che quando ero all’inizio della mia carriera, il RadiocorriereTv mi ha dedicato ben quattro copertine?!». Le premesse per una bella chiacchierata ci sono tutte…

foto di Lucia Iuorio

Signora Fabrizi da dove arriva tutta questa energia?

È un dono, forse dipende dalla generazione a cui appartengo. Pensi che ho delle amiche e colleghe più giovani che sono proprio spente, non so più cosa fare per smuoverle un po’. Io forse mi ricarico di notte (ride).

Qual è la prima cosa che fa appena sveglia?

Apro gli occhi con una musichina deliziosa del cellulare, mi saluto con un “Buongiorno Valeria”, e inizio a ballare.  

E la sera prima di andare a dormire?

Vado a letto sempre il giorno dopo, dopo che la radio trasmette l’inno italiano. Amo la notte, guardo la tv, leggo, suono la chitarra, non mi stanco mai. Ora poi che ho la casa in confusione, soprattutto dopo l’arrivo dei ladri, sono impegnata a mettere a posto.

In questo periodo di restrizioni da pandemia, come trascorre il tempo libero?

All’inizio non è stato così drammatico, ho una casa grande con il terrazzo, la gente intorno mi faceva compagnia. Amo il mio quartiere e ho cercato di viverlo anche stando a casa. Quando ero bambina mi calavano da casa il cestino con le merendine, è successo lo stesso durante il lockdown, con mia figlia che agganciava al cesto quello che mi serviva, e io tiravo su. Meno male che siamo tutti amici nel palazzo, altrimenti chissà cosa poteva pensare la gente con quel via vai di ortaggi e di carne (ride fragorosamente). Poverina la mia Giorgia, ha fatto una vita in quel periodo, mi portava i disinfettanti, le mascherine, abbiamo svuotato tutti i negozi. Era terrorizzata per me.

Parliamo un po’ di Suor Costanza, come commenterebbe il successo di “Che Dio ci aiuti”?

Avevamo proprio bisogno di serenità, di qualcosa che ci desse positività e speranza, per andare a letto contenti con una tisana particolare. Sono entrata nel cuore del pubblico in punta di piedi, nessuno poteva prevedere un successo così, soprattutto del mio personaggio. Gli autori fanno fatica a scrivere di Suor Costanza, anche perché io me la giostro come voglio. Non volevo che questa suora fosse antipatica come le superiore che ho avuto io in collegio e alle medie, davvero tremende. Quando mi hanno proposto questa parte ero un po’ preoccupata, è stata mia figlia a spronarmi dicendomi di fare semplicemente me stessa: “Ti metti il velo, ma sei sempre tu nella vita, brontolona, che si impiccia di tutto, che dice sempre di no e poi fa l’opposto”. E così è andata! Io vivo il mio ruolo, cambio pelle e mi sento vera.

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Giallini, Germano, Danco

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Io sono tempesta

Marco Giallini, Elio Germano ed Eleonora Danco sono i protagonisti della commedia di Daniele Lucchetti. Sulla piattaforma della Rai dal 20 febbraio

Marco Giallini è Numa Tempesta, un finanziere che gestisce un fondo da un miliardo e mezzo di euro e abita da solo nel suo immenso hotel deserto, pieno di letti in cui lui non riesce a chiudere occhio. Tempesta ha soldi, carisma, fiuto per gli affari e pochi scrupoli. Un giorno la legge gli presenta il conto: a causa di una vecchia condanna per evasione fiscale dovrà scontare un anno di pena ai servizi sociali in un centro di accoglienza. E così, il potente Numa dovrà mettersi a disposizione di chi non ha nulla, degli ultimi. Tra questi c’è Bruno (Elio Germano), un giovane padre che frequenta il centro con il figlio in seguito ad un tracollo economico. L’incontro sembrerebbe offrire ad entrambi l’occasione per una rinascita all’insegna dei buoni sentimenti e dell’amicizia. Ma c’è il denaro di mezzo e un gruppo di senzatetto che, tra morale e denaro, tenderà a preferire il denaro. Alla fine bisognerà chiedersi: chi sono i buoni, se ci sono? Dal 20 febbraio su RaiPlay è disponibile il film diretto da Daniele Lucchetti.

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Fabio Vasco

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Papà uccidi il mostro

Diretto e interpretato dall’attore pugliese Fabio Vasco, è liberamente ispirato alla storia di Federico, morto di neuroblastoma nel 2014 a soli 9 anni, il bambino di Taranto che in ospedale aveva lasciato al padre un disegno raffigurante i fumi neri delle ciminiere dell’Ilva. L’opera ha vinto il premio per il Miglior corto drammatico all’Under The Stars International Film Festival e sarà disponibile sulle piattaforme online dalla primavera

Come ha conosciuto la storia di Federico?

L’idea del corto è nata per caso. Durante il primo lockdown, un momento storico in cui lo spettacolo è entrato in crisi, ho pensato di trovare nuovi stimoli, di reinventarmi. Vivo a Roma da anni, ma sono pugliese e sentivo il bisogno di raccontare qualcosa che mi riportasse nella mia terra. Navigando su Internet, ho trovato il disegno che Federico aveva lasciato al padre sul comodino in ospedale. Un disegno poi divenuto virale sui social e sulla stampa. Con i colori a pastello quel bambino aveva tratteggiato le ciminiere dell’Ilva di Taranto, il fumo nero che inquinava il cielo, ed esseri che lanciavano fiamme dalla bocca e che divoravano la città. Su quel foglio c’era anche la scritta “Papà uccidi il mostro”, con un cuore. Lavoro da tempo con i bambini e sono sensibile alle tematiche sociali, così ho pensato di raccontare questa storia per dar voce a tutte le vittime dell’inquinamento industriale.

Un racconto di soli nove minuti, ma di grande intensità…

Nove minuti, come gli anni che aveva Federico quando è morto (nel film il bambino prende il nome di Michele). L’emozione del racconto è agevolata dall’utilizzo del piano sequenza, che dà ancora maggiore intensità al dramma vissuto dal padre. Ho immaginato questo uomo che si sveglia, tutte le mattine, e non accetta la scomparsa del proprio figlio. Lo cerca al telefono, gli parla, per poi fare ritorno alla realtà, prendendo coscienza di quanto avvenuto e cadendo nello sconforto.

Da regista e attore, cosa le ha lasciato questo progetto?

Ho vissuto questo corto molto intensamente, non c’è solo la tragedia di un padre che non accetta la scomparsa di un figlio, ma di un genitore che non può più essere tale, che non può più essere un supereroe per il proprio figlio.

Cosa ha capito, invece, del mondo dei bambini?

Mi ha fatto vedere, ancora una volta, come loro capiscono le situazioni, i problemi, spesso prima di noi adulti. Ma noi non facciamo nulla, rimaniamo spettatori della cruda realtà quando abbiamo invece la responsabilità di prevenire, di agire prima che un bambino debba chiedere aiuto con un disegno.

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Antonio Milo

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Un uomo di cui fidarsi

Interpreta il fidato amico e assistente di Ricciardi nella serie in onda il lunedì in prima serata su Rai 1. “Il Brigadiere Raffaele Maione, dopo la perdita del figlio, riversa sul commissario il suo senso paterno – spiega l’attore – E’ un ruolo importante in una storia importante. E’ un personaggio che racchiude le molte anime di Napoli”.

Nella serie interpreta Raffaele Maione, il fedele assistente del Commissario Ricciardi. Un uomo pratico, sempre pronto nella risoluzione dei casi…

E’ il braccio destro e l’amico fidato del Commissario Ricciardi, con il quale segue le indagini e condivide i dubbi. Maione è collegato a lui a doppio filo perché vive un lutto importante per la perdita del figlio, che mette in discussione anche l’equilibrio della sua stessa famiglia, e il Commissario in qualche modo lo aiuta a riempire questo vuoto. E lui riversa il senso paterno su Ricciardi.

Esiste dunque un grande legame tra Raffaele Maione e il Commissario Ricciardi. Come siete riusciti, sul set, a creare questa sintonia?

Per quanto tu possa prepararti o utilizzare tecniche professionali, alla fine scattano delle affinità elettive e in questo siamo stati fortunati. Tra me e Lino Guanciale c’è stata subito sintonia e siamo diventati molto amici. C’è un aneddoto particolare da spiegare: noi non ci siamo conosciuti prima come persone e poi come personaggi della serie, ma il contrario. L’ho incontrato per la prima volta mentre stavo girando una scena della prima puntata. Mi sono sentito chiamare ed era lui:  mi ha chiesto come stavo chiamandomi Maione, e io gli ho risposto “Tutto bene Commissà, scendo subito”.

Come ci ha ricordato, il suo personaggio è riuscito a superare una tragedia personale, la morte del figlio. Com’è riuscito ad interpretare  un uomo che vive una ferita indelebile?

E’ stato molto difficile per me. Per quanto io non sia genitore, ho subito altre perdite importanti. Ho dunque equiparato la tragedia che dovevo interpretare ad un altro mio dolore, scavando nel mio bagaglio emotivo. Ho lavorato su quella mancanza, sui sensi di colpa che possono nascere quando una persona importante non c’è più.

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Pier Paolo Pasolini

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La trilogia della vita

“Il Decameron”, “I racconti di Canterbury”, “Il fiore delle Mille e una notte”: Rai Movie dedica un importante omaggio al regista, figura centrale ed emblematica del XX secolo. Da mercoledì 10 febbraio alle 00.50

Poeta, scrittore, regista (ma anche pittore, saggista e giornalista), Pasolini fu osservatore critico e appassionato dei cambiamenti nella società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni Settanta e resta tutt’ora una figura centrale ed emblematica del XX secolo. Il canale 24 del digitale terrestre propone tre terze serate del mercoledì dedicate alla cosiddetta “Trilogia della vita”. Si parte il 10 febbraio alle 00.50 con “Il Decameron”. Il film è una reinvenzione di alcune novelle del Boccaccio, che il regista e sceneggiatore ambienta a Napoli, accentuando le caratteristiche plebee e furfantesche dei personaggi e colorendone le sfrenatezze sessuali. 

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Francesca Chillemi

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Sempre fedele a me stessa

«Anche in termini di abiti, nella vita ciascuno deve sentirsi bene e a proprio agio, dove vuole e con qualunque cosa addosso» racconta l’attrice siciliana al RadiocorriereTv e sulla nuova vita di Azzurra dice: «È pronta a regalarsi un’altra possibilità». “Che Dio ci aiuti”, il giovedì in prima serata su Rai1

Se è vero che l’abito non fa il monaco, e Azzurra di abiti se ne intende, che “abito” sta creando in questa stagione?

Quello di un’altra possibilità per se stessa, dove non ha trovato senso ha cercato di darsi un’altra occasione. Potrebbe essere quindi l’abito della sopravvivenza.

Da fashion victim a novizia, come si rapporta Francesca con la moda e con lo stile?

Anche in termini d’abiti, nella vita ciascuno deve sentirsi bene e a proprio agio, dove vuole e con qualunque cosa abbia addosso. Non ci vestiamo solo per coprirci o riscaldarci, ma anche per sentirci “confident” con quello che siamo, non per piacere agli altri, ma per rispecchiare la propria personalità.

In quali abiti si sente meglio?

Jeans, t-shirt e giacca stile tailleur. Esco la mattina con un paio di scarpe da tennis, la sera indosso una scarpa con il tacco e sono pronta. 

“Che Dio ci aiuti” affronta il tema della fede, qual è il suo rapporto con la spiritualità?

Oltre al tema della fede, credo che la serie metta bene in evidenza la voglia di aiutarsi a vicenda, componente nella quale tutti i personaggi, soprattutto i più giovani, si riconoscono. Se anche non esiste una famiglia d’origine che ti sostiene, c’è sempre la possibilità di incontrare persone capaci di accogliere l’altro. Il messaggio è “non siamo soli”, che poi è quello che noi tutti speriamo, sentirci da qualche parte a casa, e il convento è un po’ il simbolo di questa accoglienza.    

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Nunzia de Girolamo

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Facciamo spogliatoio

Tre uomini famosi, tra loro un politico, si raccontano senza veli alla grande platea televisiva. Da sabato 13 febbraio in seconda serata su Rai1 “Ciao maschio”, il nuovo talk dedicato all’universo maschile. La conduttrice al RadiocorriereTv: «La società è cambiata, è il momento di superare lo stereotipo del macho a tutti i costi»

Nunzia, è pronta al debutto?

Sono sempre pronta, sono una donna coraggiosa, anche se non sono un’incosciente. Certo, un po’ di strizza mi sta accompagnando alla prima puntata. Penso che sia sano avere un po’ di ansia, è pur sempre una prima volta (sorride).

Ci racconta la trasmissione?

“Ciao Maschio” è un viaggio nell’universo maschile. Per la prima volta, dopo tanto tempo, gli uomini tornano a essere protagonisti di un programma di genere, grazie al quale vorrei che si iniziasse a superare un vecchio modello di “macho”, di “uomo che non deve chiedere mai”, perché l’uomo può anche commuoversi, può essere sensibile, fragile. E forse è arrivato il momento che il maschio non abbia più paura di palesarsi per come è, cosa che potrebbe significare anche un superamento di alcuni stereotipi, perché comunque la società è cambiata. Siamo passati da donne come le nostre nonne e le nostre mamme, con cui questi uomini sono nati o cresciuti, alle donne in carriera, emancipate, capaci di essere anche fortemente e insopportabilmente indipendenti. La donna si è evoluta, è cambiata, il maschio è rimasto lì. Nel rimanere lì ha avuto uno smottamento che, secondo me, è anche smarrimento.

Pronta a scattare una fotografia sull’uomo (e sulla donna) del 2021?

Voglio fare un percorso che ci aiuti a capire le differenze, ad accettarle, esaltarle, raccontarle. Allo stesso tempo chiederò in maniera scherzosa ai miei ospiti di mettersi nei panni delle donne. Giocheremo anche su questo scambio di ruoli per capire sempre di più l’universo maschile. In ogni puntata, tra l’altro, uno dei miei tre ospiti sarà un politico.

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A grande richiesta

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SABATO SERA

Cinque prime serate dedicate da Rai 1 alle canzoni e ai volti più amati della musica e dello spettacolo. Si parte il 13 febbraio alle 21.25 con “Parlami d’Amore”, omaggio a San Valentino, condotto da Veronica Pivetti e Paolo Conticini.

“Sanremo”, “Canzonissima”, “Cantagiro”, serate in giro per l’Italia e per gli Italiani all’estero, trasmissioni di revival di canzoni famosissime, Little Tony è stato un protagonista generoso e di talento dell’Italia del boom. In occasione di quello che sarebbe stato il giorno del suo ottantesimo compleanno, Rai Movie dedica all’artista, all’anagrafe Antonio Ciacci, l’intera mattinata del 9 febbraio. La carriera del cantante, oltre a girare tutta intorno alla musica, è passata anche attraverso il mondo del cinema, in particolare quello dei musicarelli, film cantati che negli anni Sessanta spopolarono in Italia. Dalle 9, i due film ispirati alla sigla di “Canzonissima”, “Zum Zum Zum – La canzone che mi passa per la testa” e il sequel “Zum Zum Zum n° 2 – Sarà capitato anche a voi” diretti da Bruno Corbucci.

Cinque appuntamenti speciali con le canzoni e i volti più amati della musica e dello spettacolo italiano. Il sabato sera di Rai1, in collaborazione con Ballandi, a partire dal 13 febbraio in prima serata, all’insegna del grande intrattenimento con un ciclo di eventi sotto il titolo“A grande richiesta”.Si inizia con“Parlami d’amore”,alla vigilia di San Valentino, una serata dedicata all’amore e alle canzoni che l’hanno raccontato in tutte le sue sfumature, condotto da Veronica Pivetti con Paolo Conticini,insieme agrandi ospiti musicali, sotto la direzione artistica di Massimo Romeo Piparo.

Il 20 febbraio è la volta di una serata tributo ad una delle grandi protagoniste della storia della musica italiana: Patty Pravo. Lo show, dall’evocativo titolo “Minaccia bionda”, sarà condotto da Flavio Insinna – per la direzione artistica di Pino Strabioli – e impreziosito da una folta schiera di ospiti di eccezioni intervenuti per duettare con Patty Pravo e ricostruire con lei una delle carriere più affascinanti e incisive della grande canzone italiana.

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Maria Vera Ratti

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Il mio viaggio d’amore

Dopo un anno e otto mesi dal primo ciak, finalmente le emozioni di vedere in tv una serie a cui tiene molto. “Il Commissario Ricciardi”, straordinario successo già dalla prima puntata, con la giovane attrice partenopea nei panni di Enrica «una ragazza solitaria che sogna la passione». Il lunedì in prima serata su Rai1

FOTO DI ANNA CAMERLINGO

Enrica, l’amore più intimo del Commissario. Cosa la accomuna a lei?

Abbiamo caratteri completamente diversi, ma l’età ci ha avvicinato. Enrica, come me, è poco più che una ventenne e questo mi ha aiutato a entrare in sintonia con lei, raccontarne la profondità emotiva, i sogni, le speranze. È una ragazza che scopre l’amore per la prima volta e, per vivere con lei questa esperienza, ho ricordato quali sensazioni avessi provato io al primo innamoramento. Fortunatamente sono momenti ancora freschi nella mia mente e nel corpo, che mi hanno immerso in un viaggio emotivo che si trova spesso solo in un libro o in un film, ma che quando ti investe lo fa in maniera totalizzante.

Come si relaziona il personaggio con il suo tempo?

Non ha mai dato un bacio, è una ragazza solitaria e non esce quasi mai da casa, è abbastanza protetta dal mondo e quando ci va è uno shock. Dai romanzi di de Giovanni non si capisce la posizione politica di Enrica, si dice che suo padre è un liberale e che lei è abbastanza d’accordo con lui. Quello che però si intuisce è la sua modernità, che si concretizza in una coerenza e in una sincerità quasi fuori dal tempo. È una donna fedele alla sua coscienza, un personaggio opposto a Livia, l’altra figura femminile della serie, un modello a cui le donne Anni ‘30 aspiravano. La mia Enrica non segue la moda non perché non le piaccia o per mancanza di gusto, ma perché non si pone proprio il problema, tanto è concentrata sui suoi affetti, sulla vita domestica.  

Quale sarà la sua evoluzione?

La serie si basa sui primi sei romanzi dedicati a Ricciardi, nei quali seguiamo questa giovane donna nella sua quotidianità familiare, nel sentimento per un uomo il cui nome nemmeno riesce a pronunciare ad alta voce. Piano piano, assistiamo a una presa di coraggio sempre maggiore. Siete costretti però a seguire tutte le puntate per capire fino a che punto sarà capace di spingersi Enrica (ride).

Un rapporto, quello con Ricciardi, che cresce attraverso un gioco di sguardi… una sfida in più per un attore?

Per me lo è stata, e in questo Lino (Guanciale) mi è stato veramente di aiuto tutte le volte che abbiamo avuto modo di condividere il set. Molte scene però le abbiamo recitate da soli, è stato difficile immaginare un sentimento così profondo, come quello di Enrica, avendo davanti solo una luce o un palazzo. Recitare da soli, in generale, è complicato, manca l’aspetto di relazione e devi basarti solo sull’immaginazione. Farlo davanti a un altro attore è sicuramente molto più stimolante, soprattutto se la tua controparte è un attore bravo come Lino Guanciale.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 5 a pag.20

Simonetta Columbu

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Portiamo allegria e speranza

Anche nella sesta serie di “Che Dio ci aiuti”, Simonetta Columbu veste i panni di Ginevra: “Tornare ad interpretare il mio personaggio è stato bellissimo. In questa stagione sta crescendo, maturando e diventando più sicura – racconta la giovane attrice sarda – Con il passaggio ad Assisi, la mia fede e la mia spiritualità sono cresciute molto”.

FOTO DI LUCIA IUORIO

Cosa ha significato per lei indossare di nuovo i panni di Ginevra?

E’ stato bellissimo, è stata di nuovo un’opportunità importante sia dal punto di vista della mia crescita individuale, sia come attrice, perché ho potuto approfondire e sviluppare il personaggio.

Oggi Ginevra non è più una novizia buffa ed impacciata, ma una ragazza più forte. Come sta cambiando il suo personaggio?

Diciamo che Ginevra ha attraversato e attraversa tante fasi, anche alcune molto difficili. Ricordiamoci che viene da un grave dramma familiare perché il padre ha ucciso la madre davanti a lei. Insieme al suo essere buffa e divertente quindi ha in sé un grande dolore che l’accompagnerà per sempre, anche se lo ha in parte elaborato. Ovviamente, però, il dolore e la sofferenza non se ne andranno. In questa stagione sta crescendo, sta maturando, sta diventando più sicura ma, come sappiamo, non appena giunge ad una certezza nascono altri dubbi e altre difficoltà.

Avete girato la sesta serie durante la pandemia: che difficoltà avete avuto e quali cambiamenti ha prodotto questa situazione?

Di sicuro l’organizzazione della produzione è stata molto impegnativa e voglio ringraziare la Lux per averci dato l’opportunità di lavorare. Poter lavorare è qualcosa di fondamentale, soprattutto in un momento difficile come questo. Ci facciamo tanti tamponi e cerchiamo di stare il più possibile attenti. E’ un po’ faticoso, ma comunque prevale il senso di gratitudine e di felicità. Non si può infatti dimenticare che ci sono molte categorie in serie difficoltà.

Come è stato il passaggio ad Assisi?

Stupendo. Io amo questa città, la trovo bellissima, ci starei mesi e mesi. Si respira un’energia incredibile e lì la mia fede e la mia spiritualità sono cresciute molto.

Qual è il segreto del successo di questa fiction?

Credo che il segreto sia il riuscire ad unire la parte ironica e divertente a dei temi invece profondi e importanti, attuali. E poi è molto bello che il gruppo dei ragazzi si aiutino tra loro, o vedere una suora, lontana dallo stereotipo della “bacchettona”, umana e interprete dei problemi dei giovani e di tante persone. E’ una fiction che porta allegria e speranza.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 5 a pag.24