Alessio Lapice

Posted on

A Calogiuri direi: sbrigati!

Nella serie di Rai1 è il giovane maresciallo che affianca il sostituto procuratore Imma Tataranni nelle indagini, uno dei personaggi più amati della fiction diretta da Francesco Amato e tratta dai romanzi di Mariolina Venezia. L’attore napoletano, apprezzato da pubblico e critica per le sue interpretazioni al cinema e in televisione, si racconta al RadiocorriereTv, parla del suo personaggio e del rapporto con gli spettatori: «Ricevere l’affetto delle persone è la cosa più bella del mondo». Lunedì 8 e martedì 9 novembre in prima serata

Il pubblico di Rai1 sta confermando il grande affetto per la serie, è soddisfatto?

Quando parte la seconda stagione di una serie che ha avuto successo hai sempre la curiosità di vedere come il pubblico ti seguirà, se continuerà a volerti bene, a essere appassionato al racconto. Sapevamo che i fan di “Imma Tataranni” ci stavano aspettando, anche perché le richieste di quando sarebbero uscite le nuove puntate non mancavano, ma devo dire che è stato bello trovarli così numerosi, che continuano a seguirci. Sono contento.

Cosa ha significato per lei ritornare su quel set?

Ricordo molto bene il primo giorno di riprese, quando abbiamo rispolverato dalla sartoria gli indumenti di scena di Calogiuri. Sono entrato nel camerino e li ho ritrovati sul divano, è stato molto bello. Ho pensato: io e Calogiuri siamo tornati. È stato ancor più emozionante visto il momento che stavamo vivendo, perché lavorare ci ha dato la possibilità di sentirci autorizzati a poterci divertire facendo il nostro mestiere. Quando si accendeva la macchina da presa avevamo tutti una grandissima voglia di lanciarci in quello che stavamo facendo.

Che sentimento prova nei confronti del suo personaggio?

A lui voglio molto bene, lo stimo tanto. Ha grande voglia di dimostrare a questa sua dottoressa, che idolatra come un mito, una donna che ha quella sicurezza, quella forza, quella decisione che a lui mancano, di essere capace, nel suo mestiere, di fare un passo in più. Cerca sicurezza, ma vuole anche essere utile agli altri in tutti i modi. È un personaggio buono, puro, pulito, senza pregiudizi, Calogiuri è come una spugna, assorbe tutto quello che c’è intorno a lui, è una parete bianca che ha voglia di essere scritta in ogni sua parte.

Una crescita, quella di Calogiuri, che in questa stagione appare evidente…

Cerca di acquisire capacità, ha voglia di apprendere attraverso il suo percorso. Ma lo fa sempre cercando di non calpestare il prossimo, di non spingere e urtare nessuno. Ha grandi premura e attenzione e questo lo rende raro. Mi piace che metta davanti a tutto il bene degli altri piuttosto che il suo.

Se dovesse dare un consiglio al suo maresciallo per conquistare per davvero la dottoressa Tataranni, cosa gli direbbe?

Gli direi… sbrigati Calogiuri, smettila di pensare così tanto, va bene tutto ma adesso mostra i tuoi sentimenti, fai qualcosa, non aspettare ancora. È vero pure che la dottoressa Tataranni è una donna legata a un altro uomo, ha una famiglia, ma la verità è che lui mette il bene altrui anche davanti alla propria sfera emotiva, personale, sentimentale, dove fa casini perché non sa mai come comportarsi. Nel primo episodio ha tentato di fare un passo avanti, ma non è andata proprio bene.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 45 a pag.14

La scelta di Maria

Posted on

La vicenda storica del Milite Ignoto

Tra finzione e repertori d’epoca la vicenda storica del Milite Ignoto, in occasione del 100° Anniversario dalla tumulazione all’Altare della Patria. Con Sonia Bergamasco, Cesare Bocci e Alessio Vassallo e la regia di Francesco Miccichè. Giovedì 4 novembre in prima serata su Rai1

Attraverso le interpretazioni di Sonia Bergamasco (Maria Bergamas, la “madre d’Italia), di Cesare Bocci, nel ruolo del ministro della Guerra Luigi Gasparotto, e di Alessio Vassallo nei panni del tenente Augusto Tognasso, il docu-film ripercorre la vicenda politica, sociale e umana dietro la nascita del Milite Ignoto, integrando il racconto con preziosi repertori d’epoca, animazioni originali e una serie di “interviste ricostruite” ai protagonisti della storia, interpretati dai rispettivi attori, per restituire alle nuove generazioni un ritratto umano e profondo di chi ha vissuto in prima persona una vicenda storica senza precedenti, capace di rappresentare gli stati d’animo e le emozioni di un intero Paese, profondamente scosso dalla distruzione e dallo smarrimento generati dalla Grande Guerra. Il racconto del docu-film prende il via proprio nel “biennio rosso” successivo alla Prima Guerra Mondiale, in un’Italia in piena crisi economica, sconvolta da profonde divisioni politiche e sociali. È in questo contesto che il ministro della guerra Luigi Gasparotto istituì due commissioni che lavoravano tra Gorizia e Aquileia: la prima, formata da un medico e sei reduci pluridecorati, tra cui il tenente Augusto Tognasso, aveva il compito di cercare undici salme di soldati non riconoscibili nei luoghi in cui erano avvenute le battaglie più cruente; la seconda doveva scegliere una madre che aveva perso un figlio in guerra. Questa donna avrebbe dovuto indicare una delle undici salme trovate dalla prima commissione per farne un simbolo di tutti i caduti in guerra mai identificati, il Milite Ignoto.  La narrazione ripercorre il toccante momento in cui Maria Bergamas, una contadina alla quale era rimasta solo una lettera del figlio Antonio, venne scelta come “madre d’Italia” tra la commozione di tutta la commissione, e quello della mattina del 28 ottobre 1921 quando, nella cattedrale di Aquileia, lei si inginocchiò davanti alla decima bara, decretando così il Milite Ignoto, fino allo storico viaggio in treno che trasportò la salma da Aquileia a Roma.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 44 a pag.12

Il bambino nascosto

Posted on

Al cinema

Nelle sale da mercoledì 3 novembre il film diretto da Roberto Andò tratto dal romanzo dello stesso regista. Una storia intensa coprodotta da Rai Cinema. Protagonista, nei panni del maestro di pianoforte Gabriele Santoro è Silvio Orlando. Insieme a lui il giovane Giuseppe Pirozzi che interpreta il ruolo di Ciro, il figlio di un camorrista che sogna una vita diversa

Set del film “Il bambino nascosto” di Roberto Andò, 2020. Nella foto Giuseppe Pirozzi e Silvio Orlando. Foto di Lia Pasqualino. Questa fotografia è solo per uso editoriale, il diritto d’autore è della società cinematografica e del fotografo assegnato dalla società di produzione del film e può essere riprodotto solo da pubblicazioni in concomitanza con la promozione del film. E’ obbligatoria la menzione dell’autore- fotografo: Lia Pasqualino. Set of “Il bambino nascosto” di Roberto Andò, 2020. In the picture Giuseppe Pirozzi e Silvio Orlando. Photo by Lia Pasqualino. This photograph is for editorial use only, the copyright is of the film company and the photographer assigned by the film production company and can only be reproduced by publications in conjunction with the promotion of the film. The mention of the author-photographer is mandatory: Lia Pasqualino

Già applaudito al Festival di Venezia il film di Roberto Andò arriva finalmente nelle sale. Tratto dal romanzo “Il bambino nascosto”, scritto dallo stesso Andò e pubblicato da La nave di Teseo, il film ci conduce nella vita di Gabriele Santoro, titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, che vive in un quartiere popolare della città. Una mattina, mentre sta radendosi la barba, il postino suona al citofono per avvertirlo che c’è un pacco, lui apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia. In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si insinua nel suo appartamento e vi si nasconde. “Il maestro”, così lo chiamano nel quartiere, se ne accorgerà solo a tarda sera. Nell’intruso riconoscerà, Ciro, un bambino che abita con i genitori e con i fratelli nell’attico del suo stesso palazzo. Interrogato sul perché della sua fuga Ciro non parla. Il maestro, d’istinto, decide di nasconderlo in casa, ingaggiando una singolare, e tenace, sfida ai nemici di Ciro. Scoprirà presto che il bambino è figlio di un camorrista e che, come accade a chi ha dovuto negare presto la propria infanzia, Ciro ignora l’alfabeto dei sentimenti. Il maestro di pianoforte è uomo di passioni nascoste, segrete, toccherà a lui lo svezzamento affettivo di questo bambino che si è sottratto a un destino già scritto.
“L’ispirazione è la stessa del libro, ma il film ha un finale totalmente diverso – afferma il regista – Quando si legge un romanzo ognuno immagina i personaggi come vuole, nel caso di un adattamento cinematografico è il regista che deve dare loro un volto, e per me ha contato molto il piacere di far vivere sullo schermo i due protagonisti affidandoli a un attore di grande talento come Silvio Orlando e a un bambino sconosciuto come Giuseppe Pirozzi”. Un adulto e un bambino che scelgono di conoscersi, di avere fiducia l’uno nell’altro, nel quartiere Mater Dei a due passi dalla Sanità. C’è la camorra, c’è il crimine come retroterra di questa storia – prosegue Andò – c’è un oltraggio al crimine per il quale il bambino, Ciro, deve pagare un prezzo, ma quello che muove il gioco avviene in una zona franca dove si incontrano due esseri umani molto particolari. Un adulto che si è, da tempo, volontariamente, messo fuori dal gioco e un bambino che, senza volerlo e senza saperlo, si è condannato a morte. Si incontrano in una casa che diventerà la loro prigione, in un quartiere degradato di quella città-arcipelago che è Napoli, dove l’orrendo e il sublime convivono a un passo l’uno dall’altro, a volte senza incontrarsi mai”. Nel cast anche Lino Musella, Imma Villa, Sasà Striano, Francesco Di Leva, Gianfelice Imparato e la partecipazione straordinaria di Roberto Herlitzka.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 44 a pag.20

Giancarlo Magalli

Posted on

Sono sempre parole d’amore

Nel pomeriggio di Rai2 si gioca con l’italiano. Il conduttore di “Una parola di troppo” parla della sua nuova sfida televisiva: «Con i giochi del programma è possibile divertirsi anche da casa». E sul rapporto con la nostra lingua afferma: «È una passione che mi porta lontano, ai tempi del ginnasio. Galeotta fu la lettura de “I Promessi Sposi” da parte del prof di lettere»

Foto: Guberti – Rasero / GRM Foto Roma

Prima di iniziare a giocare dobbiamo conoscere le regole… come funziona “Una parola di troppo”?

È un quiz, un game show, come si chiamano adesso, basato sulla lingua italiana, su parole italiane che bisogna trovare. Ci sono vari giochi, in uno la parola compare un po’ alla volta mentre il montepremi scende, in un altro le parole hanno una determinata lunghezza, in un altro ancora abbiamo la lettera iniziale e bisogna trovare le altre, diciamo che per giocare serve un minimo di conoscenza della lingua.

Lei non ha mai temuto le sfide, come si appresta a vivere questa nuova avventura?

Le sfide sono il sale della vita e del lavoro, ti danno nuove motivazioni. “Una parola di troppo” è un programma del tutto nuovo, in onda in una zona del palinsesto piuttosto rischiosa. Spero possa avere un gradimento, risultare piacevole.

Che rapporto ha con il gioco?

Con le mie mogli, le mie figlie, le mie fidanzate, come con gli amici, non sono mai mancate delle serate passate a giocare a Scarabeo, a Paroliamo, a Trivial. A casa ho un armadio pieno di giochi in scatola, ogni tanto, e non solo a Natale, li tiro fuori e gioco con chi si trova con me.

Se qualcuno non rispetta le regole, nel gioco come nella vita, cosa fa?

La cosa mi fa arrabbiare e viene fuori il vigile urbano che è in me (Giancarlo Magalli è vigile urbano onorario). Certo, puoi commettere un errore, ma di fronte a chi sorpassa volutamente tutta la fila di macchine ferme, per fare il furbo, non riesco a essere molto indulgente.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 44 a pag.6

Linda Caridi

Posted on

Appassionata come Paola Romano

Ne “Il Cacciatore” di Rai2 interpreta il giovane magistrato braccio destro di Saverio Barone (Francesco Montanari) nella lotta alla mafia. Il RadiocorriereTv intervista l’attrice milanese al debutto in una serie Tv

Come è avvenuto l’incontro con il suo personaggio, il giovane magistrato Paola Romano…

Nell’ambito dei provini. Ho colto da subito il grande conflitto che Paola vive, un mix di fragilità e di determinazione. Inizialmente non sapevo che il mio personaggio parlasse con accento napoletano, per me è stato davvero un grande colpo di scena (sorride).

La serie “Il Cacciatore” nasce dal volume di Alfonso Sabella “Cacciatore di mafiosi”, cosa ha provato e pensato leggendo quel libro?

Quella di Alfonso Sabella è una figura che mi inchioda per la potenza con la quale, da magistrato, porta avanti la sua missione. C’è una fotografia dell’Italia peggiore, dell’Italia più marcia, e questo mi restituisce qualcosa che sia come cittadina italiana che come interprete avevo già incontrato. Per quanto riguarda la sua missione è evidente come il suo sia un mestiere che, se preso e abbracciato pienamente, stravolge anche l’esistenza personale. Il caso di Sabella è un esempio lampante: la fissazione che aveva per il piccolo Di Matteo, il dolore lancinante per non essere arrivato in tempo. La serie e il libro raccontano una dedizione totale.

Lei è milanese ma le sue origini sono siculo-calabresi, cos’ha capito di più della Sicilia lavorando alla serie?

Ho capito che c’è una parte della cultura del posto che permette alla mentalità mafiosa di confondersi con la brava gente, con la Sicilia sana. Ho capito però anche che la stessa gente, gli stessi siciliani o i magistrati che arrivano da fuori, e che finiscono per vivere a Palermo e fanno parte di quel tessuto sociale, hanno una grandissima fede nella legalità, nel valore delle regole e del rispetto. Vedi come nella stessa terra convivono questi due poli opposti e come sia molto forte quello positivo, che non si arrende nel cercare di trasmettere alle persone il messaggio che la mafia uccide la cultura, la bellezza, l’intelligenza, il rispetto. Vivere in dinamiche di paura significa vivere nella mancanza di rispetto per te e per gli altri.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 44 a pag.12

Marco Lollobrigida

Posted on

Sempre in fuorigioco (con leggerezza)

Insieme agli amici Ciccio Graziani e Domenico Marocchino il giornalista conduce “Campioni del mondo”, l’appuntamento del sabato dedicato al calcio in tutte le sue dimensioni. L’attualità sportiva, gli aneddoti, i sondaggi, la musica, il divertimento. Alle 12 su Rai Radio2

Come è nata “Campioni del mondo” e soprattutto, come è nata la vostra formazione a tre?

A “Campioni del mondo” dovevamo esserci io, Ciccio Graziani, Paolo Rossi e Domenico Marocchino. Ciccio e Paolo sono campioni del mondo, Domenico è un campione del mondo di “follia” (sorride), cita il Simposio di Platone, Baudelaire, è un campione del mondo di cose anche diverse. Paolo era ben contento di fare il programma, poi si è ammalato, e così siamo rimasti io, Ciccio e Domenico. La trasmissione è dedicata agli italiani, alle sensazioni bellissime che la Nazionale ci ha regalato nel 1982, tanto è che nella sigla sentiamo proprio il mitico Nando Martellini esclamare “Campioni del mondo”.

A “Campioni del mondo” lo sport va decisamente “oltre” il rettangolo verde… si può dire che da voi il fuorigioco sia sempre contemplato?

(Sorride). Siamo sempre in fuorigioco perché si parla di tutto, non soltanto di calcio. Abbiamo la rubrica “calcio e pepe” nella quale ci occupiamo di cucina e così le persone ci mandano le foto dei piatti che stanno cucinando all’ora di pranzo. Abbiamo anche un ottimo riscontro di pubblico femminile proprio perché non si parla di calcio in maniera convenzionale. Il 65 per cento dei nostri ascoltatori è composto da donne, molte delle quali ci dimostrano simpatia anche attraverso i social. Si parla del calcio diversamente, è raro che si faccia un’analisi tecnica o tattica, raccontiamo il calcio come fenomeno sociale, per come viene sentito dalle persone. Parliamo di come è cambiato questo sport, dell’esasperazione della vittoria a tutti i costi. Ci piace coinvolgere il pubblico, lo facciamo anche con sondaggi divertenti che nascono anche lì per lì.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 44 a pag.32

Veronica Vitale

Posted on

Il pianoforte mi ha salvato la vita

Veronica Vitale è pianista, autrice, cantante, cantautrice e produttrice. Il suo nuovo brano è “Trasparenti”, un canto di rinascita e difesa contro ogni forma di bullismo e di autolesionismo, le cui sonorità si collocano all’interno di un genere musicale futurista, definito dalla stessa autrice “Liquid/Fluid”.

© Ligia Cuevas Johnson

Chi sono i “trasparenti”?

Non sono gli invisibili, ma sono comunque delle persone che affrontano tantissimo dolore, che è come l’oscurità. Ma basta della luce per essere poi visti nella loro immensa grandezza. “Mi volevi fantasma nel mondo ma io sono ancora qui, lasciando il mio segno forse molto più visibile delle persone che ci fanno del male”. Una affermazione che presento al mondo, perché anch’io sono stata vittima del bullismo.

Ha definito questa canzone un canto di rinascita. Intende la sua rinascita?

Non solo la mia. Mi riferisco a tutte le persone che hanno un disagio e che non hanno una voce in questo momento. Molto spesso quando si è un personaggio pubblico si ha la responsabilità di parlare per coloro che non hanno una voce.

La sua storia in un certo senso viaggia al contrario. Lei è italiana, ma tutta la sua esistenza d’artista ha preso vita all’estero. Si è mai sentita trasparente?

Io credo che ci si senta trasparenti, o peggio ancora invisibili, quando manca la meritocrazia. Il mio è però un percorso di rivoluzione. Ho conquistato gli Stati Uniti d’America cominciando nel 2013. Non avevo una voce per comunicare queste conquiste tutte italiane all’Italia. Per questo sono voluta tornare per raccontare la storia di una persona che parte da zero e che ce la fa da sola.

Le sonorità di questa canzone si collocano all’interno di un genere musicale futurista. Perché sceglie questo tipo di musica?

Diciamo che il genere fluido, liquido, che ho fondato io, mi permette di scrivere quello che può unire la generazione che mi precede con quella che arriverà. Voglio essere un’artista della crisi, che è rimasta in piedi nella crisi e che si è rinnovata e ha rivoluzionato il modo di fare la discografia. Arrivo in Italia con una discografia particolare basata sul cambiamento, che molto spesso non si accetta, che può essere traumatico, ma che è necessario.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 44 a pag.40

Arriva Imma, “so affari nostri”

Posted on

Vanessa Scalera

Seconda volta nei panni del Sostituto Procuratore materano nato dalla penna di Mariolina Venezia. Una donna fuori dagli schemi che non ama piacere e che va dritta al sodo. «Se hai la fortuna di lavorare con una famiglia e con un regista straordinario come Francesco Amato, tutto è più facile» racconta l’attrice pugliese al RadiocorriereTv, ora impegnata al cinema con “L’Arminuta”, film tratto dal bestseller di Donatella Di Pietrantonio. Con le sue mise leopardate, Imma Tataranni ci aspetta in prima serata su Rai1 dal 26 ottobre

Imma irrompe ancora una volta in Tv, e ora sono “affari nostri”…

Sono le parole pronunciate dalla Tataranni nel promo e, anche se il pubblico non lo ricorderà, lo avevo inciso già per la prima stagione. Questo “e mo so affari vostri” è un refrain di Imma. Lei non è cambiata per niente.

La prima volta nei panni di un Sostituto procuratore non si scorda mai, la seconda invece?

E la seconda nemmeno, anzi è peggio della prima (sorride). Anche in questa occasione c’è stata una mole di lavoro enorme, molto faticosa. Girare otto puntate è impegnativo, ma se hai la fortuna di lavorare con una famiglia e con un regista straordinario come Francesco Amato, tutto è più facile.

Essere di nuovo nei suoi panni, com’è andata?

Trasformarsi in altro da sé è il lavoro dell’attore, che non è mai proporre se stessi. Il cambiamento è, quindi, all’ordine del giorno, fa parte del gioco del mestiere.

Imma non cambia, e gli altri personaggi che si muovono intorno?

Nemmeno, perché gli esseri umani non cambiano. Quello che muta sono le vicende e come i personaggi vengono mossi dal quotidiano. Ognuno di noi affronta il quotidiano in maniera diversa, piccole e grandi depressioni o infelicità ma, trattandosi di una commedia, anche se con toni a volte noir, non ci sono mai eventi tragici. I ruoli rimangono gli stessi, come è giusto che sia, altrimenti non avrebbero senso di esistere le serialità, se proponi al pubblico un’altra tipologia di personaggio.

A proposito di Imma ha dichiarato che rappresentava “un altro femminile”. Cosa intendeva?

Più che un femminile, intendevo che un essere umano così vero, crudo e nudo non si era mai visto nella generalista. Portando in televisione il personaggio del romanzo di Mariolina Venezia, abbiamo osato nel look, nella recitazione, nel modo di parlare, nel suo essere dirompente. È una donna che non intende assolutamente piacere, non è particolarmente bella, piuttosto è charmante nel carattere. Lei è Imma. Questa, credo, sia la grande forza del personaggio, una donna che non strizza l’occhio a nulla. Se ti viene data la possibilità di interpretare un ruolo così, devi mettere la quinta, metterti in gioco, anche stravolgendo completamente la tua immagine. Il mix è vincente se poi incontri una penna e una regia straordinarie.

Un personaggio femminile di questo tipo ha fatto da apripista nella Tv generalista, o c’è ancora tanto da rischiare?

Non lo so, sono passati pochi anni dalla prima stagione, ora si scrivono molte più storie con personaggi femminili protagonisti. Devo dire però che, ogni volta che sento parlare del femminile, sento un brivido dietro la schiena, perché mi sento un animale nello zoo da tutelare, come un panda in via di estinzione. Forse non dovremmo più parlare di noi come soggetti deboli, come persone che hanno bisogno di aiuto, e quindi che si deve scrivere per noi, si deve lavorare per noi… Noi donne non abbiamo bisogno di essere protette dal mondo circostante, abbiamo necessità però di scrittori e sceneggiatori straordinari che creino per noi personaggi come Imma, di registi come Francesco che credono nella potenzialità di un’attrice fino all’altro ieri sconosciuta al grande pubblico, anche se avevo fatto “Lea” di Marco Tullio Giordana. Abbiamo bisogno di lavorare, di essere riconosciute per la nostra professionalità, i passi in avanti si fanno smettendo di sentirsi soggetti deboli.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 43 a pag.6

Benvenuti nei favolosi anni ‘70

Posted on

Il Collegio

Appuntamento con la sesta edizione del docu-reality di Rai2.  Da martedì 26 ottobre, alle ore 21.20. I venti allievi del collegio dovranno superare l’esame di terza media

Ad accogliere i 20 adolescenti del docu-reality, un’atmosfera anni ’70, un ritorno al mondo analogico della radio, del Super 8 e del vinile. Anni di svolta, dell’esplosione della creatività, dei cantautori, della nascita del punk, delle radio libere, del femminismo militante, delle contestazioni giovanili, ma anche dell’esplosione della disco music e della cultura dei locali e del divertimento. Anni ricchi di fermento culturale, dove si insinua una nuova energia: iniziano, infatti, nel 1977 gli anni della febbre del sabato sera, si abbandona il bianco e nero e cominciano le prime trasmissioni a colori della Rai. È l’anno di trasmissioni come “Portobello” e “L’altra domenica”, di sceneggiati come “Sandokan”, di “Discoring”, che diffonde la musica dei giovani, vera star degli anni settanta. Proprio il 1977 è l’anno di successi senza tempo come “Heroes” di David Bowie, “We Are the Champions” dei Queen, “Never Mind the Bollocks” dei Sex Pistols, “Staying’ Alive” dei Bee Gees, “I Feel Love” di Donna Summer e in Italia “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti, “Ti amo” di Umberto Tozzi, “Amarsi un po’” di Lucio Battisti

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 43 a pag.24

Crazy for football

Posted on

Matti per il calcio

Presentato alla Festa del Cinema di Roma, “Crazy for football” racconta l’esperienza reale dello psichiatra Santo Rullo, ideatore della Nazionale italiana di calcio a cinque formata da persone con problemi di salute mentale. Protagonisti Sergio Castellitto, Max Tortora, Antonia Truppo, Lele Vannoli, Angela Fontana, con la partecipazione di Massimo Ghini e Cecilia Dazzi. La regia è di Volfango De Biasi. Su Rai1 il 1° novembre in prima serata

“Crazy for football – Matti per il Calcio” è un film per la tv diretto da Volfango De Biasi. Racconta la figura di un grande medico italiano, lo psichiatra Santo Rullo, che dedica la sua vita al reinserimento sociale dei suoi pazienti, che grazie al gioco del calcio diventano protagonisti di un sogno: il primo mondiale di calcio a cinque disputato da pazienti psichiatrici. Nei panni del medico, Sergio Castellitto: “Quando reciti un personaggio che esiste realmente, soprattutto se contemporaneo a te, devi sempre trovare equilibrio tra la conoscenza e la frequentazione, per poi distaccarti e stare sul pezzo di ciò che è immaginato da una sceneggiatura, altrimenti rischi di fare una sorta di imitazione psicologica, comportamentale”. Un racconto che non indugia su un disagio da curare, perché la battaglia che i giovani protagonisti devono combattere è quella contro la solitudine. “La solitudine non è soltanto di chi ha un disagio psicologico, ma coinvolge tutti – prosegue Castellitto – chi di noi non si è sentito, nello spirito e nella psiche, un giorno della sua vita, come un clochard abbandonato sotto un ponte? Chi di noi non ha pensato, in certi momenti, di non essere compreso dagli altri?

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 43 a pag.12