Massimiliano Caiazzo

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La recitazione mi ha salvato la vita

È tra i volti più amati di “Mare fuori”. L’attore campano, che nella serie di Rai2 interpreta Carmine Di Salvo, figlio di camorristi che lotta per un futuro nel segno della legalità, al RadiocorriereTv parla della grande passione per le storie, i personaggi, per Napoli e la sua gente: «Penso che i napoletani siano un popolo di rivoluzionari, con una forza reazionaria che incanalano nell’arte»


© Sabrina Cirillo

A due anni di distanza come ha vissuto il ritorno a “Mare fuori”?

Con più consapevolezza e preparazione. Al mio personaggio (Carmine) quest’anno è stato chiesto tanto, mi sono accostato al lavoro con grande voglia di fare bene e con il desiderio di scavare più a fondo nelle tematiche della serie.

Come ci si prepara a vestire i panni di un personaggio come Carmine?

Il processo creativo è l’aspetto ludico che non può mai mancare, il momento che ti porta a dare colore al personaggio, che è a tutti gli effetti una parte di te. Per Carmine sono sicuramente partito da un fondo di guerra, che è quello che vive consciamente e inconsciamente da quando è piccolino, che fa nascere in lui un forte bisogno di protezione. Quando vivi in una sorta di foresta, dove in ogni momento può scappare il morto, inizi a sentire il bisogno di essere protetto, necessità che a volte viene soddisfatta e altre no. Non parlo solo di protezione fisica ma anche emotiva, di avere spazi in cui puoi essere te stesso. Carmine è un personaggio atipico rispetto agli altri, che seguono un certo tipo di codice, di regole del sistema al quale appartengono. Lui il sistema lo rifiuta, anche se in questa seconda stagione ha più volte occasione di mettere tutto in discussione. Il processo creativo del personaggio mi ha dato la possibilità di fare delle scelte interpretative particolari, che se da un lato mi hanno dato un po’ di ansia, dall’altro mi hanno fatto capire di essere stato coraggioso.

Cosa significa essere coraggiosi nel suo mestiere?

Fare delle scelte che non siano per forza quelle che guardano a un risultato, come una buona risposta del pubblico, di chi dirige, dei tuoi colleghi. Parlo di scelte vere, che fanno passare in secondo piano le ansie d’aspettativa, un coraggio che si sposa benissimo con il decidere di raccontare un certo tipo di tematiche.

Quanta empatia ha trovato con Carmine?

In questa seconda stagione penso di avere voluto molto più bene a Carmine e che Carmine ne abbia voluto molto di più a me. Abbiamo trovato più punti d’incontro e scontro, forse perché io sono più maturo, artisticamente e umanamente. È stato ancora più catartico rispetto a due anni fa.

Cosa ha significato per lei, seppur da attore, guardare la vita attraverso le sbarre di un carcere?

Ho cercato di farmi quante più domande possibili. Farsi domande è un atto rivoluzionario e coraggioso, spinge a un ragionamento, a non ricercare per forza la risposta cruda e veloce. Mi sono chiesto cosa succeda a un ragazzo nelle condizioni di quelle di Carmine, cosa accada ai suoi sogni, alle sue ambizioni, alle sue paure, quando venga posto in un contesto di libertà vigilata, di impotenza nei confronti della sua famiglia. Io, Massimiliano, mi sono sentito molto fortunato, una sensazione che si è trasformata in motivazione e in ispirazione per raccontare la storia di Carmine.

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Telethon

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La ricerca dona, dona per la ricerca

Dal 12 al 19 dicembre su Rai1 la 32esima maratona con i volti più popolari della Tv e dello spettacolo e con gli scienziati che ogni giorno affrontano la sfida più grande, curare le malattie genetiche rare

Tutto pronto per l’edizione numero 32 della maratona della Fondazione Telethon sulle reti Rai. Si apre ufficialmente la settimana no-stop di sensibilizzazione e raccolta fondi per la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare: il numeratore si accenderà sabato 11 dicembre durante la puntata di “Ballando con le stelle”, condotta da Milly Carlucci e Paolo Belli su Rai1, e proseguirà fino a domenica 19 dicembre, quando a chiudere ufficialmente l’edizione ci sarà Amadeus con la puntata de “I Soliti Ignoti, speciale Telethon”, alle 20.30 su Rai1. Sarà invece Mara Venier a condurre, domenica 12 dicembre in prima serata su Rai1, accompagnata da Paolo Belli e dalla sua orchestra, “Festa di Natale”, la serata interamente dedicata a Fondazione Telethon con la regia di Roberto Croce. Tra gli ospiti della prima serata, Stefano De Martino, Stefano Fresi, Edoardo Bennato, Milly Carlucci, Federica Pellegrini, Nino D’angelo, Salvatore Esposito, Marco D’amore, Gemelli Di Guidonia, Paolo Conticini. Nel corso della serata verrà presentato il sedicesimo cortometraggio promosso da Rai Cinema per Telethon, dal titolo “A Occhi aperti”, per la regia di Mauro Mancini, realizzato da Movimento Film con Rai Cinema per Fondazione Telethon. Come ogni anno, la maratona Telethon vedrà per tutta la settimana un’ideale staffetta sulle tre reti Rai, con il coinvolgimento di molti programmi.

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Re Granchio

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Dal 2 dicembre al cinema

Quando la storia vive attraverso le leggende. Alcuni vecchi cacciatori ricordano insieme la storia di Luciano, un ubriacone che nella Tuscia del Tardo Ottocento si ribella al principe locale per proteggere la donna che ama. Il film, diretto da Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, coprodotto da Rai Cinema, è stato presentato fuori concorso al Torino Film Festival. Nelle sale da giovedì 2 dicembre

Siamo in Italia, ai giorni nostri, ma la vicenda narrata sullo schermo da Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis ci porta in un batter d’occhio indietro nel tempo di 150 anni. Alcuni vecchi cacciatori stanno rievocando la storia di Luciano, un ubriacone che vive in un borgo della Tuscia. Il suo stile di vita e la sua ribellione al dispotico principe locale lo hanno reso un reietto per il resto della comunità. In un estremo tentativo per proteggere dal principe la donna che ama, Luciano commette un atto scellerato che lo costringe a fuggire in esilio nella Terra del Fuoco. Qui, la ricerca di un mitico tesoro, al fianco di marinai senza scrupoli, si trasforma per lui in un’occasione di redenzione. Ma la febbre dell’oro non può seminare che tradimento, avidità e follia in quelle terre desolate. “‘Re Granchio’ nasce da un racconto che abbiamo sentito in una casina di caccia di un piccolo paese della Tuscia – affermano i registi – Conoscevamo Ercolino, il proprietario della casina, ritrovo abituale dei cacciatori della zona, dove si mangia, si beve ci si racconta storie. Una di queste leggende, quella di una pantera che terrorizzava i dintorni, ci ha dato lo spunto per ‘Belva nera’.

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Nicolas Maupas

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L’arte ci può salvare

È Simone nella serie “Un professore” (Rai1) e Filippo in “Mare fuori 2” (Rai2). Il RadiocorriereTv incontra l’attore, tra i volti rivelazione delle ultime stagioni televisive

Era l’autunno di due anni fa quando debuttava in “Mare fuori”, sono poi venuti “Nudes”, “Un professore” e ancora “Mare fuori”… come rivede gli ultimi due anni di Nicolas Maupas?

Sono stati estremamente intensi e completamente da scoprire. Quello di “Mare fuori” è stato il mio primo lavoro, tutto è cominciato da lì. Dopo il lockdown ho avuto l’occasione di ritornare sul set con “Un professore”, entrambe le esperienze mi hanno dato tanti insegnamenti e mi hanno fatto aprire gli occhi su quello che è il grande lavoro dell’attore. Mi reputo estremamente fortunato per queste occasioni, per avere lavorato con registi come Alessandro D’Alatri, Carmine Elia, Laura Luchetti, con attori come Alessandro Gassmann. Maestri che ho incontrato sul mio percorso. Sono molto devoto e grato ai loro insegnamenti.

In “Un professore” veste i panni di Simone, l’allievo di un papà-professore con il quale ha non pochi contrasti. Come ha vissuto il suo personaggio?

Tornare sui banchi di scuola a distanza di quattro-cinque anni dalla fine del liceo è stata un’esperienza incredibile. Con Alessandro D’Alatri abbiamo costruito il personaggio di Simone in fasi diverse, cercando di dare verità a ognuna di esse pur nel segno della continuità. Simone è un personaggio che usa l’arroganza, la rabbia, come risposta alla sua situazione familiare e a ciò che sta succedendo dentro di lui. Mi ci sono affezionato molto, nonostante all’inizio abbia dovuto combatterci veramente tanto. Mi è piaciuto costruire il rapporto tra Simone e il padre, percorso nel quale mi ha accompagnato Alessandro. Simone fa ormai parte di me, è un personaggio che amo e proteggo.

La filosofia e lo studio insegnano a interpretare la vita, a scegliere con maggiore consapevolezza, che ruolo hanno per lei?

Fondamentale. Ho 23 anni e ho trascorso la maggior parte della mia vita a scuola. La filosofia l’ho sempre studiata con passione perché consente di trovare tante risposte per la nostra vita sociale. Mi iscrissi al liceo classico con l’obiettivo di continuare anche successivamente quegli studi, ma nonostante mi piacessero, mi resi conto che non facevano parte di me. Cambiai e andai al linguistico che, essendo io bilingue, ho affrontato più facilmente. Sono stati anni divertenti pur non essendo stato uno studente modello, la media non era da otto (sorride).

Cosa ci racconta del suo rapporto con i professori?

Alcuni li ho amati veramente tanto. Quello di filosofia non era come Dante ma efficace quanto Dante. Anche gli insegnanti di italiano e francese mi hanno aiutato molto nel percorso della mia vita.

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Matteo Paolillo

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Sangue Nero

E’ Edoardo Conte in “Mare Fuori” ed è anche autore della colonna sonora della serie, prodotta e distribuita da RAICOM. “Con la mia canzone – dice – vorrei far riflettere sul tema della violenza”

© Sabrina Cirillo

Nella seconda stagione di “Mare Fuori” ogni detenuto è chiamato ad un rapporto con la propria famiglia e dovrà compiere una scelta. Cosa possiamo dire di Edoardo?

La moglie partorisce ed Edoardo viene chiamato al dovere di padre. Questo influisce su tutte le scelte e le dinamiche del carcere. Ma mi viene da pensare anche al rapporto con la madre, che è felice di diventare nonna e che pensa che Edoardo si dedicherà alla famiglia. Troverà in lui però le stesse caratteristiche di suo padre, che l’ha abbandonata e che l’ha lasciata sola.

Come cambierà invece in questa seconda stagione il personaggio di Edoardo Conte?

Sicuramente rispetto alla prima stagione in cui è sempre stato lontano dalle dinamiche aggressive, con la morte di Ciro, cambierà molto. Siccome ha perso un amico ed è molto arrabbiato, inizierà strategie in nome dell’onore criminale che lo legava all’amico. Edoardo diventa molto più scomodo. Vedremo delle cose che non abbiamo visto, sfumature più aggressive e violente.

L’adolescenza, la giovinezza, sono un periodo della vita bellissimo, ma anche tormentato, delicato da raccontare. Come ci riuscite?

Sicuramente molti di noi sono adolescenti, mentre noi più grandi ce la ricordiamo bene. In quel periodo della vita si fanno scelte senza capire quanto incideranno sul futuro. I ragazzi della serie hanno quasi la sensazione di non poter scegliere. Sono personaggi che si trovano a fare scelte sbagliate perché non hanno alternativa. Il compito della generazione che viene prima è quello di proporre alternative. E l’arte è molto importante per questo. L’arte può avvicinare a cose totalmente diverse.

Lei è autore di “Sangue Nero”. Com’è nata questa canzone?

La sceneggiatrice mi ha contattato e mi ha chiesto di scrivere una canzone per la seconda stagione. Il titolo lo ha scelto lei e da lì ho composto questa canzone che parla della violenza nel carcere. C’è chi riesce a gestire la rabbia e chi no. Mi sono appunto concentrato sulla gestione di certi sentimenti. E’ un tentativo di far riflettere sul tema della violenza.

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Alessandra Mastronardi

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Grazie Carla

Domenica 5 dicembre, in prima serata su Rai1, il film di Emanuele Imbucci racconta l’étoile italiana più acclamata sui palcoscenici di tutto il mondo. La protagonista al RadiocorriereTv: «La danza è una disciplina che ti forma il fisico, la mente, è una filosofia di vita, quasi una devozione»

Cosa ha significato “essere” Carla?

È stata una grandissima emozione, una responsabilità e al tempo stesso una bellissima esperienza. Capita raramente di avere un ruolo simile, di portare sullo schermo un’icona internazionale, che per di più ha partecipato attivamente alla scrittura della sceneggiatura, alla scelta del cast. È stato meraviglioso, un regalo pazzesco.

Cosa sapeva di Carla Fracci prima delle riprese e cosa invece ha imparato dell’étoile nel corso di questa esperienza?

Conoscevo la signora Fracci come ballerina, come artista, in modo particolare ciò che ha fatto nella parte finale della sua carriera. Non conoscevo invece le sue umili origini. Non sapevo quanto fosse stato duro diventare étoile e quanto lavoro, quanta grinta, quanta forza ci avesse messo, negli anni, nel lungo percorso verso il successo. Ho scoperto la donna straordinaria che era. Le chiesi quale messaggio voleva che il film portasse al pubblico. La sua risposta fu chiara, “la forza e la passione che ho messo nel mio lavoro”. Ho provato in tutti i modi a riportare questo sullo schermo.

Che ricordo ha del vostro primo incontro?

Avvenne su Zoom, io ero emozionatissima. Avevamo cominciato le riprese da una settimana. Un giorno mi dissero che quella sera avrei avuto la possibilità di incontrare la signora Fracci. Venivo dal set e non mi struccai, perché volevo che mi vedesse già con il trucco del personaggio. Fu bellissimo. Da subito la signora notò che l’attaccatura dei miei capelli, ricostruita appositamente dai parrucchieri, era a forma di cuore. E così mi disse: “hai l’attaccatura come la mia, sarà un segno del destino”. Sorrisi, non ce la feci a dirle che era un trucco scenico.

Come avvenne invece il primo incontro reale?

Fu al Teatro alla Scala. Stavamo girando l’ultima scena del film. Ero vestita con il costume dello “Schiaccianoci”, quello originale del Teatro degli anni Settanta, e portavo la coroncina che aveva indossato lei. La signora se ne accorse. Diventai di ghiaccio. Io ero lei, e lei era lì (racconta con emozione). Fu molto strano. Mi disse di trovarsi per la prima volta su quel palco senza dovere ballare. Risposi che non mi sarei mai azzardata a farlo. A danzare al mio posto, nel film, l’étoile Susanna Salvi, scelta proprio dalla signora Fracci.

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Una famiglia mostruosa

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Una storia comedy-horror

Una storia comedy-horror per i bambini di ogni età. Dal 25 novembre sul grande schermo il film di Volfango De Biasi. Nel cast Massimo Ghini, Lucia Ocone, Lillo, Ilaria Spada, Cristiano Caccamo, Emanuela Rei, Paolo Calabresi, Barbara Bouchet, Pippo Franco

Una famiglia speciale, anzi, un po’ troppo speciale. La nuova pellicola di Volfango De Biasi apre la stagione dei film di Natale.  Una giovane coppia di studenti fuori sede – Adalberto (Cristiano Caccamo) e Luna (Emanuela Rei) – si incontra e si innamora. Lontani da casa, i due non hanno occasione di conoscere le rispettive famiglie, ma quando lei resta incinta, Adalberto si vede costretto a portarla dai suoi, sebbene faccia di loro un ritratto poco lusinghiero, tant’è che Luna osserva scherzosamente: “ne parli come se fossero dei mostri”. La ragazza non sa quanto sia vicina alla verità: Vladimiro (Massimo Ghini), il futuro suocero, è infatti un vampiro, sua moglie Brunilde (Lucia Ocone) una strega, il fratello di lei un Frankenstein, la sorellina Salmetta (Sara Ciocca) una Vampiretta e la nonna (Barbara Bouchet) un fantasma. Lo stesso Adalberto è un lupo mannaro, che però aspira a una vita normale e finora è riuscito a nasconderle la sua identità. La coppia si presenta così al castello di famiglia dove Adalberto spera di scoprire attraverso uno specchio magico l’identità del nascituro: ovvero sapere se verrà umano o mostro. Il tutto nascondendo la verità alla ignara Luna e cercando di proteggerla dall’ostilità dei suoi, che mal sopportano l’idea del matrimonio con una umana.

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Danilo Arena

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Sto vivendo il mio sogno

Rivelazione della terza stagione de “Il Cacciatore” nella quale interpreta il discepolo del mafioso Pietro Aglieri, il RadiocorriereTv incontra il giovane attore siciliano: «Girando ho messo tutta la mia anima, tutta la forza, negli occhi del mio personaggio ci sono il mio massimo, il mio limite, la voglia di crescere ancora». Le puntate sono disponibili su RaiPlay

Si è da poco conclusa la terza stagione de “Il Cacciatore”, cosa le ha dato questa esperienza?

Prima di tutto l’opportunità di mostrare l’attore che voglio essere, ma anche di potere reggere un ruolo da protagonista. Davide ha un arco completo di colori in cui un attore può mettersi in gioco: dal comico alla commedia, al dramma puro. “Il Cacciatore” mi ha regalato grandi emozioni, prima vissute da fan della serie, poi nella fase di preparazione, quindi sul set e infine da spettatore davanti allo schermo.

Cosa ha provato nel vedersi nei panni di Davide?

Sono sempre autocritico e non mi piaccio mai (sorride), e questo mi fa bene perché continuo ad avere fame. Girando ho messo tutta la mia anima, tutta la forza, negli occhi di Davide ci sono il mio massimo, il mio limite, la voglia di crescere ancora.

Mafia e antimafia, le sfide degli anni Novanta. Lei è giovane, che idea si è fatto di quel periodo e di quella Sicilia?

Verso la fine di quel decennio la mafia cambia e decide, come si vede anche con la figura di Pietro Aglieri, di smettere di fare morti per strada, di seminare terrore. Questo non significa che diventi meno crudele: il confine che c’è tra l’ammazzare una persona nella carne o nella dignità, attraverso la corruzione, è davvero molto sottile.

Quanta Sicilia c’è nel suo essere attore?

Sono siciliano, nato e cresciuto in Sicilia. Nel mio pensiero c’è tanto della mia terra, poi, quando incontro il personaggio da interpretare, questo prende la piega che deve prendere.

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Emilio Cozzi

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Infinito e dintorni

Il RadiocorriereTv incontra Emilio Cozzi, conduttore di “Space Walks”, il primo programma dedicato allo Spazio e alla space economy. Tra gli ospiti il regista Gabriele Mainetti, il fumettista Leo Ortolani, protagonisti dell’ingegneria aerospaziale come Amalia Ercoli-Finzi, Giorgio Pow3r Calandrelli, e ancora il navigatore Giovanni Soldini e il giornalista Tito Stagno, la storica voce che ci ha raccontato in diretta lo sbarco sulla Luna. Scritto da Marco Falornim Andrea Frassoni e dallo stesso Cozzi. Su Rai4 dal 24 novembre in seconda serata

Ci racconta “Space Walks”?

È un programma di divulgazione che parla di Spazio, un argomento tecnico-scientifico di altissima qualità. Lo facciamo con l’ambizione di fare capire come e perché lo Spazio abbia oggi un’importanza così rilevante per la nostra vita quotidiana e anche per sottolineare il legame ancora più stretto che avrà con il nostro futuro. Cerchiamo di utilizzare un linguaggio facile, raccontando anche quanto lo Spazio sia suggestivo e come l’avventura spaziale sia un’estensione del viaggio che riguarda da sempre donne e uomini, il viaggio della specie umana oltre i nostri confini.

Prima di raggiungere lo Spazio l’uomo ha osservato per millenni la volta celeste. Come è cambiato nel tempo il nostro sentire l’infinito?

Bisognerebbe chiederlo ai poeti (sorride). Credo che stiamo vivendo un’epoca in cui si apparecchi il futuro spaziale del genere umano. Cominciamo a riflettere sull’imminente ritorno dell’uomo verso la Luna, che potrà essere realtà dal 2025, consapevoli di come la nostra vita terrestre sia indissolubilmente legata a ciò che facciamo nello Spazio. Pensiamo al programma Apollo, che negli anni Sessanta portò i primi uomini sulla Luna: da lì vennero ricavati decine di migliaia di brevetti che usiamo ancora oggi. I tessuti ignifughi che proteggono i pompieri dagli incendi arrivano da lì, la miniaturizzazione dei chip fu potenziata durante quel programma. I defibrillatori, così come le pompe cardiache, sono tecnologie che non avremmo, o sarebbero diverse, se non le avessimo utilizzate nello Spazio. Stesso discorso vale per il GPS, che senza lo Spazio non funzionerebbe.

Perché per tanti anni non siamo più tornati sulla Luna?

Perché siamo stati capaci di farlo, ma non è cosa semplice ed è anche particolarmente costoso. Ci andammo per ragioni strategico militari e una volta vinta la gara venne meno il motivo del contendere. Chiediamoci invece perché oggi vogliamo, o dobbiamo, tornarci. I motivi sono tanti a partire dal desiderio dell’uomo, che non riesce a trattenersi dall’esplorare qualcosa che non conosce. Abbiamo l’obiettivo di andare anche per rimanerci più a lungo possibile, iniziando per esempio a sfruttare quelle risorse che sulla terra cominciano purtroppo a scarseggiare e che, se noi invece trovassimo negli asteroidi o sulla Luna, potrebbero darci una fortissima mano per sopravvivere sulla Terra. Altro motivo fondamentale è che la Luna è l’anticamera per l’esplorazione più profonda del cosmo, in primis quella verso Marte, vero grande obiettivo dei programmi spaziale.

Come prosegue la nostra esplorazione di Marte? Quando ci arriveremo?

Lo stiamo conoscendo sempre meglio. Mentre parliamo ci sono diversi robot che stanno cercando segnali di vita microbica sul Pianeta rosso. È confermato, grazie a ricercatori italiani, come milioni di anni fa su Marte ci fossero fiumi, laghi e oceani e quando c’è acqua, tendenzialmente, c’è vita come la conosciamo noi. Il prossimo anno l’Agenzia spaziale europea invierà la prima sonda robotica europea sul Pianeta che trivellerà fino a due metri alla ricerca di conferme. La presenza di acqua renderebbe possibile la produzione di ossigeno, l’acqua, nello Spazio, è carburante. Fra 20 o 30 anni, magari, vedremo i primi pellegrini sbarcare su Marte.

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Valentina Romani

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L’arte? Mi folgora e mi avvolge

È la zingara Naditza in “Mare fuori”, il mercoledì in prima serata su Rai2, e sarà presto la ballerina Anita, compagna di corso di Carla Fracci, nel film Tv “Carla” trasmesso il 5 dicembre su Rai1. Il RadiocorriereTv ha incontrato l’attrice romana, tra i volti emergenti più apprezzati delle serialità made in Italy


© Sabrina Cirillo

Come è stato ritrovate Naditza in questa seconda stagione di Mare Fuori?

È un personaggio a cui sono legatissima. Non è solo una ragazza che cerca di responsabilizzarsi, di migliorarsi, ma è una giovane in piena crisi adolescenziale. Sin dalla prima lettura del copione feci il tifo per lei, per i suoi sogni. Nella prima serie abbiamo conosciuto il suo carattere fumantino, abbiamo visto una ragazza che ha la necessità di dare da mangiare alle sue volontà. Naditza è affamata di vita, di sentimenti, di legami. Questo ha insegnato molto anche a me, Valentina, come persona.

Abbiamo conosciuto una giovane che preferiva stare in carcere piuttosto che in una famiglia dove le veniva imposto un modello che lei non approvava. Ora Naditza è messa alla prova dall’amore…

L’adolescenza è una fase delicata e intensa della vita nella quale la ricerca dell’amore va spesso di pari passo con la ricerca di sé. Naditza crede profondamente nel potere dei legami, per questo si affida, si fa guidare da un sentimento travolgente come l’amore, con tutte le difficoltà che questo comporta.

Seppur da attrice, ha provato cosa significhi guardare il mondo da dietro le sbarre: cosa le ha lasciato questa esperienza?

“Mare fuori” ci insegna che il mare, fuori, c’è, e che abbiamo tutti la possibilità di cambiare, di migliorare, di rimediare agli errori, di riscattarci. Recitare da dietro le sbarre ti dà una sensazione strana, sei in un quadro animato dentro a una cornice nella quale ti puoi muovere, ma dalla quale non puoi uscire. Da un punto di vista artistico è una bella sfida. Devi conoscere il tuo spazio, imparare a viverlo, farlo tuo. Emozionalmente, con le dovute proporzioni, la cosa mi riporta ai giorni del lockdown, quando chiusi dentro casa avevamo la necessità di vivere le nostre emozioni in un contesto ristretto.

Prospettiva ancora diversa se dietro le sbarre c’è un giovane che deve scontare una pena…

Obiettivo prioritario deve essere la rieducazione. Non ci si deve fermare a punire un errore, chi ha sbagliato deve capire, deve essere responsabilizzato. Gli istituti di pena devono essere luoghi dai quali uscire migliori.

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