Con Doc l’abbraccio del grande pubblico

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Matilde Gioli

Attrice per caso, tenuta a battesimo sul grande schermo dal regista Paolo Virzì nel film “Il capitale umano”, è oggi uno dei volti più apprezzati dell’acclamata serie medical di Rai1 dove veste i panni di Giulia Giordano. «Sono contenta di essere entrata nelle case delle persone e che mi si riconosca per strada – afferma – e poi è fighissimo che mi chiamino dottoressa…»

Come è stato ritrovare Giulia in questa seconda stagione, prima sul copione e poi sul set?

Quando si interpreta un personaggio per così tanti mesi, come è successo a me con la dottoressa Giulia Giordano, questo rimane vivo dentro di te. Mi è capitato, fuori dal set, di trovarmi in situazioni in cui di fronte a qualcuno che cercava un medico, sia stata tentata di alzare la mano e dire, eccomi… (sorride). Ho vissuto gli ultimi otto mesi con una Giulia che ha avuto una grande evoluzione: ha il carattere che conosciamo, ma vive una serie incredibile di vicissitudini alle quali deve reagire.  Lo farà con la determinazione che la contraddistingue.

Gli sceneggiatori hanno portato la pandemia nelle nuove puntate, come ha vissuto questo avvicinarsi della finzione alla realtà?

È stato molto importante, per me, come cittadina, capire cosa questo periodo sia stato per i medici. Dovendo simulare un reparto covid all’interno del nostro set, abbiamo girato con i dispositivi, le imbragature, lo abbiamo fatto per settimane per dieci ore al giorno, ed è stata durissima. Posso ben immaginare quanta fatica, quanta sofferenza, possano essere costate a chi l’ha fatto per mesi e mesi nella realtà, con il peso della responsabilità dei malati veri. Anche oggi ci sono i fatti che parlano, persone che stanno male, che muoiono, medici e operatori sanitari che vivono un inferno. Per essere realistici abbiamo dovuto ascoltare testimonianze vere, alcune delle quali molto forti. La quotidianità di un reparto covid è veramente una trincea.

Giulia è un personaggio che piace molto alle donne, perché?

I modelli femminili di oggi, soprattutto per le giovani, sono spesso molto caricati. Un personaggio che porta sobrietà da un punto di vista estetico e più determinazione nei fatti e nel carattere, può piacere perché propone un nuovo modello, diverso. Quando le donne empatizzano con un personaggio femminile significa che sei riuscito a toccare i cuori di tutto il pubblico.

Cosa le ha insegnato Giulia?

Chi ha inventato e scritto il personaggio di Giulia Giordano me l’ha descritta come una donna precisa sul lavoro, sobria, che non condivide con facilità le proprie emozioni, una donna che sa stare al proprio posto, un po’ trattenuta, non invadente, molto diversa da me, che per carattere sono abbastanza espansiva. Ecco, gli anni trascorsi con lei mi stanno insegnando a stare un po’ di più al mio posto (sorride).

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Chiamatemi The Normal One

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Pierpaolo Spollon

Protagonista di una stagione di successo nelle fiction di Rai1 l’attore veneto parla del suo momento d’oro al RadiocorriereTv. «Sono esausto e felice di questo anno di lavoro» afferma, e in merito alla sua profonda passione per la recitazione confida: «Recitare mi aiuta a svuotarmi di questa umanità che sento»

Fino a dicembre ha interpretato Nanni nella serie “Blanca”, ed è stato un successo, ora torna Riccardo in “DOC”, come sta vivendo questa stagione che la vede lanciatissimo?

Sono felicemente esausto. Il lavoro non mi ha dato un minuto di tregua, ma se la stanchezza per essere felici è questa, allora viva la stanchezza. Quest’anno è stato pieno di lavoro come non mai, spero di avere lavorato bene. Sono molto felice che sia stato accolto come speravo il ruolo di Nanni, perché avevo bisogno di smarcarmi da un certo tipo di recitazione e di personaggio. Ringrazio Francesco Nardella (vice direttore di Rai Fiction) e Jan Michelini (regista di Blanca) che hanno avuto il coraggio di dare a uno che di solito fa il ruolo del buono, quello dello psicopatico.

La critica la definisce “giovane e promettente”, ma di anni ne ha 33 e la sua popolarità è ormai cosa reale… cosa rispondiamo ai critici?

Se mi definiscono giovane e promettente sono felice, i miei 33 anni non li sento. Se dopo 12 anni di gavetta, la gavetta è ancora questa, a me va benissimo. Giovane dentro e promettente, mi sta proprio bene.

Come è stato il suo ritorno sul set a “DOC”?

Molto emozionante, anche perché siamo collaudati. Mi complimento con gli sceneggiatori, che hanno scritto delle cose che ci hanno emozionalmente messo alla prova. Noi attori siamo stremati, svuotati, abbiamo pianto tutte le nostre lacrime. Hanno avuto l’intuito di fare passare le storie dei dottori attraverso il covid, ma puntando principalmente su quello che la pandemia lascia nelle persone. Parlo di chi ha preso il virus come di chi non l’ha preso.

Quello di un attore con il proprio personaggio è un confronto continuo, soprattutto nella lunga serialità, come è andata con Riccardo?

Ogni tanto penso che un personaggio cotto e mangiato mi piacerebbe (sorride), perché ho sempre paura di essere cambiato troppo rispetto al personaggio che devo interpretare, ma la verità è che i personaggi, in scrittura, cambiano come le persone. Quindi, se Pierpaolo fa un passo in avanti, perché non dovrebbe farlo anche Riccardo? Riccardo è cresciuto, avrà momenti difficili come tutte le persone nella vita, mantenendo comunque l’ironia che lo caratterizza.

Ha detto in alcune occasioni che “DOC” è forse il lavoro che più ha contribuito a una sua crescita, anche personale, che cos’è accaduto?

C’è sempre un momento in cui un attore, come per magia, fa un click. A me per congiunzione astrale è successo con “DOC”, dove sono stato un pochino più responsabilizzato. Da tifoso appassionato faccio sempre un paragone con il calcio. Ci sono giocatori dei quali dici “è bravo ma gli manca qualcosa”, poi capita che incontrino un allenatore e una squadra che gli danno fiducia, responsabilizzandoli, e sono costretti a fare il salto, per non disattendere le attese. Con “DOC” è successo questo. Mi rendo conto che anche in fase di studio ho fatto un passo avanti.

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Amo le storie intense (e folli)

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Alessandro Roia

Al cinema con “Diabolik”, nel ruolo di un politico assetato di potere, su Rai1 con la fiction “Non mi lasciare”, dove veste i panni di un poliziotto che si trova a indagare su reati contro i minori. Al RadiocorriereTv l’attore romano parla del rapporto con i suoi personaggi di oggi e di ieri: «Ho una serie di memorie che non appartengono alla mia vita ma alla loro». Sulla serie diretta da Ciro Visco dice: «È un prodotto contemporaneo, un action thriller proposto con un linguaggio attuale»

Come è stato l’incontro con Daniele e con questa storia?

Feci dei provini e da subito, con il regista Ciro Visco, si creò una chimica, un legame. Conoscendo passo dopo passo il personaggio abbiamo cercato di sottrarlo ai luoghi comuni, come quelli del maschio e del poliziotto alfa. All’inizio della serie Daniele è per certi versi un po’ tagliato con l’accetta, impenetrabile nei suoi ragionamenti. L’arrivo di Elena, però, scardina le sue sicurezze. Si tratta di un personaggio con una realtà familiare calda, piena di tenerezza, per i suoi bambini, per la moglie. Nella narrazione troviamo un Daniele a tratti più cool e a tratti più umano, pieno di errori e di difetti, che poi affronterà.

Il suo personaggio si trova ad affrontare un mondo per lui nuovo. Tutto ha inizio con un evento drammatico, l’omicidio di un bambino…

Daniele viene travolto delle indagini di Elena sul mondo del dark web, realtà che a volte non riesce a comprendere appieno. Il suo è un approccio investigativo diverso, lui, che è abituato a immergersi nei canali di Venezia con i sommozzatori della polizia, questa volta è costretto ad andare a fondo in un altro mare, ancora più oscuro.

Il regista Ciro Visco parla di “responsabilità del racconto”, una responsabilità in qualche modo condivisa anche con gli attori?

Credo che la Rai abbia un prodotto veramente contemporaneo, un action thriller proposto con un linguaggio attuale. Nella narrazione c’è anche una parte più leggera di intrattenimento, legata alle storie dei personaggi, ma c’è soprattutto un tema di grande importanza, affrontato di petto. Credo che sia il corto circuito migliore: avvicinare il pubblico a un’informazione senza volerlo tediare, facendolo correre per Venezia con noi, andando a tutta velocità con i motoscafi nei canali…

… come fecero in passato in Laguna Indiana Jones e 007… che esperienza attoriale è stata?

Durissima, per quanto possa essere duro il mio lavoro, ma fantastica. Abbiamo girato in una Venezia assurda durante il lockdown, quando la città era spesso in zona rossa o arancione. Anche per lo spettatore sarà una città pazzesca da un punto di vista visivo. Durante le riprese soffiava Burian e noi giravamo anche alle 5 del mattino, un’esperienza quasi trascendentale (sorride).

Tra cinema e televisione il suo è diventato un volto molto popolare, che rapporto ha instaurato, nel tempo, con il pubblico?

Ho una relazione tranquillissima con quello che faccio, non ho paturnie, sono abbastanza in pace con tutto questo (sorride). Con il pubblico ho un buon rapporto, a uno a uno, con la mia educazione e con quella delle persone.

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Vince chi gioca in squadra

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Luca Argentero

Tutto pronto per la seconda stagione di “DOC. Nelle tue mani” con l’attore ancora una volta nei panni di Andrea Fanti: “Abbiamo ancora delle grandi storie da raccontare”. E sul suo personaggio dice: “Mi ha insegnato il significato profondo della parola empatia e l’importanza dell’unione delle persone”

Ancora una volta nel camice di DOC. Pronto?

Si avverte una grandissima aspettativa, c’è molto fermento in giro. Le seconde stagioni sono sempre molto complesse, soprattutto se la prima è stata così d’impatto per il pubblico. Abbiamo però ancora delle grandi storie da raccontare, i nostri sceneggiatori sono davvero incredibili. Anche in questo nuovo capitolo, la grande sfida è stata adattare il racconto alla realtà.

In che senso?

Siamo andati in onda la prima volta durante una pandemia mondiale, la scrittura di Doc2 è invece avvenuta nello strascico di questo evento epocale, e in scena dobbiamo portare una realtà il più possibile “credibile” per chi questa vita l’affronta tutti i giorni. Mi riferisco ai medici, ma anche a tutti noi, perché siamo tutti coinvolti. Penso che ci siamo riusciti, le storie sono entusiasmanti e chi ha amato la prima stagione non potrà farne a meno, non rimarrà per nulla deluso.

È stata necessaria una nuova preparazione “medica”, o il training ospedaliero della prima stagione è stato sufficiente?

La prima volta era importante avere un affiancamento medico, questa volta posso dire che, nonostante la consulenza scientifica di esperti e di medici, la nostra è stata una preparazione di osservazione. Il caso medico spesso diventa solo un pretesto per raccontare le dinamiche interne del reparto, come interagiscono in un ospedale i diversi ruoli, il modo in cui, per esempio, un primario si rivolge agli strutturati e viceversa. In una puntata in particolare, attraverso flashback, raccontiamo la pandemia e il Covid. Per me è stato un momento importante, nel quale ho compreso meglio che tipo di inferno abbia vissuto chi è stato in trincea. Per due settimane abbiamo girato in tenuta anti contagio per almeno dieci ore al giorno. È stato faticoso per noi, non oso immaginare cosa sia stato per chi quella divisa l’ha tenuta per mesi. Tutti abbiamo ancora impresse le immagini forti di quei momenti e, come sempre, la realtà supera la finzione.

Nuove storie da raccontare, nuovi personaggi che fanno il loro ingresso…

Come succede con tutti i nuovi arrivi, anche in questo caso, sono stati tutti accolti più che bene. Di questo gruppo di ragazzi, sia per età anagrafica, sia per il ruolo, mi sento un po’ il fratello maggiore che ha il compito di creare e tenere unita la squadra. Proprio come avviene in un reparto di ospedale, a fare la differenza non è mai un solo medico, ma l’unione delle persone, il gioco di squadra. Giusy Buscemi è una psicologa che deve gestire le conseguenze dell’emergenza Covid tra i pazienti e soprattutto tra il personale medico, colpito duramente dal punto di vista emotivo: attacchi di panico, sindrome post traumatica da stress… Altrettanto interessante l’ingresso di Alice Arcuri nel ruolo della virologa, le nuove star della medicina, quelle che si contendono le ribalte televisive. Una figura importante che fa capire, dopo due anni di pandemia, dove si stanno muovendo gli equilibri dell’organizzazione ospedaliera.

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Il lupo e il leone

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Al cinema

Due cuccioli di mitici predatori vengono salvati e cresciuti da una ragazza su un’isola canadese. Un’intensa storia d’amicizia firmata da Gilles De Maistre con Molly Kunz. Dal 13 gennaio nelle sale

Dopo il successo internazionale della pellicola per famiglie “Mia e il Leone Bianco”, il regista Gilles de Maistre ha riportato sul set il suo gruppo di lavoro su un nuovo progetto: “Il lupo e il leone”. La pianista ventenne Alma, (Molly Kunz), ritorna nella sua casa d’infanzia su un’isola in Canada, dopo la morte del nonno. Durante il soggiorno sull’isola, la sua vita è stravolta dopo aver salvato due cuccioli, un lupo e un leone. Gli animali crescono e tra i tre si crea un legame indissolubile, che viene spezzato solo quando vengono scoperti. Il leone viene catturato e mandato in un circo itinerante, mentre il lupo viene portato in un centro di ricerca sugli animali. Il lupo è deciso a ritrovare suo fratello leone e a riunire la famiglia. Tornati insieme, i due animali intraprendono un’avventura straordinaria, affrontando qualsiasi avversità per ritrovare Alma. Il film è stato girato sull’isola di Sacacomie, due ore a nord est del Quebec, un’idilliaca riserva naturale abbastanza isolata da garantire la necessaria sicurezza per gli animali. “Abbiamo trovato questa baita sull’isola, che era stata costruita originariamente per un altro film, Secret Window, e abbiamo capito che quella piccola isola sarebbe stata perfetta per la nostra storia” dice de Maistre.

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Sotto lo stesso tempo

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Docufilm

Sulla piattaforma Rai un anno di pandemia attraverso gli occhi e le vite di dieci giovani studenti di cinema. Scritto e diretto dagli allievi della Scuola nazionale di cinema, sede della Sicilia, è stato presentato al Torino Film Festival

©️Archivio fotografico Cineteca Nazionale – Csc

Dieci studenti di una scuola di cinema si ritrovano chiusi in casa dopo poche settimane dall’inizio dei corsi. Fuori il Covid-19 sconvolge il mondo intero; nell’attesa che l’emergenza finisca, i ragazzi si interrogano su cosa significhi raccontare e filmare, inseguendo un tempo sospeso tra emozioni private e i grandi cambiamenti collettivi. «Il titolo “Sotto lo stesso tempo” rivela lo spirito con cui la scuola si è messa in gioco fin dai primi di marzo 2020 non solo per garantire la cosiddetta continuità didattica, ma anche e soprattutto perché l’isolamento diventasse un’opportunità – osserva Costanza Quatriglio, direttrice artistica della sede Sicilia del CSC. – La realizzazione del film è stata un modo per attraversare, per più di un anno, il diario di noi tutti, reso nudo dallo sguardo di un gruppo di ventenni che, scoprendo il cinema, si interrogano su se stessi e sull’immaginario di una contemporaneità bruciante che non assomiglia a nulla che abbiano mai vissuto.

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Da Monza a Palermo (via Tivoli)

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Meraviglie

Martedì 11 gennaio alle 21.20 su Rai1 si rinnova l’appuntamento con Alberto Angela alla scoperta delle bellezze italiane. Al via il terzo viaggio lungo la Penisola dei tesori

Il nuovo appuntamento partirà dalla magnifica Villa Reale di Monza. Scopriremo la storia della grandiosa residenza voluta dall’Imperatrice d’Austria Maria Teresa per il figlio Ferdinando, governatore generale della Lombardia. Una dimora di 740 stanze, che occupa solo una piccola parte dell’immenso Parco che la circonda. Fu poi Napoleone Bonaparte, succeduto agli Asburgo, a volerlo così grande, ben 700 ettari, più del doppio di Versailles! Oggi, come allora, il Parco Reale è il vero polmone verde di Milano e della Brianza e fra suoi viali si allena ancora uno dei calciatori più famosi d’Italia, Sandro Mazzola, che ci racconterà il suo particolare rapporto con Monza e con il Parco. Le vicende legate alla Villa Reale non si esauriscono con Napoleone. Qui a partire dal 1868 ha soggiornato una celebre coppia: Umberto I di Savoia e la moglie Margherita, la prima Regina d’Italia. Sarà proprio lei, Margherita, interpretata dall’attrice Anna Safroncik, a svelarci alcuni dei segreti legati ai Savoia. Monza è città di regine e il viaggio alla sua scoperta termina con la più famosa di tutte: Teodolinda, regina dei Longobardi. A lei è dedicata la splendida cappella racchiusa nel Duomo. Un gioiello che ne contiene un altro ancora più prezioso: la Corona Ferrea, la Corona dei Re d’Italia. 

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PIP E POSY: L’AMICIZIA RACCONTATA AI PIU’ PICCOLI

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Chi trova un amico trova un tesoro. Lo sanno bene il coniglietto Pip e la topolina Posy, legati da una fortissima amicizia. Insieme condividono ogni giorno nuove avventure. Ma non è sempre facile andare d’accordo, le incomprensioni infatti sono spesso dietro l’angolo e bisogna imparare a gestire e superare anche i momenti meno belli. La serie animataPip e Posy” è in onda dal lunedì al venerdì, alle 8 e alle 12 su Rai Yoyo, e, dal 16 gennaio, anche alle 15.30. Gli episodi sono disponibili anche su RaiPlay. Pip e Posy sono un coniglietto e una topolina legati da una forte amicizia. Le loro vite ruotano attorno a un meraviglioso mondo fatto di gioco: al parco, sulla neve, in giornate assolate o piovose, i due sono amici inseparabili che si divertono ad inventare giochi o, quando le cose non vanno bene, a risolvere i problemi in maniera creativa e divertente. L’amicizia, però, non è sempre semplice perché a volte può scatenare forti emozioni, anche negative.

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La Befana vien di Notte II

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Nelle sale dal 30 dicembre

Monica Bellucci, Zoe Massenti, Alessandro Haber, Herbert Ballerina, Guia Jelo, insieme a Corrado Guzzanti e Fabio De Luigi, sono i protagonisti del film diretto da Paola Randi che ci accompagna ai giorni dell’Epifania. Un racconto avvincente e divertente, scritto da Nicola Guaglianone e Menotti, nel segno delle emozioni più vere e dell’ironia. Nelle sale dal 30 dicembre

VIII secolo. Paola (Zoe Massenti), una ragazzina di strada, truffaldina e sempre a caccia di guai, si trova inavvertitamente a intralciare i piani del terribile Barone De Michelis (Fabio De Luigi), un omuncolo gobbo sempre scortato dal fidato e bistrattato Marmotta (Herbert Ballerina), con una sconfinata sete di potere e uno smisurato odio verso le streghe. L’intervento della dolce e potentissima Dolores (Monica Bellucci), una strega buona che dedica la sua vita ai bambini, salva Paola da un rogo già acceso. Tra un magico apprendistato, inseguimenti, incredibili trasformazioni e molti, molti, guai, Paola scoprirà che il destino ha in serbo per lei qualcosa di davvero speciale… Con un avventuroso tuffo nella storia, ha inizio il secondo capitolo de “La Befana vien di Notte – Le origini”, scritto da Nicola Guaglianone e Menotti, già sceneggiatori di “Jeeg Robot”, e diretto da Paola Randi. Al cinema dal 30 dicembre, il film chiama a raccolta i bambini di ogni età. “Per tanti anni abbiamo dato per scontato che il pubblico italiano non avrebbe creduto a personaggi straordinari che parlassero la nostra lingua. Ma questo non è vero. Basta guardarci alle spalle e studiare la nostra tradizione, cinematografica e non solo – affermano gli sceneggiatori – la Befana, per dire, avrà parenti nordici ma è un personaggio rigorosamente italiano. E chi di noi, pensando alla propria infanzia, non ricorda l’emozione di scoprire, la mattina del 6 gennaio, cosa ci avrebbe portato?

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Bar Stella

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Vi aspetto al Bar Stella

Un carosello di chiacchiere, ironia, colori, citazioni, omaggi, canzoni con Stefano De Martino. Da martedì 28 dicembre alle 22.50 su Rai2

Su Rai2 apre il “Bar Stella”: luogo originale pronto a ospitare e intrattenere il pubblico con il suo giro di clienti un po’ bizzarri, la Disperata Erotica Band e il personale altrettanto sui generis, a partire dal suo gestore, molto speciale, Stefano De Martino.   Quattro appuntamenti più un “meglio di”, dalla sede Rai di Napoli, in onda dal 28 dicembre alle 22.50.  L’atmosfera è familiare e amichevole, popolare e calda come quella del vero “Bar Stella”: il bar di famiglia fondato cento anni fa dal bisnonno di Stefano De Martino, dove il conduttore ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza. La stessa scenografia è stata disegnata e in parte ricostruita da foto originali dagli scenografi Cappellini e Licheri, arricchita da alcuni reperti storici provenienti realmente dallo storico bar: una ricevuta, un autografo, una vecchia foto, una pala con cui il nonno faceva il gelato.  

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