Dario Aita

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Il potere salvifico del NOI

E’ Claudio Peirò nella serie “Noi”, adattamento dell’americana “This is us”. L’attore siciliano racconta al Radiocorrieretv la sua esperienza in un progetto così ambizioso: «Questa storia ha centrato la specificità della nostra società»

“This is us” in America un cult, in Italia un progetto molto ambizioso…

È stata una sfida fin dall’inizio. Quando ho saputo che avrei preso parte a questa serie, ne ho avvertito immediatamente la pressione, perché è una storia celebre, apprezzata e amata da fan distribuiti in tutto il mondo, e ovviamente anche in Italia. Mi sono rasserenato dopo aver letto il riadattamento di Sandro Petraglia, che è riuscito a trasportare questa storia universale di rapporti umani, familiari, nel nostro contesto. Il mercato delle serie è ormai un remake continuo e, a volte, capita che alcuni superino l’originale. La versione italiana della norvegese “Skam” ha avuto un successo pazzesco, quasi superiore a quello originale. Mi sembra che nel caso di “Noi” il pubblico abbia risposto molto bene.

Qual è la specificità italiana di questo racconto?

“This is us” racconta un sistema socioculturale consolidato da tempo, con tematiche già abbastanza scandagliate nella drammaturgia americana. In Italia, invece, una serie come “Noi” mi sembra innovativa, i temi affrontati, contemporanei in America 15, 20 anni fa, da noi lo sono diventati adesso. Parlare di una famiglia mista, di un bambino nero adottato negli anni Novanta, è un argomento “nuovo” dal punto di vista del racconto, ben legato alla nostra società. Negli Stati Uniti le generazioni afroamericane sono molto più presenti da anni, il processo di integrazione è a un livello più avanzato rispetto al nostro Paese che lo sta affrontando ora. Credo che questa storia abbia centrato la specificità della nostra società.

Un esempio?

Uno dei punti più rischiosi dell’adattamento, secondo me, è stato aver scelto per Daniele (interpretato da Livio Kone) una famiglia mista, mentre nell’originale è afroamericana. In Italia è un’eccezione trovare una famiglia nera perfettamente integrata, con posizioni sociali alto borghesi, mentre è molto più facile trovare una famiglia mista. Di specifico, poi, ci siamo “noi”, regista, attori, gruppo, siamo italiani, la nostra memoria lo è. Tutti gli anni raccontati nei flashback hanno un’estetica italiana nella quale il pubblico può riconoscersi. È come vedere una vecchia foto di famiglia.

In questo andirivieni temporale, com’è stato “guardarsi” nel passato e nel futuro?

Nella serie ci sono alcuni attori che interpretano se stessi in un ampio arco temporale, penso per esempio a Rebecca interpretata da Aurora Ruffino, che segue il suo personaggio fino ai 70 anni. Nel mio caso, il percorso di vita è affidato a tre interpreti differenti, una scelta davvero ben fatta da parte del casting director che ha scovato somiglianze eccezionali tra gli attori. Ho conosciuto il mio piccolo me e mi sono emozionato (ride). 

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C’era una volta il crimine

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Al Cinema

Il terzo capitolo della saga firmata da Massimiliano Bruno. Con Marco Giallini, Gian Marco Tognazzi, Giampaolo Morelli, Carolina Crescentini e con Giulia Bevilacqua, Ilenia Pastorelli, Edoardo Leo e lo stesso Bruno. Nelle sale dal 10 marzo

Dopo “Non ci resta che il crimine” e “Ritorno al crimine”, Massimiliano Bruno ci porta ancora una volta indietro nel tempo per assistere a una nuova e rocambolesca impresa dell’improbabile banda di criminali che sbarca nel 1943 per rubare la Gioconda ai francesi: ad aiutarli nella difficile impresa Claudio Ranieri (Giampaolo Morelli), professore di storia pignolo e iracondo che insieme allo spaccone Moreno (Marco Giallini) e al timoroso Giuseppe (Gian Marco Tognazzi) affronterà mille pericoli. Mentre fuggono col quadro i tre sono costretti a rifugiarsi a casa di Adele (Carolina Crescentini), la giovane nonna di Moreno, dove l’uomo incontra anche sua madre Monica da bambina. Quando la piccola finisce nelle mani dei nazisti la banda è obbligata a un cambio di programma: se vogliono tornare nel presente dovranno prima salvarla, attraversando in lungo e largo un’Italia devastata negli ultimi, caotici giorni della seconda guerra mondiale. Un viaggio che li porterà a incontrare alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia del Paese e ritrovare molti amici delle avventure precedenti.

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DOC, una grande famiglia

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Sara Lazzaro

È Agnese nella serie con Luca Argentero e Daniela in “Volevo fare la rockstar” (prossimamente su Rai 2), personaggi popolari e amati dal pubblico della Rai. L’attrice italoamericana si racconta al RadiocorriereTv: «Sono determinata, idealista, ironica. A tratti anche un po’ malinconia, nostalgica». E confida, «dopo 14 ore di set ritrovo me stessa stando in silenzio sul divano»

© Erika Kuenka

Come ha vissuto questo nuovo capitolo della storia, il nuovo tempo della sua Agnese Tiberi?

La sensazione è quella di avere ereditato un’aspettativa dalla prima stagione, una grande attesa.  Abbiamo avuto l’occasione di andare un po’ più a fondo con i nostri personaggi, ed essendoci assunti la responsabilità di raccontare il contemporaneo, anche di attraversare il covid. Agnese si è trasformata, è il risultato di diverse cose che le sono capitate. Lei è una donna molto più vulnerabile, fragile, che sta facendo i conti con un’emotività con cui non si era mai confrontata. Questo è accaduto anche da un punto di vista lavorativo, perché il fatto di tornare in corsia l’ha posta in una posizione di vulnerabilità diversa.

Il rapporto diretto con i pazienti è per Agnese una sfida quotidiana…

Ogni storia che incontra è un’occasione per riflettere su se stessa. Molti pazienti la mettono in difficoltà, la portano a confrontarsi anche con il suo percorso. Lei ha affermato di non riuscire a empatizzare con la sofferenza di qualcun altro, cosa difficile anche da ammettere.

Cosa le ha insegnato in questi anni il suo personaggio?

Pur essendo una donna molto diversa da me, la difendo a spada tratta. Agnese mi ha trasmesso forti principi di resilienza, di determinazione, di senso del dovere. Le sue posizioni sono spesso contraddittorie, ma proprio grazie a lei ho accolto la contraddittorietà, che in verità c’è in tutti noi, è un aspetto che caratterizza l’essere umano, perché siamo tutti in costante trasformazione, in evoluzione.

Cosa significa costruirsi addosso un personaggio, da dove si parte?

Nel caso di Agnese è stato fondamentale il training all’ospedale Gemelli di Roma nel reparto di Medicina interna, così come trascorrere delle settimane in corsia e “annusare l’aria” dell’ospedale, capire le dinamiche. Personalmente, dovendo interpretare una direttrice sanitaria, ho cercato anche di interagire con le persone degli uffici, a partire dalle donne. Dopo il training c’è stata l’analisi delle sceneggiature, che mi ha fatto capire che parole avrebbe detto, che conflitti avrebbe avuto, i diversi movimenti dei personaggi.

Di Agnese Tiberi non ne ha portato in scena una sola…

Dovevo partire dalla mia Agnese della prima stagione per poi lavorare sulla sua trasformazione: è stato un lavoro molto interessante, fatto di dettagli, di sfumature, cercato insieme ai registi sul set. In ogni momento c’è la coesistenza di due elementi, insieme alla durezza c’è sempre l’eco di una fragilità passata. Il suo è un darsi che non ha mai un unico colore. Per esempio, in una scena di litigio, di difficoltà, ho cercato di non tirar fuori solo la rabbia o il dolore, ma anche l’opposto, talvolta solo attraverso uno sguardo.

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Passaggio a Nord Ovest

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Un viaggio lungo 25 anni… e oltre

Un appuntamento che nel corso degli anni è entrato nelle abitudini e nel cuore dei telespettatori. Primo programma su Rai1 condotto da Alberto Angela ha toccato quota 1095 puntate. Il conduttore: «Portiamo il mondo nelle case dei telespettatori». Il regista Giampaolo Tessarolo: «La nuova scenografia sposa un modello sostenibile di creatività»

 © Barbara Ledda

Venticinque anni di successo per “Passaggio a Nord Ovest”, la cui prima puntata andò in onda su Rai1 il 16 gennaio 1997. Alberto Angela, ideatore e conduttore, ricorda così la nascita del programma: “Inizialmente si chiamava ‘Nautilus’, così era stato presentato ai giornalisti, ma all’ultimo cambiammo il nome. In realtà si trattò di un esperimento, ci si accorse infatti che c’era una grande quantità di documentari che si poteva mandare in onda, e che forse unirli in modo coerente sarebbe stata un’idea particolare. Li vidi e mi accorsi che c’era un filo conduttore che si poteva seguire. Era un’epoca in cui c’erano tanti documentari sulla natura e sugli animali, scelsi di seguire un solo animale, l’uomo, declinandolo al presente, su come la gente vive in diverse parti del mondo, al passato con l’archeologia, e ancora popolazioni, esplorazioni, insomma, la dimensione umana. Nessuno, a quell’epoca, avrebbe mai scommesso su una simile longevità. Dell’equipaggio d’allora ci sono ancora tante persone, come il regista Giampaolo Tessarolo, che permette di dare un senso, una logica, un ritmo al programma, un ritmo che supera i vent’anni, periodo in cui la televisione è cambiata molto”. Un traguardo importante, frutto del lavoro di un gruppo coeso. “Un gruppo che rimane così a lungo assieme, un programma che supera questo traguardo, è una cosa rarissima – prosegue Angela – è stato il mio primo programma fatto in Rai, il primo passo che ha portato a tutto ciò che è venuto dopo, da ‘Ulisse’ a ‘Stanotte a’, a ‘Meraviglie’. Lì si muovevano i primi passi, lì abbiamo capito come si vola in questo cielo. “Passaggio a Nord Ovest” continua a portare il mondo a casa degli spettatori. Cerchiamo di portare il respiro dell’umanità e il cuore della gente, ovunque si trovi su questo pianeta”.

In regia, sin dalla prima puntata, Giampaolo Tessarolo. Lo abbiamo intervistato.

Venticinque anni di Passaggio a Nord Ovest come vivete questo traguardo? 

Bene, direi gioiosamente! Mai stati turbamenti o invidie. Sempre tanto entusiasmo e pronti a collaborare. Per quanto mi riguarda sono pronto a farne altri 25 anni… vista la mia età!

Quali sono gli elementi che hanno reso vincente e così longevo il programma? 

Vincente perché trasmettiamo dai 4 ai 5 documentari nell’arco di 35-40 minuti di programma, con varietà di argomenti interessanti e luoghi di tutto il mondo. I documentari attentamente selezionati, anche se ridotti, sono qualitativamente notevoli sia per le riprese sia per i contenuti.

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E’ sempre una sfida bellissima

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Aurora Ruffino

La protagonista femminile di “Noi”, la serie con Lino Guanciale in onda la domenica su Rai1, al RadiocorriereTv: «In Rebecca c’è l’amore di una donna per la famiglia e per un uomo, Pietro. Una storia che  potrebbe essere attuale ovunque e in ogni epoca, perché in ciascun personaggio possiamo immedesimarci, riconoscerci»

© Jessica Guidi

Aurora, che avventura è stata “Noi”?

Sono una fan di “This is us” da prima di prendere parte a questo progetto, è la mia serie preferita e, quando è arrivata la proposta per il ruolo di Rebecca, non potevo crederci. Ho dato il meglio di me, quando ho ricevuto la notizia di essere stata scelta ho provato una gioia incredibile, ma subito dopo sono stata investita dal panico (ride). La prima cosa che ho pensato è stata: “E adesso come faccio?”.

E dopo il panico?

Dopo un primo periodo di buio durante il quale ha prevalso la paura del confronto, mi sono imposta di non pensare più alla serie americana, mi sono buttata nel lavoro, dedicandomi solo al personaggio e al progetto. Cambiato atteggiamento, tutto è andato liscio. Speriamo che il pubblico possa apprezzare i nostri sforzi.   

“This is us” in America, e nel mondo, un cult. Una sfida importante questo remake…

La vera sfida per noi è appassionare il pubblico, facendo dimenticare l’originale per immergerlo in questa storia tutta italiana. Tutti conosciamo la vicenda di Romeo e Giulietta, la storia è sempre la stessa, ma a teatro, al cinema, in tv, ciascuno ne rappresenta una versione differente. Ogni volta è una nuova esperienza. L’obiettivo è creare un legame tra lo spettatore e i nostri personaggi, coinvolgendo tutti nelle loro emozioni.

Rebecca, una bella anima da esplorare. Com’è stato l’incontro con lei?

Ho avuto la fortuna di affrontare questo personaggio in maniera totale, esplorando questa vita profondamente, in tutte le fasi della sua età. È una bellissima opportunità per un attore che, in questo modo, può far risaltare le sfumature del ruolo, il percorso emotivo e la trasformazione. Ho fatto questo lavoro pensando sempre a un personaggio diverso, cercando di mettere in evidenza le diverse urgenze. Di solito il lavoro di analisi sul personaggio si fa una volta, in questo caso è stato ripetuto più volte. È stato il ruolo più bello e più difficile che mi sia capitato finora. Sapevo che tutto quello che stavo vivendo io, le mie emozioni, erano anche le sue. Mi sono sempre sentita al sicuro.  

Con Lino Guanciale, suo partner in “Noi”, quale rapporto si è creato?

Lino è fantastico, auguro a tutte le attrici italiane di avere l’opportunità di lavorare almeno una volta con lui, straordinario professionista. Quello che però mi ha colpito è la sua generosità, una bellissima qualità umana e professionale, il suo aiutare un collega a lavorare nelle migliori condizioni e farlo splendere ancora di più.

Tra le sfumature di Rebecca, qual è quella che ha fatto sua?

C’è una fase della vita di Rebecca che ha risuonato molto nella mia, quella in cui lei è incinta e poi madre di tre bambini. Sono in una fase della vita in cui il pensiero di una maternità è molto forte, anche se durante le riprese ho avuto un rifiuto importante su questo argomento. Pensavo a quello che questa donna aveva vissuto, così forte e doloroso, che l‘idea di diventare madre non solo mi terrorizzava, ma provavo repellenza. Poi qualcosa è cambiato e l’amore ha prevalso sulla paura del dolore. Ho camminato anch’io con il mio personaggio.

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Noi

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La forza della famiglia

Tratto dall’americana “This is us”, serie creata da Dan Fogelman, l’adattamento diretto da Luca Ribuoli ci porta nella Torino degli anni Ottanta a casa Peirò. Pietro, Rebecca e i loro tre figli cercano la loro strada verso la felicità. Con Lino Guanciale e Aurora Ruffino. Da domenica 6 marzo in prima serata su Rai 1

© Jessica Guidi

Ognuno ha una famiglia. E ogni famiglia ha una storia. “Noi” è la storia della dei Peirò attraverso i decenni: da Pietro (Lino Guanciale) e Rebecca (Aurora Ruffino), giovane coppia che negli Ottanta affronta la sfida di crescere tre figli, fino ai nostri giorni in cui Claudio (Dario Aita), Caterina (Claudia Marsicano) e Daniele (Livio Kone) cercano la propria strada verso la felicità. Domenica 6 marzo debutta in prima serata su Rai 1 la serie tratta dall’americana “This is us”, il cui adattamento è firmato da Sandro Petraglia, Flaminia Gressi e Michela Straniero. Tutto ha inizio nel 1984, a Torino. È il compleanno di Pietro. Rebecca, che aspetta tre gemelli, comincia ad avere le doglie. È un parto difficile, uno dei gemelli non ce la fa e Pietro, che ha promesso a se stesso e a sua moglie che da quell’ospedale usciranno con tre bambini, prende la decisione che cambierà il corso delle loro vite: adottare Daniele, un neonato nero, che qualcuno ha abbandonato fuori da una caserma dei pompieri. E così, nel passato, seguiamo Pietro e Rebecca neo-genitori nel difficile compito di crescere tre neonati, poi tre bambini e infine tre adolescenti. Di episodio in episodio, li scopriremo sempre più in bilico e divisi tra l’amore per la famiglia e il bisogno di non sacrificare i propri sogni e le proprie ambizioni.  Nel presente Claudio, Caterina e Daniele cercano la propria strada: Daniele, marito e padre felice e uomo di successo, decide di cercare il proprio padre biologico; Claudio lascia una carriera ormai consolidata come attore televisivo per scoprire il proprio talento teatrale, mentre Caterina, stanca di lottare contro i suoi problemi di peso, ascolta il consiglio del fratello e decide di affrontarli per ritrovare fiducia in se stessa. Ciascuno di loro si troverà di fronte ai dolori e ai segreti che non ha voluto o potuto affrontare fino a quel momento, scoprendosi vulnerabile e insieme più forte di quello che credeva.

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Vi presento Oscio di Centocelle

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NERI MARCORE’

L’attore veste i panni di Enzo Baroni, l’antennista che all’improvviso diventa Santone e scopre un nuovo sé. Una storia ironica e divertente, ispirata all’Osho di Palmaroli. Dieci puntate dirette da Laura Muscardin su  RaiPlay

Neri, ci presenta Enzo Baroni, l’antennista che rinasce “santone”?

È un uomo anche al di sotto dell’ordinario, già sconfitto dalla vita sebbene sia di mezza età. Non ha più nessuna aspettativa o pretesa, il rapporto con la figlia è praticamente inesistente, lei non lo stima, lo considera un po’ una nullità, la moglie lo sopporta, ma oltre non va. Dopo l’ennesima umiliazione perde un po’ la bussola e, in questa sorta di delirio, si risveglia in un non luogo, un posto che non conosce, nel quale ritrova in qualche modo se stesso, assumendo così un’aria più inconsapevole rispetto a tutto quello che lo circonda. Da sconfitto, cambia atteggiamento, guardando le cose come se non gli appartenessero, come accade nell’incontro con l’energumeno della prima puntata.

Cambia la sua visione del mondo e il quartiere romano in cui vive, Centocelle, sembra percepirlo in modo nuovo…

È una ricetta vincente per guardare la realtà e farsi guardare da chi prima lo considerava un essere invisibile e comunque inutile. Da questa inversione di prospettiva nasce un personaggio che neanche lui voleva imporre o immaginava. Non è una costruzione fatta a tavolino, è una condizione nella quale si ritrova suo malgrado, frutto sempre di questa inconsapevolezza. Lui ne apprezza i risultati, vede crescere la considerazione di chi ha intorno e non fa nulla per tornare a essere quello che era prima.

Qual è l’universo che ruota intorno al suo personaggio?

Oscio è immerso nella realtà nella quale è sempre vissuto, però a volte basta cambiare occhiali per vedere la realtà in modo completamente opposto. Il suo cambiamento lo porta ad avere un atteggiamento completamente diverso rispetto alle cose che prima lo preoccupavano, lo affliggevano.

Da fenomeno social a serie televisiva, che percorso ha fatto Oscio?

Sono due cose diverse. Quello di Palmaroli è stato un grande successo che prendeva in considerazione il vero Osho, e che ha ispirato l’ideatore di questa serie. Alcune delle vignette più famose, che hanno riscosso più successo, danno il titolo ai nostri episodi…  È questo il ponte che unisce Palmaroli, le più belle frasi di Osho, ed Enzo Baroni, chiamato l’Oscio di Centocelle.

Da antennista a santone… tutti potrebbero avere questa possibilità?

Non sono definizioni che vanno prese per quello che sono. Antennista è vero, ma Baroni è tutt’altro che un santone (sorride). Interpretando un po’ più in senso lato questa domanda, posso dire che chiunque, qualunque lavoro svolga, se è infelice nella propria esistenza, può modificarla cambiando atteggiamento nel modo in cui si pone, in cui osserva, in cui si relazione alla realtà e agli altri. Questo sicuramente vale. Poi, per diventare una guida spirituale o un capo carismatico, ci vuole qualcosa di più. Nella fiction si riesce più facilmente che nella vita, ma non è neanche necessario diventare guida o tantomeno fenomeno social (sorride). Tra l’altro, quando parli di fenomeno social, non dici se sia negativo o positivo.

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Per amore di Matteo

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Stefano Accorsi

Suo figlio ha sbagliato e lui lo spinge ad assumersi le proprie responsabilità, fino a quando si rende conto che, così facendo, la vita del giovane è a rischio. Il dilemma è soltanto uno: che fare? Il protagonista di “Vostro onore” al RadiocorriereTv. «Credo che l’istinto primordiale di un genitore sia quello di salvare la vita del proprio figlio». Dal 28 febbraio in prima serata su Rai1

@ Francesca Cassaro

Come vive il ritorno alla fiction della Rai?

Mancavo da tanto e sono molto felice di essere tornato con una storia come questa. “Vostro Onore” è l’adattamento di una serie israeliana venduta in tutto il mondo, adattata al contesto italiano e ambientata a Milano. Il mio personaggio è in lizza per diventare presidente del Tribunale, ma nella storia si indaga il rapporto padre-figlio, perché nella nostra cultura i rapporti in una famiglia sono cuore pulsante.

Che approccio ha avuto con la serie originale?

Non avevo visto la serie israeliana e quando abbiamo cominciato a girare non era stata ancora distribuita quella americana. Per me l’unico elemento sono state le sceneggiature. Ho trovato il soggetto molto coinvolgente proprio perché porta il lettore, in prima battuta, poi il pubblico, a chiedersi: cosa farei in una situazione del genere? Posso giustificare la scelta del protagonista? E la domanda più complessa, che cosa si è disposti a fare per salvare la vita di un figlio?

Si sarà sicuramente posto questa domanda…

Ci ho pensato, e non è chiedersi che cosa si è disposti a fare per raccomandare un figlio, ma per salvargli la vita, e per questo non ci sono due risposte. Credo che l’istinto di un genitore sia quello di salvare la vita del proprio figlio. Il rapporto padre-figlio è un archetipo, basta pensare alla tragedia greca. Più di duemila anni di cultura, di legge, di etica, quando entrano in conflitto con una cosa così primordiale, come salvare la vita al proprio figlio, creano un bel corto circuito.

Vittorio non ha altra scelta?

È un padre che ha costruito una vita in assenza, perché pensava solo al lavoro, un lavoro che ha a che fare con la legge, con la giustizia, con la morale, con un ruolo pubblico. Questo è il cuore della narrazione, è ciò che non rende mai diabolico il personaggio, magari machiavellico. Credo ci siano cose di fronte alle quali non si riesca a riflettere più di tanto, ma semplicemente si agisce. Sono i grandi momenti di verità della nostra vita. Viene da dire, forse istintivamente farei lo stesso, non è detto, ma non si sa. Credo che la cosa bella di questa seria sia il non cercare una risposta.

Nessun giudizio, nessuna etichetta…

Mi dà fastidio se i personaggi vengono santificati quando non sarebbero da santificare, o eroicizzati quando non sarebbero da eroicizzare. In questo caso credo che non abbiamo tradito questo principio. È un magistrato che crede nella legge e che per salvare la vita di suo figlio rinnega tutto, comincia a mentire. Non abbiamo mai detto che sia un santo.

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Dalla, tra immaginario e realtà

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Per Lucio

Su Rai3 il film di Pietro Marcello dedicato al cantautore bolognese. Giovedì 3 marzo in prima serata

Presentato lo scorso anno in anteprima mondiale al Festival Internazionale del cinema di Berlino, “Per Lucio” di Pietro Marcello arriva sul piccolo schermo giovedì 3 marzo in prima serata su Rai3. Il film documentario prodotto da IBC Movie con Rai Cinema in collaborazione con Avventurosa con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, è un viaggio visivo e sonoro nell’immaginario poetico e irriverente del cantautore bolognese Lucio Dalla, una narrazione inedita del suo mondo condotta attraverso le parole del fidato manager Tobia e dell’amico d’infanzia Stefano Bonaga. Il film unisce biografia e storia, realtà e immaginario, dando vita a un ritratto che attinge dall’infinito bacino dei repertori pubblici e privati, storici e amatoriali, grazie ai materiali d’archivio di Istituto Luce Cinecittà, Fondazione Cineteca di Bologna, Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia, Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico e Fondazione CSC – Archivio Nazionale Cinema d’Impresa (Ivrea). Tutti elementi che riportano alla luce l’avventura di Dalla e le sue molte vite: il faticoso esordio, l’entusiasmo per la prima ascesa al successo, la fortunata collaborazione con il poeta Roberto Roversi, fino e alla consacrazione come autore colto e popolare. Liriche e musiche dipingono così un’Italia sotterranea e sfumata, immergendo lo spettatore in una libera narrazione del Paese che attraversa tanto il boom economico che i tragici eventi del periodo legato alla fine degli anni’ 70. Pietro Marcello ripercorre attraverso le vicende dell’artista anche l’Italia degli ultimi e degli emarginati, l’Italia di Lucio Dalla, una figura polimorfa che sfugge a ogni flash, a ogni definizione: istrione, clown, jazzista, viandante, eroe, poeta, cantore, profeta, trasformista, provocatore.

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Notre Dame de Paris: venti anni di successi

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Teatro

Il cast originale dell’opera moderna più famosa al mondo si riunisce per la prima volta in assoluto dal 2002. Riccardo Cocciante dichiara soddisfatto: «la forza, la maestosità e la grandezza di quest’opera popolare sono quelle del primo giorno». Il nuovo tour che toccherà tutta l’Italia, debutta il 3 marzo agli Arcimboldi di Milano

Venti anni di successi in Italia e “Notre Dame de Paris” si riunisce per la prima volta con il cast originale, quello del 2002 con Lola Ponce e Giò Di Tonno. Per il ventesimo anniversario, tutte le canzoni dello show sono disponibili sulle piattaforme con la studio versione e il live originale del 2002 dall’Arena di Verona. Il Tour riparte in sicurezza in tutta Italia con un grande debutto al Teatro degli Arcimboldi, a Milano, il prossimo 3 Marzo 2022 e proseguirà in lungo e in largo per tutta Italia fino a fine anno, facendo tappa ad Ancona, Jesolo, Firenze, Roma, Reggio Calabria, Lugano, Lanciano, Ferrara, San Pancrazio Salentino, Pula, Palermo, Torre del Lago, Napoli, Bari, Catania, Eboli, Casalecchio di Reno, Torino, con la conclusione nel dicembre 2022 a Trieste. “Notre Dame de Paris”, l’opera popolare moderna più famosa al mondo e spettacolo tra i più imponenti mai realizzati, celebra quest’anno il ventennale dall’esordio sulle scene italiane, avvenuto per la prima volta in italiano il 14 marzo del 2002 al GranTeatro di Roma, costruito appositamente per l’occasione per volontà di David Zard. In occasione di un anniversario così importante, solo ed esclusivamente per il 2022, lo show avrà come protagonista l’intero cast originale del debutto, con il grande ritorno di Lola Ponce nei panni di Esmeralda.

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