Matteo Oscar Giuggioli

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Recito per sentirmi libero

Gli inizi a teatro, il cinema e poi tanta Tv per costruire esperienza. Il RadiocorriereTv incontra il giovane attore milanese, protagonista con Accorsi di “Vostro Onore” su Rai1: «È stata una grande prova. Stefano è stato molto generoso con me, mi ha levigato mantenendo integro il mio modo di lavorare e di essere»

© Francesca Cassaro

Così giovane e così tanta esperienza. Com’è andata in “Vostro Onore”?

È stata una grande prova, forse il personaggio che ho scavato più a fondo. Impegnativo perché andava a toccare delle corde molto basse che mi hanno portato a lavorare su livelli emotivi molto delicati.

Cosa è rimasto in lei di Matteo Pagani?

Non è un personaggio che alza mai la voce, non è fuoco, piuttosto acqua, mite, ferma in superficie, ma che nel profondo è attraversata da grandi scossoni, non sempre facili da controllare.

Ha mai pensato “se questa esperienza umana fosse capitata a me”?

Quando si parla di vita e di morte non ci sono più scelte giuste, ma solo quelle per la sopravvivenza. Davanti al commissariato padre e figlio ci arrivano con l’intento di fare la scelta “giusta”, costituirsi, ma quando Vittorio comprende che la vita di suo figlio è in pericolo, fa un passo indietro. In gioco c’è qualcosa di più grande per cui sei disposto a fare qualsiasi cosa.

Il suo personaggio è chiamato a prove dure nella vita, come si pone lei davanti agli ostacoli della vita?

Vanno affrontati, ci devi un po’ parlare. Se hai paura di viaggiare, devi prendere un aereo, se hai paura di uscire devi prendere le scale e andare. Una volta un amico mi ha detto che si cresce quando in vacanza, in un Paese straniero, ti si rompe una ciabatta e non potendola ricomprare riesci comunque ad aggiustarla con un filo interdentale. Solo affrontando un problema puoi provare a superarlo.

Una produzione visivamente molto bella, un cast di altissimo livello. Qual è stato lo scambio professionale con Stefano Accorsi? 

Stefano è stato molto generoso con me, mi ha levigato mantenendo integro il mio modo di lavorare e di essere. Quando sei un attore così grande e affermato, aiutare un collega giovane a essere credibile è certamente un punto di arrivo importante. Non vedo l’ora di arrivare anch’io a questo livello, di avere un’esperienza tale da permettermi di dare dei consigli a qualcuno. Non è scontato fare quello che ha fatto Stefano, avrebbe potuto pensare “non devo insegnare niente a nessuno, mica siamo a scuola”. Lui invece è un uomo molto dolce.

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Generazione Z

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Storie dei nostri ragazzi

Da sabato 26 marzo per sei puntate alle 14.50 su Rai 2. Conduce Monica Setta

© Assunta Servello

Un nuovo programma dedicato ai giovanissimi sta per andare in onda su Rai2 (dal 26 marzo alle 14.50), è “Generazione Z” condotto da Monica Setta. Uno spazio che racconta la generazione stretta tra pandemia e guerra in Ucraina, tra didattica a distanza, nuovi rapporti con le famiglie, la scuola e gli amici. Sei puntate per approfondire il grado di conoscenza che esiste fra genitori e figli dei rispettivi mondi, con l’obiettivo di cogliere che cosa le ragazze e i ragazzi sanno oggi della politica, delle guerre o dell’economia. Verranno inoltre interpellate le istituzioni per capire che cosa sono pronte a fare concretamente per i cittadini del futuro. Per Monica Setta è un periodo intenso perché, oltre a “Uno mattina in famiglia” su Rai1 e “Generazione Z” su Rai2, è in onda quotidianamente su IsoRadio, mentre è in uscita il 31 marzo il suo ultimo libro “Italia, domani” economia, famiglie e conflitti (Rai Libri). “C’è un filo conduttore tra la TV e il libro” dice Monica Setta “racconto nel libro la grande occasione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e come sarà il futuro dei nostri figli tra ambiente, economia, famiglie allargate e lavoro”.

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Volevo fare la Rockstar 2

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Tutte le emozioni di Olli

Divertente, ironica, romantica. Su Rai 2 la seconda stagione della family comedy diretta da Matteo Oleotto. Con Giuseppe Battiston, Valentina Bellè, Angela Finocchiaro, Emanuela Grimalda. Dal 23 marzo in prima serata

“Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che Francesco mi ha dato un bacio. Non che mi sia annoiata nel frattempo eh! C’è stato il casino di Vittorio, che prima mi ha rubato una canzone e poi ha pensato bene di rubare anche al fisco inglese, finendo in galera e coi beni sequestrati giusto un nanosecondo prima che potessi chiedergli un risarcimento. C’è stata la luuuunga trasformazione di Nice da arpia divora-proletari a dolcissima nonnina… e io faccio tanto la mona a prenderla in giro, ma … meno male che c’è lei, visto che senza i suoi “aiutini” non avrei saputo come mantenere i due alieni consumisti taglia extralarge che hanno preso il posto delle mie bambine”. È Olivia, interpretata da Valentina Bellè, a riportarci nel mondo di “Volevo fare la rockstar 2”, serie al via dal 23 marzo in prima serata su Rai 2. Dietro la macchina da presa, Matteo Oleotto. “Raccontare questa storia è stata una scommessa – afferma il regista – perché partivamo da un racconto di vita vera, un blog scritto da una mamma single con tre figlie ed era quindi fondamentale riuscire a non contaminare troppo la realtà con la finzione; perché avevamo scelto di raccontare personaggi umani, sfigati e nevrotici, per suscitare più l’empatia del pubblico che non l’astrazione in una dimensione edulcorata della vita; infine, perché abbiamo scelto di impiantare il racconto nella provincia del nord-est, una porzione di Italia che nasconde storie ed atmosfere incredibili ancora da scoprire.

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Cambiare pelle, un grande privilegio

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Lunetta Savino

È uno dei volti più popolari del grande e del piccolo schermo. Per l’attrice barese una nuova sfida (vinta): vestire i panni della cinica avvocata Marina Battaglia nella serie del martedì sera su Rai1. «Mi ha conquistato per il suo atteggiamento verso la professione, nei confronti della vita, delle figlie, per il suo modo di porsi» afferma. E aggiunge: «Quando un racconto è ben scritto, ben diretto, riesce a comunicare la complessità degli esseri umani, che non sono mai solo bianchi o solo neri»

© Matteo Graia

Come è stato il suo incontro con Marina Battaglia e con il copione della serie?

Sicuramente un incontro felice, come lo sono quelli con i personaggi non ancora incontrati sulla strada, per lo meno non così ben delineati e ben scritti. Marina Battaglia mi ha subito conquistato per il suo atteggiamento verso la professione, nei confronti della vita, delle figlie, per il suo modo di porsi. Noi, da attori, non giudichiamo i personaggi che interpretiamo, ma quello di Marina è finalmente un po’ scorretto, un po’ cinico, un po’ diverso da quelli che ho fatto sino a ora. Lei è una donna borghese, appartenente a un ambiente nordico. Tutto si svolge a Milano e per questo ho provato a utilizzare una leggerissima cadenza milanese.

Dal copione al set…

Un copione può essere scritto bene, poi ci vuole un bravo regista che riesca a metterlo in opera. Anche quello con Simone Spada è stato un primo incontro, ed è stato felice. Lui ha portato energia e positività sul set, mettendo insieme un gruppo di attrici così diverse l’una dall’altra e che non avevano mai lavorato insieme. Si è creata un po’ alla volta la famiglia Battaglia.

Quanto è divertente, per un’attrice, calarsi nei panni di una donna così determinata e “battagliera” come Marina Battaglia?

Lo è molto. Marina fa parte di quella tipologia di personaggi che appartiene all’immaginario collettivo de “Il diavolo veste Prada”, interpretati da attrici come Glenn Close che hanno avuto occasione di mettere in scena donne forti, ciniche, scorrette.

Una madre tutta d’un pezzo e il rapporto non facile con le tre figlie…

Anna (Barbora Bobulova), Nina (Miriam Dalmazio) e Viola (Marina Occhionero) sono diverse l’una dall’altra e hanno un rapporto non semplicissimo con la madre, anche perché Marina non è di certo una che fa passare le cose in silenzio, si capisce che ha formato e cresciuto le proprie figlie con affetto e con l’atteggiamento di chi non accetta la resa, la fragilità. È una madre che svicola dai sentimentalismi, vuole forgiare le figlie secondo il suo modello di donna, che corrisponde a quello che è lei. Anna, da un certo punto di vista, è la più forte, tanto è vero che va via dallo studio della madre per andare a lavorare in quello rivale.

Le sarebbe piaciuto avere un po’ del cinismo di Marina da usare al momento giusto nella vita?

(sorride) Mi diverte farla, ma non so se mi sarebbe piaciuto. È vero che ci sono momenti in cui avresti bisogno di essere un po’ più fredda rispetto agli incidenti di percorso. Non lo sono molto nella vita, mi faccio forse ancora un po’ ferire. Anche se poi, man mano che vai avanti, impari a farti scivolare addosso un po’ le cose. Non dico di essere come lei, ma forse un pochino ho imparato a essere più simile a Marina.

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Amica delle donne

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Miriam Dalmazio

Bocca cucita sul nuovo progetto Rai che la vede impegnata in questi giorni, il RadiocorriereTv incontra la talentuosa attrice siciliana che presta anima e corpo all’avvocato Nina Battaglia: «È facile giudicarla severamente, dire che sia la classica borghesotta milanese, antipatica e snob. Sono andata a cercarla proprio nei suoi pochi momenti privati, andando a scovare la sua fragilità»

© Matteo Graia

Una siciliana a Milano, com’è andata?

Un viaggio emozionante che ci ha impegnato molto nel riadattamento di una serie inglese, quasi introvabile in Italia. Uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare è stato proprio il non dover fare la siciliana, è un ruolo completamente nuovo per me, quello della milanese in carriera, divisa tra tailleur e aperitivi. È stato tosto, soprattutto dal punto di vista della dizione, anche perché sono una siciliana che vive da anni a Roma e ho dovuto compiere un doppio sforzo di correzione. Per me Milano è come New York, e dopo la serie ancora di più. Abbiamo girato tra i grattacieli della città, tra prospettive, linee così dritte e molto grigio a me sconosciuto.

Che esperienza è stata sul set di “Studio Battaglia”?

Un’esperienza molto serena, quando ti ricapita di lavorare con tutte queste donne? Ci siamo fatte simpatia subito, è stato molto facile entrare in sintonia. Devo ringraziare poi il regista, Simone Spada, professionista pazzesco, una persona davvero simpatica e aggregante. La novità è il racconto di una famiglia al femminile, ricrearla non è stato difficile grazie a tutte le condizioni favorevoli. Il pubblico, credo, non farà fatica a riconoscersi nei temi affrontati, trasversali e che riguardano tutti noi.

Qual è stato il punto di incontro tra la scrittura ricca di Lisa Nur Sultan e il ritmo visivo di Simone Spada?

La storia della famiglia, che appartiene alla cultura italiana. Su questo c’è stato accordo da parte di tutti, cast, sceneggiatori, regista. Abbiamo lavorato sul ritmo, ma soprattutto sull’ironia. È una serie che unisce molti generi, il family, il legal, il drammatico, quello che abbiamo voluto evitare è stato il mélo. L’aspetto ironico doveva essere il collante, il regista è stato molto bravo a orchestrarci e indirizzarci in questa direzione, tenendo un’ironia molto asciutta, stile british.

Qual è stato il suo incontro con Nina, dalla prima lettura alla messa in scena?

Nina ha bisogno di tempo per essere realmente compresa. Nella serie ci sono molti momenti in cui sta davanti alla gente, pochi invece quelli privati. Potrebbe essere facile giudicarla severamente, considerarla la classica borghesotta milanese, antipatica e snob. Anche io l’ho fatto, poi però le ho dato fiducia e sono andata a cercarla proprio nei suoi pochi momenti intimi, andando a scovare la fragilità. È questa forse la caratteristica che accomuna tutte le donne Battaglia, non rinunciare mai alla propria femminilità in un contesto prettamente maschile, quello dell’avvocatura. Sono donne che si fanno strada e costruiscono la loro identità e forza non dimenticando fuori dal lavoro quell’universo caldo, amorevole, fragile. All’inizio non riuscivo proprio a trovare il cuore di Nina, quando è successo l’ho accolta.

Dietro i personaggi “antipatici” a volte si nascondono belle sorprese…

È vero, infatti sono andata a scovare la sua bellezza proprio dietro le crepe interiori.

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La risposta giusta

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Novità

Veronica Maya conduce un nuovo programma che parla di ambiente, sociale e cultura. Da sabato 19 marzo alle 9.50 su Rai 2

Il racconto di un’Italia che non si ferma sarà al centro del nuovo programma di Rai 2, “La risposta Giusta”, condotto da Veronica Maya.  In onda da sabato 19 marzo alle 9.50, il programma racconterà l’Italia più attiva in progetti di solidarietà, cultura, salvaguardia dell’ambiente: iniziative concrete e meritevoli, storie ed esperienze di buone pratiche del nostro Paese, nel solco della sostenibilità, con testimonianze in studio, e il supporto di filmati originali ed esclusivi. Veronica Maya guiderà gli ospiti in un game ricco di domande e curiosità: un gioco avvincente in cui la “risposta giusta” sarà quella che i protagonisti delle storie e dei progetti hanno saputo mettere in campo con iniziative legate alla sostenibilità, e con storie di associazioni, fondazioni, aziende che con il proprio operato creano un impatto positivo per le comunità e per l’ambiente. “La Risposta Giusta” è lo spin off del programma “L’Italia che fa”, branded content andato in onda nel 2020 dedicato agli enti non profit e alle aziende impegnate sul fronte della responsabilità sociale di impresa, condotto dalla stessa Veronica Maya.

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Studio Battaglia

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Serie TV

Dal 15 marzo debutta su Rai1 l’adattamento di “The Split”, serialità di successo della BBC. Scritta da Lisa Nur Sultan è diretta da Simone Spada. Nel cast Barbora Bobulova, Lunetta Savino, Miriam Dalmazio, Giorgio Marchesi, Marina Occhionero, Michele Di Mauro, Carla Signoris, Thomas Trabacchi e Massimo Ghini

© Matteo Graia

Sono le migliori avvocate divorziste di Milano. Donne in carriera, madri, figlie, mogli, tutte decisamente calate nel loro e nel nostro presente. Il racconto, adattamento del britannico “The Split”, intreccia, con un linguaggio e un’estetica contemporanei, un lungo caso orizzontale (la separazione dei coniugi Parmegiani) a numerosi casi di puntata dai risvolti inediti riguardo gli aspetti più attuali del diritto di famiglia: unioni civili, accordi di riservatezza, tutela dell’immagine, famiglie omogenitoriali, congelamento degli embrioni, uso dei social media, diffamazione, eredità digitale, insomma tutto l’universo in costante espansione dei rapporti coi nuovi media. A dirigere la serie scritta da Lisa Nur Sultan, in onda da martedì 15 marzo in prima serata su Rai1, Simone Spada. “‘Studio Battaglia’” può essere definito un legal drama con linee di comedy familiare molto raffinate e personalmente è stata l’occasione per mettermi alla prova su un genere che non avevo mai affrontato da regista – afferma Spada – Ambientata in una ricca città del nord come Milano, in cui classico e moderno si mescolano in armonioso contrasto, con un cast eccellente, di cui vado fiero e che non smetterò mai di ringraziare, è una serie che parla d’amore perché parla di rapporti, di famiglia, di padri e madri, di figli, di mogli e mariti. Il mio obiettivo è stato da subito quello di trovare il giusto equilibrio tra la ricchezza della scrittura e il ritmo del racconto visivo, tra l’alternanza delle storie personali delle protagoniste e i casi di puntata, mescolando generi ma non linguaggio e accompagnando con maggior eleganza possibile e semplicità le tante vicende che caratterizzano questa storia che mi piace definire ‘popolare’, ma che allo stesso tempo porta con sé un’originalità e modernità che mi hanno entusiasmato da subito”.

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Massimiliano Bruno

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Meglio insieme che da soli

Il RadiocorriereTv incontra il regista di “C’era una volta il crimine”, da giovedì scorso sul grande schermo, e parla di satira, risata, del cinema che cambia e del ruolo della commedia: «L’obiettivo è divertire e al tempo stesso parlare di argomenti importanti». Nel film lo stesso Bruno, Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi, Giampaolo Morelli, Carolina Crescentini, Giulia Bevilacqua, Ilenia Pastorelli ed Edoardo Leo

Siamo al terzo atteso capitolo di una trilogia che sta appassiona il pubblico, in quale mondo ci porterà?

Vi porto all’8 settembre del 1943, durante la Seconda guerra mondiale, in un’Italia devastata, vi porto in mezzo ai partigiani, ai fascisti, ai nazisti, in un’Italia povera di una guerra ingiusta, ma allo stesso tempo vi porto nella commedia all’italiana, che ha la caratteristica di saper fare ironia e sarcasmo su qualsiasi argomento, anche il più atroce, e con il rispetto dovuto alla situazione. I miei interpreti hanno onorato la commedia all’italiana, Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi, Giampaolo Morelli, Carolina Crescentini, Giulia Bevilacqua, Ilenia Pastorelli, lo stesso Edoardo Leo, sono stati dei protagonisti straordinari di questo tipo di film.

Perché ha scelto di ambientare la storia nel corso della Seconda guerra mondiale?

Il periodo storico mi permetteva di fare molte similitudini con il mondo attuale, non a caso in questi giorni vediamo ciò che accade. La guerra è sempre qualcosa che sembra lontana ma non lo è, è uno spauracchio che sembra sempre non debba riguardarci ma invece, incredibilmente, da un giorno all’altro, ci riguarda. L’obiettivo è divertire e al tempo stesso parlare di argomenti importanti.

Due componenti della banda sono dietro le sbarre, ma c’è l’innesto del professor Claudio Ranieri (Giampaolo Morelli), cosa significa fare una commedia corale? Quali sono i punti di forza e quali potrebbero invece essere i limiti?

Più di una volta ho diretto dei film corali che hanno il vantaggio di sviluppare il tema dell’amicizia e diverse sottotrame. Nel film a protagonista unico, probabilmente, riesci ad andare più a fondo nelle problematiche del personaggio. Non scelgo mai per partito preso un film corale, ma guardo all’impatto della storia. La saga di “Non ci resta che il crimine” era una storia d’amicizia, il tema è “è meglio insieme che da soli”.

Nel suo cast ci sono tanti numeri uno. Come sceglie i suoi interpreti?

Spesso parti dalla storia, spesso gli interpreti dei miei film sono miei amici dal 1990. Ci frequentiamo, ci sentiamo, chiedo la loro disponibilità. Altre volte penso ad attori e ne trovo altri, perché quello che vuoi è occupato, altre volte ancora scopri degli attori su cui avevi dei dubbi e che invece esplodono, sono giustissimi. La scelta del cast avviene a volte preventivamente, altre strada facendo a sceneggiatura ultimata.

La satira e la risata, qual è il punto d’incontro?

Penso che non ci sia limite. Ce lo ha dimostrato Charlie Chaplin ne “Il grande dittatore”, con una evidente parodia di Hitler, ce lo ha dimostrato Roberto Benigni ne “La vita è bella”, ma anche un film rumeno molto bello come “Train de vie”, piuttosto che “La grande guerra” di Monicelli. Film che trattano questo argomento ironizzandoci sopra. L’ironia deve sempre essere rispettosa della sofferenza, può raccontarla ma non deriderla. Noi, in questo tipo di rispetto, ci troviamo molto a nostro agio.

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Carlotta Natoli

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Con leggerezza e ironia

Insieme a Neri Marcorè è protagonista della serie comedy in box set su RaiPlay. L’attrice racconta al RadiocorriereTv il suo personaggio, Teresa, moglie dell’antennista Enzo, “Il Santone”, del quartiere romano di Centocelle: “Un uomo che pratica l’accoglienza, una virtù femminile”

Qual è il mondo di Enzo e Teresa?

Nella loro back story sono entrambi due figurine ingenue, solo che Teresa è donna e ha un senso del reale, cosa che all’uomo sfugge. Lei si chiede come fare a pagare le bollette, come uscire da una situazione pericolosa. Però anche lei, per stare con uno così buffo, è ingenua. Dopo cinque mesi, ancora lo aspetta, certo, ha avuto paura che gli fosse successo qualcosa, ma è ancora innamorata di quest’uomo. Teresa non ha ambizioni, lei racconta la parte del sentimento, della concretezza, ma si stupisce. Tratta Enzo come un bambinone, a un certo punto gli dice “sei un carciofo”. Lo ha sempre amato proprio perché è dolce, semplice.

Come si è avvicinata al suo personaggio?

Su queste considerazioni, Teresa ha un certo tipo di romanità che conosco. Sono nata e cresciuta a Trastevere e avendo la mia età ricordo questi personaggi molto romani, veraci, e molto buoni. Mi interessava dare contemporaneamente veracità, una romanità istintiva, e ingenuità, non legata al sentimento, ma nella gestione del reale. È anche lei sotto scacco di una forma di povertà, perché loro non hanno una lira.

Anche Teresa vive una fase di trasformazione…

Si rende conto che forse il sogno è tutto, che se si può sfruttare questa situazione per fare sognare le persone, allora, perché no. A me è piaciuto interpretarla così. Teresa si diverte con questo uomo, lo accetta anche così strampalato. Il primo impulso a muoverla è quello dell’amore e dell’essere moglie. Sono personaggi di una Roma semplice, ma non per questo stupida.

Il suo personaggio dà ritmo alla narrazione…

Enzo è imbambolato in queste nuvole che gli sono intorno, per questo Teresa doveva avere un ritmo incalzante, anche una forma vagamente aggressiva nei modi, ma con ingenuità e cuore. 

Dietro la macchina da presa Laura Moscardin, cosa può dare di più e di diverso uno sguardo registico femminile?

L’entusiasmo. Laura è una donna che si entusiasma, ci mette quella gioia tipicamente femminile che non ha a che vedere con lo schematismo dell’uomo.  È una regista che ti suggerisce e che lascia grande apertura agli attori. Con lei ho improvvisato di sana pianta una scena: mi ha dato carta bianca, non dava lo stop. Sono nata e cresciuta con la pellicola e con il cinema di mio papà (l’attore e regista Piero Natoli) che mi diceva: “se non ti dico stop vai avanti”. Per un attore poterlo fare è un grande regalo. Questo è possibile solo con una donna alla regia, un uomo non te lo fa fare, perché deve controllare. La donna quando vede talento lo prende, non lo giudica e lo lascia andare. L’uomo ha paura di uscire dallo schema e che tu, con un tuo suggerimento, possa sovrastare.

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Ugo Tognazzi

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La voglia matta di vivere

Nel centenario della sua nascita, un docufilm, scritto e diretto dal figlio Ricky, ricorda l’incontenibile vitalità di un attore simbolo del cinema italiano e internazionale. Una prima serata di Rai Documentari giovedì 17 marzo su Rai 2

Per celebrare i cento anni dalla sua nascita, Rai Documentari dedica a Ugo Tognazzi una prima serata speciale con “La voglia matta di vivere” in onda il 17 marzo su Rai Due. Scritto e diretto dal figlio Ricky, e raccontato insieme ai suoi fratelli e agli amici più intimi, il documentario è un omaggio a un grande attore, ma soprattutto a un uomo, con le sue debolezze e la sua forza, attraverso le interviste, i racconti intimi e affettuosi, le immagini dei super8 di famiglia. Una coproduzione Rai Documentari e Ruvido Produzioni, Dean Film, Surf Film e Mact Productions in collaborazione con il Comune di Cremona e i Salumi Negroni, con il sostegno di Regione Lazio e Roma Lazio Film Commission, che racconta in un lungo flashback il profilo e la carriera di uno dei più grandi volti del cinema italiano: dal cimitero di Velletri – città in cui Ugo Tognazzi ha vissuto gran parte della sua vita e dove adesso riposa – alla sua città natale Cremona. Dalle stelle di Negroni, nella cui azienda ha lavorato, alle stelle del cinema: Ugo Tognazzi ha collezionato più di 150 film, dal cult “Amici miei”, a “La tragedia di un uomo ridicolo” di Bernardo Bertolucci – che gli è valsa la tanto agognata “Palma D’Oro” a cui era stato candidato per ben otto volte – senza dimenticare i grandi successi internazionali de “Il vizietto”, “Barbarella”, “Romanzo popolare”, “Il federale”, etc. A testimonianza della sua poliedricità e della sua capacità camaleontica di muoversi tra generi diversi, dal varietà ai film d’autore, al fianco di talenti del calibro di Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Vittorio Gassmann, Alberto Sordi e Raimondo Vianello, Monica Vitti, che, come lui, continuano a vivere nella memoria collettiva.

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