FABIO GENOVESI
Che poesia il Giro d’Italia
Dalla sua voce nasce l“altra” telecronaca dell’appuntamento ciclistico più amato. Lo scrittore al RadiocorriereTv: «Passo mesi alla ricerca di informazioni, a raccogliere dettagli, perché lo spettatore della Rai merita il meglio, che il racconto sia unico, fatto per lui»
Uno scrittore che racconta il Giro in Tv. Quella che all’inizio poteva sembrare una sfida è oggi una felice consuetudine, che esperienza è per lei?
La mia prima volta fu con il Corriere della Sera, dopo arrivò l’esperienza con la Rai, che è per me motivo di grande felicità e orgoglio. A ogni nuovo Giro la passione aumenta, e ho voglia di fare sempre meglio. Passo mesi alla ricerca di informazioni, a raccogliere dettagli, perché lo spettatore della Rai merita il meglio, che il racconto sia unico, fatto per lui. Mi piace raccontare il territorio in maniera esaustiva ma non ovvia.
Da martedì 13 maggio i corridori saranno in Italia, partiranno da Alberobello in direzione Lecce. Che cosa si aspetta dal percorso 2025?
Il percorso è interessante e può nascondere grandi sorprese: ci sono almeno due tappe che prevedono lo sterrato, una vera e propria roulette russa in cui può succedere di tutto. Mi spiace che non ci sia tanto Sud, che è pieno di luoghi stupendi, ma capisco che ci siano esigenze logistiche. Mi affascina invece che si arrivi in molti luoghi non notissimi, cosa che ci consentirà di raccontare zone meno conosciute, dando anche impulso a un turismo di scoperta di famiglie, di amici, così come di persone che viaggiano da sole, interessati a vedere luoghi che sino al giorno precedente non conoscevano.
Il viaggio, la carovana, la sfida sportiva, le persone… quanta poesia c’è in tutto questo?
C’è una grande poesia, e c’è soprattutto uno spirito speciale di fratellanza, non solo tra chi il Giro lo corre, tra chi lo segue per raccontarlo, per costruirlo, organizzarlo, ma anche tra chi va a bordo strada per vederlo passare. È un’esperienza strana e vera. Il mondo che conoscevo prima, quello della cultura nel quale ho tanti amici, non è paragonabile come affetto, attenzione, calore, a quello del ciclismo, che è sinceramente appassionato, in cui c’è davvero interesse a sapere come stai, e dove ho trovato tante belle persone. Ho sempre seguito il ciclismo, conoscevo già dalla televisione il lavoro del team di Rai Sport, e quando sono andato a lavorare con loro la mia paura è stata quella di rimanere un po’ deluso, invece è capitato l’esatto contrario: non solo mi hanno confermato la positività che avevo, ma sono rimasto stupito ancora di più. Una bellissima sorpresa. Non ci sono professori, ma compagni di viaggio.
Cosa significa, per uno scrittore, raccontare con la voce senza fare uso della scrittura?
Per me non è complicato. Ho sempre considerato la scrittura come una parte dell’oralità. In fondo se pensi all’Iliade e all’Odissea sono capolavori messi per iscritto dopo secoli di storie che giravano a voce. Quando scrivo i miei libri li faccio uscire solo dopo averli letti ad alta voce, da solo, a casa, come un pazzo, venti, trenta volte. La parte orale, della voce, è fondamentale. Se una cosa non suona bene a voce non suona bene nemmeno letta. E poi mi piace girare l’Italia facendo i monologhi, ciò che faccio al Giro è parte di quello che già facevo. Dopo il commento alla gara prendo parte al “Processo alla tappa” per leggere la cartolina, un lavoro di scrittura e lettura. La scrittura è parte della voce.
Il Giro potrebbe diventare, in qualche modo, protagonista di uno dei suoi futuri romanzi?
Non lo so. Mi piace di più che ci entri senza che si veda. Le mie storie parlano di tutt’altro, l’ultimo mio romanzo (“Mie magnifiche maestre”, Mondadori) parla delle mie nonne e zie che tornano in sogno da me. Lo fanno in un modo che ha a che fare con il ciclismo, ci sono lo stesso atteggiamento, la grande umanità, nonostante dalla vita non avessero avuto tanto. Ci sono la fatica, la passione.
Il momento più emozionante (e quello più difficile) di questi suoi lunghi viaggi per l’Italia…
I momenti che mi piacciono di più sono soprattutto quelli che viviamo prima e dopo la tappa, quando arrivano gli appassionati: vedi tanti bambini, che hanno gli occhi pieni di sogni, e tanti anziani, vedi la signora e il signore che si vestono bene per assistere al passaggio dei ciclisti, è una cosa commovente. È bello parlare con loro, condividere la passione. Mi spiace, invece, vedere, talvolta, l’insofferenza di alcuni, perché magari la strada viene bloccata per qualche ora. Quando passa una grande festa come è il Giro, e hai una reazione di frustrazione, vuol dire che il tuo stato d’animo è così pieno di amarezza e di rancore che non sei più capace di goderti le cose belle. Non mi dispiace per il Giro, ma per quelle persone lì, che perdono l’occasione di godersi le cose belle.
Cosa non può mancare nella valigia per il “Giro d’Italia” di Fabio Genovesi?
C’è di tutto. Devi mettere il costume da bagno e il passamontagna, la tuta termica e i sandali perché sai che troverai temperature estreme, da un lato o dall’altro, e in poco tempo. È la valigia più varia che tu possa mai fare.