FABRIZIO FERRACANE
Storie che penetrano l’anima
Nella serie “Gerri” firmata da Giuseppe Bonito, l’attore siciliano interpreta Alfredo Marinetti, un uomo diviso tra rigore professionale e fragilità emotiva. Al RadiocorriereTv racconta la complessità del suo personaggio, il legame speciale con Gerri, e l’alchimia sul set con Roberta Caronia. In arrivo al cinema anche “La guerra di Cesare”, film che gli è valso il premio come Miglior Attore Protagonista al Bif&st 2025
Proviamo a presentare Alfredo Marinetti. Quali sono i tratti salienti di questo essere umano?
Come per tutti, anche nella vita di Marinetti esistono due dimensioni: quella pubblica e quella privata. Sul lavoro è meticoloso, estremamente puntiglioso, e in ogni ambito ricerca onestà e sincerità. In questo ci somigliamo molto: anch’io detesto i soprusi, le sopraffazioni, ogni forma di disonestà. Non capirò mai perché non si riesca a puntare tutto sulla meritocrazia, preferendo invece scorciatoie e compromessi. Tornando al mio personaggio, nel privato si aprono veri e propri burroni: è un uomo timido, in Sicilia diremmo “scantulino”, profondamente innamorato di sua moglie, interpretata magistralmente da Roberta Caronia, che conosco da una vita.
Che tipo di relazione avete costruito sul set?
Roberta è una donna dotata di grande charme, oltre che un’attrice straordinaria. Secondo me, la grandezza di un interprete si riconosce nella capacità di mettersi in ascolto dell’altro, di accantonare il proprio ego. Quando questo accade sul set, nasce la magia. Con Roberta è successo proprio questo. A contribuire alla bellezza di questo lavoro è stato anche il regista, Giuseppe Bonito, che avevo già apprezzato ne “L’Arminuta”. Abbiamo riflettuto molto su questa coppia: non hanno figli, forse c’è qualcosa di irrisolto tra loro, ma si amano profondamente. Lei è gelosissima e lo dimostra con scene degne di adolescenti. A un certo punto entra in scena anche Giovanna Aquarica, il Vicequestore dell’Ufficio Minori della Questura di Napoli, interpretato dalla bravissima Irene Ferri. Sarà lei ad aiutare Marinetti a capire meglio Gerri, il fulcro della storia.
Il destino mette Gerri sulla strada di Marinetti. Cosa ha di speciale questo ragazzo?
Nella serie, Alfredo “scopre” Gerri durante un’esercitazione, quasi fosse un talent scout del calcio. Rimane colpito dalla sua straordinaria capacità di leggere le persone, anche quando mentono. Ma Marinetti percepisce subito che qualcosa non va, che c’è un turbamento profondo in lui. Tutti noi, nel bene e nel male, ci formiamo dentro una famiglia, siamo il risultato di ciò che i nostri genitori ci trasmettono – o non ci danno. Ed è da lì che si parte, indipendentemente dal legame biologico. Io, ad esempio, considero mio nipote come un figlio, lo sto accompagnando nella crescita. Non ho una compagna in questo momento, non ho avuto figli, ma lui è la mia vita. Perché l’amore è universale, così potente da andare oltre la biologia.
È accaduto qualcosa di simile tra Gerri e Marinetti?
Sì, tra loro nasce un legame speciale, si riconoscono e si scelgono. Alfredo lo prende sotto la sua ala, lo coinvolge nel lavoro, lo tutela, sopportando anche le sfuriate del suo superiore Nicola Santeramo – Capo della Mobile – interpretato da un attore straordinario come Massimo Wertmüller. Marinetti intuisce il malessere di Gerri, che si manifesta anche nella sua difficoltà a costruire relazioni affettive durature con le donne. Per aiutarlo, inizia a indagare sulla sua famiglia, scoprendo che è stato abbandonato dalla madre da piccolo. Credo che questa sia una serie innovativa, forte, dove il regista ha avuto massima libertà creativa. Questo clima di fiducia ha permesso di realizzare un prodotto davvero riuscito.
Ancora una volta le parole di uno scrittore danno vita a personaggi destinati alla TV. Cosa l’ha colpita della scrittura di Angela Lombardo Lepore?
Mi ha immediatamente colpito il tema dell’infanzia e, in particolare, dei bambini scomparsi, che ovviamente richiama anche la vicenda personale di Gerri. È una tematica che mi tocca nel profondo. Davanti alla violenza sui minori impazzisco, forse perché darei la vita per mio nipote Daniele. La scrittura della Lepore è coinvolgente, libera, essenziale e diretta. Non ha bisogno di orpelli, arriva dritta al cuore.
Cosa significa per lei dare anima e corpo a pensieri e immaginazioni di altri?
Menomale che esistono i personaggi da interpretare, perché a volte stare con me stesso mi annoia (ride). La recitazione mi permette di far emergere la mia parte fanciullesca, di entrare nel gioco del “se io fossi…”. Spesso uso il termine “corruzione” parlando del mio mestiere: l’attore è colui che si lascia corrompere per vivere altre vite. Fabrizio Ferracane sparisce per lasciare spazio a un nuovo volto, a un altro modo di sentire ed esistere. È successo con il personaggio di Aringo in “La terra dei figli” di Claudio Cupellini – uno dei provini più belli della mia vita – con “Polifemo” di Emma Dante, dove interpretavo un uomo violento, e con “Anime nere” di Francesco Munzi, in una scena in cui ho improvvisato il dolore per la morte di un fratello. Ho attinto a emozioni personali legate alla perdita di un caro amico: erano lì, pronte a riemergere.
A maggio esce al cinema “La guerra di Cesare”, per il quale ha ricevuto il premio come Miglior Attore Protagonista al Bif&st. Che storia è?
Cesare è forse il personaggio che più si avvicina a me. È un uomo “comune”, autentico, che crede nell’amicizia ma non ama rischiare. È buono, timido, ma come spesso accade, però, arriva un evento che cambia tutto: un amico compie un gesto sconsiderato, e Cesare, con un atto di coraggio, sceglie di camminare da solo. Aveva una vita stabile, con un lavoro sicuro e una moglie. Ma la morte dell’amico, avvenuta in una miniera in Sardegna, lo stravolge. È un film genuino ma potente, con una scrittura bellissima, avvolgente, parla di amore, di lavoro e anche di inclusione. Dopo quella perdita, Cesare compie un gesto di amore incondizionato, accogliendo nella sua vita il fratello dell’amico, che tutti nel paese considerano “lo scemo”. Con lui intraprende un viaggio umano profondo, meraviglioso. Quando incontro storie così, non importa il compenso: mi ci immergo completamente. Non ricordo chi lo dicesse, ma se una sceneggiatura racconta una buona storia, con buoni interpreti, puoi anche girarla con un telefonino. L’importante è che l’audio sia buono, che la storia arrivi. E quando questo succede, quella storia va raccontata. E sarà seguita