Raoul Bova
A letto con il sorriso
«In questo straordinario gruppo di lavoro, tutti sono orgogliosi di far parte del progetto, lo amano e lo rispettano, non c’è mai stanchezza nel lavoro, ma solo una grande passione, un’assoluta armonia» racconta l’attore impegnato per la seconda volta nei panni di Don Massimo nella quattordicesima stagione di Don Matteo. Da giovedì 17 ottobre su Rai 1
Uno dei meriti della serie è proprio essere riuscita a trovare un equilibrio tra spiritualità e vita concreta…
È una serie scritta in modo incredibilmente vero, tra i racconti televisivi più longevi che, pur ricorrendo a temi tipici della commedia e a situazioni da teatro, presenta allo spettatore personaggi molto credibili, mai sopra le righe, o quando lo sono, perfettamente funzionali alla linea più comedy che conferisce leggerezza alla narrazione. Gli ambienti in cui si svolgono le scene, gli interni in particolare, sono caratterizzati da atmosfere familiari che creano calore; il tavolo della canonica, per esempio, è il simbolo perfetto dei legami forti tra le persone, è qui che si pranza e si cena tutti insieme, è qui che ci si confronta. Le partite a scacchi tra Don Massimo e Cecchini diventano fortemente simboliche di un rapporto saldo, di complicità, ma anche di confronto professionale. Quest’anno è stata per me una scoperta ancora più forte della prima volta, abbiamo lavorato a fondo sul dare verità alla storia, tutto quello che raccontiamo potrebbe essere potenzialmente reale, anche nella sua follia perché, come ben sappiamo, a volte la realtà è molto più folle della finzione. I casi di puntata sono interessanti e aderenti all’attualità, e per questo affrontati con estrema attenzione, cercando di non cadere troppo nella profondità del dramma, senza però essere superficiali. Lo scopo è mantenere il giusto equilibrio per intrattenere lo spettatore in un contesto di “piacevole profondità”. Diciamo che “Don Matteo” ti manda a letto con un sorriso.
Cosa significa entrare nell’intimità di un personaggio come don Massimo?
Le location, in particolare la casa dove vive Don Massimo, hanno qualcosa di speciale, perché racchiudono un mondo, quello di un uomo complesso, pieno di fascino che, a un certo punto della sua vita, ha compiuto scelte determinanti, come lasciare la divisa da carabiniere e indossare quella da prete, abbracciando con una consapevolezza diversa la vita spirituale.
Cosa ha rappresentato nella vita di quest’uomo questa scelta di vita?
Una scelta che rivela un uomo in continua ricerca di sé stesso, del suo rapporto con Dio, con una naturale spinta a stare in mezzo alla gente, come San Francesco che, per fare un riferimento concreto, amava le persone, non si curava né dei vestiti, né della propria immagine. La regola era “fare” più che “sembrare”. Don Massimo è un uomo che, di volta in volta, in base alle esperienze, cresce come prete e come essere umano, e lo vedremo bene anche in questa stagione quando si troverà costretto a gestire l’arrivo di una sorella con la quale condivide un passato di contrasti.
Possiamo dare qualche dettaglio in più?
La relazione tra questi due fratelli non è mai stata facile e i rapporti si erano interrotti da tempo. Ora, però, che Massimo è diventato prete, non può fuggire ai problemi del suo passato, ma questa volta è animato da una diversa sensibilità e, complice anche la “spinta” del vescovo, vede il mondo con occhi diversi, più aperti.
Una serie di successo, un modello per altri racconti?
È importante raccontare ciò che rende unica questa serie che, al di là della scrittura, della regia, ha qualcosa di speciale: il rapporto umano e di grande rispetto all’interno della troupe, dagli attori, alle maestranze tutte. In questo straordinario gruppo di lavoro, tutti sono orgogliosi di far parte del progetto, lo amano e lo rispettano, non c’è mai stanchezza nel lavoro, ma solo una grande passione, un’assoluta armonia.